Novo millennio ineunte

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Ripartire da Cristo

29 " Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo " ( Mt 28,20 ).

Questa certezza, carissimi Fratelli e Sorelle, ha accompagnato la Chiesa per due millenni, ed è stata ora ravvivata nei nostri cuori dalla celebrazione del Giubileo.

Da essa dobbiamo attingere un rinnovato slancio nella vita cristiana, facendone anzi la forza ispiratrice del nostro cammino.

È nella consapevolezza di questa presenza tra noi del Risorto che ci poniamo oggi la domanda rivolta a Pietro a Gerusalemme, subito dopo il suo discorso di Pentecoste: " Che cosa dobbiamo fare? " ( At 2,37 ).

Ci interroghiamo con fiducioso ottimismo, pur senza sottovalutare i problemi.

Non ci seduce certo la prospettiva ingenua che, di fronte alle grandi sfide del nostro tempo, possa esserci una formula magica.

No, non una formula ci salverà, ma una Persona, e la certezza che essa ci infonde: Io sono con voi!

Non si tratta, allora, di inventare un " nuovo programma ".

Il programma c'è già: è quello di sempre, raccolto dal Vangelo e dalla viva Tradizione.

Esso si incentra, in ultima analisi, in Cristo stesso, da conoscere, amare, imitare, per vivere in lui la vita trinitaria, e trasformare con lui la storia fino al suo compimento nella Gerusalemme celeste.

È un programma che non cambia col variare dei tempi e delle culture, anche se del tempo e della cultura tiene conto per un dialogo vero e una comunicazione efficace.

Questo programma di sempre è il nostro per il terzo millennio.

È necessario tuttavia che esso si traduca in orientamenti pastorali adatti alle condizioni di ciascuna comunità.

Il Giubileo ci ha offerto l'opportunità straordinaria di impegnarci, per alcuni anni, in un cammino unitario di tutta la Chiesa, un cammino di catechesi articolata sul tema trinitario e accompagnata da specifici impegni pastorali finalizzati a una feconda esperienza giubilare.

Ringrazio per l'adesione cordiale con cui è stata ampiamente accolta la proposta da me fatta nella Lettera apostolica Tertio millennio adveniente.

Ora non è più un traguardo immediato che si delinea davanti a noi, ma il più grande e impegnativo orizzonte della pastorale ordinaria.

Dentro le coordinate universali e irrinunciabili, è necessario che l'unico programma del Vangelo continui a calarsi, come da sempre avviene, nella storia di ciascuna realtà ecclesiale.

È nelle Chiese locali che si possono stabilire quei tratti programmatici concreti - obiettivi e metodi di lavoro, formazione e valorizzazione degli operatori, ricerca dei mezzi necessari - che consentono all'annuncio di Cristo di raggiungere le persone, plasmare le comunità, incidere in profondità mediante la testimonianza dei valori evangelici nella società e nella cultura.

Esorto, perciò, vivamente i Pastori delle Chiese particolari, aiutati dalla partecipazione delle diverse componenti del Popolo di Dio, a delineare con fiducia le tappe del cammino futuro, sintonizzando le scelte di ciascuna Comunità diocesana con quelle delle Chiese limitrofe e con quelle della Chiesa universale.

Tale sintonia sarà certamente facilitata dal lavoro collegiale, ormai divenuto abituale, che viene svolto dai Vescovi nelle Conferenze episcopali e nei Sinodi.

Non è forse stato questo anche il senso delle Assemblee continentali del Sinodo dei Vescovi, che hanno scandito la preparazione al Giubileo, elaborando linee significative per l'odierno annuncio del Vangelo nei molteplici contesti e nelle diverse culture?

Questo ricco patrimonio di riflessione non deve essere lasciato cadere, ma reso concretamente operativo.

È dunque un'entusiasmante opera di ripresa pastorale che ci attende.

Un'opera che ci coinvolge tutti.

Desidero tuttavia additare, a comune edificazione ed orientamento, alcune priorità pastorali, che l'esperienza stessa del Grande Giubileo ha fatto emergere con particolare forza al mio sguardo.

La santità

30 E in primo luogo non esito a dire che la prospettiva in cui deve porsi tutto il cammino pastorale è quella della santità.

Non era forse questo il senso ultimo dell'indulgenza giubilare, quale grazia speciale offerta da Cristo perché la vita di ciascun battezzato potesse purificarsi e rinnovarsi profondamente?

Mi auguro che, tra coloro che hanno partecipato al Giubileo, siano stati tanti a godere di tale grazia, con piena coscienza del suo carattere esigente.

Finito il Giubileo, ricomincia il cammino ordinario, ma additare la santità resta più che mai un'urgenza della pastorale.

Occorre allora riscoprire, in tutto il suo valore programmatico, il capitolo V della Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, dedicato alla " vocazione universale alla santità ".

Se i Padri conciliari diedero a questa tematica tanto risalto, non fu per conferire una sorta di tocco spirituale all'ecclesiologia, ma piuttosto per farne emergere una dinamica intrinseca e qualificante.

La riscoperta della Chiesa come " mistero ", ossia come popolo " adunato dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito ",15 non poteva non comportare anche la riscoperta della sua " santità ", intesa nel senso fondamentale dell'appartenenza a Colui che è per antonomasia il Santo, il " tre volte Santo " ( Is 6,3 ).

Professare la Chiesa come santa significa additare il suo volto di Sposa di Cristo, per la quale egli si è donato, proprio al fine di santificarla ( Ef 5,25-26 ).

Questo dono di santità, per così dire, oggettiva, è offerto a ciascun battezzato.

Ma il dono si traduce a sua volta in un compito, che deve governare l'intera esistenza cristiana: "Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione" ( 1 Ts 4,3 ).

È un impegno che non riguarda solo alcuni cristiani: "Tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità".16

31 Ricordare questa elementare verità, ponendola a fondamento della programmazione pastorale che ci vede impegnati all'inizio del nuovo millennio, potrebbe sembrare, di primo acchito, qualcosa di scarsamente operativo.

Si può forse " programmare " la santità?

Che cosa può significare questa parola, nella logica di un piano pastorale?

In realtà, porre la programmazione pastorale nel segno della santità è una scelta gravida di conseguenze.

Significa esprimere la convinzione che, se il Battesimo è un vero ingresso nella santità di Dio attraverso l'inserimento in Cristo e l'inabitazione del suo Spirito, sarebbe un controsenso accontentarsi di una vita mediocre, vissuta all'insegna di un'etica minimalistica e di una religiosità superficiale.

Chiedere a un catecumeno: " Vuoi ricevere il Battesimo? " significa al tempo stesso chiedergli: " Vuoi diventare santo? ".

Significa porre sulla sua strada il radicalismo del discorso della Montagna: " Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste " ( Mt 5,48 ).

Come il Concilio stesso ha spiegato, questo ideale di perfezione non va equivocato come se implicasse una sorta di vita straordinaria, praticabile solo da alcuni " geni " della santità.

Le vie della santità sono molteplici, e adatte alla vocazione di ciascuno.

Ringrazio il Signore che mi ha concesso di beatificare e canonizzare, in questi anni, tanti cristiani, e tra loro molti laici che si sono santificati nelle condizioni più ordinarie della vita.

È ora di riproporre a tutti con convinzione questa " misura alta " della vita cristiana ordinaria: tutta la vita della comunità ecclesiale e delle famiglie cristiane deve portare in questa direzione.

È però anche evidente che i percorsi della santità sono personali, ed esigono una vera e propria pedagogia della santità, che sia capace di adattarsi ai ritmi delle singole persone.

Essa dovrà integrare le ricchezze della proposta rivolta a tutti con le forme tradizionali di aiuto personale e di gruppo e con forme più recenti offerte nelle associazioni e nei movimenti riconosciuti dalla Chiesa.

La preghiera

32 Per questa pedagogia della santità c'è bisogno di un cristianesimo che si distingua innanzitutto nell'arte della preghiera.

L'Anno giubilare è stato un anno di più intensa preghiera, personale e comunitaria.

Ma sappiamo bene che anche la preghiera non va data per scontata.

È necessario imparare a pregare, quasi apprendendo sempre nuovamente quest'arte dalle labbra stesse del Maestro divino, come i primi discepoli: " Signore, insegnaci a pregare! " ( Lc 11,1 ).

Nella preghiera si sviluppa quel dialogo con Cristo che ci rende suoi intimi: " Rimanete in me e io in voi " ( Gv 15,4 ).

Questa reciprocità è la sostanza stessa, l'anima della vita cristiana ed è condizione di ogni autentica vita pastorale.

Realizzata in noi dallo Spirito Santo, essa ci apre, attraverso Cristo ed in Cristo, alla contemplazione del volto del Padre.

Imparare questa logica trinitaria della preghiera cristiana, vivendola pienamente innanzitutto nella liturgia, culmine e fonte della vita ecclesiale,17 ma anche nell'esperienza personale, è il segreto di un cristianesimo veramente vitale, che non ha motivo di temere il futuro, perché continuamente torna alle sorgenti e in esse si rigenera.

33 E non è forse un " segno dei tempi " che si registri oggi, nel mondo, nonostante gli ampi processi di secolarizzazione, una diffusa esigenza di spiritualità, che in gran parte si esprime proprio in un rinnovato bisogno di preghiera?

Anche le altre religioni, ormai ampiamente presenti nei Paesi di antica cristianizzazione, offrono le proprie risposte a questo bisogno, e lo fanno talvolta con modalità accattivanti.

Noi che abbiamo la grazia di credere in Cristo, rivelatore del Padre e Salvatore del mondo, abbiamo il dovere di mostrare a quali profondità possa portare il rapporto con lui.

La grande tradizione mistica della Chiesa, sia in Oriente che in Occidente, può dire molto a tal proposito.

Essa mostra come la preghiera possa progredire, quale vero e proprio dialogo d'amore, fino a rendere la persona umana totalmente posseduta dall'Amato divino, vibrante al tocco dello Spirito, filialmente abbandonata nel cuore del Padre.

Si fa allora l'esperienza viva della promessa di Cristo: " Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui " ( Gv 14,21 ).

Si tratta di un cammino interamente sostenuto dalla grazia, che chiede tuttavia forte impegno spirituale e conosce anche dolorose purificazioni ( la " notte oscura " ), ma approda, in diverse forme possibili, all'indicibile gioia vissuta dai mistici come " unione sponsale ".

Come dimenticare qui, tra tante luminose testimonianze, la dottrina di san Giovanni della Croce e di santa Teresa d'Avila?

Sì, carissimi Fratelli e Sorelle, le nostre comunità cristiane devono diventare autentiche " scuole " di preghiera, dove l'incontro con Cristo non si esprima soltanto in implorazione di aiuto, ma anche in rendimento di grazie, lode, adorazione, contemplazione, ascolto, ardore di affetti, fino ad un vero " invaghimento " del cuore.

Una preghiera intensa, dunque, che tuttavia non distoglie dall'impegno nella storia: aprendo il cuore all'amore di Dio, lo apre anche all'amore dei fratelli, e rende capaci di costruire la storia secondo il disegno di Dio.18

34 Certo alla preghiera sono in particolare chiamati quei fedeli che hanno avuto il dono della vocazione ad una vita di speciale consacrazione: questa li rende, per sua natura, più disponibili all'esperienza contemplativa, ed è importante che essi la coltivino con generoso impegno.

Ma ci si sbaglierebbe a pensare che i comuni cristiani si possano accontentare di una preghiera superficiale, incapace di riempire la loro vita.

Specie di fronte alle numerose prove che il mondo d'oggi pone alla fede, essi sarebbero non solo cristiani mediocri, ma " cristiani a rischio ".

Correrebbero, infatti, il rischio insidioso di veder progressivamente affievolita la loro fede, e magari finirebbero per cedere al fascino di " surrogati ", accogliendo proposte religiose alternative e indulgendo persino alle forme stravaganti della superstizione.

Occorre allora che l'educazione alla preghiera diventi in qualche modo un punto qualificante di ogni programmazione pastorale.

Io stesso mi sono orientato a dedicare le prossime catechesi del mercoledì alla riflessione sui Salmi, cominciando da quelli delle Lodi, con cui la preghiera pubblica della Chiesa ci invita a consacrare e orientare le nostre giornate.

Quanto gioverebbe che non solo nelle comunità religiose, ma anche in quelle parrocchiali, ci si adoperasse maggiormente perché tutto il clima fosse pervaso di preghiera.

Occorrerebbe valorizzare, col debito discernimento, le forme popolari, e soprattutto educare a quelle liturgiche.

Una giornata della comunità cristiana, in cui si coniughino insieme i molteplici impegni pastorali e di testimonianza nel mondo con la celebrazione eucaristica e magari con la recita di Lodi e Vespri, è forse più " pensabile " di quanto ordinariamente non si creda.

L'esperienza di tanti gruppi cristianamente impegnati, anche a forte componente laicale, lo dimostra.

L'Eucaristia domenicale

35 Il massimo impegno va posto dunque nella liturgia, " il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la sua virtù ".19

Nel secolo XX, specie dal Concilio in poi, molto è cresciuta la comunità cristiana nel modo di celebrare i Sacramenti e soprattutto l'Eucaristia.

Occorre insistere in questa direzione, dando particolare rilievo all'Eucaristia domenicale e alla stessa domenica, sentita come giorno speciale della fede, giorno del Signore risorto e del dono dello Spirito, vera Pasqua della settimana.20

Da duemila anni, il tempo cristiano è scandito dalla memoria di quel " primo giorno dopo il sabato " ( Mc 16,2.9; Lc 24,1; Gv 20,1 ), in cui Cristo risorto portò agli Apostoli il dono della pace e dello Spirito ( Gv 20,19-23 ).

La verità della risurrezione di Cristo è il dato originario su cui poggia la fede cristiana ( 1 Cor 15,14 ), evento che si colloca al centro del mistero del tempo, e prefigura l'ultimo giorno, quando Cristo ritornerà glorioso.

Non sappiamo quali eventi ci riserverà il millennio che sta iniziando, ma abbiamo la certezza che esso resterà saldamente nelle mani di Cristo, il " Re dei re e Signore dei signori " ( Ap 19,16 ), e proprio celebrando la sua Pasqua, non solo una volta all'anno, ma ogni domenica, la Chiesa continuerà ad additare ad ogni generazione " ciò che costituisce l'asse portante della storia, al quale si riconducono il mistero delle origini e quello del destino finale del mondo ".21

36 Vorrei pertanto insistere, nel solco della Dies Domini, perché la partecipazione all'Eucaristia sia veramente, per ogni battezzato, il cuore della domenica: un impegno irrinunciabile, da vivere non solo per assolvere a un precetto, ma come bisogno di una vita cristiana veramente consapevole e coerente.

Stiamo entrando in un millennio che si prefigura caratterizzato da un profondo intreccio di culture e religioni anche nei Paesi di antica cristianizzazione.

In molte regioni i cristiani sono, o stanno diventando, un " piccolo gregge " ( Lc 12,32 ).

Ciò li pone di fronte alla sfida di testimoniare con maggior forza, spesso in condizione di solitudine e di difficoltà, gli aspetti specifici della propria identità.

Il dovere della partecipazione eucaristica ogni domenica è uno di questi.

L'Eucaristia domenicale, raccogliendo settimanalmente i cristiani come famiglia di Dio intorno alla mensa della Parola e del Pane di vita, è anche l'antidoto più naturale alla dispersione.

Essa è il luogo privilegiato dove la comunione è costantemente annunciata e coltivata.

Proprio attraverso la partecipazione eucaristica, il giorno del Signore diventa anche il giorno della Chiesa,22 che può svolgere così in modo efficace il suo ruolo di sacramento di unità.

Il sacramento della Riconciliazione

37 Un rinnovato coraggio pastorale vengo poi a chiedere perché la quotidiana pedagogia delle comunità cristiane sappia proporre in modo suadente ed efficace la pratica del sacramento della Riconciliazione.

Come ricorderete, nel 1984 intervenni su questo tema con l'Esortazione post-sinodale Reconciliatio et paenitentia, che raccoglieva i frutti di riflessione di un'Assemblea del Sinodo dei Vescovi dedicata a questa problematica.

Invitavo allora a fare ogni sforzo per fronteggiare la crisi del " senso del peccato " che si registra nella cultura contemporanea,23 ma più ancora invitavo a far riscoprire Cristo come mysterium pietatis, colui nel quale Dio ci mostra il suo cuore compassionevole e ci riconcilia pienamente a sé.

È questo volto di Cristo che occorre far riscoprire anche attraverso il sacramento della Penitenza, che è per un cristiano " la via ordinaria per ottenere il perdono e la remissione dei suoi peccati gravi commessi dopo il Battesimo ".24

Quando il menzionato Sinodo affrontò il problema, stava sotto gli occhi di tutti la crisi del Sacramento, specialmente in alcune regioni del mondo.

I motivi che ne erano all'origine non sono svaniti in questo breve arco di tempo.

Ma l'Anno giubilare, che è stato particolarmente caratterizzato dal ricorso alla Penitenza sacramentale, ci ha offerto un messaggio incoraggiante, da non lasciar cadere: se molti, e tra essi anche tanti giovani, si sono accostati con frutto a questo Sacramento, probabilmente è necessario che i Pastori si armino di maggior fiducia, creatività e perseveranza nel presentarlo e farlo valorizzare.

Non dobbiamo arrenderci, carissimi Fratelli nel sacerdozio, di fronte a crisi temporanee!

I doni del Signore - e i Sacramenti sono tra i più preziosi - vengono da Colui che ben conosce il cuore dell'uomo ed è il Signore della storia.

Il primato della grazia

38 Impegnarci con maggior fiducia, nella programmazione che ci attende, ad una pastorale che dia tutto il suo spazio alla preghiera, personale e comunitaria, significa rispettare un principio essenziale della visione cristiana della vita: il primato della grazia.

C'è una tentazione che da sempre insidia ogni cammino spirituale e la stessa azione pastorale: quella di pensare che i risultati dipendano dalla nostra capacità di fare e di programmare.

Certo, Iddio ci chiede una reale collaborazione alla sua grazia, e dunque ci invita ad investire, nel nostro servizio alla causa del Regno, tutte le nostre risorse di intelligenza e di operatività.

Ma guai a dimenticare che " senza Cristo non possiamo far nulla " ( Gv 15,5 ).

La preghiera ci fa vivere appunto in questa verità.

Essa ci ricorda costantemente il primato di Cristo e, in rapporto a lui, il primato della vita interiore e della santità.

Quando questo principio non è rispettato, c'è da meravigliarsi se i progetti pastorali vanno incontro al fallimento e lasciano nell'animo un avvilente senso di frustrazione?

Facciamo allora l'esperienza dei discepoli nell'episodio evangelico della pesca miracolosa: " Abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla " ( Lc 5,5 ).

È quello il momento della fede, della preghiera, del dialogo con Dio, per aprire il cuore all'onda della grazia e consentire alla parola di Cristo di passare attraverso di noi con tutta la sua potenza: Duc in altum!

Fu Pietro, in quella pesca, a dire la parola della fede: " Sulla tua parola getterò le reti " ( Lc 5,5 ).

Consentite al Successore di Pietro, in questo inizio di millennio, di invitare tutta la Chiesa a questo atto di fede, che s'esprime in un rinnovato impegno di preghiera.

Ascolto della Parola

39 Non c'è dubbio che questo primato della santità e della preghiera non è concepibile che a partire da un rinnovato ascolto della parola di Dio.

Da quando il Concilio Vaticano II ha sottolineato il ruolo preminente della parola di Dio nella vita della Chiesa, certamente sono stati fatti grandi passi in avanti nell'ascolto assiduo e nella lettura attenta della Sacra Scrittura.

Ad essa si è assicurato l'onore che merita nella preghiera pubblica della Chiesa.

Ad essa i singoli e le comunità ricorrono ormai in larga misura, e tra gli stessi laici sono tanti che vi si dedicano anche con l'aiuto prezioso di studi teologici e biblici.

Soprattutto poi è l'opera dell'evangelizzazione e della catechesi che si sta rivitalizzando proprio nell'attenzione alla parola di Dio.

Occorre, carissimi Fratelli e Sorelle, consolidare e approfondire questa linea, anche mediante la diffusione nelle famiglie del libro della Bibbia.

In particolare è necessario che l'ascolto della Parola diventi un incontro vitale, nell'antica e sempre valida tradizione della lectio divina, che fa cogliere nel testo biblico la parola viva che interpella, orienta, plasma l'esistenza.

Annuncio della Parola

40 Nutrirci della Parola, per essere " servi della Parola " nell'impegno dell'evangelizzazione: questa è sicuramente una priorità per la Chiesa all'inizio del nuovo millennio.

È ormai tramontata, anche nei Paesi di antica evangelizzazione, la situazione di una " società cristiana ", che, pur tra le tante debolezze che sempre segnano l'umano, si rifaceva esplicitamente ai valori evangelici.

Oggi si deve affrontare con coraggio una situazione che si fa sempre più varia e impegnativa, nel contesto della globalizzazione e del nuovo e mutevole intreccio di popoli e culture che la caratterizza.

Ho tante volte ripetuto in questi anni l'appello della nuova evangelizzazione.

Lo ribadisco ora, soprattutto per indicare che occorre riaccendere in noi lo slancio delle origini, lasciandoci pervadere dall'ardore della predicazione apostolica seguita alla Pentecoste.

Dobbiamo rivivere in noi il sentimento infuocato di Paolo, il quale esclamava: " Guai a me se non predicassi il Vangelo! " ( 1 Cor 9,16 ).

Questa passione non mancherà di suscitare nella Chiesa una nuova missionarietà, che non potrà essere demandata ad una porzione di " specialisti ", ma dovrà coinvolgere la responsabilità di tutti i membri del Popolo di Dio.

Chi ha incontrato veramente Cristo, non può tenerselo per sé, deve annunciarlo.

Occorre un nuovo slancio apostolico che sia vissuto quale impegno quotidiano delle comunità e dei gruppi cristiani.

Ciò tuttavia avverrà nel rispetto dovuto al cammino sempre diversificato di ciascuna persona e nell'attenzione per le diverse culture in cui il messaggio cristiano deve essere calato, così che gli specifici valori di ogni popolo non siano rinnegati, ma purificati e portati alla loro pienezza.

Il cristianesimo del terzo millennio dovrà rispondere sempre meglio a questa esigenza di inculturazione.

Restando pienamente se stesso, nella totale fedeltà all'annuncio evangelico e alla tradizione ecclesiale, esso porterà anche il volto delle tante culture e dei tanti popoli in cui è accolto e radicato.

Della bellezza di questo volto pluriforme della Chiesa abbiamo particolarmente goduto nell'Anno giubilare.

È forse solo un inizio, un'icona appena abbozzata del futuro che lo Spirito di Dio ci prepara.

La proposta di Cristo va fatta a tutti con fiducia.

Ci si rivolgerà agli adulti, alle famiglie, ai giovani, ai bambini, senza mai nascondere le esigenze più radicali del messaggio evangelico, ma venendo incontro alle esigenze di ciascuno quanto a sensibilità e linguaggio, secondo l'esempio di Paolo, il quale affermava: " Mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno " ( 1 Cor 9,22 ).

Nel raccomandare tutto questo, penso in particolare alla pastorale giovanile.

Proprio per quanto riguarda i giovani, come poc'anzi ho ricordato, il Giubileo ci ha offerto una testimonianza di generosa disponibilità.

Dobbiamo saper valorizzare quella risposta consolante, investendo quell'entusiasmo come un nuovo " talento " ( Mt 25,15 ) che il Signore ci ha messo nelle mani perché lo facciamo fruttificare.

41 Ci sostenga ed orienti, in questa " missionarietà " fiduciosa, intraprendente, creativa, l'esempio fulgido dei tanti testimoni della fede che il Giubileo ci ha fatto rievocare.

La Chiesa ha trovato sempre, nei suoi martiri, un seme di vita.

Sanguis martyrum - semen christianorum:25 questa celebre " legge " enunciata da Tertulliano, si è dimostrata sempre vera alla prova della storia.

Non sarà così anche per il secolo, per il millennio che stiamo iniziando?

Eravamo forse troppo abituati a pensare ai martiri in termini un po' lontani, quasi si trattasse di una categoria del passato, legata soprattutto ai primi secoli dell'era cristiana.

La memoria giubilare ci ha aperto uno scenario sorprendente, mostrandoci il nostro tempo particolarmente ricco di testimoni, che in un modo o nell'altro, hanno saputo vivere il Vangelo in situazioni di ostilità e persecuzione, spesso fino a dare la prova suprema del sangue.

In loro la parola di Dio, seminata in buon terreno, ha portato il centuplo ( Mt 13,8.23 ).

Con il loro esempio ci hanno additato e quasi spianato la strada del futuro.

A noi non resta che metterci, con la grazia di Dio, sulle loro orme.

Indice

15 S. Cipriano, De Orat. Dom. 23: PL 4, 553;
Lumen Gentium 4
16 Lumen Gentium 40
17 Sacrosanctum Concilium 10
18 Congr. per la Dottrina della Fede, Lett. su alcuni aspetti della meditazione cristiana Orationis formas (15 ottobre 1989): AAS 82 (1990), 362-379
19 Sacrosanctum Concilium 10
20 Giovanni Paolo II, Dies Domini 19
21 Giovanni Paolo II, Dies Domini 2
22 Giovanni Paolo II, Dies Domini 35
23 Giovanni Paolo II, Reconciliatio et paenitentia 18
24 Giovanni Paolo II, Reconciliatio et paenitentia 31
25 Tertulliano, Apol., 50,13: PL 1, 534