Princeps pastorum |
Il Nostro predecessore nella Maximum illud ebbe a cuore di inculcare ai reggitori di missioni che le loro più assidue premure dovevano essere rivolte alla « completa e perfetta »11 formazione del clero locale, come quello che « avendo comuni con i suoi connazionali l'origine, l'indole, la mentalità e le aspirazioni, è meravigliosamente adatto a istillare nei loro cuori la fede, perché più di ogni altro sa le vie della persuasione ».12
È appena necessario ricordare che un'educazione sacerdotale perfetta deve essere innanzitutto rivolta all'acquisto delle virtù proprie del santo stato, essendo questo il primo dovere del sacerdote, « il dovere cioè di attendere alla propria santificazione ».13
Il nuovo clero nativo deve entrare in una santa gara col clero delle più antiche diocesi, che ha dato al mondo sacerdoti i quali, per l'eroicità delle loro specchiate virtù e l'eloquenza viva del loro esempio, hanno meritato di essere proposti a modello del clero di tutta la chiesa.
È specialmente con la santità, infatti, che il clero può dimostrare di essere luce e sale della terra ( Mt 5,13-14 ), cioè della propria nazione e di tutto il mondo, può convincere della bellezza e potenza dell'evangelo, può efficacemente insegnare ai fedeli che la perfezione della vita cristiana è una mèta alla quale possono e devono tendere con ogni sforzo e con perseveranza tutti i figli di Dio, qualunque sia la loro origine, il loro ambiente, la loro cultura e la loro civiltà.
Nel Nostro animo paterno vagheggiamo il giorno in cui il clero locale potrà ovunque dare soggetti capaci di educare alla santità gli alunni stessi del santuario come loro guide spirituali.
Ai vescovi e ai reggitori di missioni, Noi rivolgiamo anzi l'invito di non esitare a scegliere fin d'ora, tra il clero locale, sacerdoti i quali per la loro virtù e la loro prudenza diano affidamento di essere per i seminaristi loro connazionali sicuri maestri nella formazione spirituale.
La chiesa, inoltre, come voi ben sapete, venerabili fratelli, ha sempre richiesto che i suoi sacerdoti siano resi adatti al loro ministero mediante un'educazione intellettuale solida e compiuta.
Che di tanto siano capaci i giovani di ogni stirpe e provenienti da ogni parte del mondo, non vale più la pena nemmeno di ricordarlo, tanto i fatti e l'esperienza lo hanno dimostrato con evidenza.
Ovviamente, la formazione del clero locale deve tenere nel debito conto i fattori ambientali propri delle varie regioni.
Per tutti i candidati al sacerdozio vale la sapientissima norma secondo la quale essi non devono essere formati « in un ambiente troppo avulso dal mondo »,14 poiché in tal modo « quando andranno in mezzo alla società troveranno poi serie difficoltà nelle relazioni col popolo e con la classe colta, e quindi succederà spesso o che prendano un atteggiamento errato e falso verso i fedeli, o che considerino sfavorevolmente la formazione ricevuta ».15
Essi dovranno essere sacerdoti spiritualmente perfetti, ma anche « gradualmente e prudentemente inseriti in quella parte del mondo »16 che è toccata loro in sorte, perché la illuminino con la verità e la santifichino con la grazia di Cristo.
A tale scopo, anche per quel che riguarda il regime di vita del seminario, conviene insistere sulla maniera di vivere locale, non senza, però, mettere a frutto tutte quelle facilitazioni di ordine tecnico o materiale che ormai sono bene e patrimonio di tutte le civiltà, in quanto rappresentano un reale progresso per un tenore di vita più elevato e una più adatta salvaguardia delle forze fisiche.
La formazione del clero autoctono, diceva il Nostro venerato predecessore Benedetto XV, deve mirare a renderlo capace di prendere nelle mani, appena ciò è possibile, il governo delle nuove chiese e di guidare, con l'insegnamento e il ministero, i propri connazionali nella via della salvezza.17
A tale scopo, Ci sembra sommamente opportuno che tutti coloro i quali, sia allogeni che nativi, curano detta formazione, si impegnino coscienziosamente a sviluppare nei loro alunni il senso di responsabilità e lo spirito di iniziativa,18 in modo che questi siano in grado di assumere ben presto e progressivamente tutte le mansioni, anche le più importanti, inerenti al loro ministero, in perfetta concordia col clero allogeno, ma anche in eguale misura.
Questa, infatti, sarà la prova della reale efficacia dell'educazione ad essi impartita e costituirà il coronamento e il premio migliore di quanti vi hanno contribuito.
In vista appunto di una formazione intellettuale che tenga conto delle necessità reali e della mentalità di ciascun popolo, questa sede apostolica ha sempre raccomandato gli studi speciali di missionologia non soltanto per il clero allogeno, ma anche per il clero nativo.
Così il Nostro predecessore Benedetto XV decretava l'istituzione degli insegnamenti di materie missionarie nel Pontificio ateneo Urbaniano « de Propaganda Fide »,19 e Pio XII rilevava con soddisfazione l'erezione dell'Istituto missionario scientifico nello stesso ateneo Urbaniano « e l'istituzione, sia a Roma che altrove, di facoltà e cattedre di missionologia ».20
Perciò i programmi dei seminari locali in terra di missione non mancheranno di assicurare corsi di studio nei vari rami della missionologia e l'insegnamento delle diverse conoscenze e tecniche specialmente utili per il ministero futuro del clero di quelle regioni.
Si provvederà a tale scopo ad un insegnamento che, nello spirito della più pura e salda tradizione ecclesiastica, sappia formare accuratamente il giudizio dei sacerdoti sui valori culturali locali, specialmente filosofici e religiosi, nella loro relazione con l'insegnamento e la religione cristiana.
« La chiesa cattolica - ha detto il Nostro immortale predecessore Pio XII - non disprezza o rigetta completamente il pensiero pagano, ma piuttosto, dopo averlo purificato da ogni scoria di errore, lo completa e lo perfeziona con sapienza cristiana.
Così parimenti ha accolto il progresso nel campo delle scienze e delle arti … e in qualche maniera consacrò i particolari costumi e le antiche tradizioni dei popoli; le stesse feste pagane, trasformate, servirono per celebrare le memorie dei martiri e i divini misteri ».21
Noi stessi abbiamo già avuto modo di manifestare su questo argomento il Nostro pensiero: « Dappertutto … dove autentici valori d'arte e di pensiero sono suscettibili di arricchire la famiglia umana, la chiesa è pronta a favorire tali fatiche dello spirito.
Essa medesima, come sapete, non si identifica con nessuna cultura, nemmeno con la cultura occidentale, alla quale la sua storia è strettamente legata.
Perché la sua missione appartiene a un altro ordine, all'ordine della salute religiosa dell'uomo.
Però la chiesa, così ricca di giovinezza che incessantemente si rinnova al soffio dello Spirito, resta sempre disposta a riconoscere, ad accogliere anzi, anche ad animare tutto quello che è di onore all'intelligenza e al cuore umano nelle altre parti del mondo, diverso da questo bacino mediterraneo, che fu culla provvidenziale del cristianesimo ».22
I sacerdoti nativi ben preparati e addestrati in questo campo così difficile e importante, nel quale essi sono in grado di dare contributi assai preziosi, potranno dar vita, sotto la direzione dei loro vescovi, a movimenti di penetrazione anche fra le classi colte, specialmente nelle nazioni di antica e alta cultura, sull'esempio di famosi missionari dei quali basti citare per tutti il p. Matteo Ricci.
Anche al clero nativo, infatti, spetta il compito di « ridurre ogni intelletto all'ossequio di Cristo » ( 2 Cor 10,5 ), come diceva quell'incomparabile missionario che fu san Paolo, e così « attirarsi in patria la stima anche delle personalità e dei dotti ».23
A loro giudizio, i vescovi provvedano tempestivamente a costituire, per i bisogni di una o più regioni, dei centri di cultura, nei quali missionari allogeni e sacerdoti nativi avranno modo di mettere a frutto la loro preparazione intellettuale e la loro esperienza a beneficio della società in cui vivono per elezione o per nascita.
In questo campo è necessario anche ricordare ciò che ha suggerito il Nostro immediato predecessore Pio XII, che cioè è dovere dei fedeli « moltiplicare e diffondere la stampa cattolica in tutte le sue forme »24 e preoccuparsi altresì « delle tecniche moderne di diffusione e di cultura, poiché è nota l'importanza di una pubblica opinione formata e illuminata ».25
Non tutto si potrà fare dovunque, ma non bisogna lasciarsi sfuggire nessuna buona occasione per provvedere a queste reali e urgenti necessità, anche se talvolta « chi semina non è lo stesso che raccoglie » ( Gv 4,37 ).
La diffusione della verità e della carità di Gesù Cristo è la vera missione della chiesa, che ha il dovere di offrire ai popoli « nella massima misura possibile, le sostanziali ricchezze della sua dottrina e della sua vita, animatrice di un nuovo ordine sociale cristiano ».26
Essa perciò, nei territori di missione, provvede con tutta la larghezza possibile anche a iniziative di carattere sociale e assistenziale che sono di sommo giovamento alle comunità cristiane e ai popoli in mezzo ai quali esse vivono.
Si badi tuttavia a non ingombrare l'apostolato missionario con un complesso di istituzioni di ordine puramente profano.
Ci si limiti a quei servizi indispensabili di agevole mantenimento e di facile uso, il cui funzionamento potrà essere messo al più presto nelle mani del personale locale, e si dispongano le cose in modo che al personale propriamente missionario venga offerta la possibilità di dedicare le migliori energie al ministero di insegnamento, di santificazione e di salvezza.
Se è vero che, per un apostolato il più ampiamente fruttuoso, è di primaria importanza che il sacerdote nativo conosca e sappia con ogni intelligenza e prudenza stimare i valori locali, resterà ancora a maggior ragione vero che per esso vale ciò che il Nostro immediato predecessore diceva di tutti i fedeli: « Le prospettive universali della chiesa saranno le prospettive normali della loro vita cristiana ».27
A tal fine, il clero locale dovrà essere non solo informato degli interessi e delle vicende della chiesa universale, ma dovrà essere educato a un intimo, universale respiro di carità.
San Giovanni Crisostomo diceva delle celebrazioni liturgiche cristiane: « Quando noi siamo all'altare, preghiamo innanzi tutto per il mondo intero e per gli interessi collettivi »;28 e sant'Agostino bellamente affermava: « Se vuoi amare Cristo, effondi la carità su tutta la terra, perché i membri di Cristo sono nel mondo intero ».29
Nel desiderio appunto di salvaguardare in tutta la sua purezza questo spirito cattolico che deve animare l'opera dei missionari, il Nostro predecessore Benedetto XV non esitò a denunciare con espressioni severe un pericolo che poteva far perdere di vista le altissime finalità dell'apostolato missionario e comprometterne così l'efficacia: « Sarebbe cosa ben triste - così scriveva nell'epistola Maximum illud - se qualche missionario si rivelasse talmente noncurante della sua dignità da pensare più alla patria terrena che alla celeste, e preoccuparsi eccessivamente di dilatare la sua potenza ed estendere la sua gloria.
Questo modo di agire costituirebbe un danno funestissimo per l'apostolato, e nel missionario spegnerebbe ogni slancio di carità verso le anime e ne diminuirebbe il prestigio nell'opinione del popolo ».30
Il medesimo pericolo potrebbe oggi ripetersi sotto altre forme, per il fatto che in molti territori di missione si va facendo generale l'aspirazione dei popoli all'autogoverno e all'indipendenza, e la conquista delle libertà civili può sfortunatamente accompagnarsi ad eccessi che non sono affatto in armonia con gli autentici e profondi interessi spirituali dell'umanità.
Noi siamo pienamente fiduciosi che il clero nativo, mosso da sentimenti e da propositi superiori in conformità con le esigenze universalistiche della religione cristiana, contribuirà altresì al bene reale della propria nazione.
« La chiesa di Dio è cattolica e non è straniera presso nessun popolo o nazione »,31 diceva lo stesso Nostro predecessore, e nessuna chiesa locale potrà esprimere la sua vitale unione con la chiesa universale, se il suo clero e il suo popolo si faranno suggestionare dallo spirito particolaristico, da sentimenti di malevolenza verso gli altri popoli, da un malinteso nazionalismo che distruggerebbe la realtà di quella universale carità che edifica la chiesa di Dio, che sola è veramente « cattolica ».
Indice |
11 | AAS 11 ( 1919 ), p. 445; EE 4/app |
12 | AAS 11 ( 1919 ), p. 445; EE 4/app |
13 | Pio XII, Adhort. apost. Menti Nostrae |
14 | Pio XII, Adhort. apost. Menti Nostrae |
15 | Adhort. apost. Menti Nostrae |
16 | Adhort. apost. Menti Nostrae |
17 | Epist. apost. Maximum illud: AAS il ( 1919 ), p. 445; EE 4/app |
18 | Adhort. apost. Menti Nostrae |
19 | Epist. apost. Maximum illud: AAS 11 ( 1919 ), p. 448; EE 4/app |
20 | Litt. enc. Evangelii praecones |
21 | Litt. enc. Evangelii praecones |
22 | Allocut. iis qui interfuerunt Conventui II « des Écrivains et Artistes Noirs »: AAS 51 ( 1959 ), p. 260 |
23 | Pio XI, Litt. enc. Rerum Ecclesiae: AAS 18 ( 1926 ), p. 77; EE S/178 |
24 | Litt. enc. Fidei donum |
25 | Litt. enc. Fidei donum |
26 | Litt. enc. Fidei donum |
27 | Litt. enc. Fidei donum |
28 | Hom. 11 in 11 Cor.: PG 61, 398 |
29 | In Ep. loan. ad Parthos, tr. 10, c. 5: PL 35, 2060 |
30 | Epist. apost. Maximum illud: AAS 11 (1919 ), p. 446; EE 4/app |
31 | Epist. apost. Maximum illud: AAS 11 ( 1919 ), p. 445; EE 4/app |