Principi e norme per la liturgia delle ore |
253. Nella celebrazione della Liturgia delle Ore, come in tutte le altre azioni liturgiche, « ciascuno, ministro o semplice fedele, svolgendo il proprio ufficio, si limiti a compiere tutto e soltanto ciò che, secondo la natura del rito e le norme liturgiche, è di sua competenza ». ( SC 28 )
254. Se presiede il vescovo, specialmente nella chiesa cattedrale, sia circondato dal suo presbiterio e dai ministri con la partecipazione plenaria e attiva del popolo.
In qualunque celebrazione con il popolo, di norma, presieda il sacerdote o il diacono, e vi siano anche i ministri.
255. Il sacerdote o il diacono che presiede la celebrazione, può indossare la stola sopra il camice o la cotta; il sacerdote anche il piviale.
Nulla vieta inoltre che nelle maggiori solennità più sacerdoti indossino il piviale e i diaconi la dalmatica.
256. È compito del sacerdote o del diacono che presiede dare inizio, dalla sua sede, all'Ufficio con il versetto d'introduzione; iniziare la preghiera del Signore; recitare l'orazione conclusiva; salutare il popolo, benedirlo e congedarlo.
257. Può recitare le preci o il sacerdote o il ministro.
258. In mancanza del sacerdote o del diacono, colui che presiede l'Ufficio è soltanto uno tra uguali; non entra in presbiterio, non saluta, né benedice il popolo.
259. Coloro che adempiono l'ufficio di lettore proclamano le letture, sia lunghe che brevi, stando in piedi e nel luogo adatto.
260. L'intonazione delle antifone, dei salmi e degli altri canti venga fatta da un cantore o dai cantori.
Per quanto riguarda la salmodia, si osservino le norme date sopra, ai nn. 121-125.
261. Mentre si esegue alle Lodi mattutine e ai Vespri il cantico evangelico, si può incensare l'altare e poi anche il sacerdote e il popolo.
262. L'obbligo del coro riguarda la comunità, non il luogo della celebrazione, che non è necessariamente la chiesa, soprattutto se si tratta di quelle Ore che si celebrano senza solennità.
263. Tutti i partecipanti stanno in piedi:
a) all'introduzione dell'Ufficio divino e ai versetti d'introduzione di ogni Ora;
b) all'inno;
c) al cantico evangelico;
d) mentre si dicono le preci, la preghiera del Signore e l'orazione conclusiva.
264. Tutti ascoltano le letture stando seduti, fatta eccezione per il Vangelo.
265. Mentre si dicono i salmi e gli altri cantici con le loro antifone, l'assemblea sta o seduta o in piedi, secondo le consuetudini.
266. Tutti si segnano col segno della croce dalla fronte al petto e dalla spalla sinistra alla destra:
a) all'inizio delle Ore, quando si dice: « O Dio, vieni a salvarmi »;
b) all'inizio dei cantici tratti dal Vangelo: Benedictus, Magnificat, Nunc dimittis.
Tutti si segnano sulle labbra all'inizio dell'Invitatorio, alle parole « Signore, apri le mie labbra ».
267. Nelle rubriche e nelle norme del presente documento, le espressioni « dire », « recitare » e simili, si possono riferire o al canto o al parlato, secondo i principi qui sotto indicati.
268. « La celebrazione in canto dell'Ufficio divino è la forma più consona alla natura di questa preghiera ed è segno di una maggiore solennità e di una più profonda unione dei cuori nel celebrare la lode di Dio.
Questa forma è vivamente raccomandata a coloro che celebrano l'Ufficio divino in coro o in comune ». ( MS 37; cf SC 99 )
269. Quello che il Concilio Vaticano II afferma riguardo al canto liturgico ( Cf SC 113 ) vale per ogni azione liturgica, ma principalmente per la Liturgia delle Ore.
Sebbene infatti tutte e singole le parti siano state rinnovate in modo che si possano recitare con frutto anche individualmente, tuttavia molte di esse, e specialmente i salmi, i cantici, gli inni, i responsori, sono di genere lirico e perciò non esprimono pienamente il loro senso se non con il canto.
270. Nella celebrazione della Liturgia delle Ore il canto, dunque, non si deve considerare come un certo ornamento che si aggiunge alla preghiera quasi dall'esterno, ma piuttosto come qualcosa che scaturisce dal profondo dell'anima che prega e loda Dio, e manifesta in modo pieno e perfetto il carattere comunitario del culto cristiano.
Sono quindi degne di lode le assemblee cristiane di qualsiasi genere che si sforzano di praticare più spesso possibile questa forma di preghiera.
A questo scopo si devono istruire con la dovuta catechesi e con l'esercizio sia i chierici che i religiosi come pure i fedeli, affinché siano in grado di cantare con gaudio dello spirito le Ore, specialmente nei giorni festivi.
Siccome però non è facile celebrare in canto l'intero Ufficio e d'altra parte la lode della Chiesa non è riservata, né per la sua origine, né per la sua natura, ai chierici o ai monaci, ma appartiene a tutta la comunità cristiana, si devono tener presenti simultaneamente diversi principi, perché la celebrazione in canto della Liturgia delle Ore si possa svolgere bene e splenda per autenticità e decoro.
271. Prima di tutto conviene che si ricorra al canto almeno nelle domeniche e nelle feste, ponendo così in risalto, nella misura in cui si adotta, i vari gradi di solennità.
272. Così pure, poiché non tutte le Ore sono della medesima importanza, conviene che anche mediante il canto si dia maggior rilievo a quelle che sono veramente i cardini dell'Ufficio, cioè le Lodi mattutine e i Vespri.
273. Inoltre, anche se la celebrazione tutta in canto è la più raccomandabile sempre, purché naturalmente si distingua per arte e devozione, tuttavia in vari casi si potrà seguire utilmente il criterio della gradualità, anzitutto, come è ovvio, per motivi pratici, ma poi anche perché in questa maniera sarà più facile corredare le singole componenti di quelle forme di canto che garantiscano loro il genuino significato nativo e la funzione autentica, evitando di livellarle tutte su un medesimo stampo.
In tal modo la Liturgia delle Ore non apparirà più come un bel monumento dell'età passata, da conservare intatto per l'ammirazione degli intenditori, ma rivivrà in forme nuove, si affermerà sempre più e diverrà segno e testimonianza di comunità piene di vita e di freschezza.
Il principio della solennizzazione progressiva è quello che ammette vari gradi intermedi tra l'Ufficio cantato integralmente e la semplice recita di tutte le parti.
Questo criterio offre una grande e gradevole varietà di soluzioni.
Nell'applicarlo si deve tener conto delle caratteristiche del giorno e dell'Ora che si celebra, della natura dei singoli elementi che costituiscono l'Ufficio, delle proporzioni e del tipo della comunità, come pure del numero dei cantori disponibili in tali circostanze.
Per questa maggiore varietà di forme, la lode pubblica della Chiesa, si potrà celebrare in canto più frequentemente che prima e godrà di un'adattabilità più estesa alle diverse circostanze.
Anzi c'è da sperare davvero che si possano trovare sempre nuove vie e nuove maniere rispondenti alla nostra epoca, come del resto è sempre avvenuto anche in passato nella vita della Chiesa.
274. Nelle azioni liturgiche che si celebrano in canto e in lingua latina, il canto gregoriano, in quanto proprio della Liturgia Romana, abbia, a parità di condizioni, i primo posto. ( Cf SC 116 )
Tuttavia « la Chiesa non esclude dalle azioni liturgiche nessun genere di musica sacra, purché corrisponda allo spirito dell'azione liturgica e alla natura delle singole parti e non impedisca una doverosa attiva partecipazione del popolo ». ( MS 9; cf SC 116 )
Nell'Ufficio cantato, se manca la melodia per l'antifona proposta, si prenda un'altra antifona tra quelle che si trovano nel repertorio, purché sia adatta a norma dei n. 113 e nn. 121-125.
275. Poiché la Liturgia delle Ore si può celebrare in lingua moderna, « si ponga uno speciale impegno nel preparare le melodie da usarsi nel canto dell'Ufficio divino in lingua viva ». ( MS 41; cf nn. 54-61 )
276. Nulla vieta, però, che in una medesima celebrazione si cantino alcune parti in una lingua e altre in un'altra. ( MS 51 )
277. Quali siano le parti alle quali dare eventualmente la precedenza e la preferenza del canto si deduce dalle genuine esigenze della celebrazione liturgica, che vuole il pieno rispetto del significato e della natura di ciascuna componente e del canto medesimo.
Vi sono, infatti, formule che richiedono il canto per loro stessa natura. ( Cf MS 6 )
Tali sono prima di tutto le acclamazioni, le risposte ai saluti del sacerdote e dei ministri e le risposte alle preci litaniche, e inoltre le antifone e i salmi, come pure i versetti intercalari o ritornelli, gli inni e i cantici. ( Cf MS 16a, n. 38 )
278. È risaputo che i salmi ( cf nn. 103-120 ) sono strettamente connessi con la musica; lo dimostra la tradizione sia giudaica che cristiana.
In verità alla piena comprensione di molti salmi contribuisce non poco il fatto che essi vengano cantati o almeno siano sempre considerati in questa luce poetica e musicale.
Pertanto, se è possibile, è da preferirsi questa forma, almeno nei giorni e nelle Ore principali, e secondo il carattere proprio dei salmi.
279. I diversi modi di eseguire la salmodia sono descritti sopra, ai nn. 121-123.
La loro varietà non deve essere dettata tanto da circostanze esterne, quanto piuttosto, dal diverso genere di quei salmi che ricorrono nella medesima celebrazione.
Secondo questo criterio i salmi sapienziali e storici si prestano forse meglio a essere ascoltati, mentre, al contrario, quelli di lode e di rendimento di grazie comportano per sé il canto in comune.
Quel che conta più di tutto è che la celebrazione non si leghi a schemi rigidi e artificiosi, non obbedisca solo a norme puramente formali, ma risponda allo spirito autentico dell'azione che si compie.
Il primo scopo da raggiungere è infatti quello di formare gli animi all'amore per la preghiera genuina della Chiesa e di rendere gioiosa la celebrazione della lode di Dio ( cf Sal 146 ).
280. Gli inni possono alimentare la preghiera anche di chi recita le Ore, se davvero si distinguono per dottrina e arte; tuttavia per sé sono destinati al canto.
Pertanto si raccomanda che nella celebrazione comunitaria siano eseguiti, per quanto è possibile, in questa forma.
281. Il responsorio breve dopo la lettura alle Lodi mattutine e ai Vespri, di cui al n. 49, di per sé è destinato al canto, e precisamente al canto del popolo.
282. Anche i responsori dell'Ufficio delle letture, per il loro carattere e la loro funzione richiedono il canto.
Tuttavia, nella struttura dell'Ufficio, sono stati composti in modo da mantenere il loro valore anche nella recita individuale e privata.
Si potrà usare più frequentemente il canto per quelli che sono corredati da melodie più semplici e più facili, che non per altri pur provenienti da fonti liturgiche.
283. Le letture, sia lunghe che brevi, per sé non sono destinate al canto.
Nella proclamazione si deve usare ogni impegno per eseguirle in una forma decorosa, con una pronunzia chiara e distinta e insomma per fare in modo che tutti possano ascoltarle e comprenderle bene.
Di conseguenza l'unica forma accettabile per le letture è quella che facilita l'ascolto delle parole e la comprensione del testo.
284. I testi assegnati a chi presiede, come sono le orazioni, non escludono un certo tono cantato, purché ovviamente sia confacente e decoroso.
Ciò sarà possibile specialmente nella lingua latina.
Più difficile, invece, sarà in alcune lingue moderne, a meno che il canto usato non permetta di far percepire meglio a tutti le parole del testo.
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