Dominus ac Redemptor |
21 Noi, con grandissimo dolore dell'animo Nostro, osservammo che tanto i predetti rimedi, quanto moltissimi altri successivamente adoperati, avevano recato quasi nessun vantaggio né erano stati sufficienti per rimuovere e dissipare tante e sì gravi turbolenze, accuse e lamentele contro questa Società; e inutilmente avevano travagliato i Nostri antecessori Urbano VIII, Clemente IX, X, XI e XII, Alessandro VII e VIII, Innocenzo X, XI, XII e XIII, e Benedetto XIV, i quali con molte salutari Costituzioni si erano adoperati per restituire alla Chiesa la desiderata tranquillità, sia circa i secolari negozi, proibiti per sempre e anche in occasione delle sacre missioni, sia circa le gravissime dispute e gare acremente suscitate dalla Compagnia contro gli Ordinari dei luoghi, gli Ordini regolari, i luoghi pii, e le comunità di qualunque genere in Europa, in Asia ed in America, non senza grave pregiudizio delle anime e meraviglia dei popoli; sia anche intorno all'interpretazione pratica di alcuni riti pagani comunemente esercitati in alcuni luoghi, tralasciati quelli dalla Chiesa universale legalmente approvati; o intorno all'uso e spiegazione di certe dottrine manifestamente immorali e di scandalo, con buona ragione proscritte dalla Sede Apostolica; e da ultimo intorno ad altre cose di grande momento, opportunissime per conservare intatta la purità dei dogmi cristiani, per le quali in questa nostra, non meno che nella passata età, frequentissimi danni e svantaggi derivarono; cioè sollevazioni e tumulti in alcuni Stati cattolici, ed acerbe persecuzioni contro la Chiesa in parecchie province d'Asia e d'Europa.
Grandissima poi fu l'afflizione recata da questa società ai Nostri predecessori, e tra questi ad Innocenzo XI, di santa memoria, il quale, stretto da necessità, giunse a proibire alla Compagnia la vestizione dei novizi; al Papa Innocenzo XIII, che fu obbligato a minacciare nuovamente la stessa pena; e al Papa Benedetto XIV, di cui è recente la memoria, il quale decretò la visita di tutte le case e collegi esistenti nel Regno del carissimo in Cristo Nostro figlio, il fedelissimo Re del Portogallo e dell'Algarvia; senza che in appresso siano derivati consolazione alla Sede Apostolica, soccorso alla umana società, e vantaggio alla Cristiana Repubblica dalla recente apostolica Lettera del Papa Clemente XIII di felice memoria, immediato Nostro predecessore, piuttosto estorta, per servirci di un vocabolo usato da Gregorio X nel Concilio ecumenico di Lione, anziché impetrata, con cui l'Istituto della Compagnia di Gesù grandemente si commenda e nuovamente si approva.
22 Dopo tante tempeste ed acerbissime confusioni, ogni uomo dabbene desiderava che dovesse finalmente splendere una buona volta quel beato giorno, che riportasse la tranquillità e la pace.
Ma allorché sulla cattedra di Pietro sedeva il medesimo predecessore Clemente XIII, vennero tempi assai più difficili e turbolenti.
Ogni giorno risuonarono più alti i clamori e le lagnanze, e insorsero pericolosissime sedizioni, tumulti, discordie e scandali che, rilassando il vincolo della cristiana carità, e quasi rompendolo, fortemente infiammarono gli animi dei fedeli alle passioni dei partiti, agli odi, alle inimicizie.
Il danno e il pericolo giunsero a tal punto, che quegli stessi, la cui pietà liberalità verso la Compagnia universalmente si esalta quale benemerenza ereditaria ricevuta dagli antenati, cioè i Nostri carissimi figliuoli in Cristo i Re di Francia, di Spagna, di Portogallo, e delle Due Sicilie, sono stati costretti a licenziare ed espellere i Soci dai loro Regni, Stati e Province; ritenendo che questo fosse l'estremo rimedio contro tanti mali, assolutamente necessario ad impedire che i popoli cristiani, nel seno stesso di Santa Madre Chiesa, si insidiassero, provocassero e lacerassero a vicenda.
23 Quei carissimi in Cristo figliuoli Nostri, persuasi che tale rimedio non poteva essere durevole e sufficiente a riconciliare tutto il mondo cristiano se la medesima Compagnia non fosse soppressa ed abolita, esposero al Papa Clemente XIII, Nostro predecessore, i loro desideri e le loro volontà; poi, con quanta autorità poterono, e con preci e voti concordi, domandarono tutti che con un efficacissimo rimedio sapientemente si provvedesse alla costante sicurezza dei loro sudditi e al bene universale della Chiesa di Cristo.
Ma la morte di quel Pontefice, inaspettata da tutto il mondo, troncò il corso e il compimento di tale progetto.
Collocati Noi, per divina disposizione e clemenza, sulla cattedra di Pietro, Ci furono immediatamente rivolte le medesime preci, domande e voti, a cui s'aggiunsero le opinioni e le sollecitazioni di molti Vescovi e personaggi illustri per dignità, per dottrina e per religione.
24 E perché in un'impresa così grave e di tanto rilievo fosse da Noi adottato il partito migliore, giudicammo opportuno procrastinare lungamente, non solo per recare nelle indagini, nell'esame e nella deliberazione la maggiore esattezza e prudenza possibili, ma anche per chiedere con gemiti ed incessanti orazioni dei fedeli tutti, e con pie opere, i soccorsi e l'assistenza speciale del Padre dei lumi.
E Noi volemmo, fra le altre, esaminare su quale fondamento si appoggi quella opinione, diffusa fra molti, che la Religione dei chierici della Compagnia di Gesù sia stata in modo solenne approvata e confermata dal Concilio di Trento.
A proposito di questa Società, null'altro abbiamo trovato essere stato disposto in quel Concilio se non che essa fosse eccettuata dal generale decreto che stabiliva, per gli altri Ordini regolari, che consumato il tempo del noviziato i novizi trovati idonei fossero ammessi alla professione, o altrimenti allontanati dal monastero.
Per tale motivo il medesimo sacrosanto Concilio1 dichiarò di non volere rinnovare alcunché, né di impedire che la Religione dei chierici della Compagnia di Gesù servisse al Signore e alla sua Chiesa, secondo il proprio devoto Istituto, approvato dalla santa Sede Apostolica.
25 Dopo tanti e così necessari mezzi adoperati da Noi; soccorsi, come speriamo, dalla presenza del Divino Spirito; stretti ancora dalla necessità del ministero Nostro, in forza del quale siamo in ogni maniera obbligati, per quanto valgano le Nostre forze, a conciliare, mantenere e rassodare la quiete e la tranquillità della Cristiana Repubblica, e a rimuovere gli ostacoli che potessero recarle detrimento, anche minimo; considerando che la predetta Compagnia di Gesù non poteva produrre più quei salutari, ubertosi frutti e vantaggi per i quali fu istituita, e da tanti Nostri predecessori approvata e onorata di infiniti privilegi; ma che anzi è ormai divenuto impossibile che la Chiesa abbia pace vera e durevole finché quest'Ordine sussiste; indotti da tali specialissime ragioni e da altre che Ci dettano le leggi della prudenza e dell'ottimo governo della Chiesa, riposte nel segreto dell'anima Nostra; seguendo le orme dei Nostri predecessori, e soprattutto di Gregorio X nel generale Concilio di Lione; tanto più che, anche nel caso presente, si tratta di una Società che per ragione del suo Istituto e dei suoi privilegi è iscritta nel numero degli Ordini mendicanti; con ben maturo consiglio, di certa scienza, e con la pienezza dell'Apostolica Potestà, estinguiamo e sopprimiamo la più volte citata Società, e annulliamo ed aboliamo tutti e singoli gli uffici di essa, i ministeri e le amministrazioni, le case, le scuole, i collegi, gli ospizi, e qualunque altro luogo esistente in qualsivoglia provincia, regno, e signoria, e in qualunque modo appartenente alla medesima; i suoi statuti, costumi, consuetudini, decreti, costituzioni, quantunque corroborate da giuramento, da apostolica approvazione, o in altra guisa, e tutti e singoli i privilegi e gl'indulti generali o speciali, il tenore dei quali Noi vogliamo che s'intenda come pienamente e sufficientemente espresso in questa presente Lettera, come se verbalmente vi fossero trascritti, e sebbene concepiti sotto qualsiasi forma, o clausola irrita, e con qualsivoglia vincolo e decreto.
Quindi Noi dichiariamo che rimanga annullata in perpetuo ed assolutamente estinta tutta e qualunque autorità del preposto generale, dei provinciali, dei visitatori e degli altri superiori di detta Società, tanto nelle cose spirituali che nelle temporali; vogliamo che la stessa giurisdizione ed autorità siano trasferite totalmente, e in qualsiasi modo, agli Ordinari dei luoghi secondo la maniera, le circostanze, le persone e le condizioni che accenneremo più sotto; proibendo, come con la presente proibiamo, che nessuno in avvenire sia ricevuto nella suddetta Società, ed ammesso alla vestizione e al noviziato.
Coloro poi che fino a questo giorno furono accettati, non si possano ammettere alla professione dei voti semplici o dei solenni, sotto pena della nullità dell'ammissione e della professione, e di altre pene riservate al nostro arbitrio.
Anzi, di più, vogliamo, comandiamo, ordiniamo che coloro che attualmente sono nel noviziato, subito, prontamente, immediatamente e di fatto siano licenziati; e in egual modo proibiamo che coloro che fecero la professione dei voti semplici, e che fin qui non sono stati promossi ad alcun ordine sacro, possano essere promossi agli stessi ordini maggiori, sotto pretesto o titolo tanto della professione già fatta nella Società, quanto dei privilegi ottenuti contro i decreti del Concilio di Trento.
26 E poiché tutte le Nostre cure hanno per scopo principale di provvedere ai vantaggi della Chiesa e alla tranquillità dei popoli, e nel tempo stesso di porgere qualche conforto e provvedimento a tutti gl'individui o Soci della medesima Religione ( persone che in particolare Noi amiamo nel Signore con affetto di padre ), affinché, liberati da tutte quelle vessazioni, dissensioni ed angustie da cui fino ad ora furono travagliati, possano con maggior frutto coltivare la vigna del Signore, e giovare alla salute delle anime, decretiamo e determiniamo che i Soci che hanno fatto la sola professione dei voti semplici, né sono ancora promossi agli ordini sacri, entro lo spazio di tempo che dagli Ordinari dei luoghi verrà prescritto, e che sia sufficiente a procacciarsi qualche impiego od uffizio o qualche benevolo ospite ( purché non si oltrepassi il termine di un anno dalla data della presente Lettera, rimanendo prosciolti da qualunque vincolo di voti semplici ) debbano assolutamente partire dalle case e dai collegi della medesima Società, liberi di scegliere quella maniera di vita che giudicheranno più adatta, secondo il Signore, alla propria vocazione, alle proprie forze e alla propria coscienza; tanto più che anche secondo i privilegi della Compagnia potevano essere rimossi da essa non per altro motivo che per quello che i Superiori giudicassero più conforme alla prudenza ed alle circostanze, senza processo, né ordine giudiziario.
27 Ai soci già promossi agli ordini sacri concediamo licenza e facoltà di allontanarsi dalle case e dai collegi della Compagnia, sia per passare ad altro Ordine regolare approvato dalla Sede Apostolica, dove, nel caso in cui abbiano fatto nella Società professione dei voti semplici, dovranno compiere il tempo del noviziato prescritto dal Concilio di Trento, e nel caso in cui abbiano fatto anche professione dei voti solenni, staranno in noviziato per soli sei mesi intieri, dispensati benignamente dal resto del tempo del noviziato; sia per rimanere nel secolo come preti e chierici secolari sotto una perfetta e totale obbedienza e soggezione agli Ordinari di quelle diocesi ove fisseranno il loro domicilio.
Decretiamo inoltre per coloro che rimarranno al secolo, finché non siano in altro modo provvisti, una congrua pensione da prelevarsi dalle rendite della casa, o collegio, dove dimoravano, avendo però riguardo non alle intiere rendite, ma anche ai pesi che vi fossero annessi.
28 I professi, poi, già promossi ai sacri ordini, i quali non vorranno lasciare le case o i collegi della Compagnia o per timore di un'insufficiente sussistenza dovuta alla mancanza o alla scarsità di una consistente pensione, o perché privi di un luogo dove assicurarsi una dimora, o per la loro avanzata età, per debole salute e per altra giusta e grave causa, potranno rimanervi; con la riserva, però, che non abbiano alcuna amministrazione della predetta casa o collegio, e vestano il semplice abito dei chierici secolari, e vivano totalmente sottoposti all'Ordinario del luogo.
Inoltre proibiamo che in nessun modo possano sostituire altri in luogo di quelli che mancheranno; acquistare nuove case o altro luogo, secondo i Decreti del Concilio di Lione; alienare le case, i beni ed i fondi che ora posseggono.
Anzi, potranno essere riuniti in una sola casa o in più, secondo il loro maggiore o minor numero, in maniera che le case che resteranno vuote possano essere convertite in usi pii, secondo quanto sembrerà più opportuno alle circostanze dei luoghi e dei tempi, e più confacente ai sacri canoni, all'intenzione dei fondatori, all'accrescimento del culto Divino, alla salute delle anime ed alla pubblica utilità.
Nel frattempo sarà destinato qualche soggetto del Clero secolare, specchiato per prudenza e per costumi, il quale dovrà presiedere al governo di quelle case, in modo che muoia e sia soppresso il nome della Compagnia.
29 Dichiariamo parimenti che restino compresi in questa generale soppressione della Società anche gl'individui della medesima di tutte le province, dalle quali già sono stati espulsi; e per questo vogliamo che i suddetti espulsi, quantunque siano stati e siano promossi agli ordini maggiori, se non passeranno ad altro Ordine regolare, si riducano ipso facto allo stato di chierici e di preti secolari, e siano totalmente sottoposti agli Ordinari dei luoghi.
30 Se gli Ordinari dei luoghi troveranno virtù, dottrina e integrità di costumi in coloro che, in forza di questa Nostra Lettera, sono passati dall'Istituto regolare della Compagnia di Gesù allo stato secolare, potranno, a loro arbitrio, concedere o negare loro la facoltà di ricevere le confessioni sacramentali dei fedeli, o di fare al popolo le sacre prediche; senza questa licenza scritta nessuno di loro potrà esercitare tali uffizi.
I medesimi Vescovi, però, e gli Ordinari dei luoghi non potranno mai concedere la suddetta facoltà, in quanto estranei, a coloro i quali vivranno nei collegi o nelle case già appartenenti alla Società; a questi proibiamo in perpetuo di amministrare il sacramento della Penitenza, o predicare agli estranei, come lo stesso Gregorio X parimenti proibì nel citato Concilio generale.
La qual cosa rimettiamo alla coscienza degli stessi Vescovi, i quali desideriamo che ricordino sia che dovranno rendere conto a Dio per il gregge loro affidato, sia il severissimo giudizio che il supremo Giudice dei vivi e dei morti riserva a coloro che comandano.
Indice |
1 | Sess. 25, rub. 16 De regular |