Filotea |
Gen 26,7-9; Gen 24,22; Gen 29,11; Am 6,13; Mt 1,19; Lc 6,37; Lc 18,11; Lc 23,34; Gv 3,18; 1 Cor 4,5; 1 Cor 11,31
Non giudicare e non sarai giudicato, dice il Salvatore delle nostre anime; non condannare e non sarai condannato.
Dice l'Apostolo: Non giudicare prima del tempo, ossia fino a che non venga il Signore che svelerà il segreto nascosto nelle tenebre, e manifesterà i pensieri dei cuori.
I giudizi temerari sono severamente riprovati da Dio!
I giudizi emessi dai figli degli uomini sono temerari perché gli uomini non sono autorizzati ad emettere giudizi gli uni sugli altri; ciò facendo usurpano l'ufficio che Nostro Signore si è riservato; in più sono temerari perché la principale malizia del peccato dipende dall'intenzione e dal disegno del cuore, che è per noi il segreto delle tenebre; sono temerari perché ciascuno è sufficientemente occupato a giudicare se stesso, senza mettersi a giudicare anche il prossimo.
Per non correre il rischio di essere giudicati, è assolutamente necessario evitare di giudicare gli altri: fermiamoci invece a giudicare noi stessi.
Nostro Signore ci ha proibito la prima cosa e l'Apostolo ci comanda la seconda quando dice: Se noi giudichiamo noi stessi, non verremo giudicati.
Noi facciamo invece esattamente il contrario: non manchiamo mai di fare quello che ci era stato proibito, sentenziando a dritta e a manca sul prossimo; giudicare noi stessi, che sarebbe poi quello che ci è stato comandato, chi si sogna di farlo?
Bisogna correre ai ripari partendo dalle cause dei giudizi temerari.
Ci sono dei cuori acidi, amari e aspri per natura, che rendono acido e amaro tutto quello che ricevono; costoro, secondo il detto del Profeta, mutano il giudizio in assenzio, perché non sanno giudicare il prossimo senza rigore e asprezza.
Simili persone hanno tanto bisogno di cadere tra le mani di un consumato medico spirituale, perché, dato che l'amarezza di cuore è loro connaturale, vincerla è difficile; benché per sé non sia peccato, anzi soltanto un'imperfezione, tuttavia è da ritenersi pericolosa, perché introduce nell'anima, e ve li fissa, il giudizio temerario e la maldicenza.
Altri fanno giudizi temerari, non per acidità, ma per orgoglio; pensano che nella misura in cui abbassano l'onore degli altri, alzano il proprio!
Sono spiriti arroganti e presuntuosi, pieni di ammirazione per se stessi, che si collocano così in alto nella propria stima, da vedere tutto il resto come cose piccole e basse; Non sono come gli altri uomini, diceva quel Fariseo.
In alcuni questo orgoglio non è tanto evidente e si manifesta soltanto in un certo compiacimento nel considerare i difetti degli altri per assaporare con maggior piacere il bene contrario di cui si sentono dotati.
Questo compiacimento è così segreto e impercettibile che, se non si è forniti di una buona vista, non lo si può scoprire; e persino quelli che ne sono affetti, non se ne accorgono se non si fa loro notare.
Altri poi, per lusingarsi e trovare scuse nei confronti di se stessi, o per attenuare i rimorsi delle loro coscienze, pensano molto volentieri che gli altri siano contagiati dal vizio al quale si sono dati, o da qualche altro equivalente; pensano che il fatto di trovarsi ad essere in molti colpevoli dello stesso crimine, riduca la gravita.
Molti si lasciano andare al giudizio temerario per il solo piacere di filosofeggiare e fare gli indovini sulle abitudini e i capricci della gente, quasi per esercitarsi!
Che se poi, per disgrazia, qualche volta azzeccano i loro giudizi, l'audacia e la brama di andare avanti diventa tanto forte in essi, che solo a fatica si può riuscire a distoglierli.
Altri ancora giudicano per passione e pensano sempre bene di ciò che amano e sempre male di ciò che odiano.
Soltanto in un caso, sorprendente fin che si vuole, ma reale, l'eccesso di amore spinge ad emettere un giudizio negativo su ciò che si ama: come risultato è mostruoso, ma lo spieghi facilmente se pensi che viene da un amore equivoco, imperfetto, agitato, malato, che si chiama gelosia, che, come tutti sanno, per un semplice sguardo, per il minimo sorriso di questo mondo, condanna le persone accusandole di perfidia e di adulterio.
Infine, spesso e molto, contribuiscono alla formazione di sospetti e giudizi temerari il timore, l'ambizione e altre simili debolezze dello spirito.
Quali sono i rimedi? Coloro che bevono un estratto di un oppiaceo detto ofiusa, che cresce in Etiopia, credono di vedere ovunque serpenti e altre cose orribili: coloro che hanno trangugiato orgoglio, invidia, ambizione, odio, vedono tutte le cose come cattive e riprovevoli; chi ha bevuto l'oppiaceo, se vuoi guarire, deve bere vino di palma; la stessa cosa devono fare i viziosi di cui sopra.
Bevi più che puoi il sacro vino della carità; ti libererai da quegli umori perversi che ti fanno dare giudizi temerari.
La carità teme l'incontro con il male, tanto meno lo cerca; quando ci si imbatte volge altrove lo sguardo e fa finta di niente, anzi chiude gli occhi prima di vederlo, alle prime avvisaglie e finisce con il credere, con santa semplicità, che quello non era male, ma soltanto un'ombra o un fantasma del male; se poi l'evidenza la costringe ad ammettere che è proprio male, se ne allontana immediatamente e cerca di dimenticarne l'aspetto.
Per tutti i mali il grande rimedio è la carità; in modo particolare per questo.
Tutto sembra giallo agli occhi degli ammalati gravi di itterizia; si dice che per guarirli da questo male bisogna obbligarli a mettere un po' d'erba detta celidonia sotto la pianta dei piedi.
Il peccato del giudizio temerario è un'itterizia spirituale, che, agli occhi di coloro che ne sono affetti, trasforma tutte le cose in cattive; chi vuole guarirne, non deve curare gli occhi, ossia l'intelletto, ma gli affetti, che sono i piedi dell'anima: se i tuoi affetti sono dolci, se sono caritatevoli, anche i tuoi giudizi lo saranno.
Voglio raccontarti tre esempi notevoli.
Isacco aveva detto che Rebecca era sua sorella; Abimelech vide che gioiva con lei, ossia che l'accarezzava con tenerezza, e subito concluse che era sua moglie: un occhio maligno avrebbe invece pensato che era la sua amante, o caso mai, se realmente era sua sorella, che erano due incestuosi; Abimelech segue l'interpretazione più benevola del fatto.
Bisogna agire sempre in questo modo, Filotea, interpretando sempre in favore del prossimo; e se un'azione avesse cento aspetti, tu ferma sempre la tua attenzione al più bello.
La Madonna era incinta: S. Giuseppe lo vedeva bene.
D'altra parte la vedeva tutta santa, tutta pura, tutta angelica; non poteva credere che fosse rimasta incinta mancando al suo onore.
Decide allora di abbandonarla, lasciando a Dio il giudizio.
Benché ci fossero tutte le circostanze evidenti per farsi una cattiva opinione di quella Vergine, egli non volle giudicarla.
Perché? Perché era giusto, dice lo Spirito di Dio.
L'uomo giusto quando non può scusare né il fatto né l'intenzione, di chi sa per altre vie essere uomo per bene, rifiuta di giudicare, se lo toglie dallo spirito, lascia a Dio solo la sentenza.
Il Salvatore non può scusare completamente il peccato di coloro che lo stanno crocifiggendo; né diminuisce la malizia, adducendo l'ignoranza.
Quando non ci è possibile scusare il peccato, rendiamolo almeno degno di compassione, attribuendolo alla causa più comprensibile che si possa pensare, quali l'ignoranza e la debolezza.
Ma allora, non è mai permesso giudicare il prossimo? No, mai!
È Dio solo, Filotea, che giudica i colpevoli secondo giustizia.
È vero che si serve della voce dei magistrati per renderla intelligibile alle nostre orecchie: sono il suo tramite e i suoi interpreti e devono pronunciare soltanto quello che hanno sentito da Lui, quasi come oracoli.
Se agiscono diversamente, seguendo le loro passioni, in tal caso chi giudica sono loro e dovranno renderne conto essendo a loro volta giudicati, perché agli uomini, in quanto uomini, è proibito di giudicare.
Vedere o conoscere una cosa, non è giudicare, perché il giudizio, stando al detto della Scrittura, presuppone la necessità di chiarire una difficoltà, che può essere piccola o grande, vera o apparente; infatti dice che coloro i quali non credono sono già giudicati; non ci sono dubbi sulla loro condanna eterna.
Non c'è nulla di male nel dubitare del prossimo, perché non è proibito dubitare, ma giudicare!
Tuttavia non è permesso dubitare o sospettare se non proprio quando rigorosamente non se ne può fare a meno, e siamo costretti a dubitare da motivi e ragioni serie.
Al di fuori di ciò i dubbi e i sospetti sarebbero temerari.
Se qualche occhio maligno avesse visto Giacobbe mentre baciava Rachele vicino al pozzo, e se avesse visto Rebecca accettare in dono braccialetti e orecchini da Eleazaro, forestiero in quel paese, avrebbe, senza alcun dubbio, pensato male di quei due modelli di virtù, ma senza ragione e senza fondamento; perché quando un'azione è per se stessa indifferente, tirarne cattive conclusioni è un sospetto temerario, a meno che siamo costretti al sospetto da molte indicazioni inequivocabili.
Concludere da un'azione mal fatta la condanna della persona è un giudizio temerario; ma su questo, tra breve, parlerò con maggior chiarezza.
E per finire ti dico che chi ha molta cura della propria coscienza non è quasi mai portato ai giudizi temerari; come le api vedendo la nebbia o il tempo nuvoloso si rifugiano nelle loro arnie a sistemare il miele, allo stesso modo i pensieri delle anime buone non si posano su oggetti confusi, né sulle azioni poco chiare del prossimo.
Anzi, per evitare il pericolo, si raccolgono all'interno del loro cuore per curare i buoni propositi del proprio emendamento.
Soltanto un'anima insulsa può perdere tempo ad esaminare la vita degli altri.
Faccio eccezione per quelli che hanno la responsabilità di altri, sia in famiglia che nella società: per essi gran parte della coscienza sta nel guardare e vegliare su quella degli altri.
Adempiano al loro dovere con amore; al di fuori di ciò, si comportino come tutti.
Indice |