Dominicae cenae |
8 La celebrazione dell'Eucaristia, cominciando dal cenacolo e dal Giovedì Santo, ha una sua lunga storia, lunga quanto la storia della Chiesa.
Nel corso di questa storia gli elementi secondari hanno subito certi cambiamenti, tuttavia è rimasta immutata l'essenza del «mysterium», istituito dal Redentore del mondo, durante l'ultima cena.
Anche il Concilio Vaticano II ha apportato alcune modificazioni, in seguito alle quali l'attuale liturgia della messa si differenzia, in qualche modo, da quella conosciuta prima del Concilio.
Di queste differenze non intendiamo parlare: per ora conviene fermarsi su quanto è essenziale ed immutabile nella liturgia eucaristica.
Con questo elemento è strettamente legato il carattere di «sacrum» dell'eucaristia, cioè di azione santa e sacra.
Santa e sacra, perché in essa è continuamente presente ed agisce il Cristo, «il Santo» di Dio ( Lc 1,35; Gv 6,69; At 3,14; Ap 3,7 ), «unto dallo Spirito Santo» ( At 10,38; Lc 4,18 ), «consacrato dal Padre» ( Gv 10,36 ), per dare liberamente e riprendere la sua vita ( Gv 10,17 ), «sommo sacerdote della nuova alleanza» ( Eb 3,1; Eb 4,15 ).
È lui, infatti, che, rappresentato dal celebrante, fa il suo ingresso nel santuario ed annunzia il suo Vangelo.
È Lui che «è l'offerente e l'offerto, il consacratore e il consacrato».23
Azione santa e sacra, perché è costitutiva delle sacre specie, del «sancta sanctis» - cioè delle cose sante, Cristo il Santo, date ai santi - come cantano tutte le liturgie d'oriente al momento in cui si innalza il pane eucaristico per invitare i fedeli alla cena del Signore.
Il «sacrum» della messa non è dunque una «sacralizzazione», cioè una aggiunta dell'uomo all'azione di Cristo nel cenacolo, giacché la cena del Giovedì Santo è stata un rito sacro, liturgia primaria e costitutiva, con cui Cristo, impegnandosi a dare la vita per noi, ha celebrato sacramentalmente, egli stesso, il mistero della sua passione e risurrezione, cuore di ogni messa.
Derivando da questa liturgia, le nostre messe rivestono di per sé una forma liturgica completa, che, pur diversificata a seconda delle famiglie rituali, rimane sostanzialmente identica.
Il «sacrum» della messa è una sacralità istituita da lui.
Le parole e l'azione di ogni sacerdote, alle quali corrisponde la partecipazione cosciente e attiva di tutta l'assemblea eucaristica, fanno eco a quelle del Giovedì Santo.
Il sacerdote offre il santissimo sacrificio «in persona Christi», il che vuol dire di più che «a nome», oppure «nelle veci» di Cristo.
«In persona»: cioè nella specifica, sacramentale identificazione col «sommo ed eterno sacerdote»,24 che è l'autore e il principale soggetto di questo suo proprio sacrificio, nel quale in verità non può essere sostituito da nessuno.
Solo lui - solo Cristo - poteva e sempre può essere vera ed effettiva «propitiatio pro peccatis nostris… sed etiam totius mundi» ( 1 Gv 2,2; 1 Gv 4,10 ). Solo il suo sacrificio - e nessun altro - poteva e può avere «vim propitiatoriam» davanti a Dio, alla Trinità, alla sua trascendente santità.
La presa di coscienza di questa realtà getta una certa luce sul carattere e sul significato del sacerdote-celebrante che, compiendo il santissimo sacrificio e agendo «in persona Christi», viene, in modo sacramentale e insieme ineffabile, introdotto ed inserito in quello strettissimo «sacrum», nel quale egli a sua volta associa spiritualmente tutti i partecipanti all'assemblea eucaristica.
Quel «sacrum» attuato in forme liturgiche varie, può mancare di qualche elemento secondario, ma non può in alcun modo essere sprovvisto della sua sacralità e sacramentalità essenziali, poiché volute da Cristo e trasmesse e controllate dalla Chiesa.
Quel «sacrum» non può nemmeno essere strumentalizzato per altri fini.
Il mistero eucaristico, disgiunto dalla propria natura sacrificale e sacramentale, cessa semplicemente di essere tale.
Esso non ammette alcuna imitazione «profana» che diventerebbe assai facilmente ( se non addirittura di regola ) una profanazione.
Bisogna ricordarlo sempre, e forse soprattutto nel nostro tempo, nel quale osserviamo una tendenza a cancellare la distinzione tra «sacrum» e «profanum», data la generale diffusa tendenza ( almeno in certi luoghi ) alla dissacrazione di ogni cosa.
In tale realtà la Chiesa ha il particolare dovere di assicurare e corroborare il «sacrum» dell'eucaristia.
Nella nostra società pluralistica, e spesso anche deliberatamente secolarizzata, la viva fede della comunità cristiana - fede cosciente anche dei propri diritti nei riguardi di tutti coloro che non condividono la stessa fede - garantisce a questo «sacrum» il diritto di cittadinanza.
Il dovere di rispettare la fede di ognuno è, nello stesso tempo, correlativo al diritto naturale e civile della libertà di coscienza e di religione.
La sacralità dell'eucaristia ha trovato e trova sempre espressione nella terminologia teologica e liturgica.25
Questo senso dell'oggettiva sacralità del mistero eucaristico è talmente costitutivo della fede del Popolo di Dio, che essa se n'è arricchita e irrobustita.26
I ministri dell'eucaristia debbono, pertanto, soprattutto ai nostri giorni, essere illuminati dalla pienezza di questa fede viva, e alla luce di essa debbono comprendere e compiere tutto ciò che fa parte del loro ministero sacerdotale, per volere di Cristo e della sua Chiesa.
9 L'eucaristia è soprattutto un sacrificio: sacrificio della redenzione e, al tempo stesso, sacrificio della nuova alleanza,27 come crediamo e come chiaramente professano le Chiese d'oriente: «Il sacrificio odierno - ha affermato, secoli fa, la Chiesa greca - è come quello che un giorno offrì l'unigenito incarnato Verbo, viene da lui ( oggi come allora ) offerto, essendo l'identico e unico sacrificio».28
Perciò, e proprio col rendere presente quest'unico sacrificio della nostra salvezza, l'uomo e il mondo vengono restituiti a Dio per mezzo della novità pasquale della redenzione.
Questa restituzione non può venire meno: è fondamento della «nuova ed eterna alleanza» di Dio con l'uomo e dell'uomo con Dio.
Se venisse a mancare si dovrebbe mettere in causa sia l'eccellenza del sacrificio della redenzione, che pure fu perfetto e definitivo, sia il valore sacrificale della santa messa.
Pertanto l'eucaristia, essendo vero sacrificio, opera questa restituzione a Dio.
Ne consegue che il celebrante è, come ministro di quel sacrificio, l'autentico sacerdote, operante - in virtù del potere specifico della sacra ordinazione - l'atto sacrificale che riporta gli esseri a Dio.
Tutti coloro invece che partecipano all'eucaristia, senza sacrificare come lui, offrono con lui, in virtù del sacerdozio comune, i loro propri sacrifici spirituali, rappresentati dal pane e dal vino, sin dal momento della loro presentazione all'altare.
Questo atto liturgico, infatti, solennizzato da quasi tutte le liturgie, «ha il suo valore e il suo significato spirituale».29
Il pane e il vino diventano, in certo senso, simbolo di tutto ciò che l'assemblea eucaristica porta, da sé, in offerta a Dio, e offre in spirito.
È importante che questo primo momento della liturgia eucaristica, nel senso stretto, trovi la sua espressione nel comportamento dei partecipanti.
A ciò corrisponde la cosiddetta processione con i doni, prevista dalla recente riforma liturgica30 e accompagnata, secondo l'antica tradizione, da un salmo o un canto.
È necessario un certo spazio di tempo, affinché tutti possano prendere coscienza di quell'atto, espresso contemporaneamente dalle parole del celebrante.
La consapevolezza dell'atto di presentare le offerte dovrebbe essere mantenuta durante tutta la messa.
Anzi deve essere portata a pienezza al momento della consacrazione e dell'oblazione anamnetica, come esige il valore fondamentale del momento del sacrificio.
A dimostrare ciò servono le parole della preghiera eucaristica che il sacerdote pronunzia ad alta voce.
Sembra utile riprendere qui alcune espressioni della terza preghiera eucaristica, che manifestano particolarmente il carattere sacrificale dell'eucaristia e congiungono l'offerta delle nostre persone a quella di Cristo: «Guarda con amore e riconosci nell'offerta della tua Chiesa la vittima immolata per la nostra redenzione; e a noi, che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo, perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito.
Egli faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito».
Questo valore sacrificale viene già espresso in ogni celebrazione dalle parole con cui il sacerdote conclude la presentazione dei doni nel chiedere ai fedeli di pregare affinché «il mio e vostro sacrificio sia gradito a Dio Padre Onnipotente».
Tali parole hanno un valore impegnativo in quanto esprimono il carattere di tutta la liturgia eucaristica e la pienezza del suo contenuto sia divino che ecclesiale.
Tutti coloro che partecipano con fede all'eucaristia si rendono conto che essa è «sacrificium», cioé un'«offerta consacrata».
Infatti il pane e il vino, presenti all'altare e accompagnati dalla devozione e dai sacrifici spirituali dei partecipanti, sono finalmente consacrati, sì che diventano veramente, realmente e sostanzialmente il corpo dato e il sangue sparso di Cristo stesso.
Così, in virtù della consacrazione, le specie del pane e del vino, ripresentano,31 in modo sacramentale e incruento, il sacrificio cruento propiziatorio offerto da lui in croce al Padre per la salvezza del mondo.
Egli solo, infatti, donandosi come vittima propiziatrice in atto di suprema dedizione e immolazione, ha riconciliato l'umanità con il Padre, unicamente mediante il suo sacrificio, «annullando il documento scritto del nostro debito» ( Col 2,14 ).
A tale sacrificio sacramentale, quindi, le offerte del pane e del vino, unite alla devozione dei fedeli, portano un loro insostituibile contributo, poiché, con la consacrazione del sacerdote, diventano le sacre specie.
Ciò si fa palese nel comportamento del sacerdote durante la preghiera eucaristica, soprattutto durante la consacrazione e poi quando la celebrazione del santo sacrificio e la partecipazione ad esso sono accompagnate dalla consapevolezza che «il maestro è qui e ti chiama» ( Gv 11,28 ).
Questa chiamata del Signore, a noi rivolta mediante il suo sacrificio, apre i cuori, affinché - purificati nel mistero della nostra redenzione - si uniscano a lui nella comunione eucaristica, che conferisce alla partecipazione della messa un valore maturo, pieno, impegnativo dell'umana esistenza: «La Chiesa desidera che i fedeli non solo offrano la vittima immacolata, ma sappiano offrire anche se stessi e così perfezionino ogni giorno di più, per mezzo di Cristo mediatore, la loro unione con Dio e con i fratelli, perché finalmente Dio sia tutto in tutti».32
È pertanto necessario e conveniente che si continui a mettere in atto una nuova, intensa educazione per scoprire tutte le ricchezze che la nuova liturgia racchiude in sé.
Infatti il rinnovamento liturgico avvenuto dopo il Concilio Vaticano II ha dato al sacrificio eucaristico una, per così dire, maggiore visibilità.
Tra l'altro, vi contribuiscono le parole della preghiera eucaristica recitate dal celebrante ad alta voce e, in particolare, le parole della consacrazione con l'acclamazione dell'assemblea immediatamente dopo l'elevazione.
Se tutto ciò deve riempirci di gioia, dobbiamo anche ricordare che questi cambiamenti esigono una nuova coscienza e maturità spirituale, sia da parte del celebrante - soprattutto oggi che celebra «rivolto al popolo» - sia da parte dei fedeli.
Il culto eucaristico matura e cresce quando le parole della preghiera eucaristica, e specialmente quelle della consacrazione, sono pronunziate con grande umiltà e semplicità, in modo comprensibile, corrispondente alla loro santità, bello e degno; quando quest'atto essenziale della liturgia eucaristica è compiuto senza fretta; quando ci impegna a un tale raccoglimento e a una tale devozione, che i partecipanti avvertono la grandezza del mistero che si compie e lo manifestano col loro comportamento.
Indice |
23 | Ut Byzantina liturgia saeculi IX predicabat secundum omnium vetustissimum codicem, olim «Barberino di san Marco» appellatum (Florentiae, nunc in Bibliotheca Apostolica Vaticana asservatum, «Barberini greco» 336, f.8 vers., lin. 17-20, vulgatum in hac parte a F.E.Brightman, «Liturgies Eastern and Western», I. «Eastern Liturgies», Oxford 1896, p. 318,34-35 |
24 | «Collecta Missae Votivae de Ss.Eucharistia, B»: «Missale Romanum» |
25 | Dicimus enim «divinum Mysterium», «Sanctissimum» vel «Sacrosanctum», id est excellentissimum modum «Sacri» et «Sancti» proferimus. Orientales contra Ecclesiae nuncupant Missam «raza» sive «mystérion», «hagiasmós», «quddasa». «qedasse», scilicet praestantissimam formam «consecrationis». Ritusinsuper liturgiciaccedunt qui ad sacri excitandum sensum postulant ut sileatur, sttur, genua flectantur, ut fidei professio paragtur, ut incenso suffiantur Evangelium, ara, celebrans et ipsae Species sacrae. Immo vero ritus illi in adiutorium arcessunt angelos ad serviendum Deo Sancto creatos: in Ecclesiis nostris Latinis acclamatione «Sanctus», atque in Liturgiis Orientis acclamatione «Trisagion» et «Sancta sanctis» |
26 | Verbi causa in ipsa invitatione ad communionem hac fide in lumine ponuntur additicii aspectus praesentiae Christi Sancti: aspectus epiphaniae expressus a Byzantinis («Benedicts qui venit in nomine Domini: Dominus est Deus et apparuit nobis!»: «La divina Liturgia del santo nostro Padre Giovanni Crisostomo», Roma-Grottaferrata 1967, pp. 136ss); aspectus societatis et unitatis, decantatus ab Armenis («Unus Pater sanctus nobiscum, unus Filius sanctus nobiscum, unus Spiritus sanctus nobiscum»: «Die Anaphora des Heiligen Ignatius von Antiochien», übersetzt von A.Rücker, «Oriens Christianus», 3· ser., 5 [1930], p. 76); aspectus abditus et caelestis paredicatus a Chaldaeis ac Malabarensibus (cfr. «Hymnus antiphonarius», post communionem cantatus a sacerdote et fidelibus: F.E.Brightman, «Liturgies Eastern and Western», Oxford 1896, p. 299 |
27 | Sacrosanctum Concilium 2; Sacrosanctum Concilium 47; Lumen Gentium 3; Lumen Gentium 28; Unitatis Redintegratio 2; Presbyterorum Ordinis 13; Concilii Triden. Sessio XXII, capp. I et II: «una aedemque est hostia, idem nunc offerens sacerdotum ministerio, qui se ipsum tunc in cruce obtulit, sola offerendi ratione diversa» Concilii Triden. Sessio XXII, capp. I et II |
28 | Synodi Costantinopolitanae «Adversus Sotericum» (mensibus Ianuario 1156 et Maio 1157): Angelo Mai «Spicilegium romanum», t. X, Romae 1844, p. 77: PG 140,190; Martin Jugie «Dict. Théol. Cath.», t. X, 1338; «Theologia dogmatica christianorum orientalium», Paris 1930, pp. 317-320 |
29 | «Institutio Generalis Missalis Romani», 49; «Missale Romanum»; Presbyterorum Ordinis 5 |
30 | «Ordo Missae cum populo», 18: «Missale Romanum» |
31 | Concilii Trid. Sessio XXII, cap. 1 |
32 | «Institutio Generalis Messalis Romani», 55f: «Missale Romanum» |