29 novembre 1979

Comunità Cattolica di Ankara

Cari Fratelli e Figli, Cari amici!

1. È una grande gioia per me, successore di Pietro nel Collegio Apostolico e nella sede di Roma, rivolgermi oggi a voi con le parole stesse che San Pietro indirizzava diciannove secoli fa ai cristiani che si trovavano allora, come oggi, in piccola minoranza in queste terre, "sparsi e ospiti nelle regioni del Ponto, della Galizia, della Cappadocia … la grazia e la pace abbondino su tutti voi" ( 1 Pt 1,12 ).

Come Pietro, vorrei innanzitutto rendere grazie per la speranza viva che è in voi e che viene dal Cristo risorto; vorrei esortare ciascuno di voi ad essere riconoscente a Dio e fermo nella fede, come "figli di obbedienza", mantenendo pure le vostre anime nell'obbedienza alla verità, in una fratellanza sincera, con un comportamento onorevole in mezzo alle genti, affinché vedendo le vostre opere buone glorifichino Dio ( cf. 1 Pt 1,3.14.22; 1 Pt 2,12 ).

L'Apostolo si preoccupava anche di ricordare la lealtà verso le autorità civili: "Comportatevi come uomini liberi, non servendovi della libertà come di un velo per coprire la malizia, ma come servitori di Dio" ( cf. 1 Pt 2,16 ).

Sì, vorrei invitarvi a considerare come particolarmente vostra questa lettera scritta a coloro che vi hanno preceduti su queste terre, a leggerla attentamente, a meditarne ogni affermazione.

In questo momento, attiro la vostra attenzione su una delle sue esortazioni: "Siate pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi.

Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza" ( 1 Pt 3,15-16 ).

2. Queste parole sono la regola d'oro per i rapporti e i contatti, che il cristiano deve avere con i suoi concittadini di fede diversa.

Oggi voi, cristiani residenti qui in Turchia, avete la sorte di vivere nel quadro di uno Stato moderno, che prevede per tutti la libera espressione della fede senza identificarsi con nessuna, e con persone che nella grande maggioranza, pur non condividendo la fede cristiana, si dichiarano "obbedienti a Dio", "sottomessi a Dio", anzi "servi di Dio", secondo le loro stesse parole, che coincidono con quelle di San Pietro già citate ( cf. 1 Pt 2,16 ); essi, dunque, condividono con voi la fede di Abramo nel Dio unico, onnipotente e misericordioso.

Voi sapete che il Concilio Vaticano II si è pronunciato apertamente su questo argomento, e io stesso nella mia prima enciclica Redemptor Hominis ho ricordato "la stima che il Concilio ha espresso verso i credenti dell'Islam, la cui fede si riferisce anche ad Abramo" ( Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis, 11 ).

Permettetemi di ricordare qui con voi quelle parole della Dichiarazione conciliare Nostra Aetate: "La Chiesa guarda con stima i musulmani che adorano ( "insieme con noi", si legge in un altro testo del Concilio, la Costituzione Lumen Gentium [ n. 16 ] ) il Dio unico, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini; essi si sforzano di sottomettersi con tutto il cuore ai suoi decreti anche misteriosi, come si è sottomesso Abramo, al quale la fede islamica si riferisce volentieri.

Venerano Gesù come profeta, pur non riconoscendolo Dio, onorano la sua Madre verginale, Maria, che talvolta invocano devotamente.

E attendono il giorno del giudizio, quando Dio darà la ricompensa a tutti gli uomini risuscitati.

E per questo tengono in onore la vita morale e si rivolgono a Dio moltissimo, con la preghiera, le elemosine e il digiuno" ( Nostra Aetate, 3 ).

È col pensiero rivolto ai vostri concittadini, dunque, ma anche al vasto mondo islamico, che io esprimo di nuovo, oggi, la stima della Chiesa cattolica per questi valori religiosi.

3. Miei fratelli, quando penso a questo patrimonio spirituale e al valore che esso ha per l'uomo e per la società, alla sua capacità di offrire soprattutto ai giovani un orientamento di vita, di colmare il vuoto lasciato dal materialismo, di dare un fondamento sicuro allo stesso ordinamento sociale e giuridico, mi domando se non sia urgente, proprio oggi in cui i cristiani e i musulmani sono entrati in un nuovo periodo della storia, riconoscere e sviluppare i vincoli spirituali che ci uniscono, al fine di "promuovere e difendere insieme, come ci invita il Concilio, i valori morali, la pace e la libertà" ( Ivi ).

La fede in Dio, professata in comune dai discendenti di Abramo, cristiani, musulmani ed ebrei, quando è vissuta sinceramente e portata nella vita, è sicuro fondamento della dignità, della fratellanza e della libertà degli uomini e principio di retta condotta morale e di convivenza sociale.

E vi è di più: in conseguenza di questa fede in Dio creatore e trascendente, l'uomo sta al vertice della creazione.

È stato creato, si legge nella Bibbia, "a immagine e somiglianza di Dio" ( Gen 1,27 ); benché sia fatto di polvere, si legge nel Corano, libro sacro dei Musulmani, "Dio gli ha insufflato il suo spirito e l'ha dotato di udito, vista e di cuore", cioè di intelligenza ( Sura, 32,9 ).

L'universo, per il musulmano, è destinato ad essere sottomesso all'uomo in qualità di rappresentante di Dio; la Bibbia afferma che Dio ha ordinato all'uomo di sottomettere la terra, ma anche di "coltivarla e custodirla" ( Gen 2,15 ).

In quanto creatura di Dio, l'uomo ha dei diritti che non possono essere violati, ma è anche tenuto alla legge del bene e del male che si fonda sull'ordine stabilito da Dio.

Grazie a questa fede, l'uomo non si sottometterà mai a nessun idolo.

Il cristiano sta al comandamento solenne: "Non avrai altro Dio fuori di me" ( Es 20,2 ).

Il musulmano, da parte sua, dirà sempre: "Dio è più grande".

Vorrei profittare di questo incontro e dell'occasione che mi offrono le parole scritte da San Pietro ai vostri predecessori per invitarvi a considerare ogni giorno le radici profonde della fede in Dio, nel quale credono anche i vostri concittadini musulmani, per farla diventare principio di collaborazione per il progresso dell'uomo, nella emulazione del bene, per l'estensione della pace e della fraternità, nella libera professione della propria fede.

4. Questo atteggiamento, cari Fratelli e Sorelle, va di pari passo con la fedeltà, già tanto meritoria, delle vostre comunità cristiane qui rappresentate.

È una fedeltà erede di un grande passato.

Abbiamo già parlato della Lettera di San Pietro; si potrebbe anche far riferimento all'affetto di San Paolo e di San Giovanni per le Chiese dell'Asia Minore.

Un autore profano dell'inizio del II secolo, Plinio il Giovane, descriveva la vita dei discepoli di Cristo con stupore, in una testimonianza che resta preziosa agli occhi della storia.

Ma come dimenticare la fioritura del periodo seguente, in particolar modo dei Padri della Chiesa?

E poiché San Pietro parla della Cappadocia, il mio pensiero va spontaneamente a San Basilio ( 329-379 ), una delle glorie più notevoli della Chiesa di questa regione, tanto più che quest'anno ricorre il sedicesimo centenario della sua morte: sono felice di annunciarvi che un documento pontificio verrà a coronare questo memorabile anniversario, per illustrare la figura di questo grandissimo Dottore.

5. Oggi le vostre comunità, anche se modeste, sono però ricche per la presenza di varie tradizioni e sono costituite da persone provenienti da numerose parti del mondo.

Questo vi offre l'occasione di esprimere reciprocamente la vostra fede e la vostra speranza, e di dare qui un'importante testimonianza di unità e di fraternità.

Abbiate sempre il coraggio e la fierezza della vostra fede.

Approfonditela.

Accostatevi incessantemente a Cristo, pietra angolare, come pietre vive, sicuri di pervenire al fine della vostra fede, la salvezza delle vostre anime.

Fin da ora il Signore Gesù fa di voi le membra del suo corpo; Figlio di Dio, egli vi fa partecipare alla sua natura divina, facendovi partecipare al suo Spirito.

Attingete con gioia alla fonte zampillante dell'Eucaristia.

Che egli vi colmi della sua carità!

Abbiate anche il senso della comunione con la Chiesa universale che il Papa rappresenta davanti a voi nella sua umile persona.

La vostra testimonianza è tanto più preziosa in quanto è ristretta nel numero, ma non nella qualità.