Salita del Monte Carmelo

Indice

Capitolo 6

Ove si parla dei due principali danni, uno privativo e l'altro positivo, causati all'anima dagli appetiti.

1. A questo punto sembra utile fornire un'esposizione più chiara e dettagliata di quanto detto prima.

Ho mostrato come i nostri appetiti provochino nell'anima due danni principali.

Il primo lo priva dello spirito di Dio; l'altro la stanca, la tormenta, la oscura, la sporca, l'indebolisce e la ferisce, proprio come afferma Geremia: Duo mala fecit populus meus: dereliquerunt fontem aquae vivae, et foderunt sibi cisternas dissipatas, quae continere non valent aquas, cioè: Il mio popolo ha commesso due iniquità: essi hanno abbandonato me, sorgente di acqua viva, per scavarsi cisterne, cisterne screpolate che non tengono l'acqua ( Ger 2,13 ).

Questi due mali, privativo e positivo, sono provocati da qualsiasi atto disordinato dell'appetito.

Parlando, in primo luogo, di quello privativo, è chiaro che, per lo stesso motivo per cui l'anima si affeziona a qualsiasi bene creato, quanto più quell'appetito è radicato in essa, tanto meno è capace di unirsi a Dio.

Infatti, come dicono i filosofi e come ho già riferito nel capitolo 4, due contrari non possono coesistere in uno stesso soggetto.

Ora, l'amore per Dio e quello per le creature sono contrari; quindi non possono coesistere in una stessa volontà l'affetto per le cose create e quello per Dio.

Cosa ha a che vedere, infatti, la creatura con il Creatore, il sensibile con lo spirituale, il visibile con l'invisibile, il temporale con l'eterno, il cibo celestiale, puro e spirituale, con il nutrimento grossolano dei sensi, lo spogliamento del Cristo con l'attaccamento alle cose?

2. Pertanto, come nell'ordine naturale delle cose non si può introdurre una forma senza aver prima espulso dal soggetto la forma contraria, preesistente, la cui presenza è d'impedimento all'altra, perché ad essa opposta, così l'anima, finché è soggetta alle attrattive del senso, non può accogliere il puro spirito di Dio.

Per questo il Salvatore ha detto per bocca di san Matteo: Non est bonum sumere panem filiorum et mittere canibus, cioè: Non è bene prendere il pane dei figli per darlo ai cani ( Mt 7,6 ).

Con queste affermazioni il Signore paragona ai figli di Dio coloro che, negando l'attaccamento alle cose create, si dispongono ad accogliere in purezza lo spirito di Dio; ai cani, invece, paragona quelli che vogliono trovare nutrimento nelle cose create attraverso i loro appetiti.

Ai figli, infatti, è concesso mangiare alla mensa e allo stesso piatto del Padre, cioè nutrirsi del suo spirito; mentre ai cani sono lasciate le briciole che cadono dalla tavola.

3. A tale riguardo occorre notare che tutte le cose create sono briciole che cadono dalla mensa di Dio.

A buon diritto, dunque, sono chiamati cani coloro che si pascono delle cose create; per questo viene tolto loro il pane dei figli, perché non vogliono elevarsi al di sopra di esse, vere briciole, fino alla mensa dello spirito increato del Padre.

Proprio per questo vagano sempre affamati come cani, perché le briciole servono più a stimolare gli appetiti che a sedare la fame.

Di costoro Davide afferma: Famem patientur ut canes, et circuibunt civitatem.

Si vero non fuerint saturati, et murmurabunt: Ringhiano come cani, per la città si aggirano, vagando in cerca di cibo; latrano, se non possono saziarsi ( Sal 59,15-16 ).

Questa, infatti, è la caratteristica di chi è dominato dagli appetiti: è sempre scontento e inquieto, come un famelico.

Ora, che relazione c'è tra la fame causata da tutte le cose create e la sazietà prodotta dallo spirito di Dio?

Ma questa sazietà increata non può entrare nell'anima se prima non viene cacciata via l'altra; come ho detto, infatti, non possono coesistere due contrari nello stesso soggetto, in questo caso la fame e la sazietà.

4. Da quanto detto si può notare come Dio fa più, per così dire, per purificare e liberare un'anima da queste opposizioni che per crearla dal nulla.

Queste sregolatezze degli affetti e degli appetiti contrari contrastano e resistono a Dio più che il nulla, che non oppone resistenza.

Avendone già parlato a lungo più sopra, basti questo circa il primo danno principale prodotto nell'anima dagli appetiti, che consiste nel resistere allo spirito di Dio.

5. Ora parlerò del secondo danno che tali appetiti causano nell'anima.

Esso si manifesta sotto svariate forme, perché gli appetiti stancano l'anima, la tormentano, la oscurano, la sporcano e la indeboliscono.

Parlerò dettagliatamente di questi cinque effetti.

6. Quanto alla prima forma, è chiaro che gli appetiti stancano e affaticano l'anima.

Assomigliano a bambini inquieti e scontenti, che chiedono sempre qualcosa alla mamma e non si contentano mai.

Peraltro, come si stanca colui che scava, spinto dalla cupidigia di un tesoro, così si stanca e si affatica l'anima per conseguire ciò che le chiedono gli appetiti.

E anche se ottiene quel che vuole, alla fine si stanca sempre, perché non è mai soddisfatta.

In fondo, quelle che scava, sono cisterne screpolate che non tengono l'acqua per spegnere la sete ( Ger 2,13 ).

A tale riguardo così si esprime Isaia: Lassus adhuc sitit, et anima eius vacua est: Langue ancora per sete e si sente vuoto ( Is 29,8 ), che significa: il suo appetito è insoddisfatto, perciò l'anima che ha appetiti si stanca e si affatica.

È come il malato con la febbre: non sta bene finché questa non sparisce, ad ogni istante gli cresce la sete.

Si legge, infatti, nel libro di Giobbe: Cum satiatus fuerit, arctabitur, aestuabit, et omnis dolor irruet super eum, che vuol dire: Quando l'anima avrà appagato i suoi appetiti, nel colmo della sua abbondanza si ritroverà più oppressa e appesantita, dentro di essa crescerà l'arsura dell'appetito e così ogni sorta di sciagura le piomberà addosso ( Gb 20,22 ).

L'anima si stanca e si affatica a causa dei suoi appetiti, perché è ferita, mossa e turbata da essi, come i flutti sotto l'azione dei venti.

Al pari di quelli, l'anima è turbata senza trovare da nessuna parte o in qualche cosa un momento di riposo.

Di tali anime così afferma Isaia: Cor impii quasi mare fervens: Il cuore del malvagio è come il mare che agitato ribolle ( Is 57,20 ); e cattivo è chi non vince gli appetiti.

L'anima che vuole appagare i suoi appetiti si stanca e si affatica.

Somiglia a colui che, avendo fame, apre la bocca per saziarsi di vento, ma invece di saziarsi rimane con più voglia, perché il vento non è il suo cibo.

A questo proposito dice Geremia: In desiderio animae suae attraxit ventum amoris sui, cioè: Nell'ardore del suo desiderio aspira l'aria ( Ger 2,24 ).

E subito dopo, per spiegare l'arsura in cui si trova quell'anima, le offre questo consiglio: Prohibe pedem tuum a nuditate, et guttur tuum a siti, che significa: Bada che il tuo piede, cioè il tuo pensiero, non resti scalzo e la tua gola non si inaridisca ( Ger 2,25 ), ossia preserva la tua volontà dal soddisfare gli appetiti, che generano una più profonda aridità.

Come si sente esausto e crolla l'innamorato che vede andare in fumo i suoi progetti proprio nel giorno in cui sperava di realizzarli, così si stanca e si affatica l'anima che cede ai suoi appetiti e li soddisfa, perché le procurano un vuoto maggiore e una fame più acuta.

Come si dice comunemente, l'appetito è come il fuoco: cresce se gli si aggiunge legna, ma è destinato a spegnersi appena l'ha consumata.

7. Ora, la condizione degli appetiti è ancora peggiore.

Il fuoco, infatti, si spegne quando si esaurisce la legna, mentre gli appetiti non perdono l'intensità raggiunta quando sono stati soddisfatti, sebbene sia venuto meno il loro oggetto; invece di diminuire, come il fuoco quando si è consumata la legna, restano sfiniti dalla fatica perché la cupidigia è cresciuta e diminuito il cibo.

A tale proposito afferma Isaia: Declinabit ad dexteram, et esuriet; et comedet ad sinistram, et non saturabitur: Dilania a destra, ma è ancora affamato; mangia a sinistra, ma senza saziarsi ( Is 9,19 ).

Coloro, infatti, che non mortificano i loro appetiti, proprio quando si voltano vedono la sazietà, non a loro concessa, dello spirito di soavità di coloro che sono alla destra di Dio; quando, poi, corrono a sinistra, cioè si lasciano andare al piacere di qualche cosa creata, non si saziano affatto, perché mettono da parte l'unica cosa che può saziare e si nutrono di ciò che accresce la loro fame.

È chiaro, dunque, che gli appetiti stancano e affaticano l'anima.

Indice