Ex quo primum |
15 Successore di Michele Paleologo nell'Impero, fu il figlio Andronico, così perdutamente aderente al dannato scisma, che permise che il corpo del Padre venisse sepolto fuori del luogo sacro, in quanto si era adoperato per l'unione della Chiesa Greca con la Latina.
E poiché non poteva minimamente sperare di condurre a buon esito la già predisposta restaurazione dello scisma, finché alla Chiesa di Costantinopoli presiedeva il Patriarca cattolico Giovanni Vecco, introdusse nella sede Patriarcale un certo Giuseppe, infetto di peste eretica.
D'allora le cose cominciarono a volgere al peggio, né si poté più attendere una sincera riconciliazione delle Chiese, finché convocato un Concilio Generale a Ferrara, e poi trasferito a Firenze, dopo avere maturamente discusso le divergenze tra i Padri Latini e i Greci, finalmente nell'anno 1439 fu abbattuta la parete di divisioni che aveva tenuto separate una Chiesa dall'altra.
E affinché venisse testimoniata la realtà di quest'unione finalmente compiuta, l'Imperatore greco Giovanni Paleologo comandò che si rimettesse nei sacri Dittici il nome del Romano Pontefice: come attesta lo stesso Sivestro Sguropulo, scrittore scismatico.18
Il Decreto della ricostituita unione fu trasmesso al Patriarca di Alessandria, Filoteo; e questi, nella sua risposta inviata al Pontefice Eugenio IV, attestò che lui pure aveva stabilito che nel sacrificio della Messa la citazione del Pontefice Romano si dovesse fare prima di quella degli altri Patriarchi: "Onde abbiamo stabilito con i Nostri Vescovi dell'Egitto e con tutti i Nostri Presbiteri che ovunque, in tutte le Chiese di Cristo, nelle Messe solenni, prima degli altri Patriarchi, facciamo memoria della Tua Beatitudine, come è contemplato nei Sacri Canoni".
Ciò si può vedere negli Atti del Concilio di Firenze raccolti dal Cardinale Giustiniano.19
16 Dopo Giovanni Paleologo fu Imperatore in Grecia Costantino, che inviando ambasciatori a Niccolò V per chiedere aiuto per se stesso, in grande pericolo, non omise di professare che avrebbe speso la propria opera con ogni sforzo, affinché trovasse la desiderata esecuzione quella concordia stabilita a Firenze; e quindi a far sì che il nome del Pontefice Romano tornasse sui Sacri Dittici, come attesta il Ducas nella Storia Bizantina: "L'Imperatore aveva inviato a Roma già prima a chiedere aiuto, affinché si rafforzasse la concordia ristabilita a Firenze, e si nominasse il nome del Papa nei Sacri Dittici durante le grandi Liturgie della Chiesa".
Il Pontefice si dichiarò pronto a dargli aiuto secondo le sue possibilità, e contemporaneamente non cessò di esortare e sollecitare a promulgare il Decreto dell'Unione ottenuta nel Concilio di Firenze e a far sì che il nome del Romano Pontefice "sia recitato nei Dittici, e che si preghi per lui nominativamente ed espressamente da tutta la Chiesa Greca come per quelli che erano accetti a Dio e come i Patriarchi di Costantinopoli e gli Imperatori avevano conservato fino ad allora"; ciò si trova negli Annali di Rainaldo.20
17 Questo è l'argomento che costituisce la prima parte del primo Monito dove si tratta dell'obbligo dei celebranti di pregare per il Papa nel Sacrificio della Messa, e non ci sembra di dover aggiungere altro se non che anche prima di questo Monito i Vescovi Cattolici Orientali nei loro Sinodi non tralasciarono di stabilire questa stessa cosa; e anche Noi non abbiamo mai trascurato di emettere opportuni Decreti per gli Italo-Greci.
Nell'anno del Signore 1720 si tenne a Zamoscia un Sinodo provinciale per volere del Nostro predecessore, il Papa Clemente XI di felice memoria, presieduto da Girolamo Grimaldo, che ora è Arcivescovo a Edessa e Nunzio Apostolico nel Regno di Polonia, elevato poi all'onore del Cardinalato dal Nostro Predecessore il Papa Clemente XII di venerata memoria.
In questi decreti Sinodali, che furono confermati dopo maturo esame anche dal Nostro Predecessore di venerata memoria il Papa Benedetto XIII, si leggono le seguenti parole, sotto il titolo De Fide Catholica: "Per la stessa ragione - cioè per rimuovere ogni sospetto di scisma - e per dimostrare una sincera comunione delle Membra con il Capo, stabilì e comandò anche sotto pene da infliggersi ad arbitrio dell'Ordinario, che ovunque nei Sacri Dittici si faccia la citazione del Romano Pontefice, specialmente durante la celebrazione del sacrificio della Messa e nella traslazione delle offerte: e si faccia con chiare e distinte parole con le quali non possa essere designato nessun altro che non sia il Vescovo Universale di Roma".
Sono dello stesso parere i Padri del Concilio Libanese dell'anno 1736 radunatisi sotto la presidenza del Diletto Figlio il Maestro Giuseppe Simone Assemani, Presule della Curia Romana e Delegato Apostolico.
Nei Decreti di questo Concilio sotto il titolo Del Simbolo della Fede e della sua professione, n. 12, compaiono queste parole: "Non tralasciamo di celebrare la citazione del Romano Pontefice, sia nelle Messe sia negli altri Uffici Divini, prima del nome del Reverendissimo signor Patriarca, come abbiamo fatto finora per consuetudine".
Questo stesso Concilio fu confermato da Noi stessi con la Nostra Apostolica Autorità dopo un accuratissimo esame di tutte le materie, come si può vedere nella Nostra Costituzione, che comincia con la parola "Singularis".21
Pietro Arcudio, nella sua opera "De Concordia Ecclesiae Occidentalis et Orientalis",22 scrisse il Monito per i Vescovi Latini, nelle cui Diocesi vivono dei Greci, per cercare di indurli a fare nella Messa la citazione del Romano Pontefice, affinché non ci sia alcun sospetto di propendere verso lo scisma: "I Vescovi Latini devono preoccuparsi che i Parroci Greci a loro soggetti restino nell'unione cattolica e riconoscano il Sommo Pastore secondo l'antico costume, e preghino solennemente per lui" nel sacrificio della Messa, del quale si tratta in quello scritto.
Pure in modo consentaneo a questo giustissimo Monito, nella Nostra Costituzione emanata per gli Italo-Greci, che comincia con le parole Etsi Pastoralis,23 così si precisò: "Poi si faccia la citazione del Sommo Pontefice e dell'Ordinario del luogo nelle Messe e negli Uffici Divini".
18 Segue la seconda parte dello stesso Monito, nella quale, come già si osservò, si ingiunge al Sacerdote Greco che durante la Messa, dopo aver pregato per il Pontefice Romano, preghi anche per il proprio Vescovo e per il proprio Patriarca, se sono cattolici; ma se uno dei due o anche entrambi fossero scismatici o eretici, non si dovrebbe fare menzione di quello, o anche di entrambi.
19 Nella Chiesa Latina non si ha solitamente nessuna difficoltà nel fare la citazione del Vescovo nella cui Diocesi il Sacerdote celebra la Santa Messa.
Su questo argomento Noi stessi abbiamo parlato nella Nostra Opera De Sacrificio Missae.24
In questo passo abbiamo dimostrato che colui che celebra in altra Diocesi deve fare menzione del Vescovo di quella Diocesi, ma non di quello nella cui Diocesi è stato ordinato e incardinato, cioè di quello alla cui giurisdizione è soggetto.
Neppure è lecito ai Regolari fare menzione nella Messa del proprio Superiore generale, e neppure agli altri Sacerdoti soggetti a qualche Prelato inferiore, che ha un territorio separato, fare la celebrazione di tale Prelato nella Messa, perché quest'onore deve essere tributato soltanto a quel Superiore o Presule che sia insignito dell'Autorità e dell'Ordine Episcopale.
Abbiamo citato infatti anche gli Autori che ci hanno tramandato e approvato questo costume.
Per cui non aggiungeremo qui niente altro se non che il succitato Domenico Giorgio, che ha dato alle stampe ( dopo l'edizione della Nostra opera ) quel suo trattato De Liturgia Romani Pontificis, dopo aver esaminato moltissimi Codici antichi, lasciò queste annotazioni nella citata opera25: "Quasi tutti i più antichi esemplari del Sacro Canone della Messa, dopo il Romano Pontefice, designano il nome del Vescovo; e Florio e i più antichi espositori della Messa ( che poniamo in appendice ) lo riferiscono".
20 Per non allontanarci dalla disciplina della Chiesa Latina annoteremo anche questo, che cioè il Vescovo, quando celebra la Messa, prega per se stesso, chiamandosi servo indegno; il che è consentaneo con quelle parole che si leggono nel libro 8 delle Costituzioni dette Apostoliche fra le Opere dei Padri Apostolici,26 dove è scritto che colui che celebra, dopo aver pregato per gli altri, prega anche per se stesso con queste parole: "Inoltre Ti preghiamo anche per quell'uomo di nessun valore, che Ti offro ecc." ( Adhuc rogamus Te pro nullius preti i homine, qui Tibi offero, etc. ).
Inoltre sappiamo che nella città di Roma si fa menzione del solo Romano Pontefice, per il fatto che egli non è soltanto Sommo Pontefice, ma altresì Vescovo della città di Roma.
Lo stesso Pontefice, mentre celebra la Messa, prega per se stesso, allo stesso modo con cui qualsiasi Vescovo che celebra, prega Dio per se stesso.
"Hai chiesto inoltre di sapere quali parole usi il Sommo Pontefice in quella parte del Canone della Messa, nella quale un semplice Sacerdote dice: assieme al nostro Papa N., poiché il Papa prega per se stesso e non ha un Vescovo al di sopra di lui.
E Noi rispondiamo a codesta tua devota domanda, che Noi allora diciamo: una mecum indigno famulo tuo ( anche con Noi indegno tuo servo )".
Sono le parole di Innocenzo III in una lettera non ancora pubblicata, ma conservata negli Archivi Vaticani,27 con la quale risponde al Vescovo di Orense che chiedeva in che modo il Pontefice, quando celebrava, faceva menzione di se stesso.
Si deve pure aggiungere che i Sacerdoti Latini non fanno menzione dell'Arcivescovo, anche Metropolitano, come scrive il diligente P. Merati nei suoi Commentarii ad Gavantum.28
E anche quando la Sede Vescovile è vacante: "Se il Vescovo del luogo è defunto, le parole predette si omettono", cioè non si fa nessuna menzione di lui.
"Ma si deve notare che al posto del Vescovo non si può nominare il Vicario Capitolare, perché, anche se durante la Sede Vacante è lui l'Ordinario del luogo, non è tuttavia il Vescovo di quella Diocesi.
Ma non si può nominare neanche l'Arcivescovo o il Patriarca di quella Provincia Ecclesiastica di cui fa parte la Diocesi del Vescovo defunto, anche se ha una certa giurisdizione su quella Diocesi, perché l'Arcivescovo o il Patriarca non è l'Ordinario nelle Diocesi suffragane e".
21 Ritornando ancora al discorso dei Greci, se si tratta di Italo-Greci, questi stanno completamente sotto la giurisdizione del Vescovo Latino nella cui Diocesi stabilirono il loro domicilio, secondo la Costituzione n. 74 del Nostro Predecessore il Papa Pio IV, che inizia con le parole Romanus Pontifex.29
Di questa Costituzione Noi abbiamo ampiamente discusso nel Nostro trattato De Synodo dioecesana,30 dell'ultima edizione romana.
Pertanto i Presbiteri Italo-Greci, nell'offrire il Sacrificio, sono tenuti a seguire la disciplina dei Latini, facendo la citazione del Romano Pontefice e del Vescovo del luogo, ma non dei Vescovi Orientali o dei Patriarchi, anche se sono cattolici, non avendo essi nessuna giurisdizione in Italia e nelle isole adiacenti; come anche è stabilito nella succitata Nostra Costituzione Etsi Pastoralis.31
Anche nel Dictatum del Papa San Gregorio VII, Pontefice Romano, can. 10, si leggono queste parole: "Nella Chiesa si deve pronunciare soltanto il nome del Papa". Questo Dictatum si trova inserito nella Collezione dei Concili, cioè in quella Regia Parigina, tomo XXVI, in quella Labbeana, tomo X, e in quella raccolta da Arduino.32
Non ignoriamo che c'è controversia fra gli eruditi se quel Dictatum è opera originale e autentica del Papa, oppure suppositizia, tanto che il Mabillon nel suo trattato De studiis monasticis ritiene che questa questione sia da considerarsi fra quelle di maggior importanza, e di cui possono occuparsi gli esperti di storia ecclesiastica.
E, dato pure per autentico questo Dictatum come opera di San Gregorio VII, la vera e autentica affermazione di questo Canone è senza dubbio che nella Chiesa Latina deve essere tolto dal Canone della Messa il nome del Vescovo Diocesano, ma nello stesso tempo occorre che non vengano inseriti minimamente i nomi dei Patriarchi Orientali, che a quel tempo affermavano che avrebbero consentito a questa condizione: che venisse rimesso nella Liturgia il nome del Romano Pontefice, e che si recitassero preghiere per lui in tutte le Chiese d'Oriente, se da parte propria il Pontefice avesse acconsentito che i loro nomi venissero menzionati dai Sacerdoti Latini della Chiesa Romana e delle altre Chiese del Patriarcato Romano nel Canone della Messa.
Questa condizione fu a buon diritto rigettata, come osserva sapientemente Cristiano Lupo nel suo Ad Concilia: "Per recedere dallo scisma, Michele ( parla di Michele Cerulario, Patriarca di Costantinopoli ) chiese che il suo nome venisse scritto nei Dittici Romani e promise che il nome del Pontefice, in contraccambio, sarebbe comparso sui Dittici di tutte le sue Chiese.
Ma Leone ( si riferisce al Pontefice Romano San Leone IX ) non acconsentì, perché il mutuo ricordo dei nomi dei Patriarchi vigeva soltanto nelle Sedi eguali e consorelle dei Patriarchi Orientali, ma non in quella Romana.
Infatti, la Sede Romana non è soltanto sorella delle Orientali, ma ne è anche capo e madre; pertanto mai menzionò altro nome all'infuori di quello del suo Vescovo".33
E nella pagina seguente così prosegue: "Mai la Sede di Roma, anzi, nessuna Chiesa Latina, menzionò il nome dei Patriarchi Orientali".34
22 Quanto sopra riguarda gli Italo-Greci.
Per ciò che si riferisce agli altri Greci e agli Orientali, il Monitum posto all'inizio dell'Eucologio, e di cui ora trattiamo, non proibisce mai di far menzione dei loro Metropoliti e Patriarchi nella Messa, ma solamente mette in guardia da coloro che sono eretici o scismatici.
È un antico costume della Chiesa Greca che si ricordino nelle orazioni delle Messe i nomi dei Patriarchi.
Teodoro Balsamo nel suo scritto Diritti dei Patriarchi così si esprime: "È stabilito che in qualunque Chiesa di Dio, fino all'Eufrate, fino al Tigri, sia pure fino all'Oceano, vengano riportati congiuntamente i nomi dei Patriarchi".
Goario35 riferisce, come trasmesso dall'uso, che nella Liturgia Greca il Sacerdote preghi per tutti i Vescovi e per il Metropolitano.
Merato nelle Note a Gavanto, dopo aver scritto quanto abbiamo riportato sopra, che cioè nella Chiesa Latina non si fa menzione dell'Arcivescovo durante la Messa, anche se è vacante una sede suffraganea, così aggiunge: "Questo non è osservato dai Greci e dagli altri Orientali che fanno il Memento sia del Patriarca sia del Metropolita".36
E neppure questo, nel già citato Monito, viene vietato, ma solo quando i Metropoliti o i Patriarchi fossero diventati scismatici o eretici, sempre secondo la regola già accettata e stabilita prima che si ponesse mano alla revisione dell'Eucologio.
Nella Congregazione del Santo Ufficio dell'anno 1673, trattando di questo capitolo della disciplina, fu deliberato un decreto di questo tenore: "Nella Congregazione Generale del Santo Ufficio del giorno 7 giugno 1673.
Alla domanda se un Sacerdote di Livorno poteva far menzione nella Messa del Patriarca degli Armeni pregando per lui, pur essendo scismatico; e lo si chiede con insistenza affinché quella Nazione possa stringere con sempre maggiore affetto l'amicizia con i Latini: la Sacra Congregazione rispose che non si poteva, e doveva essere assolutamente proibito.
Nella stessa Congregazione, il 20 giugno 1674, dopo la lettura della comunicazione del R. P. D. Nunzio a Firenze, scritta il 10 aprile 1674 alla Sacra Congregazione di Propaganda Fide, e da questa trasmessa alla Sacra Congregazione del Sant'Ufficio, fu decretato di rispondere allo stesso Nunzio che, quanto a pregare nella Sacra Liturgia per il Patriarca degli Armeni, la Sacra Congregazione restava fedele al decreto emanato nell'anno 1673, che cioè non si poteva e che era assolutamente proibito".
23 È dello stesso tenore il simile Decreto della Congregazione per la correzione dell'edizione del Messale dei Copti, tenutasi nell'anno 1732, ove fra gli altri dubbi proposti, ci fu anche questo: "Se e come si debbano emendare quelle parole con le quali il Sacerdote fa menzione del Patriarca, del Vescovo, ecc. ".
La risposta è stata questa: "All'inizio del Messale si ponga la rubrica nella quale viene istruito e ammonito il Sacerdote, riguardo alle cose che deve osservare nella celebrazione della Messa; fra queste una rubrica speciale sulla menzione del Romano Pontefice, nonché del Patriarca e del Vescovo, se sono uniti alla Chiesa di Roma; altrimenti si ometta la loro citazione; e questa rubrica sia ripetuta nel luogo appropriato".
Infatti gli eretici e gli scismatici sono soggetti alla censura di una speciale scomunica per la legge Can. De Liguribus37, e del Can. Nulli.38
I Sacri Canoni della Chiesa vietano di pregare pubblicamente per gli scomunicati, come si legge nel A Nobis39 e nel cap. Sacris, De Sententia Excomunicationis.
Quantunque niente vieti che si possa pregare per la loro conversione, tuttavia non si deve permettere che i loro nomi siano pronunciati nella preghiera solenne del Sacrificio.
Tutto questo concorda con l'antica disciplina, della quale tratta Estius nel Delle Sentenze.40
A tal fine è sufficiente pregare con la mente e col cuore Dio Ottimo Massimo, che si degni di riportare gli erranti nel seno della Santa Madre Chiesa, come pure afferma Silvio nel suo Commento alla 3" parte di San Tommaso.41
Questa è anche l'opinione dello stesso San Tommaso d'Aquino,42 in risposta al primo quesito: "Si può pregare per gli scomunicati, ma non con le Orazioni che si fanno per i membri della Chiesa".
Non è necessario, per soddisfare questo dovere di cristiana carità, sconvolgere le leggi della Chiesa, che esclude dal novero dei suoi fedeli i nomi di coloro che si sono separati dalla sua unità e dalla sua obbedienza; proibendo di pregare pubblicamente per essi, essa esclude la loro menzione dalla Liturgia della Messa, che è una preghiera pubblica.
Per questo il venerabile Cardinale Bellarmino nelle sue Controversie,43 scrive egregiamente, a proposito del nostro argomento: "Qualcuno può chiedere se è lecito in questi tempi offrire il S. Sacrificio per la conversione degli eretici e degli infedeli.
Un motivo di dubbio deriva dal fatto che tutta la Liturgia della Chiesa Latina, come è in uso, si riferisce ai fedeli, come si evidenzia dalle preghiere di offerta, sia nel Canone, sia fuori di esso.
Rispondo: Sono persuaso che questo è lecito, purché non si aggiunga nulla alla Messa; ma solamente nell'intenzione del Sacerdote si applichi il Divin Sacrificio per la conversione degli infedeli e degli eretici.
Ciò infatti compiono tutti gli uomini pii e dotti: e non li possiamo riprendere per questo, poiché non esiste alcuna proibizione espressa della Chiesa".
24 In questo primo Monito non si fa nessuna parola della menzione, ossia della preghiera da recitarsi durante la Messa, per l'Imperatore, il Re e per tutta la sua Corte e il suo Esercito.
Ma poiché questa cosa ha molta connessione con le altre enumerate in questo primo Monito, non crediamo inopportuno aggiungere le cose che seguono.
25 In tutti gli Eucologi i che furono compilati, sia stampati, sia manoscritti, prima della correzione fatta da Leonzio, si leggono le preci che si dovevano fare per l'Imperatore, per il Re, per la Corte e per l'Esercito.
Nella Congregazione per la correzione dell'Eucologio, tenutasi il 1° maggio 1746, fu proposto il dubbio se queste preghiere dovevano essere eliminate.
Fu invece stabilito - e Noi dopo l'abbiamo approvato - che "esse dovevano rimanere nel Canone, ossia nella Liturgia".
Ma Poiché i Greci facevano le stesse preghiere nella Protesi [preambolo] e poi le avevano tolte, si aggiunse che "non dovevano farsi nella Protesi, o preparazione".
Difatti Ci sembrava superfluo che queste preghiere si facessero nella Protesi, quando poi si fanno nel Canone o Liturgia.
E secondo questo piano la cosa fu disposta nella nuova edizione corretta dell'Eucologio.
26 Sulla citazione dell'Imperatore o del Re, sotto la cui giurisdizione è soggetta una singola Regione, Noi stessi abbiamo trattato nel Nostro De Sacrificio Missae,44 e discusso della sua inserzione nel Canone della Messa come si è soliti fare in alcuni luoghi.
E anche il Cardinale Bona nel suo Rerum Liturgicarum45 attesta che in molte Chiese Latine viene ricordato nel Canone il nome del Re. Inoltre Martene nel De antiquis Ecclesiae Ritibus,46 dopo aver addotto i documenti opportuni così conclude: "Dalla costante tradizione della Chiesa ricevuta dagli Apostoli, è certo che si è sempre pregato per i Re e per i Principi "inter Sacra Mysteria"".
Da questo appare chiaramente che l'Autore si riferisce a quello che l'Apostolo scrisse nell'Epistola 1 Tm 2, in cui ordina che si facciano preghiere e suppliche per i Re e per tutti coloro che sono costituiti in dignità; e anche come si legge nelle Costituzioni che si dicono Apostoliche - nella edizione dei Padri Apostolici curata da Cotelerio47 - dove si ha: "Ti preghiamo, Signore, per il Re e per coloro che sono costituiti in autorità, e per tutto il suo esercito, affinché le nostre cose si svolgano felicemente".
Poi si legge di nuovo: "Preghiamo per il Re e per coloro che sono costituiti in sublime potestà, affinché le nostre cose procedano in pace".48
Si può vedere su questo punto anche Giorgio nel De Liturgia Romani Pontificis.49
E qualunque cosa si dica di quella controversia che si agitò fra Baluzio e Lupo sul tempo in cui per la prima volta fu sostituito al nome dell'Imperatore quello del Re nelle terre soggette al dominio dei Re ( questione che tratta diffusamente il citato Lupo nel Canone 10 del Dictatum Papae di San Gregorio VII ), ciò che è certo è che la citazione dei Re avviene nella Chiesa Latina in quelle regioni nelle quali fu accettata questa consuetudine o fu concesso il permesso dalla Sede Apostolica, come nota Merato.50
27 Ma presso gli Orientali si può affermare che è comune questa disciplina, di fare menzione del Re nella Sacra Liturgia, come si può vedere nelle Liturgie degli Armeni, dei Copti, degli Etiopi e dei Siriani.
Se qualcuno si chiedesse per quale ragione ciò si possa tollerare, quando si è certi che quei Re, per i quali si prega, e dei quali si fa la citazione nella Liturgia, sono pagani, a questi risponde il ven. Cardinale Bellarmino51 che - ex natura rei, come dicono i Teologi - non è affatto vietato pregare nella Messa anche per gli infedeli, quando si sa che il Sacrificio della Croce fu offerto per tutti.
Infatti San Tommaso in Senten,52 ad quartum, insegna che quantunque Sant'Agostino nel libro De origine Animae abbia scritto che il Sacrificio si offre soltanto per coloro che sono membra di Cristo, questa affermazione deve essere intesa nel senso che essa comprende tutti coloro che già sono membra di Cristo o che tali possono diventare.
Pertanto lo stesso Cardinale aggiunge che tutta la questione deve essere risolta dalla proibizione della Chiesa: "È certo, ex natura rei, che se non c'è alcuna proibizione da parte della Chiesa, è lecito offrire il Sacrificio per questi uomini" ( e qui parla di infedeli ).
Ma poiché questa proibizione esiste per gli scomunicati e anche per gli eretici e gli scismatici, ma non per gl'infedeli, che non possono essere oggetto di scomunica, questo è sufficiente perché si possa fare di loro la citazione nella Messa e anche offrire per loro il Sacrificio, secondo la chiara tradizione e la Costituzione Apostolica: "E se qualcuno chiederà se i Sacerdoti, che colà si trovano, possono offrire il Sacrificio per un Re infedele, come in Grecia, dove domina il Turco, o in India, o in Giappone o presso i Cinesi, dove regnano i pagani, rispondo: Io credo che sia lecito, purché quel Re non sia scomunicato, come sono i Re eretici, ma sia pagano, cioè infedele.
Infatti questa tradizione, anzi Costituzione, è Apostolica, come abbiamo dimostrato prima.
E per quanto io sappia, non c'è alcuna proibizione esplicita della Chiesa".
A tutto questo si può aggiungere non inutilmente il testo di Tertulliano, dove si legge: "Noi sacrifichiamo per la salute dell'Imperatore, ma al nostro Dio, che è anche il suo Dio; ma, come ci ha comandato il Signore, con una pura preghiera, perché Dio, Creatore dell'Universo, non ha bisogno dell'onore e del sangue di chicchessia".53
28 Lasciando pertanto queste asserzioni nella loro probabilità, non fu per nulla necessario omettere la citazione dell'Imperatore o del Re nel testo dell'Eucologio Greco.
Si è saputo che i Cattolici Greci, interrogati se, nel fare queste preghiere, fossero disposti a pregare per i Turchi, dei quali subiscono il potere temporale, da quando furono privati dei loro legittimi Principi, hanno risposto che essi sono sempre disposti a pregare per i Re ortodossi e i Principi cristiani.
Così attesta Goario nelle sue Note sull'Eucologio,54 dove afferma che le interrogazioni da lui fatte ai Cattolici Greci se intendessero, pronunciando quelle preghiere, supplicare Dio per i Turchi, ebbero sempre queste risposte: "Riconosciamo soltanto i nostri Re e Principi Cristiani, diletti da Dio, e coloro che, già rettori della Fede e della Religione, predicatori nelle Chiese, rivendicano il potere, e per essi soli vogliamo pregare, anche se nei libri pubblicati sono soppresse tali preghiere".
29 Segue ora il secondo Monito, fra quelli che sono stati scelti per la nuova edizione dell'Eucologio Greco, concepito in queste parole: "Dopo questo, nella stessa sacra e divina Liturgia il Sacerdote, cantando gloria a Dio, si accosta ai doni e con rispetto e devozione, alzandoli sopra il capo, li porta all'altare procedendo processionalmente per il Tempio; contemporaneamente il popolo, con somma riverenza e devozione, curva il capo e si inginocchia, supplicando che si faccia menzione dei presenti in quella processione offertoriale.
Ma alcuni fedeli si inginocchiano e adorano le offerte che si portano processionalmente, come se fossero il Corpo e il Sangue di Cristo.
Essi così credono, ingannati forse dall'ingresso dei Presantificati [ quando cioè si porta il pane presantificato, non ancora consacrato ], ignorando la differenza che esiste fra questa e quella oblazione.
È necessario pertanto che il Celebrante ponga tutta la sua opera e capacità per insegnare accuratamente ai fedeli tutta la diversità che esiste fra l'una e l'altra processione dei doni, poiché i primi sono i doni non ancora consacrati e immolati, mentre in seguito vengono consacrati e immolati dalla Parola di Dio [ dalla Consacrazione ].
Questi allora devono essere religiosamente venerati e adorati, perché sotto le specie del Pane e del Vino contengono realmente il Corpo di Cristo, ben diversamente da quando devono essere ancora consacrati e immolati".
Indice |
18 | Historia Concilii Florentini, sess. 10, cap. 12 |
19 | Parte 2, collect. 22, p. 323 |
20 | Anno di Cristo 1451, n. 2 |
21 | Tomo 1 del Nostro Bollario, n. 31 |
22 | Libro 31, cap. 39 |
23 | Si trova al n. 57 del Nostro Bollario, tomo 1, par. 9, n. 4 |
24 | Sez. 1, n. 220 dell'edizione latina |
25 | Tomo 3, cap. 3, n. 23, p. 52 |
26 | Pubblicate da Cotelerio, tomo 1, p. 407 |
27 | Lib. 9. n. 33 |
28 | Parte 2, tit. 3, n. 5 |
29 | Bollario Romano, tomo 2 |
30 | Lib. 2, cap. 12 |
31 | p. 9, n. 4, del Nostro Bollario, tomo 1, Cost. 57 |
32 | Tomo VI, part. I |
33 | Part. 4, p. 437, ediz. di Bruxelles |
34 | Ivi, p. 438 |
35 | Note al Rituale dei Greci, p. 63 |
36 | Tomo I, parte I, p. 539 dell'edizione romana |
37 | 23, quest. 5 |
38 | 5, dist. 19 |
39 | Cap. 4, n. 2 |
40 | 4° libro, dist. 12, § 15 |
41 | Tomo 4, quest. 83, art. 1, quest. 9 |
42 | 4° Sent., dist. 18, quest. 2, art. 1 |
43 | Tomo 3, lib. 6, De Missa, cap. 6 |
44 | Sez. 1, n. 221 |
45 | Ivi, 2, cap. 11, n. 4 |
46 | Lib. 1, cap. 4, art. 8, n. 9 |
47 | Lib. 8, cap. 12 |
48 | Ivi, cap. 13 |
49 | Tomo 3, lib. 4, cap. 3, n. 26 |
50 | Ad Gavantum, citato, tomo 1, part. 1, p. 539, n. 6 dell'edizione romana |
51 | Come difatti risponde nel succitato cap. 6 |
52 | 4, dist. 12, quest. 2, art. 2, quest. 2 |
53 | Ad Scapulam, cap. 2 |
54 | p. 38 |