Antinomie spirituali

IndiceA

Sommario

I. Viventi fra rinnovate antinomie.
II. Pasqua come antinomia salvifica.
III. Antinomie fra spirituale umano e spirituale cristiano.
IV. Intreccio antinomico fra le virtù.
V. Antinomie fra stati ecclesiali.
VI. Superamento dell'antinomia "legge-spirito" nel "volontariato cristiano".

I - Viventi fra rinnovate antinomie

La nostra vita è intessuta di antinomie, di contrasti, di opposizioni, di squilibri.

Diventandone coscienti, ci si sente aggressivi verso quanto comporti rifiuto della propria personalità, deprezzamento delle proprie doti, misconoscimento dei propri diritti.

Simile animosità battagliera, dal lato spirituale, non dev'essere necessariamente valutata come negativa: essa può impegnare e sospingere a modificare le strutture esistenti, a creare un nuovo pubblico contesto di valori, a proporre una visione spirituale rinnovata.

Ci si convince di non poterci realizzare se non immettendoci in un atteggiamento conflittuale; di non poter umanizzare le relazioni interpersonali sociali se non opponendoci al costume instaurato; di non poter modificare le strutture pubbliche opprimenti se non scatenando la lotta sociale contro di esse.

Il movimento di emancipazione femminile percepisce ( ad es.) di non poter attuare l'eguaglianza della donna con l'uomo se non combattendo pubblicamente contro costumi e istituzioni fino ad oggi dominanti [ v. Femminismo ].

La lotta contro le antinomie, socialmente oggi esistenti, viene pubblicamente vissuta come impegno responsabile per la realizzazione di nuovi valori, per l'attuazione di un'esistenza più giusta e più spiritualmente cristiana.

Non si tratta di una semplice rivendicazione per un bene particolare, facilmente appagabile.

È una lotta che si perpetua, che non trova soddisfazione appagante, proprio perché le antinomie sono abbarbicate nel profondo delle situazioni sociali, stanno alle radici delle relazioni interpersonali, affiorano adattandosi alle situazioni e ai modi culturali d'esistenza.

Quando sembra di aver stroncato un'antinomia che infastidisce, essa si riaffaccia aggressiva in una configurazione nuova, sotto aspetti prima non avvertiti, secondo esigenze antecedentemente non sentite.

Se ad es. in passato nella società produttiva si accettava la retribuzione differenziata in base al lavoro differentemente apprezzato, per motivi culturali o anche economici ( rarità, qualifica dei lavoratori, e simili ), successivamente è sorta la lotta per una retribuzione egualitaria fra gli operai, mettendo in discussione sia la distribuzione del salario, sia la distribuzione del potere all'interno del reparto o ufficio.

L'appagamento di queste prime richieste ha reso coscienti sulla necessità di continuare la lotta per eliminare ulteriori antinomie esistenti nel mondo operaio: si è messo in discussione il potere esercitato dagli imprenditori nell'organizzare la produzione; si è negato loro il diritto esclusivo della programmazione circa lo sviluppo del capitale e della produzione.

Oggi il dibattito si va allargando su scala nuova: prescindendo dal come 1'operaio lavora, si discute e si combatte affinché sia data attenzione prioritaria all'uso che dell'uomo si fa nella produzione; si vuole conteggiare la produttività mettendo in bilancio i costi umani e sociali [ v. Lavoratore ].

Tutto questo può essere un moderno modo esistenziale di costatare come l'esistenza nostra sia di per sé limitata e segnata dal peccato originale: contro tali limiti siamo chiamati a lottare in continuità.

Le antinomie, i contrasti, le lotte sono viva espressione del fatto che la vita nostra è spiritualmente alienata, sottoposta a radicale manipolazione, socialmente inautentica.

Anche se per tali antinomie generalmente lottiamo contro gli altri, è dovere sentirci affratellati in una comune responsabilità.

Il modo migliore di essere liberatori, è quello di convertirci sempre più profondamente e ampiamente, cosi da offrire agli altri la possibilità di non sentirsi estranei e opposti a noi.

Per sapere chi siamo, bisogna leggere sul volto altrui che cosa vi andiamo suscitando e ingenerando.

L'ascolto in assemblea di altri a noi contrari è il momento di riflessione, di analisi e di elaborazione di un rinnovamento integrale nostro e altrui.

L'impegno di liberare dall'alienazione e dalle antinomie, oltre a rendere coscienti del male radicato nel nostro essere profondo, condurrà a un ulteriore convincimento di fede: solo Dio può guarirci, può farci vivere nell'armonia della pace.

Quando avremo combattuto con eroico accanimento per debellare i modi e i contrasti esistenti fra noi, dovremo rivolgerci al Signore, costatando che senza il suo aiuto misericordioso « siamo servi inutili » [ v. Itinerario spirituale II ].

II - Pasqua come antinomia salvifica

Il Verbo, facendosi carne, non ha eliminato l'antinomia dalla vita umana: l'ha trasformata, rendendola principio di vita nuova.

Con la venuta del Cristo ogni nostra avversità ( e perfino la morte ) può essere assunta a cammino che ci redime, ci introduce nella vita nuova, ci fa gustare l'armonia della pace celeste.

Perché proprio il vivere l'antinomia in Cristo ci salva?

Perché siamo stati « riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo » ( Rm 5,10 ).

In ogni nostra disarmonia interiore o sociale possiamo riattualizzare il morire-risorgere del Cristo ( Fil 1,20 ).

Lo Spirito diffonde il morire-risorgere del Signore in ognuno di noi, in tutto l'universo creato, all'interno di qualsiasi vita mondana.

Lo Spirito è principio di antinomie spirituali.

Per il ( v. ) mistero pasquale, egli, nell'atto stesso che promuove la realtà terrena, la sacrifica, affinché in essa affiorino gli albori del regno di Dio;

mentre libera l'esistenza verso una più piena umanizzazione, la sospinge ad approdare al di là di se stessa entro l'armonia caritativa divina;

mentre ci dona la forza divina per saperci incarnare nella nostra storia terrena, ci fa andare incontro a Dio al di là del tempo presente nell'era escatologica;

mentre ci fa percepire la salvezza presentemente operante, ce la fa sospirare come un dono futuro; mentre ci ridona l'amore paterno di Dio, ci fa sentire figli dell'ira;

mentre ci svela la bontà della natura umana delle origini, ci impone di mortificarla [ v. Ascesi ] per riscattarla dalla sua concupiscenza;

mentre ci apre alla fede in Cristo nostro Salvatore, ci ricorda come la non-corrispondenza nostra ci predestina fatalmente alla perdizione;

mentre ci dice di amare la carne perché amata da Dio in Cristo, ci induce a sacrificarla perché già iniziata alla corruzione;

mentre ci inculca di orientarci al Cristo già assise nella pienezza, ci ricorda come solo in noi risorti s'attuerà il suo corpo integrale;

mentre dichiara che la salvezza umana è attuata tutt'insieme in una sola volta ( ephàpax ) dall'atto salvifico di Cristo, tutto ancora deve essere portato alle dimensioni perfette del « Cristo che deve essere» ( Eb 1,2; Ef 1,23 );

mentre dobbiamo educarci a stare in contatto immediato con la parola sotto l'ispirazione dello Spirito, ancora dobbiamo rimanere nell'ossequio al magistero ecclesiale;

mentre dobbiamo essere schiavi di Cristo, con ciò stesso ci esperimentiamo veramente liberi ( 1 Cor 7,22; 1 Cor 3,17 );

mentre già godiamo la gioia di essere in Cristo risorti, ancora dobbiamo mortificarci per i nostri aberranti istinti interiori di concupiscenza;

mentre siamo in cammino in un mondo rinnovato, dobbiamo trasformarlo e fuggirlo perché riprovevole.

Le antinomie spirituali della vita cristiana fioriscono tutte sul mistero pasquale del Cristo: esse sono una partecipazione attiva al morire-risorgere del Signore; sono la via che conduce alla pace caritativa dei Cristo risorto.

Le antinomie presenti sono praticate con spirito di sacrificio pasquale in vista della pace futura [ v. Esperienza spirituale nella bibbia II,5,e ].

Al presente la stessa chiesa, in quanto popolo eletto incamminato verso il regno di Dio, è situata nell'antinomia.1

Potremmo ricordare un'espressione particolare dell'essere antinomico ecclesiale.

La chiesa è chiamata a testimoniare, nell'intimo della sua forma istituzionale, il carisma dello Spirito.

Una chiesa in quanto istituzione inclina a proporre i propri comportamenti in una maniera sacralizzata come se fossero suggeriti dal buon Dio, come irrinunciabili in qualsiasi evenienza per il bene di tutti, mentre una chiesa tutta abbandonata allo Spirito ritiene di favorire la giustizia solo se si dedica ad offrire indicazioni profetiche; se sa testimoniarsi in rinnovata conversione secondo la grazia offerta oggi dal Signore; se riesce ad evangelizzare la nuova cultura esistente.

S. Benedetto si mostrò in sintonia con la chiesa profetica del tempo suo quando, col suo principio spirituale ora et labora, offrii un'ispirazione cristiana all'ordine socio-economico instaurato da barbari invasori dell'impero: diffuse una maggior comunione fraterna nel mondo del lavoro, favorendo il passaggio dal regime di schiavitù a quello feudale; mentre s. Tommaso, benché spirito teologicamente profetico, mostrò atteggiamento incline all'istituzione, quando sanzionò come giusto il dominio del signore feudale sul suo servo.2

Se il carismatico cerca di favorire la giustizia secondo le richieste profonde dei tempi nuovi, l'idolatra dell'istituzione ritiene che solo nel rispetto dell'ordine stabilito si possono attuare giustizia e pace.

La comunità ecclesiale è sempre chiamata ad armonizzare le esigenze dell'ordine esistente con quelle di un ordine nuovo: accordare le forme istituzionali con il rinnovamento secondo la grazia del Signore.

L'antinomia ecclesiale di carisma-istituzione potrà essere superata solo quando nel regno saremo totalmente assunti dallo Spirito di Cristo.

III - Antinomie fra spirituale umano e spirituale cristiano

Il mistero pasquale è principio d'antinomia non solo in se stesso, ma anche in raffronto con l'umanismo spirituale, su cui deve inserirsi e radicarsi per poter vivere e svilupparsi.

Dal lato teologico si è sempre proclamata la correlazione di un dualismo antinomico: natura e grazia.

Su questa antinomia di correlazione si è sviluppata l'esperienza e la riflessione ascetica cristiana.

Noi siamo chiamati a svolgere un proprio impegno ascetico, ad esercitare un'interiorità personale virtuosa, ad impegnarci in rinnovati sforzi spirituali

« Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo » ( Lc 13,3 ).

Operiamo nel convincimento che la salvezza non ci può essere offerta senza la nostra buona volontà realizzatrice: « Colui che ci ha creati senza di noi, non può salvarci senza di noi ».

Il principio ora enunciato trova il suo senso pieno integrandosi nell'asserzione contraria: non il nostro gesto fruttifica per la vita eterna, ne esso sa generare l'esistenza nuova, ma solo lo Spirito di Cristo.

« Come una donna incinta che, avvicinandosi il parto, si contorce e grida nei suoi dolori, tali eravamo noi al tuo cospetto, Signore!

Concepimmo, avemmo le doglie, generammo vento.

Non abbiamo portato salvezza alla terra » ( Is 26,17-18; Mt 21,23ss ).

Non le nostre azioni, ma lo Spirito di pentecoste reca la salvezza ( Rm 3,20s; Rm 11,6; Gal 2,16 ); egli solo sa inspirare nell'anima l'esperienza operativa dell'amore caritativo ( Rm 5,5 ).

Se fra gli uomini disseminati nel creato assistiamo alla gestazione della nascita secondo la carità, se ci vediamo crescere come figli di Dio, ciò è tutta opera dello Spirito ( Rm 8,19-27 ).

A motivo dello Spirito l'eunuco « non vada più a dire: Io sono un albero secco!

Poiché così parla Iddio: Agli eunuchi… darò un nome migliore dei figli e delle figlie » ( Is 56,3-5 ).

Ognuno di noi è come un albero che produce fiori-frutti, se si lascia estrarre dalla propria natura egoistica ( « secondo la carne » ), così da diventare comunicativo entro la carità intratrinitaria ( « secondo lo spirito », Rm 8,5s; Gal 5,16 ).

E, tuttavia, lo Spirito di Cristo non ci salva senza la nostra cooperazione, senza la volontà nostra di vivere armonizzati sulla sua grazia.

Come si armonizza, allora, il dono caritativo dello Spirito con il nostro sforzo virtuoso?

Il vivere secondo fede-carità implica che il soggiacente comportamento sia già riordinato in abiti umani buoni?

Progredire nello Spirito di Cristo include uno psichismo aperto in amore adulto?

La maturazione cristiana esprime necessariamente quella umana [ v. Maturità spirituale ]?

L'adulto in Cristo è l'uomo umanamente auto realizzato?

Non è un problema che si possa risolvere in modo definitivo, delineandone con chiarezza i limiti.

Ove lo Spirito opera, noi non ne conosciamo il modo di procedere; non possiamo incapsularne le iniziative entro leggi da noi escogitate.

Lo Spirito è sempre più grande di noi: la sua presenza di grazia è sempre una sorpresa; egli è sempre nuovo nella maniera di offrirsi.

Noi possiamo concepire solo una vaga idea della ricchezza sorprendente dei suoi carismi, delle sue operazioni gratificanti.

Cogliendo l'incomprensibilità del suo agire e l'ineffabilità del suo operare, intuiamo come egli sia un mare carismatico di cui non abbracciamo l'ampiezza.

Ne sappiamo prevedere come lo Spirito possa offrirsi.

« Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito » ( Gv 3,8 ).

Tuttavia, in base alle esperienze spirituali costatate presso i cristiani, possiamo indicare alcuni modi di correlazione fra vita virtuosa acquisita e stato caritativo secondo lo Spirito.

Certe persone vivono un'esistenza spirituale tutta armonizzata fra virtù acquisite e carità.

Del primo gruppo di frati minori che accompagnavano s. Francesco si dice: « Erano così pieni di santa semplicità, di innocenza, di purezza di cuore da ignorare ogni doppiezza.

Come unica era la loro fede, così regnava in essi l'unità degli animi, la concordia degli intenti e dei costumi, la stessa carità, la pratica delle virtù, la pietà degli atti, l'armonia dei pensieri ».3

Veramente qui non si sa se convenga esaltare l'amabilità umana dei primi frati francescani o la loro fede-carità: è un intreccio di perfezioni tutto ben compatto.

Altre persone, anche se testimoniano un'intensa vita interiore di fede-carità, a livello umano si rivelano come dei relitti dallo psichismo traviato, prive di ogni forma virtuosa amabile, scorbutiche nei rapporti coi fratelli, mancanti di qualsiasi prospettiva sapienzia le, ignare di ogni previsione prudenziale.

Si nota un'evidente disparità conflittuale fra santificazione soprannaturale e predisposizione naturale alle virtù.

« Se queste qualità mancano, la fedeltà alle ispirazioni dello Spirito si tradurrà, al limite, in un combattimento continuamente rinnovato e continuamente perduto.

Ciò che allora manca non è la santificazione essenziale, ma la sua iscrizione nella psiche, la sua manifestazione tangibile in virtù maturate e irradiate …

[Ma] anche presso i meno dotati lo psichismo rinnovato dallo Spirito tende a diventare un'espressione della libertà, pur sfuggendo alla loro coscienza chiara ».4

Sono i santi senza nome, senza aureola terrestre, senza una propria coscienza compiaciuta, senza testimonianza amabile, senza riconoscimento onorabile nella comunità ecclesiale.

Se questi cristiani sentono il bisogno di superare se stessi, per poter mostrare una personalità permeata dallo spirito caritativo, altri sono convinti che la vita di fede ostacoli una propria affermazione personale.

Non è che lo spirito cristiano frapponga ostacoli al proprio umanismo personale, ma lo si sperimenta così in ragione di come si interpreta e si vive la fede cristiana.

« L'intenzione vera, deposta nella tradizione della chiesa, rimane loro nascosta, deformata da un'altra intenzione, appariscente e deviante.

Ad essi non resta che una soluzione: andarsene.

All'origine dell'abbandono della fede c'è spesso […] la resistenza contro un annuncio del vangelo, resistenza che segretamente ne perverte il senso ».5

Certamente il discorso qui fatto rimane improprio: basandosi su atteggiamenti esteriori della persona esso pretende di stabilire quali correlazioni e quali antinomie corrano fra virtù acquisite umane e dono di fede-carità.

Mentre ogni dono dello Spirito di Cristo trascende ogni nostro ambito virtuoso, va al di là di ogni prospettiva ascetica umana, non è configurabile entro parametri spirituali terrestri.

Se all'inizio per lo più ci si esercita nella vita ascetica come modo di aprire il proprio io umano alla comunione con Dio, l'esperienza spirituale successiva fa comprendere come l'unione con Dio in Cristo si attui nell'impoverimento di ciò che è singolarmente proprio.

La purificazione, che ci distrugge, può essere il segno di un morire per poter risorgere nel Signore.

« Il grande trionfo del Creatore e del Redentore, nelle nostre prospettive cristiane, consiste nell'aver trasformato in un essenziale fattore vivificante ciò che è, in sé, una forza universale di diminuzione e di distruzione.

Proprio per penetrare definitivamente in noi in qualche modo, Dio deve scavare dentro di noi e crearsi un vuoto, che diventerà il suo posto.

Per poterci assimilare egli deve rimaneggiare, rifondere, spezzare le molecole del nostro essere.

La morte ha il compito di praticare, fin nel più intimo di noi stessi, il varco necessario ».6

IV - Intreccio antinomico fra le virtù

L'antinomia è annidata, oltre che fra grazia e natura, anche all'interno stesso delle virtù morali?

S. Tommaso ha presentato il complesso delle virtù in un organismo tutto ben compatto e armonizzato.

Cigni virtù morale non solo si riallaccia potenzialmente entro la sfera di una virtù cardinale, ma per esprimersi con rettitudine autentica deve testimoniare in ogni suo atteggiamento la compresenza simultanea delle disposizioni di tutte le virtù cardinali.

Un atto qualsiasi è buono solo se può essere detto giusto implicando rettitudine, forte in quanto è abito stabile, temperante giacché comporta una misura ragionevolmente fissata, prudente poiché è valutato con discernimento discrezionale ( S. Th. I-II, q. 49ss).7

Non tanto per contrapposizione, ma in modo integrativo alla visione architettonica tomista delle virtù, oggi si inclina a mettere in luce una certa antinomia dialettica fra gli atteggiamenti virtuosi.

Motivo? Ogni aspetto virtuoso umano nasconde una certa deformazione.

Per non imbrattare la grandezza della bontà divina, si invita a non descriverla coi termini delle virtù umane.

Per descrivere un bene autentico siamo costretti a far uso di termini virtuosi dialetticamente contrari.

Le singole virtù riflettono la nostra spiritualità in prospettiva limitata, rispecchiano il nostro sguardo angusto, si limitano a un aspetto per lo più esteriore.

Quando la psicoanalisi ci ha invitato ad indagare i risvolti degli atti virtuosi, ci siamo spaventati intuendo che potevamo avere un substrato inconscio cattivo.

Similmente accadrebbe se sapessimo abbracciare con un solo sguardo, con una sola parola, con una sola riflessione la bontà nella sua amplissima ricchezza.

Saremmo consapevoli come sia veritiera l'asserzione di Gesù: « Nessuno è buono, se non uno solo. Dio » ( Lc 18,19; Mt 19,17 ).

Quanto è stato ora affermato può ricevere conferma se ( a modo d'esempio ) esaminiamo il senso virtuoso del vissuto caritativo: esso riesce ad esprimersi solo entro la pratica simultanea di tutte le altre virtù nel loro situarsi antinomico ( 1 Cor 13; Rm 13,10 ) [ v. Carità ].

Difatti l'uomo caritatevole esperimenta la virtù della gioia perché scorge Dio presente nell'altro, lo sa amato dal Signore, lo sa arricchito dei doni dello Spirito.

Ma è gioia che si coniuga dialetticamente alla tristezza, giacché sa che l'altro potrebbe essere maggiormente affidato al Signore, più profondamente convertito a lui.

Il caritatevole ha una sovrabbondante bontà interiore, così da effondere benevolenza e misericordia su tutti, sugli stessi ingrati: una bontà che viene riversata su persone e in momenti al di là di ogni aspettativa ( Lc 6,38; Rm 12,17-21 ); egli inclina a condonare e ad essere comprensivo per l'insolvibilità del debitore, a compiere atti di clemenza a suo riguardo ( Mt 18,18ss; Fil 4,5 ), anche se questa misericordia, nel presente ordinamento sociale umano, deve essere integrata con la virtù della "vendetta", che inclina a castigare quanti compiono il male, altrimenti il disordine rimasto impunito potrebbe diffondersi nella comunità.

La vendetta è una virtù di civiltà, che si connette con la giustizia.

Il caritatevole è l'uomo dell'amabilità ( o benignità ) che con la sua presenza e col suo comportamento sa rendere sereni quanti accosta: ha gesti che affascinano e risvegliano amicizia ( 1 Cor 13,4; Col 4,6 ), anche se, insieme, sa risvegliare l'esigenza dell'ossequio in venerazione del suo compito di direzione.

Il caritatevole è mite, così da saper introdurre gli educandi alla vita virtuosa usando tatto persuasivo, tralasciando la punizione meritata, facendo in modo che sia il soggetto a prendere iniziativa di ravvedimento ( Mt 11,28-30; Lc 16,5-8 ).

La sua mitezza si esprime in longanimità, così che rispecchia il comportamento di Dio, il quale è « lento all'ira » e aumenta le attenzioni benevole verso il deviato affinché questi sia aiutato a ravvedersi ( Lc 11,5-9; Ef 3,18-19 ).

Nello stesso tempo il caritatevole sa comporre la sua mitezza longanime con la fermezza: aderisce senza tergiversazione ai valori spirituali ed è tutto dedito nel realizzarli in sé e negli altri.

Il caritatevole è portatore di pace.

Vivendo armonizzato in Dio ( Rm 5,11 ), comunica agli altri la gioia dell'ordine inferiore instaurato: appiana agli altri la strada della concordia pacifica, alimenta l'unità caritativa ( Gv 14,1; Gal 5,22 ).

Nello stesso tempo egli è battagliero e risoluto nell'affrontare e debellare quanto ostacola l'instaurazione di una pace sostanziata di giustizia ed è contrario a quanto devia ed ostacola l'unione amichevole.

Il caritatevole è verace: sa armonizzare atteggiamento e parola su quanto pensa; intona tutta la sua personalità alla semplicità, così che sia specchio terso del suo intimo, rifuggendo ogni doppiezza ingannatrice.

Nello stesso tempo il caritatevole è un verace che conosce la discrezione: sa ciò che conviene comunicare agli altri e ciò che deve essere occultato.

La sua franchezza limpida sa custodire le cose che devono rimanere segrete.

Il caritatevole è magnanimo: realizzando in se stesso l'ordinato intreccio delle virtù, si propone agli onori da parte di tutti.

La sua magnanimità si esprime in munificenza: si mostra grande, oltre che nella pratica virtuosa, anche nel disporre con saggia liberalità dei suoi beni.

Eppure il caritatevole magnanimo-munifico non è veramente virtuoso se non si situa interiormente in autentica umiltà; se non riconosce di essere povero che attinge grandezza in Cristo.

Non solo la carità si completa nelle altre virtù assunte in un intreccio antinomico, ma ogni singola virtù non può esprimersi in maniera autentica se non si integra in una forma virtuosa dialetticamente opposta.

Così ad es:

la virtù della comunicabilità oblativa è chiamata ad integrarsi nell'autonomia responsabile;

l'ossequio all'autorità nella contestazione costruttiva;

l'attuazione del precetto in un personale progettare profetico [ v. Contestazione profetica ];

la docilità al direttore spirituale nell'abbandono alla luce carismatica dello Spirito [ v. Padre spirituale ];

la ( v. ) fraternità caritativa nel riserbo raccolto;

la mortificazione [ v. Ascesi ] entro la volontà di promuovere le proprie potenzialità;

il reprimere le tentazioni nel rendersi cosciente della loro origine inconscia;

il castigare il proprio ( v. ) corpo nel renderlo atto a comunicare con gli altri;

l'esperienza quotidiana del morire a se stessi nel protendersi a una vita nuova [ v. Mistero pasquale ];

il fuggire il mondo nell'impegno di umanizzarlo affinché diventi dimora confortevole;

la ( v. ) contemplazione nella laboriosità, così da essere attivi nella contemplazione;

l'essere umile [ v. Umiltà ] nella consapevolezza che per dono divino siamo capaci di grandi cose;

la semplicità nella scaltrezza prudenziale ( Mt 10,16 ).

Ma come mostrarsi attenti a tante complesse sfumature virtuose?

Chi può avere tale capacità prudenziale da equilibrare nel proprio gesto esigenze così disparate?

Solo lo Spirito sa rendere la nostra coscienza capace di valutare prudenzialmente in quale misura e in quale modo rendere compresenti i vari aspetti antinomici virtuosi.

È possibile superare tutte queste antinomie e avviare la vita virtuosa verso la semplicità?

S. Freud sembra negarlo: « Tutte le forme di sostituzione e di reazione, tutte le sublimazioni sono incapaci di porre fine allo stato di permanente tensione »; mentre gli scolastici, che si collocano entro l'intelaiatura della psicologia razionale, ritenevano possibile sorpassare l'antinomia esistente all'interno della pratica di una medesima virtù: erano certi che si acquistasse semplicità spirituale passando dallo stato continente allo stato temperante di una medesima virtù, dal suo esercizio ascetico combattivo a quello mistico stabilmente pacifico.

In un'esperienza mistica i vari bisogni psico-fisiologici perdono la loro attiva potenzialità autonoma: si sublimano e si appagano all'interno delle operazioni superiori d'unione caritativa con lo Spirito.

La teologia spirituale odierna indica un'ulteriore evoluzione semplificativa: è possibile, per chi si introduce nella vita mistica, sorpassare la stessa antinomia esistente fra le molteplici virtù.

Quando l'anima entra nella carità contemplativa intuisce che deve sorpassare lo stadio delle virtù e iniziarsi alla semplicità dell'esistenza divina trinitaria; che deve saper raccogliere entro l'amore infinito ogni altra bontà.

Il mistico è colui che fa capire come occorra andar oltre i saggi discorsi, l'esercizio degli atti virtuosi, l'impegno in gesti eroici.

Si pensi a s. Tommaso d'Aquino, il quale nell'estasi precedente la sua morte, avendo visto gli albori della Verità, ritenne paglia ogni suo scritto; o alla vergine Maria, che si sentì strappata dalla virtuosa vita terrena avendo potuto gustare il dono di un frammento dell'Amore divino.

« La contemplazione si immerge in Dio solo, cioè nel suo solo amore.

L'anima, che così lo contempla, non ha coscienza di cosa alcuna, se non di questa sola scintilla d'amore in lei vivissima …

Così, a ben considerare le cose, i contemplativi, nella via della perfetta contemplazione, riterrebbero tempo perso occuparsi a pensare cose particolari, perché sanno bene che l'anima, che si è rivestita dell'amore, allorché non "distoglie lo sguardo dal suo amore infinito, conosce in lui tutto ciò che occorre sapere ».8

Il vero ( v. ) santo ha sorpassato le forme virtuose, che sulla terra sono molteplici e fra loro contrastanti: sa vivere nell'unità semplice dell'unico bene autentico; sa testimoniare in concreto come « una sola sia la cosa di cui abbia bisogno » ( Lc 10,42 ), anche se sulla terra il contrasto fra le virtù non è mai del tutto superabile, perché la carità contemplativa vi è praticabile solo nel compromesso di atteggiamenti virtuosi antinomici.

V - Antinomie fra stati ecclesiali

Le antinomie spirituali, presenti in ogni vita cristiana, si caratterizzano in modalità differenti all'interno dei singoli stati personali: a seconda che nella chiesa si svolga ( ad es. ) una missione laicale, sacerdotale o monastica.

Il ( v. ) laico ha un compito eminentemente profano, che normalmente svolge all'interno della propria ( v. ) famiglia, della propria professione [ v. Lavoratore ] e della propria attività socio-politica [ v. Politica II ].

Egli deve testimoniare coi fatti come interessi soprattutto e innanzitutto completare la creazione umanizzando l'universo, rendendo la convivenza umana espressione di libertà, affratellando gli emarginati, potenziando le cose che servono a una vita serena.

Nello stesso tempo tutto questo richiede di venir realizzato testimoniando la fede nel regno di Dio, affidandosi a Cristo come all'unico salvatore, riconoscendo alla rinuncia un ruolo insostituibile, avvertendo la deviazione originale all'interno di ogni realtà umana.

Il prete è assunto per un compito di servizio nella comunità ecclesiale: è tutto donato alla parola, al sacramento, all'esercizio della carità ecclesiale [ v. Ministero pastorale ].

Ma all'interno stesso del suo gesto sacrale, egli deve mostrare la grande umanità comprensiva, l'accoglienza affettiva [ v. Amicizia VII-VIII ], la testimonianza di una maturità personale, un saper vivere come esempio di amore oblativo.

Il monaco [ v. Vita consacrata ] ambisce essere colui che nella comunità ecclesiale cerca di enunciare la nuova esperienza di risorto in Cristo; colui che proclama nella propria esistenza che cosa sia la carità ecclesiale, che esprime come ci si possa lasciar condurre dallo Spirito.

Nello stesso tempo egli vive tutto questo per una missione ecclesiale: mostrare ai fedeli gli aspetti cristiani di ogni esperienza umana, come attuare evangelicamente un compito profano, come si possa vivere secondo lo Spirito la vita odierna.

Se da un lato il monaco sembra fuggire la mondanità per essere donato solo allo Spirito di Cristo, dall'altro lato si immerge in essa per farvi apparire un'animazione caritativa.

Le antinomie vissute all'interno dei singoli stati ecclesiali non si possono tratteggiare in un modo definitivo.

Non solo perché le singole persone vivono tali antinomie spirituali in maniera differente, a seconda del grado e del genere di spiritualità in cui dimorano, ma anche perché tutta la vita ascetica ha una sua acculturazione variante nel tempo.

Ecco perché non sarà mai possibile precisare una volta per sempre il rapporto fra fede e politica [ v. Politica I ], fra maturazione personale umanistica e rinuncia monastica, fra partecipazione alla vita secolare e dedizione apostolica sacerdotale.

VI - Superamento dell'antinomia "legge spirito" nel "volontariato cristiano"9

Se la nostra vita spirituale si mostra "povera", dovendo esprimersi entro virtù antinomiche, nello stesso tempo essa testimonia l'assillo di non lasciar cadere alcun frammento della multiforme ricchezza spirituale cristiana.

Un compito assai difficile: il variare della cultura umano-ecclesiale richiede un analogo cambiamento nei compiti spirituali e nel loro intreccio armonizzato, e l'esigenza di rinnovamento spirituale può essere in contrasto con un costume ecclesiale pacificamente praticato.

Come superare questa antinomia?

Come armonizzare le norme etiche con il divenire spirituale suggerito dal morire-risorgere in Cristo secondo la grazia ecclesiale dell'oggi?

Sarebbe deleterio se il popolo cristiano continuasse ad uniformarsi a regole inculcate pubblicamente ieri e non cogliesse la necessità di introdurre comportamenti aggiornati.

Verrebbe a crearsi la situazione spirituale anemica di un trincerarsi entro un codice morale non più sufficientemente adeguato allo stato innovato.

Non si può riversare la responsabilità solo sul magistero, incaricandolo di formulare e promulgare tempestivamente le norme spirituali.

Questo è compito solidale di tutta la comunità ecclesiale.

Anche perché, se le norme venissero comunicate unilateralmente dalla sola gerarchia ecclesiastica, esse si esprimerebbero nell'odiosa forma vincolativa del precetto.

Oggi si cerca di superare l'antinomia norma-esperienza spirituale non unicamente orientando alla vita mistica, ma parimenti favorendo dal lato ecclesiale il "volontariato".

Animi giovanili e persone altamente spirituali possono aver l'intuito delle nuove esigenze spirituali e mostrare la volontà eroica di testimoniarle anche con grande sacrificio personale.

Così ad es. ci si reca in regioni sottosviluppate per attuarvi una gratuita collaborazione di promozione umano-spirituale; si condivide la situazione misera dei baraccati per risvegliarne iniziative redentive verso il loro stato sociale; e gerarchie ecclesiastiche accettano di vivere in fraternità col popolo di Dio rinunciando a preferenze personali di decoro sociale.

Attraverso il volontariato cristiano si possono suggerire le nuove esigenze spirituali non mediante pesanti prescrizioni di dovere o inculcando un compito percepito come gravoso, bensì attraverso un'iniziativa generosa vissuta in prima persona, espressa nello slancio spontaneo di relazioni caritative, offerta nella sua freschezza anticonformistica come intuizione che sa cogliere le aspettative dei fratelli.

Il volontariato è un modo inculturato di vivere oggi in carità, un modo che è in grado di superare l'antinomia fra iniziativa spirituale e prescrizione legale autoritativa.

Il dovere spirituale non viene formulato dall'alto, bensì affiora man mano che gli stessi credenti estendono il loro "campo fenomenico spirituale", in proporzione che si illumina coscientemente il loro vissuto soggettivo il quale va abbracciando la nuova realtà socio-ecclesiale.

La realtà comunitaria, vissuta in devoto ascolto soggettivo dello Spirito di Cristo, diventa sorgente di motivazioni, di percezione affettiva, di interessi, di impegni altruistici, di generosità eroica.

Viene ad essere sorpassata l'antinomia fra norme oggettive astratte e una certa indolenza soggettiva riottosa a lasciarsi sopraffare da vincoli legali.

Con il volontariato, mediante una propria maturazione spirituale interiore nello Spirito di Cristo, ci si lascia istruire ed entusiasmare verso le mete socio-ecclesiali e culturali-evangeliche dell'oggi.

Femminismo
Fuga
Caratteristiche dell'esperienza spirituale Esperienza sp. Bib. II
Spiritualità IV
… fra obbedienza e libertà Chiesa I
Chiesa II
Libertà III
… fra azione e contemplazione Contemplazione I
Contemplazione II
Escatologia V
Modelli II
Politica I
Spiritualità III
… fra accettazione e fuga del mondo Apostolato VII
Escatologia V
Oriente V
… fra volontà di Dio e autonomia della persona Volontà
… fra impegno e attesa escatologica Escatologia VI
Ministero III
… fra persona e comunità Esercizi sp. II
… in Dio Esperienza sp. Bib. I
… in Cristo Esperienza sp. Bib. I
… nella Parola Itinerario sp. II
… fra Chiesa e mondo Esperienza sp. Bib. II
Laico III
Ministero IV
… fra clero e laicato Laico II
Ministero IV
… nell'umano Modelli II
Speranza
… nell'anziano Anziano I
… presso i rurali Lavoratore II
… sul lavoro Lavoratore III
… fra istituzioni e spontaneità Antinomie III
Apostolato II
Contemplazione II
Discernimento II
… fra libertà e legge Libertà II
… fra bene e male Ascesi III
Discernimento III
… fra continuità e novità Eroismo II
Esperienza sp. Bib II
Soluzione spirituale Mondo VII

1 Gaudium et Spes 21
2 S. Th. II-II, q. 57, a. 4
3 Vita Prima di Tommaso da Celano, in Fonti francescane, v. I, Assisi 1977, 449
4 L. Beirnaert, Expérience chrétienne et psychologie, Parigi 1964, 139s
5 M. Bellet, Ceux qui perdent la fui, Parigi 1965, 87
6 T. de Chardin, L'ambiente divino, Milano 1968, 89
7 Taluni rifiutano a priori l'antinomia fra le virtù, giacché esse sono ultimamente radicate nell'unico orda moralis che sta in Dio ( cf E. Kant, Métaphysique des Moeurs, ed. Vorlander, 27 ).
Essi cercano di risolvere le antinomie fra i vari doveri e le varie virtù richiamando la gerarchia delle leggi e dei valori.
Mentre in campo luterano l'antinomia dei valori e dei doveri è ritenuta il risultato dell'essere noi strutturati nel peccato: una situazione che ci costringe ad affidarci alla misericordia del buon Dio
8 Bernardino di Laredo, Salita del monte Sion, p. III, e. 27.
Cf s. Caterina da Genova, Biografia, e. 19 in U. Bonzi da Genova, S. Caterina Fieschi Adorno, Torino 1962, v. II, 207
9 Il Volontariato, - sorto nel 1920 nei pressi di Verdun ( confine franco-tedesco ) come gruppo di persone di varie nazionalità impegnate per eliminare i danni morali e materiali recati dalla guerra - è un segno di collaborazione fra popoli che i governanti volevano nemici.
Allo scoppio della seconda grande guerra ( 1940-1945 ) a Padova sorge il C.U.A.M.M., collegio che prepara medici per un servizio umanitario a favore di nazioni in via di sviluppo.
Nel 1945-1950 i volontari cercano un dialogo con le popolazioni del Terzo Mondo, offrendo ad esse le loro capacità professionali o di mestiere ( assistenza di tipo tecnico ).
Nel 1960 si hanno volontari da ogni parte del mondo a servizio di società sottosviluppate senza ricerca di proprio guadagno o carriera ( Conferenza di Rosario - Argentina - febbraio 1966 C.C.I.V.S. ).
Nel 1973 i volontari si impegnano a lottare contro le cause del sottosviluppo e ad opporsi alla presenza padronale o sfruttatrice dei paesi ricchi ( Conferenza di Tema - Ghana - febbraio 1973 C.C.I.V.S. ).
Attualmente i volontari si propongono di essere uno degli strumenti nel processo di coscientizzazione e di liberazione dell'uomo soprattutto nelle terre sfruttate ( Conferenza di Beirut, marzo 1975 C.C.I.V.S. ), nel rispetto della loro cultura originale: spesso vi comunicano un'ispirazione cristiana.
I volontari vengono accuratamente preparati al loro compito da proprie organizzazioni, le quali continuano ad assisterli nei luoghi di missione.
A modo esemplificativo si possono ricordare: la nascita del Peace Corps il 2 novembre 1960 per iniziativa di J. Kennedy; in Francia, Germania e Italia ( legge 15 dic. 1971 ) il volontariato è legalmente riconosciuto quale servizio civico in sostituzione del servizio militare; le risoluzioni dell'ONU ( 20 dic. 1968; 27 luglio 1970 ) per l'istituzione di un corpo internazionale di volontari; le raccomandazioni del Consiglio d'Europa ( 18 marzo 1969 ) per l'istituzione del volontariato.