Haurietis aquas |
15 maggio 1956
"Voi attingerete con gaudio le acque dalle fonti del Salvatore" ( Is 12,3 ).
Queste parole, con le quali il profeta Isaia simbolicamente preannunciava le molteplici e abbondanti benedizioni di Dio, che l'era cristiana avrebbe apportato, spontanee ritornano alla nostra mente, allorché diamo uno sguardo ai cento anni che sono trascorsi da quando il nostro predecessore di i. m. Pio IX, ben lieto di assecondare i voti del mondo cattolico, si compiaceva di estendere e rendere obbligatoria per la chiesa intera la festa del cuore sacratissimo di Gesù.
Innumerevoli infatti sono le grazie celesti che il culto tributato al cuore sacratissimo di Gesù ha trasfuso alle anime dei fedeli, purificandoli, confortandoli con superbe consolazioni, e incitandoli ad acquistare ogni virtù.
Noi pertanto, memori della sapientissima sentenza dell'apostolo san Giacomo: "Ogni donazione buona e ogni dono perfetto viene dall'alto e scende dal Padre dei lumi" ( Gc 1,17 ), a buon diritto possiamo scorgere in questo culto, divenuto ormai universale e ogni giorno sempre più fervoroso, il dono che il Verbo incarnato, nostro salvatore divino e unico mediatore di grazia e di verità tra il Padre celeste e il genere umano, ha fatto alla chiesa, sua mistica sposa, in questi ultimi secoli della sua travagliata storia.
Grazie a questo dono d'inestimabile valore, la chiesa può agevolmente manifestare l'ardente carità che essa nutre verso il suo divin Fondatore, e corrispondere in più larga misura all'invito che l'evangelista san Giovanni riferisce come pronunziato da Gesù Cristo stesso: "Nell'ultimo gran giorno della festa, Gesù, levatosi in piedi, diceva ad alta voce: Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me.
Come dice la Scrittura, dal ventre di lui sgorgheranno torrenti d'acqua viva.
Ciò egli disse dello Spirito che dovevano ricevere i credenti in lui" ( Gv 7,37-39 ).
Agli uditori di Gesù non fu certamente difficile cogliere in quelle sue parole, che contenevano la promessa di una sorgente di "acqua viva" che sarebbe scaturita dal suo seno, una chiara allusione ai vaticini con i quali i profeti Isaia, Ezechiele e Zaccaria, predicevano l'avvento del regno messianico, come pure alla tipica pietra che, percossa dalla verga di Mosè, versò mirabilmente acqua ( Is 12,3; Ez 47,1-12; Zc 13,1; Es 17,1-7; Nm 20,7-13; 1 Cor 10,4; Ap 7,17; Ap 22,1 ).
La carità divina ha in realtà la sua principale sorgente nello Spirito Santo, che è l'amore personale sia del Padre sia del Figlio in seno all'augustissima Trinità.
Ben a ragione quindi l'Apostolo, quasi facendo eco alle parole di Gesù Cristo attribuisce allo Spirito d'amore l'effusione della carità nell'animo dei credenti: "La carità di Dio si è riversata nei nostri cuori per lo Spirito Santo che ci fu dato" ( Rm 5,5 ).
Questo strettissimo nesso, che secondo le parole della s. Scrittura intercorre tra la carità che deve ardere nei cuori dei cristiani e lo Spirito Santo che è amore per essenza, ci manifesta in modo mirabile, venerabili fratelli, l'intima natura stessa di quel culto che è da tributarsi al cuore sacratissimo di Gesù.
Se è vero, infatti, che questo culto considerato nella sua propria essenza, è un atto eccellentissimo della virtù di religione, in quanto richiede la assoluta e incondizionata sottomissione e consacrazione da parte nostra all'amore del Redentore divino, di cui è indice e simbolo, quanto mai espressivo, il suo cuore trafitto; è vero parimenti, e in un senso ancora più profondo, che tale culto comporta la risposta dell'amore nostro all'amore divino.
Poiché soltanto per effetto della carità si ottiene la piena e perfetta sottomissione dello spirito umano al dominio del supremo Signore, allorché cioè gli affetti nel nostro cuore in tal modo aderiscono alla divina volontà da formare con essa quasi una cosa sola, secondo che è scritto: "Chi aderisce al Signore forma un solo spirito con lui" ( 1 Cor 6,17 ).
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