Evangelica testificatio |
13 Solo l'amore di Dio - bisogna ripeterlo - chiama in forma decisiva alla castità religiosa.
Questo amore, del resto, esige tanto imperiosamente la carità fraterna, che il religioso vivrà più profondamente con i suoi contemporanei nel cuore di Cristo.
A questa condizione, il dono di se stessi, fatto a Dio ed agli altri, sarà sorgente di una pace profonda.
Senza deprezzare in alcun modo l'amore umano ed il matrimonio - secondo la fede, non è esso immagine e partecipazione dell'unione di amore, che unisce il Cristo e la chiesa? -, la castità consacrata richiama questa unione in una maniera più immediata ed opera quel superamento, verso il quale dovrebbe tendere ogni amore umano, Così, nel momento stesso in cui quest'ultimo è più che mai minacciato da "un erotismo devastatore", essa deve essere oggi più che mai compresa e vissuta con rettitudine e generosità.
Virtù decisamente positiva, la castità attesta l'amore preferenziale per il Signore e simboleggia, nel modo più eminente e assoluto, il mistero dell'unione del corpo mistico al suo corpo, della sposa all'eterno suo sposo.
Essa infine, raggiunge, trasforma e penetra l'essere umano fin nel suo intimo, mediante una misteriosa somiglianza con il Cristo.
Così è per voi necessario, cari figli e figlie, restituire alla spiritualità cristiana della castità consacrata tutta la sua efficacia.
Quando è realmente vissuta in vista del regno dei cieli, essa libera il cuore dell'uomo, e diviene così " come un segno e uno stimolo della carità e una speciale sorgente di fecondità spirituale nel mondo ".
Anche se quest'ultimo non sempre la riconosce, rimane in ogni caso misticamente efficace in mezzo ad esso.
Quanto a noi, la nostra convinzione deve restare ferma e sicura: il valore e la fecondità della castità, osservata per amore di Dio nel celibato religioso, non trovano il loro ultimo fondamento se non nella parola di Dio, negli insegnamenti del Cristo, nella vita della sua madre vergine, come pure nella tradizione apostolica, quale è stata incessantemente affermata dalla chiesa.
Si tratta, infatti, di un dono prezioso, che il Padre concede ad alcuni.
Fragile e vulnerabile a motivo dell'umana debolezza, esso rimane esposto alle contraddizioni della pura ragione ed in parte incomprensibile a coloro, ai quali la luce del Verbo incarnato non abbia rivelato in che modo colui che " avrà perduto la sua vita " per lui, " la ritroverà ".
16 Casti alla sequela del Cristo, voi volete anche vivere poveri secondo il suo esempio, nell'uso dei beni di questo mondo necessari per il quotidiano sostentamento.
Su questo punto, del resto, i nostri contemporanei vi interrogano con particolare insistenza.
Certamente, gli istituti religiosi hanno un importante compito da svolgere nel quadro delle opere di misericordia, di assistenza e di giustizia sociale: è chiaro che, nel compiere questo servizio, essi debbono essere sempre attenti alle esigenze del vangelo.
Più incalzante che mai, voi sentite levarsi " il grido dei poveri " dalla loro indigenza personale e dalla loro miseria collettiva.
Non è forse per rispondere al loro appello di creature privilegiate di Dio che è venuto il Cristo, giungendo addirittura al punto di identificarsi con loro?
In un mondo in pieno sviluppo, questo permanere di masse e di individui miserabili è un appello insistente ad " una conversione delle mentalità e degli atteggiamenti ", particolarmente per voi, che seguite " più da vicino " il Cristo nella sua condizione terrena di annientamento.
Questo appello - non lo ignoriamo - risuona nei vostri cuori in una maniera tanto drammatica, che alcuni di voi provano talvolta anche la tentazione di una azione violenta.
Quali discepoli del Cristo come potreste seguire una via diversa dalla sua?
Essa non è, come sapete, un movimento di ordine politico o temporale, ma è un appello alla conversione dei cuori, alla liberazione da ogni impaccio temporale, all'amore.
Ed allora come troverà eco nella vostra esistenza il grido dei poveri?
Esso deve interdirvi, anzitutto, ciò che sarebbe un compromesso con qualsiasi forma di ingiustizia sociale.
Esso vi obbliga, inoltre, a destare le coscienze di fronte al dramma della miseria ed alle esigenze di giustizia sociale del vangelo e della chiesa.
Induce certuni tra voi a raggiungere i poveri nella loro condizione, a condividere le loro ansie lancinanti.
Invita, d'altra parte, non pochi vostri istituti a riconvertire in favore dei poveri certe loro opere, cosa che, del resto, molti hanno già generosamente attuato.
Esso, infine, vi impone un uso dei beni limitato a quanto è richiesto dall'adempimento delle funzioni, alle quali siete chiamati.
Bisogna che mostriate nella vostra vita quotidiana le prove, anche esterne, dell'autentica povertà.
In una civiltà e in un mondo contrassegnati da un prodigioso movimento di crescita materiale quasi indefinita, quale testimonianza offrirebbe un religioso che si lasciasse trascinare da una ricerca sfrenata delle proprie comodità, e trovasse normale concedersi senza discernimento né ritegno tutto ciò che gli viene proposto?
Mentre, per molti è aumentato il pericolo di essere invischiati nella seducente sicurezza del possedere, del sapere e del potere, l'appello di Dio vi colloca al vertice della coscienza cristiana: ricordare cioè agli uomini che il loro progresso vero e totale consiste nel rispondere alla loro vocazione di " partecipare come figli alla vita del Dio vivente, Padre di tutti gli uomini ".
Voi saprete ugualmente capire il lamento di tante vite, trascinate nel vortice implacabile del lavoro per il rendimento, del profitto per il godimento, del consumo, che, a sua volta, costringe ad una fatica talora inumana.
Un aspetto essenziale della vostra povertà sarà dunque quello di attestare il senso umano del lavoro, svolto in libertà di spirito e restituito alla sua natura di mezzo di sostentamento e di servizio.
Non ha messo il concilio, molto a proposito, l'accento sulla vostra necessaria sottomissione alla "legge comune del lavoro"?.
Guadagnare la vostra vita e quella dei vostri fratelli o delle vostre sorelle, aiutare i poveri con il vostro lavoro: ecco i doveri che incombono su di voi.
Ma le vostre attività non possono derogare alla vocazione dei vostri diversi istituti, né comportare abitualmente lavori, che siano tali da sostituirsi ai loro compiti specifici.
Esse non dovrebbero neppure trascinarvi in alcuna maniera verso la secolarizzazione, con detrimento della vita religiosa.
Siate dunque solleciti dello spirito, che ci anima: quale fallimento sarebbe, se vi sentiste "valorizzati" unicamente dalla retribuzione di lavori profani.
La necessità, tanto categorica oggi, della compartecipazione fraterna deve conservare il suo valore evangelico.
Secondo l'espressione della Didaché, " se condividete tra voi i beni eterni, a più forte ragione dovete tra voi condividere i beni che periscono".
La povertà, effettivamente vissuta mettendo in comune i beni, compreso il salario, attesterà la spirituale comunione che vi unisce; essa sarà un richiamo vivente per tutti i ricchi ed apporterà anche un sollievo ai vostri fratelli e sorelle, che sono nel bisogno.
Il desiderio legittimo di esercitare una responsabilità personale non si esprimerà nel godimento delle proprie rendite, ma nella partecipazione fraterna al bene comune.
Le forme della povertà di ognuno e di ciascuna comunità dipenderanno dal tipo di istituto e dalla forma di obbedienza, che vi è praticata: così si realizzerà, secondo le particolari vocazioni, il carattere di dipendenza, che è inerente ad ogni povertà.
Voi lo costatate, cari figli e figlie: i bisogni del mondo odierno, se voi li provate in intima unione con Cristo, rendono più urgente e più profonda la vostra povertà.
Se vi è necessario, evidentemente, tener conto dell'ambiente umano in cui vivete, per adattare ad esso il vostro stile di vita, la vostra povertà non potrà essere puramente e semplicemente conformità ai costumi di tale ambiente.
Il suo valore di testimonianza le deriverà da una generosa risposta all'esigenza evangelica, nella fedeltà totale alla vostra vocazione, e non soltanto da una preoccupazione di apparire poveri, che potrebbe restare troppo superficiale; sono, tuttavia, da evitare modi di vita, che potrebbero denotare una certa ricercatezza e vanità.
Pur riconoscendo che certe situazioni possono giustificare l'abbandono di un tipo di abbigliamento religioso, non possiamo passare sotto silenzio la convenienza che l'abito dei religiosi e delle religiose, sia, come vuole il concilio, segno della loro consacrazione e si differenzi, in qualche modo, dalle forme apertamente secolaresche.
23 Non è la medesima fedeltà che ispira la vostra professione di obbedienza, alla luce della fede secondo il dinamismo stesso della carità del Cristo?
Mediante questa professione, infatti, voi compite l'offerta totale della vostra volontà, ed entrate più decisamente e più sicuramente nel suo disegno di salvezza.
Sull'esempio del Cristo, venuto ad adempiere la volontà del Padre, in comunione con colui che " soffrendo ha imparato l'obbedienza " e " si è fatto servitore dei propri fratelli ", voi siete vincolati " più strettamente al servizio della chiesa " e dei vostri fratelli.
L'aspirazione evangelica alla fraternità è stata espressa a tutto rilievo dal concilio: la chiesa si è definita come " il popolo di Dio " nel quale la gerarchia è al servizio delle membra di Cristo, unite tra loro dalla medesima carità.
Nello stato religioso, come in tutta la chiesa, si vive il medesimo mistero pasquale del Cristo.
Il senso profondo dell'obbedienza si rivela nella pienezza di questo mistero di morte e di risurrezione, in cui si realizza in maniera perfetta il destino soprannaturale dell'uomo: è infatti attraverso il sacrificio, la sofferenza e la morte che questi accede alla vera vita.
Esercitare l'autorità in mezzo ai vostri fratelli, significa dunque servirli, sull'esempio di colui che " ha dato la sua vita in riscatto per molti ".
Pertanto, al servizio del bene comune, l'autorità e l'obbedienza si esercitano come due aspetti complementari della stessa partecipazione all'offerta del Cristo: per quelli che operano in autorità, si tratta di servire nei fratelli il disegno d'amore del Padre, mentre, con l'accettazione delle loro direttive, i religiosi seguono l'esempio del nostro maestro e collaborano all'opera della salvezza.
Così, lungi dall'essere in opposizione, autorità e libertà individuale procedono di pari passo nell'adempimento della volontà di Dio, ricercata fraternamente, attraverso un fiducioso dialogo tra il superiore ed il suo fratello, quando si tratta di una situazione personale, o attraverso un accordo di carattere generale per quanto riguarda l'intera comunità.
In questa ricerca, i religiosi sapranno evitare tanto l'eccessiva agitazione degli spiriti, quanto la preoccupazione di far prevalere, sul senso profondo della vita religiosa, l'attrattiva delle opinioni correnti.
È dovere di ciascuno, ma particolarmente dei superiori e di quanti esercitano una responsabilità tra i loro fratelli o le loro sorelle, risvegliare nelle comunità le certezze della fede, che devono guidarli.
La ricerca ha lo scopo di approfondire queste certezze e di tradurle in pratica nella vita quotidiana secondo le necessità del momento, e non già, in alcun modo, di rimetterle in discussione.
Questo lavoro di comune ricerca deve, quando è il caso, concludersi con le decisioni dei superiori, la cui presenza e il cui riconoscimento sono indispensabili in ogni comunità.
Le moderne condizioni della esistenza incidono naturalmente sul vostro modo di vivere l'obbedienza.
Molti tra voi svolgono, infatti, una parte delle loro attività fuori delle case religiose ed esercitano una funzione nella quale hanno una particolare competenza.
Altri sono portati a collaborare in gruppi di lavoro, aventi un proprio regime.
Il rischio inerente a tali situazioni non è un invito a riaffermare ed approfondire il senso dell'obbedienza?
Perché questo sia veramente benefico, bisogna rispettare alcune condizioni.
Si deve, anzitutto, verificare se il lavoro assunto è conforme alla vocazione dell'istituto.
Conviene anche definire con chiarezza i due ambiti.
Bisogna, soprattutto, saper passare dall'attività esterna alle esigenze della vita comune, preoccupandosi di garantire tutta la loro efficacia agli elementi della vita propriamente religiosa.
Uno dei compiti dei superiori è quello di assicurare ai loro confratelli e consorelle in religione le condizioni indispensabili per la loro vita spirituale.
Ora, come potrebbero adempierlo senza la fiduciosa collaborazione di tutta la comunità?
Aggiungiamo anche questo: più voi esercitate la vostra responsabilità, tanto più diventa necessario rinnovare, nel suo pieno significato, il dono di voi stessi.
Il Signore impone a ciascuno l'obbligo di " perdere la propria vita ", se vuole seguirlo.
Voi osserverete questo precetto, accettando le direttive dei vostri superiori come una garanzia della vostra professione religiosa, che è " offerta totale della vostra volontà personale come sacrificio di voi stessi a Dio ".
L'obbedienza cristiana è una sottomissione incondizionata al volere divino.
Ma la vostra è più rigorosa, perché voi l'avete fatta oggetto di una dedizione speciale, e l'orizzonte delle vostre scelte è limitato dai vostri impegni.
È un atto completo della vostra libertà che sta all'origine della vostra presente condizione: vostro dovere è di renderlo sempre più vivo, sia con la vostra stessa iniziativa, sia con l'assenso che prestate di cuore agli ordini dei vostri superiori.
Così il concilio enumera tra i benefici dello stato religioso " una libertà corroborata dall'obbedienza ", e sottolinea che tale obbedienza, " lungi dal diminuire la dignità della persona umana, la conduce a maturità, facendo sviluppare la libertà dei figli di Dio ".
Eppure, non è forse possibile che ci siano conflitti tra l'autorità del superiore e la coscienza del religioso, " questo santuario, in cui l'uomo è solo con Dio ed in cui la sua voce si fa intendere "?
È necessario ripeterlo: la coscienza non è da sola l'arbitra del valore morale delle azioni che ispira, ma deve riferirsi a norme oggettive e, se è necessario, deve riformarsi e rettificarsi.
Fatta eccezione per un ordine che fosse manifestamente contrario alle leggi di Dio o alle costituzioni dell'istituto, o che implicasse un male grave e certo - nel qual caso infatti l'obbligo di obbedire non esiste -, le decisioni del superiore riguardano un campo, in cui la valutazione del bene migliore può variare secondo i punti di vista.
Il voler concludere, dal fatto che un ordine dato appaia oggettivamente meno buono, che esso è illegittimo e contrario alla coscienza, significherebbe misconoscere, in una maniera poco realistica, l'oscurità e l'ambivalenza di non poche realtà umane.
Inoltre, il rifiuto di obbedienza porta con sé un danno, spesso grave, per il bene comune.
Un religioso non dovrebbe ammettere facilmente che ci sia contraddizione tra il giudizio della sua coscienza e quello del suo superiore.
Questa situazione eccezionale qualche volta comporterà un'autentica sofferenza interiore, sull'esempio di Cristo stesso " che imparò mediante la sofferenza che cosa significa obbedire ".
Questo per dire a qual grado di rinuncia impegni la pratica della vita religiosa.
Dovete dunque sperimentare qualcosa del peso che attirava il Signore verso la sua croce, questo " battesimo con cui doveva essere battezzato ", ove si sarebbe acceso quel fuoco che infiamma anche voi; qualcosa di quella " follia " che san Paolo desidera per tutti noi, perché solo essa ci rende sapienti.
La croce sia per voi, come è stata per il Cristo, la prova dell'amore più grande.
Non esiste forse un rapporto misterioso tra la rinuncia e la gioia, tra il sacrificio e la dilatazione del cuore, tra la disciplina e la libertà spirituale?
Indice |