Mos iugiter
È consuetudine costante nella Chiesa come scrive Paolo VI nel m.p. Firma in traditione che « i fedeli, spinti dal loro senso religioso ed ecclesiale, vogliano unire, per una più attiva partecipazione alla celebrazione eucaristica, un loro personale concorso, contribuendo così alle necessità della Chiesa e particolarmente al sostentamento dei suoi ministri ».
Anticamente questo concorso consisteva prevalentemente in doni in natura; ai nostri tempi è diventato quasi esclusivamente pecuniario.
Ma le motivazioni e le finalità dell'offerta dei fedeli sono rimaste uguali e sono state sancite anche nel nuovo Codice di diritto canonico ( cf. can. 945 § 1; can. 946 ).
Poiché la materia tocca direttamente l'augusto sacramento, ogni anche minima parvenza di lucro o di simonia causerebbe scandalo.
Perciò la Santa Sede ha sempre seguito con attenzione l'evolversi di questa pia tradizione, intervenendo opportunamente per curarne gli adattamenti alle mutate situazioni sociali e culturali, al fine di prevenire o di correggere, ove occorresse, eventuali abusi connessi a tali adattamenti ( cf. CIC can. 947 e can 1385 ).
Ora in questi ultimi tempi, molti vescovi si sono rivolti alla Santa Sede per avere chiarimenti in merito alla celebrazione di sante messe per intenzioni chiamate « collettive », secondo una prassi abbastanza recente.
È vero che da sempre i fedeli, specialmente in regioni economicamente depresse, sogliono portare al sacerdote offerte modeste, senza chiedere espressamente che per ciascuna di queste venga celebrata una singola santa messa secondo una particolare intenzione.
In tali casi è lecito unire le diverse offerte per celebrare tante sante messe, quante corrispondono alla tassa diocesana.
I fedeli poi sono sempre liberi di unire le loro intenzioni e offerte per la celebrazione di una sola santa messa per tali intenzioni.
Ben diverso è il caso di quei sacerdoti i quali, raccogliendo indistintamente le offerte dei fedeli destinate alla celebrazione di sante messe secondo intenzioni particolari, le cumulano in un'unica offerta e vi soddisfano con un'unica santa messa, celebrata secondo un'intenzione detta appunto « collettiva ».
Gli argomenti a favore di questa nuova prassi sono speciosi e pretestuosi, quando non riflettano anche un'errata ecclesiologia.
In ogni modo questo uso può comportare il rischio grave di non soddisfare un obbligo di giustizia nei confronti dei donatori delle offerte, ed estendendosi, di estenuare progressivamente e di estinguere del tutto nel popolo cristiano la sensibilità e la coscienza per la motivazione e le finalità dell'offerta per la celebrazione del santo sacrificio secondo intenzioni particolari, privando peraltro i sacri ministri che vivono ancora di queste offerte, di un mezzo necessario di sostentamento e sottraendo a molte chiese particolari le risorse per la loro attività apostolica.
Pertanto, in esecuzione del mandato ricevuto dal Sommo Pontefice, la Congregazione per il Clero, nelle cui competenze rientra la disciplina di questa delicata materia, ha svolto un'ampia consultazione, sentendo anche il parere delle conferenze episcopali.
Dopo attento esame delle risposte e dei vari aspetti del complesso problema, in collaborazione con gli altri Dicasteri interessati, la medesima Congregazione ha stabilito quanto segue:
A norma del can. 948 devono essere applicate « messe distinte secondo le intenzioni di coloro per i quali singolarmente l'offerta data, anche se esigua, è stata accettata ».
Perciò il sacerdote che accetta l'offerta per la celebrazione di una santa messa per un'intenzione particolare è tenuto per giustizia a soddisfare personalmente l'obbligo assunto ( cf. CIC can. 949 ), oppure a commetterne l'adempimento ad altro sacerdote, alle condizioni stabilite dal diritto ( cf. CIC cann. 954-955 ).
§ 2. Contravvengono pertanto a questa norma e si assumono la relativa responsabilità morale i sacerdoti che raccolgono indistintamente offerte per la celebrazione di messe secondo particolari intenzioni e, cumulandole in un'unica offerta all'insaputa degli offerenti, vi soddisfano con un'unica santa messa celebrata secondo un'intenzione detta « collettiva ».
Nel caso in cui gli offerenti, previamente ed esplicitamente avvertiti, consentano liberamente che le loro offerte siano cumulate con altre in un'unica offerta, si può soddisfarvi con una sola santa messa, celebrata secondo un'unica intenzione « collettiva ».
§ 2. In questo caso è necessario che sia pubblicamente indicato il giorno, il luogo e l'orario in cui tale santa messa sarà celebrata, non più di due volte per settimana.
§ 3. I pastori nelle cui diocesi si verificano questi casi, si rendano conto che questo uso, che costituisce un'eccezione alla vigente legge canonica, qualora si allargasse eccessivamente anche in base a idee errate sul significato delle offerte per le sante messe deve essere ritenuto un abuso e potrebbe ingenerare progressivamente nei fedeli la desuetudine di offrire l'obolo per la celebrazione di sante messe secondo intenzioni singole, estinguendo un'antichissima consuetudine salutare per le singole anime e per tutta la Chiesa.
Nel caso di cui all'art. 2 § 1, al celebrante è lecito trattenere la sola elemosina stabilita nella diocesi ( cf. CIC can. 950 ).
§ 2. La somma residua eccedente tale offerta sarà consegnata all'ordinario di cui al can. 951 § 1, che la destinerà ai fini stabiliti dal diritto ( cf. CIC can. 946 ).
Specialmente nei santuari e nei luoghi di pellegrinaggio, dove abitualmente affluiscono numerose offerte per la celebrazione di messe, i rettori, con obbligo di coscienza, devono attentamente vigilare che vengano accuratamente applicate le norme della legge universale in materia ( cf. principalmente CIC cann. 954-956 ) e quelle del presente decreto.
I sacerdoti che ricevono offerte per intenzioni particolari di sante messe in grande numero, per esempio in occasione della commemorazione dei fedeli defunti o di altra particolare ricorrenza, non potendovi soddisfare personalmente entro un anno (cf. CIC can. 953 ), invece di respingerle, frustrando la pia volontà degli offerenti e distogliendoli dal buon proposito, devono trasmetterle ad altri sacerdoti ( cf. CIC can. 955 ) oppure al proprio ordinario ( cf. CIC can. 956 ).
§ 2. Se in tali o simili circostanze si configura quanto è descritto nell'art. 2 § 1 di questo decreto, i sacerdoti devono attenersi alle disposizioni dell'art. 3.
Ai vescovi diocesani particolarmente incombe il dovere di far conoscere con prontezza e con chiarezza queste norme, valide sia per il clero secolare che religioso, e curarne l'osservanza.
Occorre però che anche i fedeli siano istruiti in questa materia, mediante una catechesi specifica, i cui cardini sono:
a) l'alto significato teologico dell'offerta data al sacerdote per la celebrazione del sacrificio eucaristico, al fine soprattutto di prevenire il pericolo di scandalo per la parvenza di un commercio con il sacro;
b) l'importanza ascetica dell'elemosina nella vita cristiana, insegnata da Gesù stesso, di cui l'offerta per la celebrazione di sante messe è una forma eccellente;
c) la condivisione dei beni, per cui mediante l'offerta di intenzioni di messe i fedeli concorrono al sostentamento dei ministri sacri e alla realizzazione di attività apostoliche della Chiesa.
Il Sommo Pontefice, in data 22 gennaio 1991 ha approvato in forma specifica le norme del presente decreto e ne ha ordinato la promulgazione e l'entrata in vigore.
Roma, dal palazzo della Congregazione per il clero, 22 febbraio 1991.
Antonio card. Innocenti Prefetto
+ Gilberto Agustoni Arciv. tit. di Caorle Segretario