Giornata Missionaria mondiale 1984
Fratelli e sorelle carissimi!
« Il sangue dei martiri è seme di cristiani » ( Tertulliano, Apologeticus, 50 ).
Durante il mio recente viaggio apostolico in Estremo Oriente ho avuto la gioia di canonizzare centotré confessori della fede cattolica che, evangelizzando la Corea con l'annuncio del messaggio di Cristo, hanno avuto il privilegio di attestare col supremo olocausto della loro vita terrena la certezza della vita eterna nel Signore risorto.
Tale circostanza mi ha suggerito alcune riflessioni che desidero sottoporre all'attenzione di tutti i fedeli per la prossima Giornata missionaria mondiale.
In realtà, le Lettere e gli Atti degli apostoli confermano che è una grazia speciale quella di poter soffrire « pro nomine Iesu ».
Leggiamo ad esempio come gli apostoli « se ne andarono … lieti di essere oltraggiati per l'amore del nome di Gesù » ( At 5,41 ), in perfetta aderenza a quanto il Redentore aveva proclamato nel discorso della montagna: « Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e mentendo diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.
Rallegratevi ed esultate … » ( Mt 5,11 ).
Cristo stesso ha attuato la sua opera redentrice dell'umanità soprattutto attraverso la passione dolorosa e il martirio più atroce, additando altresì la via ai suoi seguaci: « Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua » ( Mt 10,24 ).
L'amore passa quindi, inevitabilmente, attraverso la croce e in questa esso diviene creativo e sorgente inesauribile di forza redentiva.
« Voi sapete » scrive san Pietro « che non a prezzo di cose corruttibili come l'argento e l'oro foste liberati dalla vostra vuota condotta ereditata dai vostri padri, ma col sangue prezioso di Cristo come di agnello senza difetto e senza macchia » ( 1 Pt 1,18-19; cfr. 1 Cor 6, 20 ).
Lo abbiamo meditato profondamente, questo mistero straordinario dell'amore divino, nell'Anno Santo della Redenzione da poco concluso.
Lo hanno meditato e vissuto nell'intimo del loro cuore milioni di fedeli, molti dei quali accorsi a Roma a rinnovare la loro professione di fede sulle tombe degli apostoli, che per primi hanno condiviso il martirio del Maestro.
Fede che già trova una sua prima attestazione ai piedi della croce nelle parole del centurione e di coloro che facevano la guardia a Gesù: « Davvero costui era Figlio di Dio » ( Mt 27,54 ).
Da quell'evento cruciale per la storia umana gli apostoli e i loro successori hanno continuato, nel corso dei secoli, ad annunziare la morte e la risurrezione di Cristo, unico nostro Salvatore: « In nessun altro c'è salvezza; non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati » ( At 4,12 ).
Ma è stata in modo particolare la testimonianza della sofferenza fino all'estremo limite, offerta sia da Cristo come dai suoi seguaci, che ha aperto la mente e il cuore degli uomini alla conversione al Vangelo: testimonianza di amore supremo; difatti « nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici » ( Gv 15,13 ).
Ed è questa la testimonianza che schiere di martiri e di confessori hanno sofferto nel tempo, rendendo possibile con il loro sacrificio e la loro immolazione il sorgere e il fiorire delle varie Chiese - come quella coreana cui accennavo all'inizio - e fecondando col loro sangue nuove terre per trasformarle in campi ubertosi del Vangelo; infatti « se il chicco di grano caduto in terra non muore rimane solo; se invece muore produce molto frutto » ( Gv 12,24 ).
Questi eroi della fede hanno ben compreso e attuato il concetto fondamentale - da me espresso nella lettera sul senso cristiano della sofferenza umana - secondo il quale se Cristo ha operato la redenzione dell'umanità con la croce e ha sofferto al posto dell'uomo e per l'uomo, ogni uomo « è chiamato a partecipare a quella sofferenza per mezzo della quale ogni umana sofferenza è stata anche redenta.
Operando la redenzione mediante la sofferenza Cristo ha elevato insieme la sofferenza umana a livello di redenzione.
Quindi anche ogni uomo, nella sua sofferenza, può diventare partecipe della sofferenza redentiva di Cristo » ( Ioannis Pauli PP. II, Salvifici Doloris, 19 ).
Mi sembra risultino evidenti le implicazioni missionarie di quanto ho esposto.
Vorrei pertanto, in questo Messaggio per la Giornata missionaria 1984, esortare vivamente tutti i fedeli a valorizzare il dolore nelle sue molteplici forme, unendolo al sacrificio della croce per l'evangelizzazione, cioè per la redenzione di quanti ancora non conoscono il Cristo.
Sono ancora milioni i fratelli che non conoscono il Vangelo e non godono degli immensi tesori del cuore del Redentore.
Per loro il dolore non ha spiegazione sufficiente; è l'assurdo più opprimente e inesplicabile che contrasta tragicamente con l'aspirazione dell'uomo alla felicità totale.
Soltanto la croce di Cristo proietta un raggio di luce su questo mistero; soltanto nella croce l'uomo può trovare una valida risposta all'angoscioso interrogativo che scaturisce dall'esperienza del dolore.
I santi lo hanno compreso profondamente e hanno accettato, e talvolta anche desiderato ardentemente, di essere associati alla passione del Signore, facendo proprie le parole dell'apostolo: « Completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo in favore del suo corpo che è la Chiesa » ( Col 1, 24 ).
Invito pertanto tutti i fedeli che soffrono - e nessuno rimane esente dal dolore - a dare questo significato apostolico e missionario alle loro sofferenze.
San Francesco Saverio, patrono delle missioni, nel suo zelo di evangelizzatore, diretto a portare il nome di Gesù fino ai confini della terra, non ha esitato ad affrontare ogni sorta di fatiche: fame, freddo, naufragi, persecuzioni, malattie; solo la morte ha interrotto la sua corsa.
Santa Teresa di Gesù Bambino, patrona delle missioni, prigioniera di amore nel Carmelo di Lisieux, avrebbe voluto percorrere il mondo intero per piantare la croce di Cristo in ogni luogo.
« Vorrei - ella scrive - essere missionaria non soltanto per qualche anno, ma vorrei esserlo stata fin dalla creazione del mondo ed esserlo fino alla consumazione dei secoli » ( S. Teresa di Gesù Babmbino, Storia di un'anima, Manoscritto B, f. 3r ).
E ha concretizzato l'universalità e l'apostolicità dei suoi desideri nella sofferenza chiesta a Dio e nell'offerta preziosa di se stessa quale vittima volontaria all'amore misericordioso.
Sofferenza che raggiunse il culmine e insieme il più alto grado di fecondità apostolica nel martirio dello spirito, nel travaglio dell'oscurità della fede, offerto eroicamente per ottenere la luce della fede a tanti fratelli ancora immersi nelle tenebre.
La Chiesa, additandoci questi due fulgidi modelli, ci invita non solo alla riflessione ma anche all'imitazione.
Possiamo pertanto collaborare attivamente alla dilatazione del regno di Cristo e allo sviluppo del suo corpo mistico in una triplice direzione:
- imparando a dare alla nostra propria sofferenza il suo scopo più autentico, che si radica nel dinamismo della partecipazione della Chiesa all'opera redentrice di Cristo;
- invitando i nostri fratelli sofferenti nello spirito e nel corpo a comprendere questa dimensione apostolica del dolore e a valorizzare conseguentemente le loro prove, le loro pene, in senso missionario;
- facendo nostro, con carità inesauribile, il dolore che quotidianamente colpisce tanta parte dell'umanità, travagliata dalle malattie, dalla fame, dalle persecuzioni, privata dei fondamentali e inalienabili diritti, quali la libertà; umanità dolente, nella quale si deve discernere il volto di Cristo, « uomo dei dolori », e che noi dobbiamo cercare di alleviare come meglio ci è possibile.
Questo programma, ampio e completo, richiede in tutti i fedeli una generosa disponibilità.
Desidero proporlo a tutti i cristiani, ricordando nuovamente come ogni battezzato è e deve essere, sia pure in diversa misura e maniera, missionario ( cfr. Ad Gentes, 36; Codex Iuris Canonici, can. 781 ).
Lo affido in modo speciale alle Pontificie opere missionarie, che sono lo strumento privilegiato del dinamismo missionario della Chiesa e che non solo nella specifica Giornata mondiale, ma nel corso di tutto l'anno devono promuovere lo spirito missionario, elemento non già marginale ma essenziale della natura del corpo mistico.
L'opera della Propagazione della fede, l'Opera di san Pietro apostolo per i seminari e le vocazioni sacerdotali e religiose nelle terre di missione, l'Opera della santa infanzia, l'Unione missionaria dei sacerdoti, religiosi, religiose e istituti secolari, costituiscono altrettanti strumenti, collaudati da decenni di esperienze, per la promozione missionaria nei diversi settori.
So bene come queste benemerite opere, oltre a raccogliere i mezzi economici offerti dalla generosità dei fedeli - mezzi indispensabili per la realizzazione di chiese, seminari, scuole, asili, ospedali - attuino un'intensa opera di animazione missionaria.
Anche la valorizzazione della sofferenza a scopo missionario, che ho voluto proporre alla speciale considerazione di tutto il popolo di Dio per la Giornata missionaria 1984, costituisce una delle più nobili espressioni del loro apostolato che ha suscitato pronta adesione tra gli ammalati, gli anziani, gli abbandonati, gli emarginati, come anche tra i carcerati.
Ma bisogna fare di più.
Sono tante, infatti, le - sofferenze umane che non hanno ancora trovato la loro sublime finalità e il loro sbocco apostolico, dal quale può derivare un bene immenso per il progresso dell'evangelizzazione, per la dilatazione del corpo mistico di Cristo.
È questa la forma forse più alta di cooperazione missionaria, poiché essa raggiunge la sua massima efficacia proprio nell'unione delle sofferenze degli uomini con il sacrificio di Cristo sul Calvario, rinnovato incessantemente sugli altari.
Carissimi fratelli e sorelle, che soffrite nell'anima e nel corpo, sappiate che la Chiesa fa affidamento su di voi, il Papa conta su di voi perché il nome di Gesù sia proclamato fino ai confini della terra.
Vorrei ancora ricordare quanto ho scritto nella lettera sul senso cristiano della sofferenza umana: « Il Vangelo della sofferenza viene scritto incessantemente, e incessantemente parla con le parole di questo strano paradosso: le sorgenti della forza divina sgorgano proprio in mezzo all'umana debolezza.
Coloro che partecipano alle sofferenze di Cristo conservano nelle proprie sofferenze una specialissima particella dell'infinito tesoro della redenzione del mondo, e possono condividere questo tesoro con gli altri.
Quanto più l'uomo è minacciato dal peccato, quanto più pesanti sono le strutture del peccato che porta in sé il mondo d'oggi, tanto più grande è l'eloquenza che la sofferenza umana in sé possiede.
E tanto più la Chiesa sente il bisogno di ricorrere al valore delle sofferenze umane per la salvezza del mondo » ( Ioannis Pauli PP. II, Salvifici Doloris, 27 ).
Maria, « Regina martyrum » e « Regina apostolorum », risvegli in tutti il desiderio di essere associati alla passione di Cristo redentore universale.
In questa domenica di Pentecoste, che deve essere vissuta in spirito missionario da tutta la Chiesa, sono lieto di impartire la mia speciale benedizione apostolica a quanti, direttamente o indirettamente, spendono le loro energie e i loro dolori per comunicare all'umanità la luce del Vangelo.
Dal Vaticano, 10 giugno, Solennità di Pentecoste, dell'anno 1984 sesto di Pontificato.
Ioannes Paulus PP. II