22 maggio 1966
A Voi, Lavoratori, il Nostro saluto!
A voi, che Ci rappresentate i vostri fratelli di fede e di lavoro di tutto il mondo, la Nostra affettuosa accoglienza!
Siate i benvenuti!
Siate fiduciosi di essere qui ricevuti come figli cari e fedeli!
Come Lavoratori ben degni di portare le divise delle vostre fatiche e l'espressione delle vostre speranze al Papa, al Vicario visibile del Redentore del mondo, del vostro Divino Collega, il figlio del fabbro, Nostro Signore Gesù Cristo!
Perché siete venuti così numerosi da tanti diversi Paesi?
Perché voi avete buona memoria; una memoria che si è trasmessa da alcune generazioni e che ricorda il 75° anniversario d'una grande parola, qui pronunciata, una parola magistrale, direttiva, liberatrice e profetica, del Nostro Predecessore d'immortale grandezza, Papa Leone XIII, circa la vostra sorte, circa la « questione degli operai », come allora si diceva, la questione sociale nascente dalle nuove ideologie e dalle nuove forme della produzione industriale e dell'economia moderna.
Voi la ricordate quella parola; anzi tanto ne sapete valutare l'importanza, che col passare degli anni la sentite più forte e più vostra, veramente decisiva e orientatrice, e volentieri riconoscete che essa è stata una sorgente meravigliosa di pensiero e di azione; una sorgente, che ha generato una tradizione di dottrina, non solo nel mondo, ma qui, qui stesso, dando origine ad una serie di documenti pontifici di altissimo valore, quali l'Enciclica di Papa Pio XI « Quadragesimo anno », i Messaggi sociali di Papa Pio XII, l'Enciclica « Mater et Magistra » di Papa Giovanni XXIII.
Voi comprendete benissimo che per camminare occorre la luce, per promuovere un progresso sociale occorre una dottrina - un'ideologia, come oggi si dice -; è il pensiero che guida la vita; e se il pensiero riflette la verità - la verità sull'uomo, sul mondo, sulla storia, su le cose - allora il cammino può procedere franco e spedito; se no, il cammino si fa o lento, o incerto, o duro, o aberrante.
E comprendete che qui, da questa scuola, ch'è la Chiesa cattolica, da questa cattedra, ch'è il Magistero pontificio, viene la verità, che serve e salva l'uomo.
Qui il Maestro della umanità, Cristo Signore, ci fa prima discepoli, e poi uomini sicuri e liberi, capaci di marciare sulle vie del vero progresso.
La vostra venuta pertanto assume ai Nostri occhi il duplice significato d'un atto di riconoscenza e di una tacita interrogazione.
Voi venite per ringraziare quel Papa ormai lontano, ma sempre ricordato e benefico; e professate fede, e convinzione, e impegno, e speranza in quella sua parola; e qui, donde essa partì, voi gli dite che quella parola, la « Rerum novarum », era vera e buona, ed è ancora viva ed operante; il tempo non l'ha esaurita, ma collaudata, tanto che voi la sentite ancora così attuale e feconda da derivarne coraggio per quei nuovi sviluppi dell'ordine sociale, a cui il mondo del lavoro è interessato.
Di codesto atto di gratitudine e di fiducia, degno di uomini intelligenti e di figli fedeli, Noi vi ringraziamo, carissimi Lavoratori.
E poi Ci pare di sorprendere in fondo ai vostri animi una discreta domanda, quasi il bisogno di verificare quale eco abbia in questa sede quella parola di settantacinque anni fa.
Risuona ancora?
Ha tuttora lo stesso accento d'autorità, di profezia e d'amicizia?
Sì, Lavoratori carissimi; se voi tendete l'orecchio, cioè fate attenzione a quanto oggi la Chiesa insegna, e fa per la vostra causa, sentirete che l'eco è fedele, anzi si è fatta voce più esplicita e più varia di motivi e di applicazioni.
Tutto è stato detto e scritto in proposito; questa stessa celebrazione ha avuto ed avrà testimonianze autorevoli d'ogni genere circa la persistenza e lo sviluppo degli insegnamenti pontifici, provenienti dalla Enciclica leoniana; non solo una letteratura in proposito è scaturita e continua a produrre pagine meritevoli di considerazione e di divulgazione, ma si è formato un corpo di dottrine, interessanti l'economia, la sociologia, il diritto, l'etica, la storia, tutta la cultura in una parola, degne di prendere il nome di scuola sociale cristiana.
Se volessimo ridurre, a titolo di esempio e a ricordo di quest'ora significativa, in alcune proposizioni elementari l'eco della celebre Enciclica, Noi potremmo enunciare, fra gli altri, questi semplici, ma fondamentali assiomi:
La Chiesa si è interessata a fondo della questione sociale.
Nessuno la può rimproverare di assenza, di timidezza, di superficialità, d'incostanza.
Essa ha sentito il grido di dolore del proletariato operaio, non solo, lo ha fatto proprio, non come fomite di odio e di vendetta, ma come esigenza di amore e di giustizia; e ancora prima di occuparsi degli altrui bisogni e degli altrui diritti, ha francamente riconosciuto il proprio nuovo dovere, che la storia delle vicende umane le poneva davanti: curarsi del mondo operaio, mettersi a fianco degli indifesi, e cercare con loro e per loro migliori condizioni di vita.
La Chiesa ha proclamato la dignità del lavoro, qualunque fosse, purché onesto, e vi ha tessuto meravigliosi ragionamenti.
S'è parlato perfino d'una « teologia del lavoro » ( cfr. Chenu ), tanto nel pensiero della Chiesa l'attività umana, anche manuale ed esecutiva, è stata riconosciuta nelle sue più umane e più misteriose implicazioni.
E del Lavoratore, della sua persona, della sua singola e numerica unità sperduta nella folla ( che la Chiesa non chiama « massa », ma popolo ), della sua coscienza, della sua libertà, dei suoi inalienabili e sacrosanti diritti al pane, alla famiglia, all'educazione, alla speranza spirituale, alla professione religiosa, che cosa non ha detto e proclamato la Chiesa?
Chi più di essa ha avuto stima, rispetto, cura, amore della vostra personalità, Lavoratori che Ci ascoltate?
La Chiesa ha fatto proprio, non solo nella dottrina speculativa ( come sempre fu, da quando risuonò il messaggio evangelico, che proclamò beati coloro che hanno fame e sete di giustizia ), ma anche nell'insegnamento pratico il principio del progresso della giustizia sociale ( cfr. Summa Theol. II-IIæ, 58, 5 ) e cioè della necessità di promuovere l'attuazione del bene comune, riformando la norma legale vigente, quando essa non tenga conto sufficientemente dell'equa distribuzione dei vantaggi e dei pesi del vivere sociale ( cfr. Jarlot, Doctrine pontificale et histoire, p. 178 ).
Oltre il concetto di giustizia statica, sancita dal diritto positivo, e tutrice d'un dato ordine legale, un altro concetto di giustizia dinamica, derivato dalle esigenze del diritto naturale, il concetto di giustizia sociale è reso operante nello sviluppo dell'umana convivenza.
La Chiesa non ha temuto di scendere dalla sfera religiosa sua propria a quella delle condizioni concrete della vita sociale.
Come il Samaritano della parabola evangelica, la Chiesa scese dalla sua cavalcatura, cioè dall'ambito puramente cultuale, e si fece ministra di carità, non pur individuale, ma sociale.
Si è curvata sul campo economico; ha parlato dei rapporti fra capitale e lavoro, si è pronunciata sul contratto di lavoro, sul salario, sull'assistenza, sul diritto familiare, sulla proprietà privata, sul risparmio, su cento questioni pratiche essenzialmente collegate con le oneste e legittime necessità della vita.
La sua carità si è armata di esigenze progressive, che chiamò umane e cristiane, e perciò giuste.
Vagliò aspirazioni e interessi delle classi meno abbienti, e non esitò a cavarne, con sapienza e con prudenza, ma altresì con coraggio antiveggente, nuovi diritti da soddisfare; ispirò ed ispira tuttora una legislazione contraria al privilegio e all'egoismo, e protettiva dei deboli, degli umili, dei diseredati.
Anzi: intimò allo Stato d'intervenire, non per assorbire diritti e funzioni, che spettano in una libera società ai cittadini, sia singoli che associati, ma per proteggere la libertà e l'eguaglianza dei cittadini stessi, e per assumere in proprio l'esercizio di quelle attività che solo l'autorità pubblica può svolgere con migliore garanzia del bene comune.
La Chiesa riconobbe il diritto di associazione sindacale, lo difese, lo promosse, superando una certa preferenza teorica e storica per le forme corporative e per le associazioni miste; intravide non solo la forza del numero, che il fatto associativo doveva portare in una società orientata verso la democrazia, ma altresì la fecondità dell'ordine nuovo, che poteva scaturire dall'organizzazione operaia:
la coscienza del lavoratore,
della sua dignità e della sua posizione nel concerto sociale,
il senso di disciplina e di solidarietà,
lo stimolo al perfezionamento professionale e culturale,
la capacità di partecipare al ciclo produttivo, non più come semplice strumento esecutivo, ma per qualche grado anche come elemento corresponsabile e cointeressato, e così via.
E poi un sesto assioma, quello più discusso e difficile.
La Chiesa non aderì e non può aderire ai movimenti sociali, ideologici e politici, che, traendo la loro origine e la loro forza dal marxismo, ne hanno conservato i principi e i metodi negativi, per la concezione incompleta, propria del marxismo radicale, e perciò falsa, dell'uomo, della storia, del mondo.
L'ateismo, ch'esso professa e promuove, non è in favore della concezione scientifica del cosmo e della civiltà, ma è una cecità, che l'uomo e la società alla fine scontano con le conseguenze più gravi.
Il materialismo, che ne deriva, espone l'uomo ad esperienze e a tentazioni sommamente nocive; spegne la sua autentica spiritualità e la sua trascendente speranza.
La lotta di classe, eretta a sistema, vulnera e impedisce la pace sociale; e sbocca fatalmente nella violenza e nella sopraffazione, portando all'abolizione della libertà, e conduce poi all'instaurazione d'un sistema pesantemente autoritario e tendenzialmente totalitario.
Con questo la Chiesa non lascia cadere nessuna delle istanze vòlte alla giustizia e al progresso della classe lavoratrice; e sia ancora affermato che la Chiesa, rettificando questi errori e queste deviazioni, non esclude dal suo amore qualsiasi uomo e qualsiasi lavoratore.
Cose note, dunque, anche per una esperienza storica in atto, che non consente illusioni; ma cose dolorose, per la pressione ideologica e pratica, ch'esse esercitano proprio nel mondo del lavoro, di cui pretendono interpretare le aspirazioni e promuovere le rivendicazioni, generando così grandi difficoltà e grandi divisioni.
Non ne vogliamo ora discutere, se non per ricordare che quella stessa parola, alla quale voi, Lavoratori Cristiani, oggi rendete testimonianza di onore e di riconoscenza, è quella che ci ammonisce a non mettere la nostra fiducia in ideologie errate e pericolose, e che ci invita piuttosto ad un'altra considerazione, che Noi poniamo alla fine di queste sintetiche osservazioni.
E sia il Nostro settimo assioma, quale risulta a gran voce dall'Enciclica « Rerum novarum » e da quelle che la seguirono.
Ed è l'indispensabile funzione che la religione ha nella promozione del progresso sociale e nella soluzione della famosa e ricorrente questione sociale.
Non è funzione puramente strumentale, ma, diremmo, trasfiguratrice per i principi, le energie, i conforti, le speranze, che la religione - diciamo quella vera, quella fortunatamente nostra, quella cristiana - infonde in tutto il mondo del lavoro.
Cristo, voi lo sapete, induce un'esperienza di Sé, della vita, della società, delle cose, del tempo, della giustizia e dell'amore, che non ha paragone, non ha definizione, se non quella della beatitudine da lui annunciata ai poveri, ai piangenti, ai perseguitati, agli onesti, agli affamati di giustizia e di amore.
Ebbene, Lavoratori carissimi, a Cristo Noi vi affidiamo.
A Cristo Noi vi esortiamo, come a luce della vostra coscienza individuale e come a centro del movimento di Lavoratori Cristiani, al quale voi volete oggi dare dimensioni mondiali, e di cui Noi siamo lieti e fieri di salutare l'istituzione e di dare il Nostro paterno e fiducioso incoraggiamento.
E affinché non vi manchi la sicurezza che Cristo vi attende, che Cristo vi accoglie, che Cristo vi unisce, che Cristo vi fortifica e vi santifica, sia su di voi dell'umile suo Vicario la Benedizione Apostolica.