Analfabetismo
1) Ignoranza del sistema di lettura e scrittura, dovuta a mancata istruzione di base
a. di ritorno, quello di chi ha disimparato a leggere e scrivere per mancanza di applicazione
2) estens. Ignoranza dei principi basilari di una disciplina, di una tecnica
L'analfabetismo è uno dei più gravi problemi del mondo.
Riuscire ad accedere ai più elementari livelli d'istruzione significa prendere coscienza dei propri diritti, e quindi lottare affinché siano rispettati.
Questo, almeno, sulla carta.
In teoria, la strada da percorrere è ancora lunga.
Tanto è stato fatto
Negli ultimi cinquant'anni, il mondo ha fatto dei significativi passi in avanti per quanto riguarda la riduzione del tasso di analfabetismo negli adulti.
Allo stesso tempo, un migliore livello d'istruzione ha anche contribuito alla riduzione delle disuguaglianze di genere.
La situazione resta ancora problematica.
Adulti.
Si stima che nel mondo ci siano circa 750 milioni di adulti che non hanno le più elementari competenze per quanto riguarda leggere e scrivere.
Giovani e bambini.
Nel 2015, circa 264 milioni di bambini e giovani non andavano a scuola.
Il totale era composto da 61 milioni di bambini in età da scuola primaria, 62 milioni di bambini in età da scuola secondaria inferiore e 141 milioni di giovani in età da scuola secondaria superiore.
Donne.
La maggior parte del totale degli analfabeti è composta da donne, ragazze e bambine.
Donne, ragazze e bambine che rappresentano circa il 60% tanto degli adulti quanto dei giovani analfabeti.
Le cause dall'analfabetismo sono diverse e, in molti Paesi, fin troppo radicate:
Le suole sono troppo care;
Le scuole sono del tutto inesistenti;
Le famiglie non guadagnano abbastanza per pagare la retta, le divise, i libri e il materiale scolastico;
In mancanza di soldi, si preferisce far studiare i figli maschi e lasciare le bambine a casa;
Mancano del tutto insegnanti qualificati;
Le famiglie non comprendono quale sia l'importanza dell'istruzione e preferiscono che i bambini comincino a lavorare fin da piccoli.
Le conseguenze di tutto ciò possono essere riassunte in due concetti semplici:
fame ( chi non ha un buon livello d'istruzione ha anche meno possibilità di trovare un lavoro dignitoso )
e diritti negati ( chi non sa né leggere né scrivere non sa nemmeno quali sono i propri diritti né come rivendicarli ).
I Paesi
La zona del mondo dove si concentra il maggior numero di analfabeti è l'Africa subsahariana.
Dove ci sono Paesi come Etiopia, Liberia, Senegal e Gambia in cui si registrano tassi di analfabetismo che si aggirano intorno al 50% della popolazione totale.
Analfabetismo e povertà sono strettamente collegati.
Garantire i più elementari livelli d'istruzione significa non soltanto combattere la povertà ma anche le disuguaglianze di genere.
Significa stessi diritti per tutti: per uomini e per donne, per poveri e ricchi.
Le aree maggiormente colpite sono i Paesi poveri.
Servono scuole, libri e insegnati opportunamente formati.
L'analfabetismo funzionale, o illetteratismo, è la locuzione che si utilizza per indicare l'incapacità di usare in modo efficace le abilità di lettura, scrittura e calcolo nelle situazioni della vita quotidiana.
Si traduce, dunque, secondo l'UNESCO ( 1984 ), come « la condizione di una persona incapace di comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere da testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità ».
Per analfabeta funzionale si indica dunque un individuo – in età scolare e non – che non ha le competenze necessarie ad assimilare ed elaborare le informazioni provenienti da un testo appena letto e non è in grado di fare delle proprie deduzioni sullo stesso.
L'analfabeta funzionale trova dunque difficoltà
non solo nella lettura dei testi narrativi ( illetteratismo da testi in prosa ),
ma anche in quella di semplici documenti ( grafici, tabelle: si tratta di "illetteratismo da documenti" )
e nella lettura di problemi di calcolo ( illetteratismo da calcolo ).
Come si nota, dunque, spesso l'analfabetismo funzionale si incrocia col mondo del digitale – dato che quest'ultimo pervade la nostra vita quotidiana in molti aspetti.
L'analfabeta funzionale ha dunque difficoltà nell'uso quotidiano della tecnologia e non riesce a destreggiarsi nemmeno all'interno di una semplice pagina web.
Ad esempio, può avere difficoltà a trovare un numero di telefono, nonostante sul proprio smartphone ci sia l'icona "Rubrica".
Questo perché egli o ella sa leggere e scrivere, ma in diverse situazioni non comprende il senso di un testo, non costruisce analisi articolate e paragona il mondo solo alle proprie esperienze dirette.
L'analfabetismo emotivoè strettamente connesso con la mancanza di empatia: è l'incapacità di comprendere, esaminare e direzionare le nostre emozioni.
Inevitabile conseguenza è quindi non capire né dar per valide quelle altrui.
Potremmo un po' definirlo come la disconnessione con emozioni e sensazioni che da un lato non ci permettono di spiegare quello che proviamo, dall'altro hanno il pessimo potere di trasformarci in individui impulsivi rinchiusi nella gabbia delle proprie emozioni.
Per quanti credono che l'analfabetismo emotivo sia di nuovo conio, è fondamentale specificare che esso nacque negli anni '70 grazie allo studioso e psicoterapeuta Claude Steiner il quale spiegò come un soggetto emotivamente equilibrato sarà capace di vivere in armonia con le proprie emozioni, migliorare la qualità della vita e godere di ottime relazioni interpersonali.
Il poco o per nulla empatico, l'analfabeta emotivo, viceversa subirà le proprie emozioni.
Tutto questo – inevitabile – porterà rovine dietro sé, nei confronti del proprio io e rispetto agli altri.
In sostanza, accade che là dove l'empatico si servirà di emozioni e sentimenti a proprio favore, l'analfabeta emotivo non farà altro che inciampare nelle trappole che non ricorda dove ha piazzato.
Da terra percepirà solo la parte buia e negativa delle emozioni.
Mentre la persona emotivamente educata utilizza le emozioni e i sentimenti a suo favore, l'analfabeta emotivo cade vittima delle sue reti e, quindi, può solo vedere l'aspetto più oscuro o negativo delle emozioni.
Col procedere degli studi, sono stati stilati anche i sintomi dell'analfabetismo emotivo; cercheremo di sintetizzare i maggiori.
Non essere capaci di determinare con esattezza emozioni o sensazioni che si percepiscono;
Avere difficoltà a scegliere le parole con la conseguenza di ferire chi ci sta intorno;
Non prestare alcuna attenzione alle emozioni degli altri;
Avere la tendenza a non soffermarsi a riflettere sui propri stati emotivi al fine di individuarne la causa;
Rifiutare ogni sfida e sottostimarsi eccessivamente;
Percepirsi come vittima delle proprie emozioni, permettere che esse prendano il controllo della vita e alla fine prendere decisioni che spesso si rimpiangeranno.
A questo punto più che mai sentiamo necessario capire dove origini tale problema.
Molti di voi avranno già intuito: dall'infanzia.
Nasciamo tutti analfabeti emotivi ed è assolutamente normale nei periodi immediatamente successivi.
Ma nel momento in cui il piccolo comincia a relazionarsi con gli altri, subentra il ruolo fondamentale dei genitori.
I bambini hanno bisogno di quella che tecnicamente viene chiamata convalida emotiva, vale a dire un processo fondamentale attraverso cui i piccoli cercano l'accettazione radicale dell'esperienza emotiva in altre persone che rappresentano punti di riferimento di rilievo per loro.
Se però, viceversa, accade che si vada incontro a un processo di invalidazione emotiva – significa cioè che la vita emotiva del bambino viene trascurata, le emozioni avvilite o respinte, giudicate, considerate stupide – il bambino imparerà che le emozioni sono nemiche da evitare e non farà altro che respingerle o nasconderle, a sé e agli altri.
La naturale conseguenza è che non potrà "esercitarsi" con il proprio mondo emotivo, non saprà gestirlo e probabilmente diventerà un adulto con analfabetismo emotivo.
Tuttavia non è mai tardi per rimediare.
Pertanto riportiamo alcuni dei consigli degli studiosi, nella speranza che vi siano utili.
– Auto-consapevolezza emotiva: il fine è imparare a riconoscere cosa provi, imparando a dare ad ogni tuo sentimento o emozione un nome.
Non confondere la stanchezza con la depressione, un trauma con una preoccupazione, un amore con un'amicizia.
Imparato questo, saprai spiegare l'origine di ciò che senti, individuare la causa e comprendere pian piano i fattori che la scatenano.
– Empatia: è capire come può sentirsi l'altro.
Non dal tuo, dal suo punto di vista.
Dovrai pertanto calarti nei suoi panni e provare a capire cosa sta sentendo.
Si tratta di una delle cose più importanti da imparare perché questo significa partecipare affettivamente alla realtà di qualcuno che ci è caro.
In tal modo, inoltre , partecipiamo alla sua sfera emotiva.
L'empatia non si ferma qui.
Il passo successivo è comprendere le ragioni di chi le esprime, sì, ma soprattutto entrare in comunione con le sue emozioni e accettarle per come sono.
– Interattività emotiva: Significa imparare a gestire le emozioni in modo positivo così da tirar fuori la parte migliore della gente.
– Automotivazione: Allude all'invito di darsi degli obiettivi motivanti e cogliere da questi emozioni positive che aiutino a raggiungerli.
Due vittorie in una, aver raggiunto il proprio traguardo ed esserci riusciti utilizzando emozioni positive.
« Leggi spesso le Divine Scritture; anzi, le tue mani non depongano mai il libro sacro ».
A lanciare questo appello è un uomo vissuto sempre tra i libri, prima coi classici latini e poi con le Scritture Sacre, al punto tale da diventare una vera e propria "biblioteca" vivente.
È san Girolamo, detto « il leone dalmata » per le sue origini e per il suo carattere veemente, celebre ancor oggi per la sua colossale impresa di tradurre la Bibbia nella lingua del volgo di allora, la Vulgata appunto, una versione latina che attraverserà i secoli.
Il XVI centenario della sua morte, che cadeva il 30 settembre 2020, ha spinto papa Francesco a pubblicare una lettera apostolica dal titolo suggestivo Scripturae sacrae affectus.
Tanti sono i lineamenti della persona e dell'opera di Girolamo che vengono illuminati da quelle pagine.
Ma ce n'è uno che domina nella sua figura ed è proprio quello del libro che egli tenne sempre davanti a sé.
Emblematico, come ricorda il Papa, è il ritratto del santo dipinto da Caravaggio e ora custodito alla Galleria Borghese di Roma: « In un'unica scena viene presentato l'anziano asceta, sommariamente rivestito da un panno rosso, che sul tavolo ha un cranio, simbolo della vanità delle realtà terrene; ma assieme è pure potentemente raffigurata la qualità dello studioso, che tiene gli occhi fissi sul libro, mentre la sua mano intinge la penna nel calamaio nell'atto caratteristico dello scrittore ».
Ma papa Francesco, sempre in questa linea, interpella nel finale della sua lettera i giovani in modo provocatorio.
Il passo merita di essere citato integralmente: « Penso all'esperienza che può fare oggi un giovane entrando in una libreria della sua città, o in un sito internet, e cercandovi il settore dei libri religiosi.
È un settore che, quando esiste, nella maggior parte dei casi è non solo marginale, ma sguarnito di opere sostanziose.
Esaminando quegli scaffali, o quelle pagine in rete, difficilmente un giovane potrebbe comprendere
come la ricerca religiosa possa essere un'avventura appassionante che unisce pensiero e cuore;
come la sete di Dio abbia infiammato grandi menti lungo tutti i secoli fino a oggi;
come la maturazione della vita spirituale abbia contagiato teologi e filosofi, artisti e poeti, storici e scienziati ».
Si apre a questo punto un vero e proprio grappolo di interrogativi spinosi che solleciterebbero un'analisi impietosa:
qual è lo stato attuale del libro religioso?
Perché la prevalenza è affidata a testi devozionali, vaghi, spiritualeggianti o moraleggianti, encomiastici?
Come si spiega l'assenza o l'irrilevanza degli scritti religiosi di qualità ( « sostanziosi » ), anche all'interno delle grandi librerie "laiche", che talora intitolano lo scaffale specifico « Religioni, teologia, esoterismo »?
Perché l'analfabetismo a livello di cultura religiosa è placidamente accettato?
Citando Umberto Eco, « perché i ragazzi nelle scuole devono sapere tutto degli dèi di Omero e quasi nulla di Mosè?
Perché la Divina Commedia e non il Cantico dei cantici? ».
È ancora il Papa a gettare il sasso nello stagno, ed è a lui che lasciamo di nuovo la parola: « Uno dei problemi odierni, non solo della religione, è l'analfabetismo: scarseggiano le competenze ermeneutiche che ci rendano interpreti e traduttori credibili della nostra stessa tradizione culturale.
Specialmente ai giovani voglio lanciare una sfida: partite alla ricerca della vostra eredità.
Il cristianesimo vi rende eredi di un insuperabile patrimonio culturale di cui dovete prendere possesso.
Appassionatevi di questa storia, che è vostra.
Osate fissare lo sguardo su quell'inquieto giovane Girolamo che, come il personaggio della parabola di Gesù, vendette tutto quanto possedeva per acquistare "la perla di grande valore" ( Mt 13,46 ) ».
Leonardo Sciascia nel suo Gli zii di Sicilia ( 1958 ) ribadiva che, certo, « il libro è una cosa. Ma se lo apri e lo leggi diventa un mondo ».
È ovvio che questo non accade per tutti i testi ( anche teologici ), come ammoniva Francesco Bacone nei suoi Saggi: « Alcuni libri vanno assaggiati, altri inghiottiti, pochi masticati e digeriti ».
Tra questi ultimi, per stare sempre nell'orizzonte geronimiano, c'è indubbiamente proprio la Bibbia ininterrottamente tradotta, commentata, edita ma forse non molto « masticata e digerita ».
Su questo particolare libro plurale ( Biblia, in greco "i libri" ) – che è il cuore della vita e dell'opera di Girolamo e della stessa lettera apostolica – vorremmo ora proporre una sorta di divagazione tematica.
Montag, l'"incendiario" dei militi statali del fuoco, protagonista di Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, comincia a entrare in crisi nella sua missione "bibliocida" quando si mette a sfogliare una Bibbia scampata a uno dei tanti roghi, e il vecchio e catacombale professor Faber gli fa capire perché essa sia così pericolosa, come tutti i grandi libri: « La Bibbia rivela i pori della faccia della vita.
La gente comoda vuole soltanto facce di luna piena, di cera, facce senza pori, senza peli, inespressive ».
Il testo sacro, quindi, come smascheramento della superficialità, della plastica facciale applicata all'anima, dell'autodifesa ipocrita.
La Bibbia compie questa azione provocatrice attraverso il racconto, il simbolo, l'immagine, la metafora, il segno, la teofania, essendo il linguaggio spirituale di sua natura "allegorico", un "dire altro", come il celebre oracolo di Delfi che "ammiccava", lasciando cadere a terra tutte le denotazioni esplicative riduttive e tenendo sempre aperto il fiore della domanda, della polivalenza semantica, della ricerca, dell'ermeneutica.
Non per nulla uno degli ultimi artisti che hanno intinto quasi sistematicamente il pennello in quell'alfabeto colorato della fede che è la Bibbia ( per usare una sua fastosa locuzione ), cioè Marc Chagall, confessava di non avere in realtà « letto » le Scritture Sacre, ma di averle « sognate » in una sorta di contemplazione epifanica.
In questa linea è curioso notare che uno dei maggiori scrittori svedesi, il cattolico Torgny Lindgren ( 1938-2017 ) – che alla Bibbia ha ripetutamente attinto ( si pensi alla sua carnalissima Betsabea ) – riproponeva la questione col suo romanzo intitolato in svedese Dorés Bibel, cioè la « Bibbia di Doré », faticosamente reintitolato nella versione italiana dall'editore Iperborea con un più pedante Per non saper né leggere né scrivere.
Il protagonista, colpito da una sindrome di alessìa, incapace quindi di leggere e scrivere, ricreava ex novo la celebre Bibbia illustrata da Gustavo Doré, l'incisore ottocentesco francese, dopo averla imparata a memoria attraverso quelle xilografie che hanno incantato anche tanti di noi da ragazzi, ma non solo ( assieme alla sua Divina Commedia o alle Favole di La Fontaine o al Don Chisciotte ).
Raccogliamo la provocazione di Lindgren che esalta l'immagine biblica – esorcizzando l'iconoclasmo antico e moderno che cancella ogni epifania parabolica e simbolica – per affermare la qualità anche "estetica" delle Scritture Sacre.
La via pulchritudinis è dalle loro pagine che procedeva per trasformarle nei colori degli affreschi e delle tele o nelle pietre delle statue e dei bassorilievi o per ritrascriverle nelle carte della letteratura.
Abbandonare questa via è stata la tentazione di una certa teologia, votata alla più rarefatta razionalità che, attraverso una trattatistica pronta a spazzar via le nebule delle narrazioni bibliche col vento cristallino della sistematica, riduceva la Bibbia al solo nucleo duro di tesi, teoremi e assiomi, inducendo talora il sogno ( o l'illusione ) di erigere una teologia o una morale more geometrico demonstrata.
Effettivamente la Scrittura-Lettura-Simbolo è anche Verità, Messaggio, Didaché.
Tuttavia il Logos giovanneo, ossia la Parola divina, si erge con tutta la sua densità di significato: è la celebre resa del Faust di Goethe che traduce il Logos, certo, con Wort ma anche con Sinn, cioè "Senso", "Significato", posto accanto alla Kraft della Parola potente, efficace e incisiva e alla Tat dell'Atto simbolico.
I testi sacri sono certamente "informativi" sulla verità che vogliono rivelare, generando quella che i teologi chiamano la fides quae, ossia la fede nei suoi contenuti dogmatici.
Ma lo fanno con la "carne" della letteratura, dell'immagine, della bellezza, del fascino, della concretezza storica.
Anzi, essi mirano a diventare "performativi", attizzando nel cuore la fides qua, cioè l'adesione vitale ed esistenziale.
Si potrebbe allestire una vera e propria panoplia testuale di simboli biblici tesi a marcare questa qualità creativa, vitale ed esistenziale della Parola sacra: dalla lampada che illumina i passi della vita al lievito che sommuove la massa, dall'acqua che feconda le aridità spirituali al sale che dà sapore e cauterizza, dalla spada che giunge al midollo svelando ogni angolo remoto della coscienza al miele che addolcisce e rasserena e così via.
Nietzsche aveva centrato questo aspetto globale del libro sacro quando sarcasticamente ammoniva i cristiani: « Se la buona novella della vostra Bibbia fosse anche scritta sul vostro volto, voi non avreste bisogno di insistere così ostinatamente perché si creda all'autorità di questo libro: le vostre azioni dovrebbero rendere quasi superflua la Bibbia perché voi stessi dovreste continuamente costituire la Bibbia nuova ».
È la stessa "beatitudine" pronunziata da Cristo a esigerlo: « Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano! » ( Lc 11,28 ).
Sono l'akouein e il poiein, l'"ascoltare" e il "fare", come Egli dice altrove ( Lc 8,21 ), il vero approdo della Scrittura e della Lettura, perché esse sono evento, storia, vita.
È ciò che sottolineava Dietrich Bonhoeffer quando ammoniva così un gruppo di pastori delle Chiese tedesche durante un corso tenuto nel 1936-1937: « Il pastore incontra la Bibbia in tre diversi momenti: sul suo scrittoio, sul pulpito e sull'inginocchiatoio e la usa correttamente solo se la pratica totalmente.
Nessuno può commentarla dal pulpito senza studiarla sul suo tavolo di lavoro e praticarla nella preghiera e nella sua vita ».
* * *
« Quello che noi oggi certamente verifichiamo è un profondo analfabetismo che tocca anche i contenuti basilari della fede.
Accompagnato anche dalla incapacità a saper dare delle ragioni del perchè si è cristiani ».
Occorre « da un lato riprendere con seria considerazione il tema della propria formazione: non è pensabile che noi abbiamo tanti cristiani che sono profondamente esperti nelle loro materie e professionalità e sui contenuti della fede hanno un vago ricordo del Catechismo della Prima Comunione.
E dall'altra « ci auguriamo realmente che l'Anno della Fede possa diventare opportunità perchè i credenti abbiano a ritrovare il gusto della preghiera e della partecipazione soprattutto alla messa domenicale ».
« noi veniamo da un lungo periodo in cui l'essere credenti è equivalso ad appartenere a una tradizione. Oggi non è piu cosi ».
« Dati sociologici ci mostrano come i sacramenti dell'iniziazione hanno una notevole diminuzione dovuta al fatto che siamo dinanzi a una nuova forma di ateismo ».
Per cui occorre « motivare presso i credenti » che non basta più « una appartenenza geografica di fatto cattolica, e neppure una tradizione familiare », ma che essere cristiani è « una scelta a cui deve corrispondere una conoscenza dei contenuti, cui si aderisce liberamente perchè fede è scelta di libertà, e dall'altra parte deve sollecitare a uno stile di vita coerente con la propria scelta ».
Concilio Ecumenico Vaticano II |
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Di intere moltitudini, in contrasto con l'odierno progresso | GS 4 |
Viola il diritto di tutti alla cultura e impedisce una collaborazione veramente umana | GS 60 |
La lotta all'a. è compito speciale dei cristiani | GS 60 |
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coi non cristiani e con le iniziative pubbliche e private, specialmente nelle missioni | AG 12 |
Compendio della dottrina sociale |
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Analfabetismo, povertà e Chiesa | 5 |
Analfabetismo, sottosviluppo e povertà | 447 |
Analfabetismo e collaborazione ecumenica | 535 |