Concilio Laterano IV |
Bisogna estirpare un costume abusivo che ha preso piede in alcune regioni: chi ha diritto di patronato sulle chiese parrocchiali ed altre persone, rivendicando a sé, completamente, i proventi delle stesse chiese, lasciano ai sacerdoti addetti ad esse una quota cosi misera, che essi non possono mantenersi con sufficiente dignità.
Infatti, come abbiamo potuto sapere con certezza i sacerdoti addetti alle parrocchie non hanno assegnata, per il loro sostentamento, se non la quarta parte del quarto, cioè, un sedicesimo delle decime.
Avviene, di conseguenza, che in queste regioni non si trovi quasi un parroco che abbia una pur minima conoscenza delle lettere.
E poiché non si deve legar la bocca al bue che tritura ( il fieno ), ( Dt 25,4; 1 Cor 9,9; 1 Tm 5,18 ) e chi serve all'altare deve vivere dell'altare, ( 1 Cor 9,13 ) stabiliamo che, nonostante qualsiasi consuetudine in contrario del vescovo, del patrono o di qualsiasi altro, venga assegnata ai sacerdoti una quota ad essi sufficiente.
Chi ha una chiesa parrocchiale non deve soddisfare al suo servizio per mezzo di un vicario, ma personalmente, secondo che la cura della stessa chiesa richiede, a meno che la chiesa parrocchiale sia annessa ad una prebenda o ad una dignità.
In questo caso permettiamo che colui che ha tale prebenda o dignità, essendo necessario che egli presti il suo servizio presso la chiesa maggiore, abbia nella stessa chiesa parrocchiale un vicario adatto e permanente, canonicamente eletto, il quale, come si è detto, abbia una quota conveniente dei proventi stessi della chiesa.
Diversamente, il parroco deve considerarsi privato di essa, che può quindi essere liberamente assegnata ad altri, che voglia e possa adempiere quanto stabilito.
Proibiamo, poi, assolutamente che qualcuno, con frode delle rendite ecclesiastiche, possa dare ad altri una pensione sui redditi di una chiesa che debba provvedere ad un proprio sacerdote.
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