Concilio di Trento |
Quanta cura sia necessaria, perché il sacrosanto sacrificio della messa sia celebrato con ogni religiosità e venerazione, ognuno potrà facilmente capirlo, se rifletterà che nella sacra scrittura viene detto 'maledetto' chi compie l'opera di Dio con negligenza. ( Ger 48,10 )
E Se dobbiamo confessare che nessun'altra azione possa essere compiuta dai fedeli cristiani così santa e così divina, come questo tremendo mistero, con cui dai sacerdoti ogni giorno si immola a Dio sull'altare quell'ostia vivificante, per la quale siamo stati riconciliati con Dio padre, appare anche chiaro che si deve usare ogni opera e diligenza, perché esso venga celebrato con la più grande mondezza e purezza interiore del cuore, e con atteggiamento di esteriore devozione e pietà.
E poiché, sia per colpa del tempo che per negligenza e malvagità degli uomini, si sono introdotti molti elementi alieni dalla dignità di un tanto sacramento, perché sia restituito il dovuto onore e culto, a gloria di Dio e ad edificazione del popolo fedele, questo santo sinodo stabilisce che i vescovi ordinari si diano cura e siano tenuti a proibire e a togliere di mezzo tutto ciò che hanno introdotto o l'avarizia, che è servizio degli idoli, ( Ef 5,5 ) o l'irriverenza, che si può difficilmente separare dall'empietà, o la superstizione, falsa imitazione della vera pietà.
E, per dirla in breve, prima di tutto - per quanto riguarda l'avarizia, - essi proibiscano assolutamente qualsiasi compenso, i patti e tutto ciò che viene dato per celebrare le nuove messe; ed inoltre quelle, più che richieste, importune e grette esazioni di elemosine; ed altre cose simili, che non sono molto lontane, se non proprio dalla macchia della simonia, certo da traffici volgari.
In secondo luogo, per evitare l'irriverenza, ognuno, nella sua diocesi, proibisca che qualsiasi prete girovago e sconosciuto possa celebrare la messa.
A nessuno, inoltre, che abbia commesso un delitto pubblico e notorio, permettano che possa servire al santo altare, o assistere alla santa messa; e neppure che in case private, e, in genere, fuori della chiesa e degli oratori destinati solo al culto divino da designarsi e visitarsi dagli ordinari - questo santo sacrificio sia celebrato da qualsiasi secolare o regolare, e senza che prima i presenti, in atteggiamento composto, mostrino di assistere non solo col corpo, ma anche con la mente e con affetto devoto del cuore.
Bandiscano, poi, dalle chiese quelle musiche in cui, con l'organo o col canto, si esegue qualche cosa di meno casto e di impuro; e similmente tutti i modi secolari di comportarsi, i colloqui vani e, quindi, profani, il camminare, il fare strepito, lo schiamazzare, affinché la casa di Dio sembri, e possa chiamarsi davvero, casa di preghiera. ( Mt 21,13; Is 56,7 )
Da ultimo, perché non si dia occasione di superstizione, con editto e con minacce di pene facciano in modo che i sacerdoti non celebrino se non nelle ore stabilite e che nella celebrazione delle messe non seguano riti o cerimonie, e dicano preghiere diverse da quelle che sono state approvate dalla chiesa e accettate da un uso consueto e lodevole.
Tengano lontano assolutamente dalla chiesa l'uso di un certo numero di messe e di candele, inventato più da un culto superstizioso, che dalla vera religione.
E insegnino al popolo quale sia e da che principalmente provenga il frutto così celeste e così prezioso di questo santissimo sacrificio.
Lo ammoniscano anche che si rechi frequentemente nella propria parrocchia, almeno nei giorni di domenica e nelle feste più solenni.
Tutte queste cose, che abbiamo sommariamente enumerato, vengono proposte a tutti gli ordinari in tal modo, che non solo esse, ma qualsiasi altra cosa che abbia attinenza con quanto veniamo dicendo, con quel potere che ad essi viene conferito dal sacrosanto sinodo ed anche come delegati della sede apostolica, essi le proibiscano, le comandino, le correggano, le stabiliscano, e spingano il popolo fedele ad osservarle inviolabilmente con le censure ecclesiastiche e con altre pene, che potranno essere stabilite a loro giudizio.
Tutto ciò, non ostante i privilegi, le esenzioni; gli appelli e le consuetudini di qualsiasi natura.
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