Collab. dell'uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo |
13. Tra i valori fondamentali collegati alla vita concreta della donna, vi è ciò che è stato chiamato la sua « capacità dell'altro ».
Nonostante il fatto che un certo discorso femminista rivendichi le esigenze « per se stessa », la donna conserva l'intuizione profonda che il meglio della sua vita è fatto di attività orientate al risveglio dell'altro, alla sua crescita, alla sua protezione.
Questa intuizione è collegata alla sua capacità fisica di dare la vita.
Vissuta o potenziale, tale capacità è una realtà che struttura la personalità femminile in profondità.
Le consente di acquisire molto presto maturità, senso della gravità della vita e delle responsabilità che essa implica.
Sviluppa in lei il senso ed il rispetto del concreto, che si oppone ad astrazioni spesso letali per l'esistenza degli individui e della società.
È essa, infine, che, anche nelle situazioni più disperate - e la storia passata e presente ne è testimone - possiede una capacità unica di resistere nelle avversità, di rendere la vita ancora possibile pur in situazioni estreme, di conservare un senso tenace del futuro e, da ultimo, di ricordare con le lacrime il prezzo di ogni vita umana.
Anche se la maternità è un elemento chiave dell'identità femminile, ciò non autorizza affatto a considerare la donna soltanto sotto il profilo della procreazione biologica.
Vi possono essere in questo senso gravi esagerazioni che esaltano una fecondità biologica in termini vitalistici e che si accompagnano spesso a un pericoloso disprezzo della donna.
L'esistenza della vocazione cristiana alla verginità, audace rispetto alla tradizione antico-testamentaria e alle esigenze di molte società umane, è al riguardo di grandissima importanza.17
Essa contesta radicalmente ogni pretesa di rinchiudere le donne in un destino che sarebbe semplicemente biologico.
Come la verginità riceve dalla maternità fisica il richiamo che non esiste vocazione cristiana se non nel dono concreto di sé all'altro, parimenti la maternità fisica riceve dalla verginità il richiamo alla sua dimensione fondamentalmente spirituale: non è accontentandosi di dare la vita fisica che si genera veramente l'altro.
Ciò significa che la maternità può trovare forme di realizzazione piena anche laddove non c'è generazione fisica.18
In tale prospettiva si comprende il ruolo insostituibile della donna in tutti gli aspetti della vita familiare e sociale che coinvolgono le relazioni umane e la cura dell'altro.
Qui si manifesta con chiarezza ciò che Giovanni Paolo II ha chiamato il genio della donna.19
Questo implica prima di tutto che le donne siano presenti attivamente e anche con fermezza nella famiglia, « società primordiale e, in un certo senso, "sovrana" »,20 perché è qui, innanzitutto, che si plasma il volto di un popolo, è qui che i suoi membri acquisiscono gli insegnamenti fondamentali.
Essi imparano ad amare in quanto sono amati gratuitamente, imparano il rispetto di ogni altra persona in quanto sono rispettati, imparano a conoscere il volto di Dio in quanto ne ricevono la prima rivelazione da un padre e da una madre pieni di attenzione.
Ogni volta che vengono a mancare queste esperienze fondanti, è l'insieme della società che soffre violenza e diventa, a sua volta, generatrice di molteplici violenze.
Questo implica inoltre che le donne siano presenti nel mondo del lavoro e dell'organizzazione sociale e che abbiano accesso a posti di responsabilità che offrano loro la possibilità di ispirare le politiche delle nazioni e di promuovere soluzioni innovative ai problemi economici e sociali.
Al riguardo, non si può tuttavia dimenticare che l'intreccio delle due attività - la famiglia e il lavoro - assume, nel caso della donna, caratteristiche diverse da quelle dell'uomo.
Si pone pertanto il problema di armonizzare la legislazione e l'organizzazione del lavoro con le esigenze della missione della donna all'interno della famiglia.
Il problema non è solo giuridico, economico ed organizzativo; è innanzitutto un problema di mentalità, di cultura e di rispetto.
Si richiede, infatti, una giusta valorizzazione del lavoro svolto dalla donna nella famiglia.
In tal modo le donne che liberamente lo desiderano potranno dedicare la totalità del loro tempo al lavoro domestico, senza essere socialmente stigmatizzate ed economicamente penalizzate, mentre quelle che desiderano svolgere anche altri lavori potranno farlo con orari adeguati, senza essere messe di fronte all'alternativa di mortificare la loro vita familiare oppure di subire una situazione abituale di stress che non favorisce né l'equilibrio personale né l'armonia familiare.
Come ha scritto Giovanni Paolo II, « tornerà ad onore della società rendere possibile alla madre - senza ostacolarne la libertà, senza discriminazione psicologica o pratica, senza penalizzazione nei confronti delle sue compagne - di dedicarsi alla cura e all'educazione dei figli secondo i bisogni differenziati della loro età ».21
14. È opportuno comunque ricordare che i valori femminili, ora richiamati, sono innanzitutto valori umani: la condizione umana, dell'uomo e della donna, creati ad immagine di Dio, è una e indivisibile.
È solo perché le donne sono più immediatamente in sintonia con questi valori che esse possono esserne il richiamo ed il segno privilegiato.
Ma, in ultima analisi, ogni essere umano, uomo e donna, è destinato ad essere « per l'altro ».
In tale prospettiva ciò che si chiama « femminilità » è più di un semplice attributo del sesso femminile.
La parola designa infatti la capacità fondamentalmente umana di vivere per l'altro e grazie all'altro.
Pertanto la promozione della donna all'interno della società deve essere compresa e voluta come una umanizzazione realizzata attraverso quei valori riscoperti grazie alle donne.
Ogni prospettiva che intende proporsi come una lotta dei sessi è solamente un'illusione ed un pericolo: finirebbe in situazioni di segregazione e di competizione tra uomini e donne e promuoverebbe un solipsismo che si alimenta ad una falsa concezione della libertà.
Senza pregiudizio circa gli sforzi per promuovere i diritti ai quali le donne possono aspirare nella società e nella famiglia, queste osservazioni vogliono invece correggere la prospettiva che considera gli uomini come nemici da vincere.
La relazione uomo-donna non può pretendere di trovare la sua condizione giusta in una specie di contrapposizione, diffidente e difensiva.
Occorre che tale relazione sia vissuta nella pace e nella felicità dell'amore condiviso.
Ad un livello più concreto, le politiche sociali - educative, familiari, lavorative, di accesso ai servizi, di partecipazione civica - se, da una parte, devono combattere ogni ingiusta discriminazione sessuale, dall'altra, devono sapere ascoltare le aspirazioni e individuare i bisogni di ognuno.
La difesa e la promozione dell'uguale dignità e dei comuni valori personali devono essere armonizzate con l'attento riconoscimento della differenza e della reciprocità laddove ciò è richiesto dalla realizzazione della propria umanità maschile o femminile.
Indice |
17 | Cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Familiaris consortio, 16 ( 22 novembre 1981 ) |
18 | Ibid., 41; Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Donum vitae, II, 8 ( 22 febbraio 1987 ) |
19 | Cfr Giovanni Paolo II, Lettera alle donne, 9- 10 ( 29 giugno 1995 ) |
20 | Giovanni Paolo II, Lettera alle famiglie, 17 ( 2 febbraio 1994 ) |
21 | Lett. enc. Laborem exercens, 19 ( 14 settembre 1981 ) |