Quartus supra |
20 Inoltre, non molto tempo dopo, cioè nell'anno 1806, presso il monastero di Carcafe, nella diocesi di Beirut, fu convocato un Sinodo denominato Antiocheno, il quale sosteneva molte affermazioni che erano state tratte tacitamente e con l'inganno dal già condannato Sinodo di Pistoia, e inoltre alcune proposizioni dello stesso Sinodo di Pistoia condannate dalla Santa Sede Romana in parte ad litteram e altre come insinuate ambiguamente, e ancora altre, in odore di Baianismo e Giansenismo, contrarie al potere ecclesiastico, che turbavano l'ordinamento della Chiesa, e contrarie alla sana e consolidata dottrina della Chiesa.
Tale Sinodo di Carcafe, pubblicato in caratteri arabici nell'anno 1810 senza avere consultato la Sede Apostolica, e contestato con molte critiche dai Vescovi, fu infine disapprovato e condannato con una particolare lettera apostolica dal Nostro Predecessore Gregorio XVI di felice memoria, che ordinò ai Vescovi di attingere la norma di governo e della sana dottrina dagli antichi Sinodi approvati dalla Sede Apostolica.
E fossero cessati gli errori dei quali brulicava quel Sinodo già condannato!
Tali malvagie dottrine non cessarono di serpeggiare di nascosto per l'Oriente, aspettando l'occasione di manifestarsi apertamente: e quello che prima fu tentato inutilmente per circa 20 anni, i Neoscismatici Armeni ora hanno osato attuare.
21 Veramente, essendo la disciplina il legame della fede, incombeva alla Sede Apostolica l'obbligo d'intervenire per restaurarla.
A questo suo gravissimo dovere non venne mai meno, sebbene per le avverse circostanze di tempi e di luoghi poté provvedere soltanto per le necessità contingenti, attendendo frattanto tempi migliori che, con l'aiuto di Dio, talvolta giunsero.
Infatti sotto la pressione dei Nostri Predecessori Leone XII e Pio VIII, e con l'aiuto dei sommi Principi di Austria e di Francia, l'eccelso Imperatore Ottomano, venuto a conoscenza della diversa condizione esistente fra cattolici e scismatici, sottrasse i primi dalla civile potestà di questi ultimi e decretò che i cattolici, a guisa di regione – come si suol dire – avessero un loro Capo o Prefetto civile.
Fu permesso prima di tutto che i Vescovi di rito Armeno che godevano di potestà ordinaria, potessero risiedere tranquillamente a Costantinopoli; fu permesso erigere Chiese cattoliche dello stesso rito armeno e professare ed esercitare pubblicamente il culto cattolico.
Pertanto il Nostro Predecessore Pio VIII di felice memoria eresse a Costantinopoli la Sede primaziale e arcivescovile degli Armeni, particolarmente sollecito che in essa rifiorisse in modo consono e opportuno la disciplina cattolica.
22 Dopo alcuni anni, appena parve possibile, furono erette da Noi delle Sedi episcopali soggette alla Sede primaziale di Costantinopoli, e allora fu stabilito il metodo da osservare nella elezione dei Vescovi.
Poi, affinché la potestà civile cosiddetta del Prefetto non interferisse nelle cose sacre – il che è sempre stato contrario alle leggi della Chiesa Cattolica – fu provveduto dall'autorità dello stesso Imperatore Ottomano con un diploma imperiale del 7 aprile 1857 indirizzato al Venerabile Fratello Antonio Hassun, che allora era Primate della stessa sede.
Allorché poi, su richiesta degli stessi Armeni, abbiamo riunito, con la lettera apostolica Reversurus, la Chiesa primaziale di Costantinopoli ( abrogando questo titolo ) alla Sede patriarcale della Cilicia, abbiamo ritenuto opportuno, anzi necessario, che alcuni dei più importanti capitoli sulla disciplina venissero sanciti con l'autorità della stessa Costituzione.
E con la lettera apostolica che inizia con la parola Commissum, pubblicata il 12 luglio 1867 , abbiamo demandato al Sinodo patriarcale, che abbiamo comandato si celebrasse al più presto, il compito di operare con cura e sollecitudine affinché in tutto il Patriarcato Armeno venisse istituito un accurato ordinamento di disciplina.
23 Per la verità il "nemico" ha ripreso a seminare zizzania a più non posso nella Chiesa Armena di Costantinopoli, essendo stata sollevata da parte di alcuni la questione sulla prefettura civile della comunità Armena, che ritenevano fosse stata eliminata di nascosto dal nuovo Patriarca.
Un grave scompiglio fece seguito a questa controversia, e lo stesso Patriarca fu accusato di avere tradito i diritti nazionali per il fatto che aveva accettato la predetta Nostra Costituzione, come si addice ad un Vescovo cattolico; e così appunto contro questa Costituzione cospirarono tutti i progetti, le macchinazioni e le maldicenze dei dissidenti.
24 In questa questione furono incriminati, prima di tutto, i decreti sulla elezione dei sacri Pastori e sull'amministrazione dei beni ecclesiastici; e fu asserito che questi decreti erano contrari ai diritti della loro nazione, anzi, calunniosamente, anche a quelli dello stesso Sovrano.
Le cose che Noi abbiamo definito su questi due capitoli, sebbene dovrebbero essere arcinote, tuttavia è bene siano ripetute: infatti è sempre avvenuto ed avviene che molti parlano ( Ef 4,17-18 ) nella frivolezza della loro mente a causa dell'ignoranza che è in loro; altri poi ( Pr 23,7 ) simili a maghi e indovini, apprezzano ciò che non conoscono.
25 Abbiamo stabilito che il Patriarca debba essere eletto dal Sinodo dei Vescovi, escludendo dalla sua elezione i laici e anche tutti i chierici che non sono insigniti del carattere episcopale; abbiamo comandato anche che l'eletto entri nell'esercizio della sua potestà – come si dice, venga intronizzato – soltanto dopo avere ricevuto la lettera della sua conferma dalla Sede Apostolica.
In verità, abbiamo stabilito che i Vescovi vengano eletti come segue: tutti i Vescovi della provincia, riuniti in Sinodo, propongono tre idonei ecclesiastici alla Sede Apostolica.
Se risultasse impossibile che tutti i Vescovi potessero accedere al Sinodo, la proposta venga fatta da almeno tre Vescovi diocesani riuniti in Sinodo con il Patriarca, con l'obbligo di comunicare per iscritto agli altri Vescovi la terna proposta.
Dopo ciò, il Pontefice Romano sceglierà uno dei tre proposti con il compito di presiedere alla Chiesa vacante.
Abbiamo anche notificato che non dubitavamo che i Vescovi Ci avrebbero proposto uomini veramente degni e idonei, per non essere costretti Noi o i Nostri Successori, per dovere del Nostro Apostolico ministero, a scegliere una persona non proposta da mettere a capo della Chiesa resasi vacante.
26 Queste disposizioni, in verità, se vengono considerate con animo alieno dagli interessi di parte, vengono trovate conformi a quello che è sancito dai Canoni della fede cattolica.
Per quanto riguarda l'esclusione dei laici dalla elezione dei sacri Presuli, si deve accuratamente distinguere il diritto di eleggere i Vescovi ( affinché non venga portato avanti alcunché contrario alla fede cattolica ) dalla facoltà di portare testimonianza riguardo alla vita e ai costumi dei candidati.
La prima affermazione si potrebbe riferire alle false opinioni di Lutero e di Calvino che asserivano essere di diritto divino che i Vescovi siano eletti dal popolo.
Tutti sanno che questa falsa dottrina è sempre stata condannata dalla Chiesa Cattolica e lo è tuttora; il popolo non ha mai avuto il potere di eleggere i Vescovi o altri sacri ministri, né per diritto divino, né per diritto ecclesiastico.
27 Per la testimonianza del popolo su quello che riguarda la vita e i costumi di coloro che devono essere promossi all'episcopato, "dopo che per la violenza degli Ariani, favoriti dall'Imperatore Costantino, furono cacciati dalle loro sedi i Presuli cattolici e nelle loro sedi furono immessi i seguaci di quelli, come deplora Sant'Atanasio il complesso delle circostanze rese necessaria la presenza del popolo nelle elezioni dei Vescovi per poter difendere nella sua sede quel Vescovo che era stato eletto davanti al suo popolo".
Pertanto codesto costume per un po' di tempo fu conservato nella Chiesa: però, sorgendo continue discordie, tumulti e altri abusi, fu necessario escludere il popolo dalle elezioni e tralasciare la sua testimonianza e il suo desiderio circa la persona da eleggere.
Come infatti avverte San Girolamo: "spesso il giudizio del popolo e del volgo è in errore, e nell'approvare i sacerdoti ciascuno favorisce i propri costumi, in modo che egli ricerca un presbitero che, più che buono, sia simile a lui".
28 Ciò nonostante, Noi, nello stabilire il metodo della elezione, abbiamo lasciato libera facoltà al Sinodo dei Vescovi di indagare in tutte le più ampie maniere, e come essi volevano, sulle doti dei candidati, chiedendo anche – se lo stimavano opportuno – la testimonianza del popolo.
In verità, gli Atti inviati a questa Santa Sede attestano che, anche dopo l'emanazione della Nostra Costituzione, ci fu un'indagine da parte dei Presuli Armeni, quando si trattò di eleggere, tre anni or sono, il Vescovo per le regioni di Sebaste e Tokat.
Però questo non lo abbiamo ritenuto opportuno, e neppure ora lo riteniamo conveniente per quanto riguarda l'elezione del Patriarca, sia per l'eminenza della sua dignità, sia perché è preposto a tutti i Vescovi della sua regione, sia perché dagli Atti trasmessi a questa Sede Apostolica risulta che le elezioni dei Patriarchi di qualsiasi rito orientale è stata compiuta dai soli Vescovi, se non quando particolari e straordinarie circostanze richiesero di agire altrimenti, come quando i Cattolici, per difendersi dalla potestà e dalla violenza degli scismatici, ai quali erano soggetti, avendo ricercato un altro Patriarca che proprio per questo si era ritirato dagli scismatici, lo confermarono a testimonianza di una conversione vera e sincera alla fede cattolica, come avvenne anche nella elezione di Abramo Pietro I.
29 Abbiamo rivendicato a questa Sede Apostolica il diritto e il potere di eleggere il Vescovo fra una terna che Ci viene proposta, o anche prescindendo da essa; abbiamo proibito che sia intronizzato il Patriarca eletto, se prima non è stato confermato dal Romano Pontefice: questo è ciò che alcuni sopportano malvolentieri e contestano.
Essi Ci pongono davanti le consuetudini e i canoni delle loro Chiese, come se Noi avessimo voluto recedere dalla custodia dei sacri canoni.
A queste affermazioni si potrebbe rispondere con quanto scrisse San Gelasio, Nostro Predecessore , che dovette subire una simile calunnia dagli scismatici Acaciani: "Ci oppongono dei canoni, mentre non sanno quello che dicono; si scagliano contro gli stessi canoni, quando si rifiutano di obbedire alla prima Sede, che li richiama a cose rette e sane".
Sono infatti gli stessi Canoni che riconoscono in ogni maniera la divina autorità del Beato Pietro su tutta la Chiesa, e che asseriscono – come è stato detto nel Concilio di Efeso – che Egli fino ad ora e sempre vive nei suoi Successori ed esercita il diritto di giudicare.
Giustamente pertanto Stefano, Vescovo di Larissa, poté rispondere risolutamente a coloro che ritenevano che per l'intervento del Romano Pontefice si diminuissero i privilegi delle Chiese della regale città di Costantinopoli: "L'autorità della Sede Apostolica, che da Dio e Salvatore nostro è stata data al capo degli Apostoli, sovrasta a tutti i privilegi delle Sante Chiese: nella sua confessione tutte le Chiese del mondo trovano la pace" .
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