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Il Vaticano II ha rivolto una rinnovata attenzione al sacerdozio comune dei fedeli.
L'espressione « sacerdozio comune » e la realtà che racchiude hanno profonde radici bibliche ( cf. per esempio, Es 19,6; Is 61,6, 1 Pt 2,5.9; Rm 12,1; Ap 1,6; Ap 5,9-10 ) e sono state ampiamente commentate dai Padri della Chiesa ( Origene, San Giovanni Crisostomo, Sant'Agostino … ).
Tuttavia quest'espressione era quasi scomparsa dal vocabolario della teologia cattolica, a causa dell'uso antigerarchico che ne avevano fatto i Riformatori.
Conviene però ricordare a questo punto che il Catechismo Romano vi allude esplicitamente.
La Lumen Gentium riserva uno spazio notevole alla categoria di « sacerdozio comune dei fedeli », riferito ora alle persone dei battezzati propriamente dette ( Lumen Gentium, n. 10 ), ora alla comunità o alla Chiesa che nel suo insieme è detta « sacerdotale » ( Lumen Gentium, n. 11 ).
Il Concilio ricorre d'altra parte all'espressione « sacerdozio ministeriale o gerarchico » ( Lumen Gentium, n. 10 ) per indicare « il ministero sacro esercitato [ nella Chiesa, dai vescovi e dai sacerdoti ] per il bene dei loro fratelli » ( Lumen Gentium, n. 13 ).
Benché non figuri direttamente ed esplicitamente nel Nuovo Testamento, questa designazione, a partire dal III secolo, viene usata costantemente nella Tradizione.
Il Concilio Vaticano II vi ricorre abitualmente, mentre il Sinodo dei Vescovi del 1971 le dedica un documento specifico.
Il Concilio connette il sacerdozio comune dei fedeli con il sacramento del battesimo, indicando anche che un tale sacerdozio ha, per il cristiano, il contenuto e la finalità di « offrire, mediante tutte le opere, spirituali sacrifici » ( Lumen Gentium, n. 10 ), o ancora che si tratta, come già precisava San Paolo, « di offrire i propri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio » ( Rm 12,1 ).
La vita cristiana è dunque vista come una lode offerta a Dio e come un culto di Dio realizzato da ogni persona e da tutta la Chiesa.
La santa liturgia ( Sacrosanctum Concilium, n. 7 ), la testimonianza della fede e l'annuncio del Vangelo ( Lumen Gentium, n. 10 ), partendo dal senso soprannaturale della fede di cui sono partecipi tutti i fedeli ( cf. Lumen Gentium, n. 12 ), costituiscono l'espressione di tale sacerdozio.
Questo si realizza concretamente nella vita quotidiana del battezzato, allorché l'esistenza stessa diventa offerta di sé inserendosi nel mistero pasquale di Cristo.
Il sacerdozio comune dei fedeli ( o dei battezzati ) fa risaltare con chiarezza la profonda unità tra il culto liturgico e il culto spirituale e concreto della vita quotidiana.
Dobbiamo del pari sottolineare qui che un tale sacerdozio può essere inteso soltanto come partecipazione al sacerdozio di Cristo: nessuna lode sale verso il Padre se non attraverso la mediazione di Cristo, unico Mediatore; il che implica l'azione sacramentale di Cristo.
Nell'economia cristiana, infatti, l'offerta della vita si realizza pienamente solo grazie ai sacramenti e in maniera particolarissima grazie all'Eucaristia.
Non sono forse i sacramenti simultaneamente sorgente della grazia ed espressione dell'offerta cultuale?
Avendo ridato, in un certo qual modo, il suo pieno significato all'espressione « sacerdozio comune dei fedeli », il Concilio Vaticano II si è interrogato per conoscere i reciproci rapporti tra il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico.
L'uno e l'altro trovano, indubbiamente, il proprio fondamento e la propria sorgente nell'unico sacerdozio di Cristo.
« Questo, [ infatti ], è partecipato sotto forme diverse, sia dai ministri, sia dal popolo fedele » ( Lumen Gentium, n. 62; cf. n. 10 ).
L'uno e l'altro si esprimono, nella Chiesa, attraverso la relazione sacramentale con la persona, la vita e l'azione santificanti di Cristo.
Per il pieno sviluppo della vita nella Chiesa, corpo di Cristo, il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico non possono che essere complementari o « ordinati l'uno all'altro », così però, che dal punto di vista della finalità della vita cristiana e del suo compimento, il primato spetta al sacerdozio comune, anche se, dal punto di vista dell'organicità visibile della Chiesa e dell'efficacia sacramentale, la priorità spetta al sacerdozio ministeriale.
La Lumen Gentium ha definito questi rapporti al n. 10: « Il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l'uno all'altro; infatti l'uno e l'altro, ognuno a suo proprio modo, partecipano all'unico sacerdozio di Cristo.
Il sacerdozio ministeriale, con la potestà sacra di cui è investito, forma e regge il popolo sacerdotale, compie il sacrificio eucaristico in persona di Cristo e lo offre a Dio a nome di tutto il popolo; i fedeli, in virtù del regale loro sacerdozio, concorrono all'oblazione dell'Eucaristia, ed esercitano il sacerdozio con la partecipazione ai sacramenti, con la preghiera e il ringraziamento, con la testimonianza di una vita santa, con l'abnegazione e l'operosa carità ».
Come indica il testo ora citato, è mediante la realtà sacramentale presente nella vita della Chiesa, realtà che si esprime in modo del tutto particolare nell'Eucaristia, che da un punto di vista teologico, si possono stabilire le relazioni tra le due forme di sacerdozio e la loro connessione.
I sacramenti, lo abbiamo già rilevato, sono nello stesso tempo sorgente della grazia ed espressione dell'offerta spirituale di tutta la vita.
Ora, il culto liturgico della Chiesa, nel quale una tale offerta raggiunge la propria pienezza, può realizzarsi solo quando la comunità è presieduta da un soggetto che può agire in persona Christi.
Questa condizione, ed essa sola, dà pienezza al « culto spirituale », inserendolo nell'offerta e nello stesso sacrificio del Figlio.
« Attraverso il ministero dei presbiteri il sacrificio spirituale dei fedeli viene reso perfetto, perché viene unito al sacrificio di Cristo, unico Mediatore; questo sacrificio, infatti, per mano dei presbiteri e in nome di tutta la Chiesa, viene offerto nell'Eucaristia in modo incruento e sacramentale, fino al giorno della venuta del Signore.
A ciò tende e in ciò trova la sua perfetta realizzazione il ministero dei presbiteri.
Infatti il loro servizio, che comincia con l'annuncio del Vangelo, deriva la propria forza e la propria efficacia dal sacrificio di Cristo, e ha come scopo che "tutta la città redenta, cioè la riunione e società dei santi, si offra a Dio come sacrificio universale per mezzo del gran sacerdote, il quale ha anche offerto se stesso per noi nella sua passione, per farci diventare corpo di così eccelso capo" ( Sant'Agostino, De Civ. Dei 10, 6 ) » ( Presbyterorum Ordinis, n. 2 ).
Poiché sono originati da un'unica sorgente, il sacerdozio di Cristo, e in definitiva hanno un unico fine, l'offerta del Corpo di tutto il Cristo, il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale dei vescovi e dei presbiteri sono dunque strettamente correlati.
Tanto che Sant'Ignazio d'Antiochia sostiene che senza vescovi, senza presbiteri e senza diaconi, non si può neppure parlare di Chiesa ( cf. Ad Troll., III, 1 ).
La Chiesa esiste solo come Chiesa strutturata e quest'affermazione vale anche quando si adopera la categoria di « popolo di Dio », che sarebbe erroneo identificare col solo laicato, prescindendo dai vescovi e dai sacerdoti.
E ancora, « il senso soprannaturale della fede » riguarda « tutto il popolo, quando dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici esprime l'universale suo consenso in materia di fede e di costumi » ( Lumen Gentium, n. 12 ).
A questo punto quindi non si può più opporre il senso della fede del popolo di Dio al magistero gerarchico della Chiesa, prescindendo dai vescovi e dai presbiteri.
Il senso della fede, al quale il Concilio rende testimonianza e che è suscitato e sorretto dallo Spirito di verità », riceve la Parola di Dio in maniera autentica unicamente sotto la guida del sacro magistero ( cf. Lumen Gentium, n. 12 ).
All'interno dell'unico nuovo popolo di Dio, sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale dei vescovi e dei presbiteri sono inscindibili.
Il sacerdozio comune raggiunge la pienezza del proprio valore ecclesiale grazie al sacerdozio ministeriale, mentre quest'ultimo esiste unicamente in vista dell'esercizio del sacerdozio comune.
Vescovi e presbiteri sono indispensabili alla vita della Chiesa e dei battezzati, ma essi pure sono chiamati a vivere in pienezza il medesimo sacerdozio comune, e, a tale titolo, necessitano del sacerdozio ministeriale.
« Per voi io sono vescovo, con voi sono cristiano », dice Sant'Agostino ( Sermo 340,1 ).
Ordinati l'uno all'altro, il sacerdozio comune di tutti i fedeli e il sacerdozio ministeriale dei vescovi e dei presbiteri presentano tra loro una differenza essenziale ( differenza che non è dunque solo di grado ), a causa del loro fine.
Operando in persona Christi, il vescovo e il presbitero lo rendono presente di fronte al popolo; nello stesso tempo, il vescovo e il presbitero rappresentano anche tutto il popolo davanti al Padre.
Certo, ci sono atti sacramentali la cui validità dipende dal fatto che chi li celebra ha, in virtù della propria ordinazione, la facoltà di agire in persona Christi o « nell'ufficio di Cristo ».
Non ci si può tuttavia accontentare di tale osservazione per legittimare l'esistenza del ministero ordinato nella Chiesa.
Esso appartiene alla struttura essenziale della Chiesa e quindi alla sua immagine e alla sua visibilità.
La struttura essenziale della Chiesa come pure la sua immagine comportano una dimensione « verticale », segno e strumento dell'iniziativa e della preveggenza divine nell'economia cristiana.
La riflessione sin qui condotta si rivela utile per spiegare alcune disposizioni del nuovo Codice di Diritto Canonico relative al sacerdozio comune dei fedeli.
Nella linea del numero 31 della Lumen Gentium, il can. 204, § 1 collega il battesimo con la partecipazione dei cristiani alla funzione sacerdotale, profetica e regale di Cristo: « I fedeli sono coloro che, essendo stati incorporati a Cristo mediante il Battesimo, sono costituiti popolo di Dio e perciò, resi partecipi nel modo loro proprio dell'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, sono chiamati ad attuare, secondo la condizione giuridica propria di ciascuno, la missione che Dio ha affidato alla Chiesa da compiere nel mondo ».
Nello spirito della missione che i laici svolgono nella Chiesa e nel mondo, missione che è quella di tutto il popolo di Dio, i can. 228, §1 e can. 230, § 1 e 3 prevedono l'ammissione di laici a incarichi e uffici ecclesiastici; per esempio ai ministeri di lettore, di accolito e altri ( cf. can. 861, § 2; can. 910, § 2; can 1112 ).
Sarebbe però un abuso ritenere che tali autorizzazioni determinino un essere indifferenziato tra gli uffici rispettivi dei vescovi, dei presbiteri, dei diaconi e quelli dei laici.
Il compito del laico negli incarichi e negli uffici ecclesiastici, contemplati nei canoni sopracitati, è certamente del tutto legittimo e si dimostra del resto assolutamente necessario in determinate situazioni; non può però possedere nella sua pienezza il valore di segno ecclesiale che risiede nei ministeri ordinati, in virtù della loro peculiare qualità di rappresentanti sacramentali di Cristo.
L'apertura ai laici di incarichi e uffici ecclesiastici non dovrebbe avere l'effetto di offuscare il segno visibile della Chiesa, popolo di Dio gerarchicamente ordinato, che ha inizio da Cristo Capo.
Questa medesima apertura non dovrebbe neppure portarci a dimenticare che i laici hanno, nell'insieme della missione della Chiesa che essi condividono con tutti gli altri fedeli, una vocazione propria, come una propria vocazione hanno anche i vescovi, i presbiteri, i diaconi o, a un livello diverso, i religiosi e le religiose.
Come ha stabilito il Concilio al numero 31 della Lumen Gentium: « Per loro vocazione è proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio.
Essi vivono nel secolo, cioè implicati in tutti i singoli impieghi e affari del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale, di cui la loro esistenza è come intessuta.
Ivi sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall'interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo mediante l'esercizio della loro funzione propria e sotto la guida dello spirito evangelico, e in questo modo, a rendere visibile Cristo agli altri, principalmente con la testimonianza della loro vita e col fulgore della fede, della speranza e della carità ».
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