Apollinarismo
1) Eresia cristologica sostenuta dal vescovo di Laodicea, Apollinare
nega la natura umana completa di Cristo
Fu un'eresia sostenuta nella seconda metà del IV secolo da Apollinare il giovane, secondo il quale in Cristo l'uomo Gesù non aveva la ragione umana, sostituita da quella divina del Verbo.
Assicurava così, certamente, l'unità della persona del Verbo incarnato, ma non badava che, evidenziando la natura divina, distruggeva quella umana, in quanto non è concepibile un uomo senza ragione.
Il Verbo, così, sarebbe sceso in un animale ( che è il vivente senza ragione autonoma ), e quindi l'umanità non sarebbe stata redenta.
Per difendere la verità la distruggeva; capita sempre così: l'ortodossia è luminoso equilibrio che compone tutti gli elementi della verità in un flusso sanamente vitale, l'eresia è un velleitarismo angusto che s'affanna a salvare un membro non avvedendosi che uccide l'organismo.
Dottrina riguardante la natura di Cristo: essa prende nome dal caposcuola, Apollinare, eletto vescovo di Laodicea nel 361 e morto prima del 392.
Questi era un assertore del dogma, definito nel concilio di Nicea ( 325 d.C. ), che afferma la "perfetta" divinità di Cristo.
Ma per salvaguardare la divinità della persona di Cristo, Apollinare sostenne che l'umanità di Cristo è incompleta, priva dell'anima razionale.
Per tale ragione alla carne umana mancherebbe, secondo Apollinare, l'anima, o almeno il nôus, che è sostituito dal Verbo.
L'apollinarismo nega quindi l'integrità dell'umanità di Cristo, e afferma con forza l'unità ( unica natura ) e la santità di Cristo.
Il significato dell'apollinarismo è stato quello di introdurre nel dibattito su Cristo i termini physis: natura, hypóstasis: ipostasi, ousia: sostanza, prósopon: persona, che in Apollinare risultano praticamente equivalenti, ma che la successiva discussione cristologica del V sec. precisò progressivamente.
Nacque a Laodicea verso il 310; era figlio di un sacerdote che aveva il suo stesso nome.
L'amicizia con Atanasio gli costò, nel 342, la scomunica da parte del vescovo ariano Giorgio.
Nel 346 Atanasio ritornò dall'esilio e nel 361 Apollinare venne eletto vescovo di Laodicea.
Combatté gli ariani ma, alla fine, anch'egli venne condannato come eretico nei sinodi romani del 377 e 382, che si celebrarono sotto il pontificato di Damaso.
Il concilio di Costantinopoli del 381, inoltre, condannò la cristologia di Apollinare.
Morì intorno al 390.
Sappiamo che commentò diversi libri dell'Antico e del Nuovo Testamento dei quali ci sono pervenuti frammenti in diverse " catene ".
Inoltre scrisse due opere apologetiche, dirette rispettivamente Contro il neoplatonico Porfirio e Contro Giuliano l'apostata, che non ci sono giunte.
La medesima sorte hanno subito i suoi scritti anti eretici.
Perduto è anche il suo contributo alla poesia cristiana anch'esso notevole.
Paradossalmente, la maggior parte delle opere conservate - in modo frammentario - riguarda i suoi scritti impregnati di una eterodossia cristologica.
Si discute dell'autenticità delle due lettere dirette a Basilio Magno.
Preoccupato dell'eresia ariana e del fatto che essa non credeva nella piena divinità di Cristo, Apollinare sostenne una visione che ledeva gravemente l'umanità del Salvatore.
Partendo da Platone, affermava la coesistenza nell'uomo di spirito, anima e corpo.
Secondo Apollinare, in Cristo erano presenti gli ultimi due elementi, mentre il primo veniva sostituito dal Logos.
In questo modo, mentre la divinità appariva completa, l'umanità non lo era affatto.
Cristo non poteva aver avuto un'umanità completa perché Dio e uomo non potevano unirsi completamente e inoltre, poiché lo spirito può decidere fra il bene ed il male, questo avrebbe permesso a Cristo di peccare; il che è inconcepibile.
Apollinare sosteneva che in Cristo c'era una sola natura.
Apparentamente la sua tesi risolveva i problemi cristologici, e questo forse spiega l'influsso che ebbe successivamente, ma in realtà ledeva gravemente la fede cristiana nell'umanità completa e perfetta di Cristo, privando di senso l'incarnazione e la redenzione.
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L'eresia di Apollinare si concentra in due affermazioni: la carne del Cristo è "celeste", cioè divina e la negazione della parte superiore dell'anima umana, cioè il "nous", lo spirito.
Quindi per Apollinare Cristo non ha un'anima razionale e spirituale come l'uomo, perché altrimenti avrebbe dovuto condividere anche la sua caducità, cioè il peccato e questo sarebbe impossibile.
Quindi Cristo avrebbe assunto solo la "carne", cioè il corpo e l'anima vegetativa, sostituendo quella razionale e spirituale con quella divina.
In defintiva Gesù avrebbe avuto due nature, umana e divina, ma solo una volontà, quella divina.
Per giustificare tale visione Apollinare citava il versetto del vangelo di Giovanni: "E il verbo si fece carne" ( Gv 1,4 ) intendendo col termine "carne" solo la parte materiale della natura umana.
A contrastare questa visione, rilevandone i tratti contrari all'originale fede degli apostoli e a quanto riportato dalla Scrittura, furono i padri cappadoci Gregorio di Nazianzio e Gregorio di Nissa.
Questi fecero notare che se l'incarnazione avesse riguardato solo il corpo e una parte dell'anima umana, allora Cristo non sarebbe stato perfettamente uomo perché mancante dell'elemento principale dell'essere umano che è l'anima propria dell'uomo, cioè quella intellettiva.
Anche l'interpretazione del versetto 1,4 del vangelo di Giovanni è sbagliata: infatti la parola greca per "carne", cioè "sarx", che traduce l'ebraico "basar", intende l'uomo nella sua interezza, sottolineando il suo aspetto di debolezza e fragilità tipico dell'intero uomo, corpo ed anima.
L'eresia è, quindi, evidente: se Cristo non ha assunto tutta la natura umana, allora anche la sua redenzione è incompleta.
Ciò che non è stato assunto non sarebbe stato redento e questo è impossibile.
In realtà Cristo ha assunto anche la volontà umana che in Lui ha convissuto con quella divina.
Nell'orto degli ulivi abbiamo la più eclatante manifestazione delle due volontà presenti in Gesù ( Mt 26,36-44 ), il quale non è venuto per fare la Sua volontà, ma quella del Padre ( Gv 6,37-40 ).
È la volontà umana di Cristo, che accetta la volontà del Padre, quella che compie il sacrificio che ci salva ( Eb 10,1-10 ).
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In polemica contro gli ariani, affermava che Gesù è vero Dio e vero uomo ed è altresì un essere unico ( questo dato lo ricavava dalla tradizione ), ma si trovava in difficoltà a spiegare l'affermazione.
- Partendo dal principio che due realtà complete non possono costituire un solo essere e tuttavia Gesù è un solo essere, concludeva che una delle realtà coesistenti in Gesù doveva essere incompleta.
- Poiché Gesù é totalmente Dio, l'incompletezza poteva riguardare solo la sua umanità.
- Ma, poiché la Scrittura afferma con evidenza la realtà del corpo di Gesù - e nella stessa direzione andava la condanna dei Doceti -, l'incompletezza doveva necessariamente ricadere sulla sua anima.
- Rifacendosi alla teoria filosofica di Platone, che divide l'uomo in tre parti ( corpo, anima intellettiva, anima sensitiva ), Apollinare attribuiva a Gesù un vero corpo ed un'anima sensibile, ma affermava che in lui le funzioni dell'anima intellettiva venivano svolte dalla divinità.
Così, nonostante le buone intenzioni, Apollinare mutilava la dimensione umana di Gesù per salvare l'unicità del suo essere: Gesù non era più completamente uomo.
Per risolvere il problema, l'imperatore Teodosio I indisse il: 2° Concilio Ecumenico - Costantinopoli, 381.
Il concilio prese in considerazione la dottrina di Apollinare e, pur senza far propria la divisione dell'uomo in tre parti, affermò la vera e completa umanità di Gesù in base al principio già enunciato dal papa Damaso: « Quello che dell'uomo non è stato assunto da Gesù, non è stato salvato ».
Se dunque il Verbo di Dio non avesse assunto qualche elemento costitutivo dell'uomo, quell'elemento non sarebbe stato salvato.
La tradizione infatti presentava Gesù come il salvatore di tutto l'uomo.
Per conseguenza la dottrina di Apollinare veniva rifiutata come non conforme alla fede tradizionale.
Il concilio di Costantinopoli di per sé non era ecumenico, cioè universale, perché non erano stati invitati i vescovi dell'occidente - nemmeno il vescovo di Roma -.
Divenne « ecumenico » in seguito, perché le sue decisioni furono accettate da quasi tutte le Chiese antiche.
Resta così chiarito che è da ritenersi contraria alla fede cristiana qualunque antropologia che non possa applicarsi completamente a Gesù, in quanto Gesù è veramente e completamente uomo ( anzi è l'uomo - cfr. Gv 19,5 ).
Tra l'altro il Concilio delimitò la giurisdizione del patriarca di Alessandria al solo Egitto e attribuì il primato di onore al vescovo di Costantinopoli, dopo il vescovo di Roma, « per essere la città la nuova Roma » ( can. 3 ).
Inizia così l'ascesa del vescovo di Costantinopoli a scapito delle due altre grandi sedi episcopali dell'oriente: Antiochia ed Alessandria.
La condanna dell'interpretazione cristologica di Apollinare spinse il pensiero cristiano ad approfondire i rapporti tra due dati ormai sicuri:
1. Gesù è un unico essere.
Perciò non è conforme alla fede cristiana qualunque interpretazione che non salvi l'unità di Gesù.
2. In Gesù coesistono due aspetti, la divinità e l'umanità: ambedue complete.
Perciò non è conforme alla fede cristiana una dottrina che non salvi in Gesù la divinità ( condanna delle tesi di Ario ) e l'umanità ( condanna delle tesi dei doceti e di Apollinare ).
Il problema lasciato aperto alla riflessione successiva era dunque questo: come conciliare la dualità di aspetti in Gesù con l'unità del suo essere?
Non ci deve stupire se, nel tentare di risolvere questo difficile problema, ci furono altre interpretazioni difformi dalla fede tradizionale
Magistero |
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Catechesi Giovanni Paolo II | 9-3-1988 |
affermano falsamente una incompleta umanità nel Figlio dell'uomo. | |
Padri |
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Agostino - Incompleta Contro Giuliano | IV 47 |
Apollinaristi hanno detto nel Signore Gesú Cristo consustanziale il corpo alla divinità; altri poi hanno negato che egli abbia assunto un'anima |