Princeps pastorum

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III

Insistendo sulla necessità di preparare col più grande zelo l'avvento del clero autoctono e di formarlo adeguatamente allo scopo, il Nostro venerato predecessore Benedetto XV non intendeva certamente escludere l'importanza, anch'essa fondamentale, di un laicato nativo all'altezza della propria vocazione cristiana e impegnato nell'apostolato.

Ciò fece espressamente e con tutto il rilievo l'immediato Nostro predecessore Pio XII,32 il quale ritornò più volte su questo vitale argomento che, oggi più che mai, si impone alla considerazione e richiede di essere risolto dovunque nella massima misura possibile.

Lo stesso Pio XII - e ciò torna a suo singolare merito e lode - con copiosa dottrina e rinnovati incitamenti ha ammonito e incoraggiato i laici a prendere sollecitamente il loro posto attivo nel campo dell'apostolato in collaborazione con la gerarchia ecclesiastica; infatti, fin dai primordi della storia cristiana e in tutte le epoche successive, questa collaborazione dei fedeli ha fatto sì che i vescovi e il clero potessero efficacemente sviluppare la loro opera tra i popoli, sia nel campo propriamente religioso che in quello sociale.

Ciò può e deve verificarsi anche nei nostri tempi, i quali, anzi, rivelano maggiori bisogni, proporzionati a un'umanità numericamente più vasta e con esigenze spirituali moltiplicate e complesse.

Del resto, dovunque viene fondata la chiesa, essa deve essere sempre presente e attiva con tutta la sua struttura organica, e quindi non soltanto con la gerarchia nei vari suoi ordini, ma anche col laicato; ed è quindi per mezzo del clero e dei laici che essa necessariamente deve svolgere la sua opera di salvezza.33

Nelle nuove cristianità, non si tratta soltanto di procurare, con le conversioni e i battesimi, un gran numero di cittadini al regno di Dio, ma di renderli anche adatti, con un'adeguata educazione e formazione cristiana, ad assumere ognuno secondo la propria condizione e le proprie possibilità le loro responsabilità nella vita e nell'avvenire della chiesa.

Il numero dei cristiani significherebbe poco se difettasse la qualità, se venisse meno la saldezza dei fedeli stessi nella professione cristiana e se mancasse l'approfondimento della loro vita spirituale; se, dopo esser nati alla fede e alla grazia, essi non fossero aiutati a progredire nella giovinezza e nella maturità dello spirito, che dona slancio e prontezza per il bene.

La professione di fede cristiana, infatti, non può essere ridotta a un dato anagrafico, ma deve investire e modificare l'uomo nel profondo ( Ef 4,24 ), dare significato e valore a tutte le sue manifestazioni.

A tale mèta di maturità i laici non potranno giungere se il clero, sia allogeno che nativo, non si proporrà tempestivamente il programma suggerito già nelle linee essenziali dal primo papa: « Voi siete stirpe eletta, sacerdozio regale, gente santa, popolo tratto in salvo perché facciate conoscere i prodigi di colui che dalle tenebre vi chiamò all'ammirabile sua luce » ( 1 Pt 2,9 ).

Un'istruzione ed educazione cristiana che si ritenesse paga di aver insegnato e fatto apprendere le formule del catechismo e i precetti fondamentali della morale cristiana con una sommaria casistica, senza impegnare la condotta pratica, si esporrebbe al rischio di procurare alla chiesa di Dio un gregge per dir così passivo.

Il gregge di Cristo, invece, è formato di pecorelle che non solo ascoltano il loro pastore, ma sono in grado di riconoscerne la voce ( Gv 10,4-14 ), di seguirlo fedelmente e con piena consapevolezza sui pascoli della vita eterna ( Gv 10,9-10 ) per poter meritare un giorno dal Principe dei pastori « la corona immarcescibile della gloria » ( 1 Pt 5,4 ), pecorelle che, conoscendo e seguendo il Pastore che ha dato la vita per esse ( Gv 10,11 ), siano pronte a dedicare la loro vita a lui e adempierne la volontà di condurre a far parte dell'unico ovile le altre pecorelle che non lo seguono, ma vagano lontane da lui, che è via, verità e vita ( Gv 14,6 ).

Lo slancio apostolico appartiene essenzialmente alla professione di fede cristiana: infatti « ognuno è tenuto a diffondere in mezzo agli altri la sua fede, sia per istruire o confermare gli altri fedeli, sia ancora per respingere gli attacchi degli infedeli »,34 specialmente nei tempi, come i nostri, in cui l'apostolato è un impegno urgente per le difficili circostanze in cui versano l'umanità e la chiesa.

Affinché sia possibile una completa e intensa educazione cristiana, si richiede che gli educatori siano capaci di trovare le vie e i mezzi più adatti per penetrare nelle varie psicologie, onde facilitare al massimo nei nuovi cristiani l'assimilazione profonda della verità con tutte le sue esigenze.

Il nostro Salvatore, infatti, ha imposto a ognuno di noi la realizzazione di questo supremo comandamento: « Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente » ( Mt 22,37 ).

Agli occhi dei fedeli deve ben presto brillare in tutto il suo splendore la sublimità della vocazione cristiana, affinché efficacemente si accenda nel loro cuore il desiderio e il proposito di una vita virtuosa e attiva, modellata sulla vita stessa del Signore Gesù, che avendo assunto la umana natura ci ha comandato di seguire i suoi esempi ( 1 Pt 2,21; Mt 11,29; Gv 13,15 ).

Ogni cristiano deve essere convinto del suo fondamentale e primordiale dovere di essere testimone della verità in cui crede e della grazia che lo ha trasformato.

« Il Cristo - diceva un grande padre della chiesa - ci ha lasciati sulla terra affinché adempissimo il nostro compito di fermento, affinché ci comportassimo come angeli, come annunciatori tra gli uomini, affinché fossimo adulti tra i minori, uomini spirituali tra i carnali al fine di guadagnarli, affinché fossimo semente e portassimo frutti numerosi.

Non sarebbe neppure necessario esporre la dottrina, se la nostra vita fosse a tal punto irradiante; non sarebbe necessario ricorrere alle parole, se le nostre opere dessero una tale testimonianza.

Non ci sarebbe più alcun pagano, se ci comportassimo da veri cristiani ».35

Questo, come è facile comprendere, è il dovere di tutti i cristiani di tutto il mondo.

Ma è facile capire che nei paesi di missione esso potrebbe portare frutti speciali e particolarmente preziosi ai fini della dilatazione del regno di Dio anche presso coloro che non conoscono la bellezza della nostra fede e la soprannaturale potenza della grazia, come già ci esortava Gesù: « Così risplenda la vostra luce dinanzi agli uomini, affinché vedano le vostre opere buone, e glorifichino il vostro Padre che è nei cieli » ( Mt 5,16 ), e san Pietro ammoniva amorosamente i fedeli: « O cari, io vi esorto… ad astenervi dalle brame carnali, che fanno guerra all'anima, e a tener fra i gentili buona condotta affinché mentre ora vi calunniano quali malfattori, per effetto delle vostre buone opere, osservando meglio, diano gloria a Dio quando piacerà visitarli » ( 1 Pt 2,12 ).

La testimonianza dei singoli ha bisogno di essere confermata e ampliata da quella di tutta intera la comunità cristiana, a somiglianza di quanto avveniva nella stagione primaverile della chiesa, quando l'unione compatta e perseverante di tutti i fedeli « nell'insegnamento degli apostoli e nella comune frazione del pane e nelle orazioni » ( At 2,42 ) e nell'esercizio della più generosa carità era motivo di soddisfazione profonda e di mutua edificazione; infatti essi « lodavano Dio ed erano ben visti da tutto il popolo.

E il Signore poi aumentava ogni giorno quelli che venivano a salvezza » ( At 2,47 ).

L'unione nelle preghiere e nella partecipazione attiva alla celebrazione dei divini misteri nella liturgia della chiesa contribuisce in maniera particolarmente efficace alla pienezza e ricchezza della vita cristiana dei singoli e della comunità, ed è un mezzo mirabile per educare a quella carità che è il segno distintivo del cristiano; una carità che rifugge da ogni discriminazione sociale linguistica e razziale, che allarga le braccia e il cuore a tutti, fratelli e nemici.

Su questo argomento Ci piace fare Nostre le parole del Nostro predecessore san Clemente Romano: « Quando [ i gentili ] odono da noi che Dio dice: "Non c'è merito per voi se amate quelli che vi amano, ma c'è merito se amate i nemici e coloro che vi odiano" ( Lc 6,32-35 ), all'udire queste parole essi ammirano l'altissimo grado di carità.

Ma quando vedono che noi non solo non amiamo quelli che ci odiano, ma neppure quelli che ci amano, essi ridono di noi e il nome [di Dio] è bestemmiato ».36

Il più grande dei missionari, san Paolo apostolo, scrivendo ai Romani nel momento in cui si accingeva ad evangelizzare l'estremo occidente, esortava alla « carità senza finzione » ( Rm 12,9ss ), dopo aver elevato un inno sublime a questa virtù, « senza la quale il cristiano è nulla » ( 1 Cor 13,2 ).

La carità diventa visibile altresì nel soccorso materiale, come affermava il Nostro immortale predecessore Pio XII: « Il corpo esige anche una moltitudine di membra, tra di loro congiunte per darsi vicendevole aiuto.

Che se, nel nostro organismo mortale, quando un membro soffre, tutti gli altri soffrono con lui, fornendo i membri sani il proprio aiuto a quelli malati, parimenti nella chiesa ogni membro non vive unicamente per sé, ma aiuta altresì gli altri per loro mutua consolazione, come pure per un migliore sviluppo di tutto il corpo mistico ».37

Le necessità materiali dei fedeli includono anche quella dell'organismo ecclesiastico, ed è bene perciò che i fedeli nativi si abituino a sostenere spontaneamente, nella misura delle loro possibilità, le loro chiese, le loro istituzioni e il clero che si è tutto dedicato ad essi.

Non importa se questo contributo non potrà essere notevole; l'importante è che sia testimonianza sensibile di viva coscienza cristiana.

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32 Litt. enc. Evangelii praecones
33 Pio XII, Litt. enc. Mystici corporis;
Pio XI, Litt. enc. Rerum Ecclesiae: AAS 18 ( 1926 ), p. 78; EE 5/180
34 S. Thomas Aq., Summa theol., II-II, q. 3, a. 2, ad 2
35 S. Ioannes Chrysostomus, Hom. X fIl 1 Tim.: PG 62, 551
36 F.X. Funk, Patres Apostolici, vol. I, p. 201
37 Litt. enc. Mystici corporis