Dominicae cenae

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Le due mense del Signore e il bene comune della Chiesa

Mensa della parola di Dio

10 Sappiamo bene che la celebrazione dell'eucaristia è stata unita, dai tempi più antichi, non soltanto alla preghiera, ma anche alla lettura della Sacra Scrittura, e al canto di tutta l'assemblea.

Grazie a ciò è stato possibile, da molto tempo, riferire alla messa il paragone fatto dai Padri con le due mense, sulle quali la Chiesa imbandisce per i suoi figli la parola di Dio e l'eucaristia, cioè il pane del Signore.

Dobbiamo quindi ritornare alla prima parte del sacro mistero che, il più spesso, al presente viene chiamata liturgia della parola, e dedicarle un po' di attenzione.

La lettura dei brani della Sacra Scrittura, scelti per ogni giorno, è stata sottoposta dal Concilio a criteri e ad esigenze nuove.33

In seguito a tali norme conciliari si è avuta una nuova raccolta di letture, nelle quali è stato applicato, in certa misura, il principio della continuità dei testi, ed anche il principio di rendere accessibile l'insieme dei libri sacri.

L'introduzione dei salmi con i responsori nella liturgia rende familiare ai partecipanti la più bella risorsa della preghiera e della poesia dell'Antico Testamento.

Il fatto, poi, che i relativi testi siano letti e cantati nella propria lingua, fa sì che tutti possano partecipare con più piena comprensione.

Non mancano tuttavia pure coloro che, educati ancora in base all'antica liturgia in latino, risentono la mancanza di questa «lingua una», che in tutto il mondo è stata anche un'espressione dell'unità della Chiesa, e, mediante il suo carattere dignitoso, ha suscitato un senso profondo del mistero eucaristico.

Bisogna quindi dimostrare non soltanto comprensione, ma anche rispetto verso questi sentimenti e desideri, e, in quanto possibile, andare loro incontro, come, del resto, è previsto nelle nuove disposizioni.34

La Chiesa romana ha particolari obblighi verso il latino, la splendida lingua di Roma antica, e deve manifestarli ogni qualvolta se ne presenti l'occasione.

Le possibilità introdotte dal rinnovamento postconciliare vengono spesso utilizzate in modo da renderci testimoni e partecipi dell'autentica celebrazione della parola di Dio.

Aumenta anche il numero di persone le quali prendono parte attiva a questa celebrazione.

Sorgono gruppi di lettori e di cantori, più spesso ancora «scholae cantorum», maschili e femminili, che con grande zelo si dedicano a tale aspetto.

La parola di Dio, la Sacra Scrittura, comincia a pulsare di nuova vita in molte comunità cristiane.

I fedeli, radunati per la liturgia, si preparano col canto all'ascolto del Vangelo, che viene annunziato con la devozione e l'amore ad esso dovuti.

Costatando tutto ciò con grande stima e gratitudine, non si può, tuttavia, dimenticare che un pieno rinnovamento pone ancor sempre altre esigenze.

Queste consistono in una nuova responsabilità verso la parola di Dio trasmessa mediante la liturgia, in lingue diverse, e ciò corrisponde certamente al carattere universale e alle finalità del Vangelo.

La stessa responsabilità riguarda anche l'esecuzione delle relative azioni liturgiche, la lettura o il canto, il che deve rispondere anche ai principi dell'arte.

Per preservare queste azioni da qualsiasi artificiosità, bisogna esprimere in esse una capacità, una semplicità e al tempo stesso una dignità tali, da far risplendere, fin dal modo stesso di leggere o di cantare, il carattere peculiare del testo sacro.

Pertanto, queste esigenze, che scaturiscono dalla nuova responsabilità verso la parola di Dio nella liturgia,35 arrivano ancor più nel profondo e toccano la disposizione interiore con la quale i ministri della parola compiono la loro funzione nell'assemblea liturgica.36

La stessa responsabilità riguarda infine la scelta dei testi.

Tale scelta è stata già fatta dalla competente autorità ecclesiastica, che ha previsto anche i casi in cui si possono scegliere letture più adatte a una particolare situazione.37

Inoltre, bisogna sempre ricordare che nel quadro dei testi delle letture della messa può entrare soltanto la parola di Dio.

La lettura della Scrittura non può essere sostituita dalla lettura di altri testi, anche qualora possedessero indubbi valori religiosi e morali.

Tali testi potranno invece essere utilizzati, con grande profitto, nelle omelie.

Effettivamente, l'omelia è massimamente idonea all'utilizzazione di questi testi, purché rispondano alle richieste condizioni di contenuto, in quanto spetta alla natura dell'omelia, tra l'altro, dimostrare le convergenze tra sapienza divina rivelata e il nobile pensiero umano, che per varie strade cerca la verità.

Mensa del pane del Signore

11 La seconda mensa del mistero eucaristico, cioè la mensa del pane del Signore, esige anch'essa un'apposita riflessione dal punto di vista del rinnovamento liturgico odierno.

È questo un problema della massima importanza, trattandosi di un atto particolare di fede viva, anzi, come si attesta sin dai primi secoli,38 di una manifestazione di culto a Cristo che nella comunione eucaristica affida se stesso a ciascuno di noi, al nostro cuore, alla nostra coscienza, alle nostre labbra e alla nostra bocca, in forma di cibo.

E perciò, in rapporto a questo problema, è particolarmente necessaria la vigilanza di cui parla il Vangelo, sia da parte dei pastori responsabili del culto eucaristico, sia da parte del Popolo di Dio, il cui «senso della fede»39 deve essere proprio qui molto avvertito e acuto.

Desidero perciò affidare anche questo problema al cuore di ognuno di voi, venerati e cari fratelli nell'episcopato.

Voi dovete soprattutto inserirlo nella vostra sollecitudine per tutte le Chiese, a voi affidate.

Ve lo chiedo in nome di quell'unità che abbiamo ricevuto in eredità dagli apostoli: l'unità collegiale.

Quest'unità è nata in certo senso, alla mensa del pane del Signore, il Giovedì Santo.

Con l'aiuto dei vostri fratelli nel sacerdozio fate tutto ciò di cui siete capaci, per garantire la dignità sacrale del ministero eucaristico e quel profondo spirito della comunione eucaristica, che è un bene peculiare della Chiesa come Popolo di Dio, e insieme la particolare eredità trasmessaci dagli apostoli, da varie tradizioni liturgiche e da tante generazioni di fedeli, spesso eroici testimoni di Cristo educati alla «scuola della croce» ( redenzione ) e dell'eucaristia.

Bisogna quindi ricordare che l'eucaristia, quale mensa del pane del Signore, è un continuo invito, come risulta dall'accenno liturgico del celebrante al momento dell'«ecce Agnus Dei! Beati qui ad cenam Agni vocati sunt» ( Gv 1,29; Ap 19,9 ) e dalla nota parabola del Vangelo sugli invitati al banchetto di nozze ( Lc 14,16ss ).

Ricordiamo che in questa parabola ci sono molti che si scusano dall'accogliere l'invito a motivo di circostanze diverse.

Certamente anche nelle nostre comunità cattoliche non mancano coloro che potrebbero partecipare alla comunione eucaristica e non vi partecipano, pur non avendo nella propria coscienza impedimento di peccato grave.

Tale atteggiamento, che in alcuni è legato ad una esagerata severità, si è cambiato, a dire il vero, nel nostro secolo, anche se qua e là ancora si fa sentire.

In realtà, più spesso del senso di indegnità, si riscontra una certa mancanza di disponibilità interiore - se ci si può esprimere così - mancanza di «fame» e di «sete» eucaristica, dietro la quale si nasconde anche la mancanza di un'adeguata sensibilità e comprensione della natura del grande sacramento dell'amore.

Tuttavia, in questi ultimi anni, assistiamo anche ad un altro fenomeno.

Alcune volte, anzi in casi abbastanza numerosi, tutti i partecipanti all'assemblea eucaristica si accostano alla comunione, ma talora, come confermano pastori esperti, non c'è stata la doverosa preoccupazione di accostarsi al sacramento della penitenza per purificare la propria coscienza.

Questo può naturalmente significare che coloro i quali si accostano alla mensa del Signore non trovino, nella loro coscienza e secondo la legge oggettiva di Dio, nulla che impedisca quel sublime e gioioso atto della loro unione sacramentale con Cristo.

Ma può anche nascondersi, qui, almeno talvolta, un'altra convinzione: e cioè il considerare la messa soltanto come un banchetto,40 al quale si partecipa ricevendo il corpo di Cristo, per manifestare soprattutto la comunione fraterna.

A questi motivi si possono aggiungere facilmente una certa considerazione umana e un semplice «conformismo».

Questo fenomeno esige, da parte nostra, una vigile attenzione ed un'analisi teologica e pastorale, guidata dal senso di una massima responsabilità.

Non possiamo permettere che nella vita delle nostre comunità vada disperso quel bene che è la sensibilità della coscienza cristiana, diretta unicamente dal riguardo a Cristo che, ricevuto nell'eucaristia, deve trovare nel cuore di ognuno di noi una degna dimora.

Questo problema è strettamente legato non soltanto alla pratica del sacramento della penitenza, ma anche al retto senso di responsabilità di fronte al deposito di tutta la dottrina morale e di fronte alla distinzione precisa tra bene e male, la quale diventa in seguito, per ognuno dei partecipanti all'eucaristia, base di corretto giudizio di se stessi nell'intimo della propria coscienza.

Sono ben note le parole di san Paolo: «Probet autem se ipsum homo» ( 1 Cor 11,28 ); tale giudizio è condizione indispensabile per una decisione personale, al fine di accostarsi alla comunione eucaristica oppure di astenersene.

La celebrazione dell'eucaristia ci pone davanti molte altre esigenze, per quanto concerne il ministero della mensa eucaristica, che si riferiscono, in parte, sia ai soli sacerdoti e diaconi, sia a tutti coloro che partecipano alla liturgia eucaristica.

Ai sacerdoti e ai diaconi è necessario ricordare che il servizio della mensa del pane del Signore impone loro obblighi particolari, che si riferiscono, in primo luogo, allo stesso Cristo presente nell'eucaristia e poi a tutti gli attuali e potenziali partecipanti all'eucaristia.

Riguardo ai primi, non sarà forse superfluo ricordare le parole del pontificale che nel giorno dell'ordinazione il Vescovo rivolge al nuovo sacerdote, mentre gli affida sulla patena e nel calice il pane e il vino offerti dai fedeli e preparati dal diacono: «Ricevi le offerte del popolo santo per il sacrificio eucaristico.

Renditi conto di ciò che farai, vivi il mistero che è posto nelle tue mani, e sii imitatore del Cristo immolato per noi».41

Quest'ultima ammonizione fattagli dal Vescovo deve rimanere come una delle norme più care del suo ministero eucaristico.

Ad essa il sacerdote deve ispirare il suo atteggiamento nel trattare il pane e il vino, divenuti corpo e sangue del Redentore.

Occorre quindi che noi tutti, che siamo ministri dell'eucaristia, esaminiamo con attenzione le nostre azioni all'altare, in particolare il modo con cui trattiamo quel cibo e quella bevanda, che sono il corpo e il sangue del Signore nostro Dio nelle nostre mani; come distribuiamo la santa comunione; come facciamo la purificazione.

Tutte queste azioni hanno un loro significato.

Bisogna naturalmente evitare la scrupolosità, ma Dio ci preservi da un comportamento privo di rispetto, da una fretta inopportuna, da una impazienza scandalosa.

Il nostro più grande onore consiste - oltre che nell'impegno della missione evangelizzatrice - nell'esercitare tale misterioso potere sul corpo del Redentore, e tutto in noi deve essere a ciò decisamente ordinato.

Dobbiamo, inoltre, ricordare sempre che a questo potere ministeriale siamo stati sacramentalmente consacrati, che siamo stati scelti tra gli uomini e «per il bene degli uomini» ( Eb 5,1 ).

Dobbiamo pensarci particolarmente noi sacerdoti della Chiesa romana latina, il cui rito di ordinazione aggiunse, nel corso dei secoli, l'uso di ungere le mani del sacerdote.

In alcuni paesi è entrata in uso la comunione sulla mano.

Tale pratica è stata richiesta da singole conferenze episcopali ed ha ottenuto l'approvazione della sede apostolica.

Tuttavia, giungono voci su casi di deplorevoli mancanze di rispetto nei confronti delle specie eucaristiche, mancanze che gravano non soltanto sulle persone colpevoli di tale comportamento, ma anche sui pastori della Chiesa, che fossero stati meno vigilanti sul contegno dei fedeli verso l'eucaristia.

Avviene pure che, talora, non è tenuta in conto la libera scelta e volontà di coloro che, anche dove è stata autorizzata la distribuzione della comunione sulla mano, preferiscono attenersi all'uso di riceverla in bocca.

È difficile quindi, nel contesto dell'attuale lettera, non accennare ai dolorosi fenomeni sopra ricordati.

Scrivendo questo non ci si vuole in alcun modo riferire a quelle persone che, ricevendo il Signore Gesù sulla mano, lo fanno con spirito di profonda riverenza e devozione, nei paesi dove questa pratica è stata autorizzata.

Bisogna tuttavia non dimenticare l'ufficio primario dei sacerdoti, che sono stati consacrati nella loro ordinazione a rappresentare Cristo sacerdote: perciò le loro mani, come la loro parola e la loro volontà, sono diventate strumento diretto di Cristo.

Per questo, cioè come ministri della santissima eucaristia, essi hanno sulle sacre specie una responsabilità primaria, perché totale: offrono il pane e il vino, li consacrano, e quindi distribuiscono le sacre specie ai partecipanti all'assemblea, che desiderano riceverla.

I diaconi possono soltanto portare all'altare le offerte dei fedeli e, una volta consacrate dal sacerdote, distribuirle.

Quanto eloquente perciò, anche se non primitivo, è nella nostra ordinazione latina il rito dell'unzione delle mani, come se proprio a queste mani sia necessaria una particolare grazia e forza dello Spirito Santo!

Il toccare le sacre specie, la loro distribuzione con le proprie mani, è un privilegio degli ordinati, che indica una partecipazione attiva al ministero dell'eucaristia.

È ovvio che la Chiesa può concedere tale facoltà a persone che non sono né sacerdoti né diaconi, come sono sia gli accoliti, nell'esercizio del loro ministero, specialmente se destinati a futura ordinazione, sia altri laici a ciò abilitati per una giusta necessità, e sempre dopo un'adeguata preparazione.

Bene comune della Chiesa

12 Non possiamo, neanche per un attimo, dimenticare che l'eucaristia è un bene peculiare di tutta la Chiesa.

È il dono più grande che, nell'ordine della grazia e del sacramento, il divino sposo abbia offerto e offra incessantemente alla sua sposa.

E proprio perché si tratta di un tale dono, dobbiamo tutti, in spirito di profonda fede, lasciarci guidare dal senso di una responsabilità veramente cristiana.

Un dono ci obbliga sempre più profondamente perché ci parla non tanto con la forza di uno stretto diritto, quanto con la forza dell'affidamento personale, e così - senza obblighi legali - esige fiducia e gratitudine.

L'eucaristia è proprio tale dono, è tale bene.

Dobbiamo rimanere fedeli nei particolari a ciò che essa esprime in sé e a ciò che a noi chiede, cioè il rendimento di grazie.

L'eucaristia è un bene comune di tutta la Chiesa come sacramento della sua unità.

E perciò la Chiesa ha il rigoroso dovere di precisare tutto ciò che concerne la partecipazione e la celebrazione di essa.

Dobbiamo quindi agire secondo i principi stabiliti dall'ultimo Concilio che, nella costituzione sulla sacra liturgia, ha definito le autorizzazioni e gli obblighi sia dei singoli Vescovi nelle loro diocesi, sia delle conferenze episcopali, dato che gli uni e le altre agiscono in una unità collegiale con la sede apostolica.

Inoltre dobbiamo seguire le ordinanze emanate dai vari dicasteri in questo campo: sia in materia liturgica, nelle regole stabilite dai libri liturgici, in quanto concerne il mistero eucaristico, e nelle istruzioni dedicate al medesimo mistero,42 sia per quanto riguarda la «communicatio in sacris», nelle norme del «Directorium de re oecumenica»43 e nell'«Instructio de peculiaribus casibus admittendi alios christianos ad communionem eucharisticam in Ecclesia catholica».44

E sebbene in questa tappa di rinnovamento sia stata ammessa la possibilità di una certa autonomia «creativa», tuttavia essa deve strettamente rispettare le esigenze dell'unità sostanziale.

Sulla via di questo pluralismo ( che scaturisce tra l'altro già dall'introduzione delle diverse lingue nella liturgia ) possiamo proseguire solo fino a quel punto in cui non siano cancellate le caratteristiche essenziali della celebrazione dell'eucaristia e siano rispettate le norme prescritte dalla recente riforma liturgica.

Occorre compiere dappertutto lo sforzo indispensabile, affinché nel pluralismo del culto eucaristico, programmato dal Concilio Vaticano II, si manifesti l'unita di cui l'eucaristia è segno e causa.

Questo compito sul quale, per forza di cose, deve vigilare la sede apostolica, dovrebbe essere assunto non soltanto dalle singole conferenze episcopali, ma anche da ogni ministro dell'eucaristièe responsabile del bene comune di tutta la Chiesa.

Il sacerdote come ministro, come celebrante, come colui che presiede all'assemblea eucaristica dei fedeli, deve avere un particolare senso del bene comune della Chiesa, che egli rappresenta mediante il suo ministero, ma al quale deve essere anche subordinato, secondo una retta disciplina della fede.

Egli non può considerarsi come «proprietario», che liberamente disponga del testo liturgico e del sacro rito come di un suo bene peculiare, così da dargli uno stile personale e arbitrario.

Questo può talvolta sembrare di maggior effetto, può anche maggiormente corrispondere ad una pietà soggettiva, tuttavia oggettivamente è sempre tradimento di quell'unione che, soprattutto nel sacramento dell'unità, deve trovare la propria espressione.

Ogni sacerdote, che offre il santo sacrificio, deve ricordarsi che durante questo sacrificio non è lui soltanto con la sua comunità a pregare, ma prega tutta la Chiesa, esprimendo così, anche con l'uso del testo liturgico approvato, la sua unità spirituale in questo sacramento.

Se qualcuno volesse chiamare tale posizione «uniformismo», ciò comproverebbe soltanto l'ignoranza delle obiettive esigenze della unità autentica e sarebbe un sintomo di dannoso individualismo.

Questa subordinazione del ministro, del celebrante, al «mysterium», che gli è stato affidato dalla Chiesa per il bene di tutto il Popolo di Dio, deve trovare la sua espressione anche nell'osservanza delle esigenze liturgiche relative alla celebrazione del santo sacrificio.

Queste esigenze si riferiscono, ad esempio, all'abito e, in particolare, ai paramenti che indossa il celebrante.

È naturale che vi siano state e vi siano circostanze in cui le prescrizioni non obbligano.

Abbiamo letto con commozione, in libri scritti da sacerdoti ex-prigionieri in campi di sterminio, relazioni di celebrazioni eucaristiche senza le suddette regole, e cioè senza altare e senza paramenti.

Se però in quelle condizioni ciò era prova di eroismo e doveva suscitare profonda stima, tuttavia, in condizioni normali, trascurare le prescrizioni liturgiche può essere interpretato come mancanza di rispetto verso l'eucaristia, dettata forse da individualismo o da un difetto di senso critico circa opinioni correnti, oppure da una certa mancanza di spirito di fede.

Su noi tutti, che siamo, per grazia di Dio, ministri dell'eucaristia, grava in particolare la responsabilità per le idee e gli atteggiamenti dei nostri fratelli e sorelle, affidati alla nostra cura pastorale.

La nostra vocazione è quella di suscitare, anzitutto con l'esempio personale, ogni sana manifestazione di culto verso Cristo presente e operante in quel sacramento d'amore.

Dio ci preservi dall'agire diversamente, dall'indebolire quel culto, «disabituandoci» da varie manifestazioni e forme di culto eucaristico, in cui si esprime forse una «tradizionale» ma sana pietà, e soprattutto quel «senso della fede», che tutto il Popolo di Dio possiede, come ha ricordato il Concilio Vaticano II.45

Conducendo ormai a termine queste mie considerazioni, vorrei chiedere perdono - in nome mio e di tutti voi, venerati e cari fratelli nell'episcopato - per tutto ciò che per qualsiasi motivo, e per qualsiasi umana debolezza, impazienza, negligenza, in seguito anche all'applicazione talora parziale, unilaterale, erronea delle prescrizioni del Concilio Vaticano II, possa aver suscitato scandalo e disagio circa l'interpretazione della dottrina e la venerazione dovuta a questo grande sacramento.

E prego il Signore Gesù perché nel futuro sia evitato, nel nostro modo di trattare questo sacro mistero, ciò che può affievolire o disorientare in qualsiasi maniera il senso di riverenza e di amore nei nostri fedeli.

Che Cristo stesso ci aiuti a proseguire per le vie del vero rinnovamento verso quella sapienza di vita e di culto eucaristico, per il cui mezzo si costruisce la Chiesa in quell'unità che essa già possiede e che desidera ancor più realizzare per la gloria del Dio vivente e per la salvezza di tutti gli uomini.

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33 Sacrosanctum Concilium 35,1;
Sacrosanctum Concilium 51
34 Sacrae Rituum Congregationis «In edicendis normis», VI, 17-18; VII, 19-20: AAS 57 [1965] 1012ss;
«Musicam Sacram», IV, 48: AAS 59 [1967] 314;
«De titulo Basilicae Minoris», II, 8: AAS 60 [1968] 538;
Sacrae Congregationis Pro Cultu Divino «De Missali Romano, Liturgia Horarum et Calendario», I, 4: AAS 63 [1971] 714
35 Pauli VI «Missale Romanum»: «Hisce ita compositis, illud etiam vehementer fore confidimus, ut sacerdotes et fideles simul sanctius animum suum ad Cenam Domini praeparent, simul, sacras Scripturas altius meditati, verbis Domini uberius in dies alantur»: AAS 61 [1969] 220ss
36 «Pontificale Romanum», «De Institutione Lectorum et Accolythorum», 4
37 «Institutio Generalis Missalis Romani», 319-320: «Missale Romanum»
38 Fr. J. Dölger «Das Segnen der Sinne mit der Eucharistie. Eine altchristliche Kommunionsitte: Antike und Christentum, t. 3 [1932] 231-244;
«Das Kultvergehen der Donatistin Lucilla von Karthago. Reliquienkuss vor dem Kuss der Eucharistie», t. 3 [1932] 245-252
39 Lumen Gentium 12;
Lumen Gentium 35
40 «Institutio Generalis Missalis Romani», 7-8: «Missale Romanum»
41 «Pontificale Romanum», «De Ordinatione Diaconi, Presbyteri et Episcopi»
42 Sacrae Congregationie Rituum «Eucharisticum Mysterium»: AAS 59 [1967] 539-573;
«Rituale Romanum», «De sacra communione et de cultu Mysterii eucharistici extra Missam», ed typica 1973;
Sacrae Congregationis pro Cultu Divino «Litterae circulares ad Conferentiarum Episcopalium Praesides de precibus eucharistici: AAS 65 [1973] 340-347
43 «Directorium de re oecumenica», 38-63: AAS 59 [1967] 586-592
44 «Instructio de peculiaribus casibus admittendi alios christianos ad communionem eucharisticam in Ecclesia catholica»: AAS 64 [1972] 518-525;
etiam «Communicatio» subsequenti anno evulgata, ut eadem «Instructio recte applicaretur»: AAS 65 [1973] 616-619
45 Lumen Gentium 12