Antinomie
1) filos. Contraddizione insolubile che si crea quando due affermazioni contrapposte ( tesi e antitesi ) possono essere egualmente dimostrate
2) estens. Incompatibilità, contraddizione
3) dir. Contrasto fra due norme giuridiche
Propriamente si ha un'antinomia quando un procedimento o un ragionamento, che può essere in termini filosofici, logico-matematici o giuridici, produce in modo corretto e con eguale livello di consistenza e affidabilità due soluzioni aventi rispettivamente la forma di tesi e antitesi portando a una conclusione del tipo: "A se e solo se non A".
L'antinomia di Epimenide o Paradosso del mentitore, nota fin dal VI secolo, è probabilmente la più antica ricordata dalla storia della filosofia: "il cretese Epimenide afferma che tutti i cretesi mentono"; essa può essere espressa in vari modi: Proposizione A: la "proposizione A" dice il falso.
La domanda che ci si deve porre è se la proposizione A sia vera o falsa; è facile vedere che se la proposizione è vera ( i cretesi mentono ) allora il suo significato implica che sia falsa ( Epimenide mente e quindi i cretesi dicono la verità ), ma se è falsa ciò significa che è vera, cioè A appare contemporaneamente vera e falsa.
Ad esempio, una norma giuridica, che è un enunciato sintatticamente condizionale, connette una conseguenza giuridica a una e una sola classe di fattispecie.
Vi è invece antinomia normativa, o conflitto normativo, quando due diverse norme connettono a una medesima classe di fattispecie due conseguenze tra loro incompatibili.
Nell'ambito dell'idea cosmologica, Kant analizza le cosiddette antinomie: conflitto della ragione con se stessa, attraverso una contrapposizione di tesi e antitesi che possono essere superate soltanto dalla superiore posizione critico-trascendentale.
Il mondo nel tempo ha un cominciamento, e inoltre, per lo spazio, è chiuso dentro limiti.
Dimostrazione
Infatti, se si ammette che il mondo non abbia nel tempo un cominciamento, fino a ogni istante dato è passata una eternità e però è trascorsa nel mondo una serie infinita di stati successivi delle cose.
Ora l'infinità d'una serie consiste appunto in ciò, che essa non può esser mai compiuta mediante una sintesi successiva.
È dunque impossibile una serie cosmica infinita trascorsa; e però un cominciamento del mondo è condizione necessaria della sua esistenza; ciò che era primieramente da dimostrare.
Rispetto poi al secondo punto, si ammetta da capo il contrario; allora il mondo sarà un tutto infinito, già dato, di cose simultaneamente esistenti.
Ora, noi non possiamo pensare in altro modo la quantità di un quantum che non sia dato dentro certi limiti ad ogni intuizione, se non mediante la sintesi delle parti, e la totalità di un tale quantum solo mercé la sintesi completa, o mercé l'addizione ripetuta dell'unità a se stessa.
Per tanto, per concepire il mondo, che riempie tutti gli spazi, come un tutto, occorrerebbe considerare la sintesi successiva delle parti di un mondo infinito come completa, cioè un tempo infinito dovrebbe essere considerato come trascorso nella enumerazione di tutte le cose coesistenti; il che è impossibile.
Dunque, un aggregato infinito di cose reali non può essere considerato come un tutto dato, e però né anche come dato simultaneamente.
Per conseguenza, un mondo per la estensione nello spazio è non infinito, ma chiuso nei suoi limiti; che era il secondo punto.
Il mondo non ha né cominciamento né limiti spaziali, ma è, così rispetto al tempo come rispetto allo spazio, infinito.
Dimostrazione
Poniamo infatti che abbia un cominciamento.
Poiché il cominciamento è una esistenza alla quale precede un tempo in cui la cosa non è, ci dev'essere stato un tempo in cui il mondo non era, ossia un tempo vuoto.
Ora, in un tempo vuoto non è possibile il sorgere di una cosa qual sia, perché nessuna parte di un tempo tale ha in sé, piuttosto che un'altra qualunque, una condizione distintiva di essere piuttosto che di non essere ( sia che si supponga che essa sorga da se stessa o per altra causa ).
Parecchie serie, dunque, di cose possono cominciare nel mondo, ma il mondo stesso non può avere un cominciamento; e però esso, quanto al tempo passato, è infinito.
Per ciò che spetta alla seconda parte, se si ammette da principio il contrario, che cioè il mondo, quanto allo spazio, sia finito e limitato, allora esso si trova in uno spazio vuoto, che non è limitato.
Si dovrebbe perciò incontrare, non soltanto una relazione delle cose nello spazio, ma altresì una relazione delle cose con lo spazio.
Ora, poiché il mondo è un tutto assoluto, fuori del quale non c'è oggetto d'intuizione, né, perciò, un correlato del mondo, con cui questo sia in relazione, la relazione del mondo con lo spazio vuoto sarebbe una relazione con nessun oggetto.
Ma una simile relazione, e però anche la limitazione del mondo da parte dello spazio vuoto, non è niente.
Dunque il mondo, rispetto allo spazio, non è punto limitato; cioè esso, quanto alla estensione, è infinito.
* * *
I. Il termine « antinomia » deriva dal greco antí ( = contro ) e nómos ( = legge ).
Nel suo senso più generale indica la contraddizione, reale o apparente, tra due leggi o tra due principi.
Il riferimento più classico è, in ambito filosofico, alle antinomie della ragion pura elaborate da Immanuel Kant ( 1804 ).
Egli vede nell'insorgenza di quattro coppie di proposizioni, reciprocamente esclusive e contraddittorie, la prova dell'impossibilità di pensare i fenomeni come cose in sé:
1. il mondo è limitato nel tempo e nello spazio - il mondo è illimitato nel tempo e nello spazio;
2. nel mondo tutto è semplice - nel mondo tutto è composto;
3. il divenire è libero - il divenire è necessario;
4. esiste un essere necessario - non esiste nulla di necessario.
1 All'inizio del '900 il termine « antinomia » viene utilizzato prevalentemente in riferimento alle antinomie logiche e linguistiche che designano coppie di asserti contraddittori tali che sia la loro affermazione che la loro negazione implichi una contraddizione ( tra le più famose: quella del mentitore, quella di Burali Forti [ 1897 ], quella di Cantor [ 1899 ], quella di Russell [ 1902 ], quella di Richard [ 1905 ], quella di Grelling [ 1908 ], quella di Löwenheim Skolem [ 1923 ] ).
II. Nell'ambito della teologia spirituale l'uso del termine « antinomia » è più recente.
Nel 1958 Karl Vladimir Truhlar pubblica il volume Antinomiae vitae spiritualis nel quale, con « novità di intuizione », presenta l'« indole apparentemente paradossale e « antinomica » della vita spirituale ».
Propone, così, sei « aspetti » della vita cristiana nei quali, come osserva nella prefazione alla traduzione italiana del 1967, sembra celarsi « un'antinomia di fondo, irriducibile » tra « i valori di natura e i valori di grazia »:
1. totalità del cristianesimo e debolezza del cristiano;
2. evoluzione e crocifissione delle forze umane;
3. trasformazione del mondo e fuga dal mondo;
4. « contemplativo nell'azione »;
5. coscienza del proprio valore e umiltà;
6. prudenti come serpenti e semplici come colombe ( in riferimento, in particolare, alla prudenza e all'apertura d'animo in materia di apparizioni ).
La riflessione conduce all'affermazione di una possibile, anzi di una necessaria composizione tra questi aspetti, apparentemente antinomici, ma in realtà complementari, della vita spirituale.
Nel 1979 Tullo Goffi testimonia un'estensione del concetto di antinomia spirituale sino a comprendere i contrasti, le opposizioni, gli squilibri di cui è intessuta la vita; rilegge, così, nei termini di antinomia spirituale tutta la vita cristiana.
L'antinomia è interpretata come « una partecipazione attiva al morire risorgere del Signore » e le antinomie più specifiche della fede cristiana sono individuate nelle tensioni tra:
realtà terrena e regno di Dio,
storia ed escatologia,
salvezza e perdizione,
amore della carne e mortificazione,
Parola di Dio e magistero,
schiavitù e libertà in Cristo.
Antinomiche sono anche:
la vita della Chiesa ( carisma e istituzione ),
l'esperienza spirituale ( natura e grazia ),
i rapporti « complementari » tra le virtù morali,
gli stati di vita ( il laico: tra fede e politica; il sacerdote: tra vita secolare e dedizione apostolica; il monaco: tra maturazione personale umanistica e rinuncia monastica );
il volontariato ( tra iniziativa spirituale e prescrizione legale autoritativa ).
Per quanto riguarda la vita mistica, essa viene intesa come « iniziazione alla semplicità dell'esistenza divina trinitaria » e, in quanto cammino di semplificazione, favorisce, in particolare, il superamento dell'antinomia esistente fra le molteplici virtù.
III. L'esperienza mistica è comunque, secondo Jan Hendrix Walgrave, fortemente caratterizzata da quattro « antinomie » o « aporie » o « polarità »:
tra perfezione umana e annichilimento in Dio;
tra sapere e non sapere;
tra contemplazione interiore e attività missionaria esterna;
tra sofferenza e felicità.
Esse non sono, come nella prospettiva kantiana, « paradossi insolubili alla ragione teorica », ma, in prospettiva teologica, elementi derivanti dal « carattere profondamente misterico della vita mistica ».
IV. Valutazioni e prospettive.
L'uso del termine nell'ambito della teologia spirituale appare, quindi, piuttosto vario e indeterminato.
Non indica delle reali contraddizioni e, talvolta, viene applicato in maniera indifferenziata a tutti gli aspetti della vita cristiana.
Ciò ha probabilmente contribuito alla sua non ampia diffusione.
Lo stesso K.V. Truhlar, per esempio, non lo riprende nel suo Lessico di spiritualità del 1973.
Al di là della questione strettamente terminologica, le antinomie mettono, però, in evidenza aspetti fondamentali della spiritualità cristiana: la complessità, la varietà, la complementarità, l'apparente contradditorietà del mistero cristiano.
Molti sono i testi della tradizione cristiana nei quali, anche attraverso il ricorso a particolari figure retoriche ( metafore, paradossi, ossimori ), gli autori spirituali cercano di mettere in luce il « carattere antinomico » dell'esperienza cristiana.
Si possono ricordare:
Dionigi Areopagita che, nella sua Teologia mistica, introduce alla « tenebra luminosissima » della contemplazione e della unione con Dio;
Nicolò Cusano che, in una prospettiva più filosofica, riflette sulla coincidenza degli opposti ( coincidentia oppositorum ) in Dio;
s. Gregorio Magno che, con finezza di indagine psicologica e con profondità teologica, analizza gli aspetti antinomici e complementari delle virtù e delle molteplici situazioni della vita personale e sociale;
s. Teresa d'Avila che, nella descrizione della sua esperienza di preghiera, è attenta all'intreccio, apparentemente antinomico, tra l'azione della grazia e la libera risposta dell'uomo;
s. Giovanni della Croce che, nella sua analisi teologica dell'esperienza cristiana, utilizza la ricca simbologia, divenuta poi classica, della contrapposizione tra il « tutto » e il « nulla », tra la « luce » e le « tenebre ».
In epoca più recente, Hans Urs von Balthasar individua quattro « tensioni fondamentali » della creatura umana e spirituale che « condeterminano anche l'atto dell'ascolto contemplativo della parola nelle sue infinite dimensioni »: l'esistenza e l'essenza; la carne e lo spirito; il cielo e la terra; la croce e la risurrezione.
Concilio Ecumenico Vaticano II |
|
La situazione della cultura nel mondo odierno | GS 56 |
Magistero |
|
Compendio Dottrina sociale della Chiesa - I rapporti tra lavoro e capitale | 277 |
Teologia |
|
la contrarietà fra le passioni dell'anima non può essere basata che sull'antinomia tra bene e male | I-II q 23 a 2 |
La teologia mistica di San Bernardo - antinomia tra l'amore di sé e quello di Dio | 04 |