Opera incompiuta contro Giuliano |
Giuliano. Se dirai con il nome di concupiscenza anche lo stesso limite con il quale l'uomo è preso dalla voluttà lecita delle cose naturali, così da far apparire come condannata in tutto e per tutto la concupiscenza della carne, confessa dunque che e il senso degli occhi e il mondo stesso e tutto ciò che esiste nel mondo è stato creato dal diavolo, perché tutte queste cose si dicono ugualmente non provenienti da Dio.
Se lo approverai, non diventerai certamente manicheo: lo sei infatti anche adesso; ma mostrerai di esserlo anche con la tua confessione, come già prima con le tue argomentazioni.
Se invece, temendo l'errore messo a nudo, dirai che l'Apostolo con il nome di concupiscenza della carne e di concupiscenza degli occhi e con il nome di mondo non si è riferito alle realtà stesse, che sono innocenti finché restano dentro i confini consentiti e diventano riprovevoli quando corrono ad azioni illecite, allora splenderà chiaro ciò che abbiamo acquisito nella prima opera: della concupiscenza naturale viene in colpa non il genere, non la specie, non il modo, ma solamente l'eccedenza.
Perciò cerca in seguito di trattare con pudore questa testimonianza dell'Apostolo, perché se la macchierai anche solo per leggerezza, non apparirai difeso per nulla, ma tradito pubblicamente da essa.
Agostino. Ma, o uomo litigioso, il limite della concupiscenza, che tu dici concesso, non si rispetta quando alla concupiscenza impellente si acconsente o si cede e si va nella sua eccedenza, per non andare nella quale si resiste al male.
Chi dubiterà infatti che sia male ciò a cui obbedendo fai il male e a cui resistendo fai il bene?
Chi dunque vuol vivere temperantemente, non acconsenta al male che tu lodi, e chi vuol vivere fedelmente, non acconsenta a te quando lodi il male.
Quindi per stare lontano da voi sappia che la concupiscenza è un male, ma per stare lontano e da voi e dai manichei sappia donde venga la concupiscenza.
Giuliano. Mi esercitai su questo testo nel secondo libro della mia prima opera e dimostrai che nell'uomo, prima che ci fosse la colpa, ci fu la concupiscenza della carne, la quale acuisce lo stimolo del gusto e della vista.
Agostino. A questo tuo secondo libro risposi sufficientemente con il mio quarto.
Infatti come là, così anche qui tu ciarli a vuoto.
In nessun modo infatti hai dimostrato che la concupiscenza della carne, per cui la carne concupisce contro lo spirito, abbia cominciato ad esistere nell'uomo prima della colpa.
Qualunque cosa sia ciò che di nuovo i due esseri umani sentirono nelle loro membra dopo il peccato, per cui il loro pudore coprí le parti pudende, lo contrasse senza dubbio la colpa.
Giuliano. Qui tuttavia io esigo necessariamente di sapere da quali sogni ti sia stato rivelato di pensare che con il nome di concupiscenza sia stata indicata la libidine di coloro che si uniscono.
Salvi infatti i sussidi della verità, che sono stati evidenziati da una lunga discussione, facciamo l'ipotesi che non sia stato ancora messo in chiaro se il senso della carne appartenga al medesimo autore al quale appartiene la formazione della carne.
Agostino. Altri sono i sensi della carne, con i quali la carne annunzia in qualche modo allo spirito la presenza delle realtà corporee, e altri sono i movimenti della concupiscenza carnale, con i quali la carne concupiscendo contro lo spirito lo precipita in tutte le azioni illecite e disoneste, se anche lo stesso spirito non concupisce contro la carne.
La quale discordia tra la carne e lo spirito non si attribuisce al creatore della carne o del senso, ma al cattivo suasore e all'uomo prevaricatore da coloro dalla cui sana fede è condannato l'insano errore dei pelagiani e dei manichei.
Giuliano. Ma se si finge tale ambiguità, ti avvolgerà subito la più fitta nube del dubbio.
Questa concupiscenza della carne appunto non reca assolutamente nessuna traccia dei genitali.
Dirò dunque che con questo vocabolo della concupiscenza si colpiscono gli orecchi sitibondi della varietà dei canti, dirò che si castiga da Giovanni il palato dei buongustai, dirò che si incolpano le narici ghiotte di odori: tutto infine, meno quello che tu pensi.
Libera è la scelta dove non c'è nessuna pressione di una parola specifica.
Dunque o nega che si concupiscano le cose suddette e come al solito opponiti alla coscienza di tutti; o se la tua impudenza non si è ancora tanto indurita da resistere a tutti, riconosci che nemmeno nei ragionamenti della Scrittura si trova la condanna della giocondità genitale.
Agostino. Tu dici questo come se noi dicessimo che la concupiscenza della carne divampa solamente per suscitare la voluttà dei genitali.
La stessa concupiscenza si conosce assolutamente in qualsiasi senso del corpo concupisca la carne contro lo spirito, e poiché essa trascina ai mali, se contro di essa non concupisce ancora più fortemente lo spirito, è dimostrato che essa è un male.
In riferimento ad essa la Scrittura domanda: Che cosa è stato creato peggiore dell'occhio? ( Sir 31,15 )
E certamente creò l'occhio, non la sua nequizia, Dio, creatore di tutte le cose, e dei corpi e dei sensi.
Ecco donde puoi capire - se non resisti alla verità - che nella nostra natura è presente un male, anche quando si crea, benché si crei bene da un creatore buono, un bene.
Ma donde venga questo male apprendilo da Ambrogio, per non offrire il tuo suffragio a Manicheo nell'introdurre un'altra natura, cioè la natura del male, coeterna a Dio.
Giuliano. In che cosa dunque può aiutarti il fatto che io nel corso della mescolanza dei sessi non ho voluto lacerare con il nome della concupiscenza la fecondità degli amanti, quando nemmeno tu con Manicheo l'hai potuta dimostrare diabolica e quando era già stato chiarito dalla stessa logica della discussione precedente che la sensibilità operante nel corpo degli amanti si riporta all'opera del medesimo autore alla cui istituzione si riferiscono i corpi, i matrimoni, i semi?
Agostino. Altro è la facoltà di sentire, altro il vizio di concupire.
Distingui diligentemente queste due realtà e non voler errare deformemente.
Ripeto: altro è la facoltà di sentire, altro il vizio di concupire.
Leggi il Vangelo: Chi guarda, dichiara, una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore. ( Mt 5,28 )
Non ha detto: Chi guarda, che è il sentire per mezzo di quel senso del corpo che si chiama vista, ma ha detto: Chi guarda per desiderare, che è il guardare per fare il male.
La vista dunque è un senso buono della carne, la concupiscenza è invece un movimento cattivo della carne.
Di quel male se usa bene un coniugato, il buon uso non lo fa diventare buono, ma lo porta a servire ad un'opera buona.
Infatti non fa se non qualcosa di buono anche per mezzo di quel male, se non fa nulla per amore di quel male.
Se invece fa qualcosa per amore di quel male, ma tuttavia lo fa nel coniuge, non gli concederebbe venia l'Apostolo in grazia delle nozze, ( 1 Cor 7,6 ) se non riconoscesse che è peccato.
Giuliano. Era certamente opportuno dopo la prima opera, dedicata da me a quel sant'uomo di Turbanzio, non discutere più per nulla sul pudore necessario degli organi naturali, perché la trattazione di allora fu così completa che non può nascere di là nessun dubbio se non per menti del tutto sfasciate.
Agostino. Forse anche per questo quel santo uomo di Turbanzio, dopo aver letto la stessa tua opera, che ricordi di avergli scritta, ritornò a respirare nella fede cattolica, perché conobbe che in tale causa tu avevi defezionato.
Giuliano. Tuttavia, poiché il difensore della traduce non può allontanarsi nemmeno d'una sottile unghia dall'argomento del pudore e con eleganza retorica affatica il mio pudore, a che giova distinguere d'ora in poi per mezzo di nomi diversi la stessa operazione del coito con quella parsimonia che conviene a quanto abbiamo già fatto?
Anche in questo luogo dunque e nei successivi, dove io a commento del passo: " Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne ", ( Gen 2,24 ) dicevo: Per esprimere la credibilità delle opere il Profeta ha quasi rasentato il pericolo di compromettere il pudore, costui, come se avesse trovato la selvaggina, gioisce, esulta e grida: O confessione pienamente esplicita ed estorta dalla forza della verità!
Si dica la causa per cui nell'esprimere le opere di Dio il Profeta si sia avvicinato a mettere in pericolo il pudore.
Ma è forse vero che le opere umane non devono esser oggetto di vergogna, bensí solo di gloria, e le opere divine devono essere oggetto di vergogna?
È proprio vero che nel dire e nell'esprimere le opere di Dio non si onora del Profeta l'amore o la fatica, ma si mette in pericolo il pudore?
Che cosa infatti ha potuto fare Dio che il suo predicatore si vergogni di dire?
E ancora più grave, si vergognerebbe l'uomo di un'opera che nell'uomo non ha fatta l'uomo ma Dio, quando tutti gli artigiani mettono quanta fatica e diligenza possono per non doversi vergognare delle loro opere?
Ma è fuori dubbio che noi ci vergogniamo di ciò di cui si vergognarono quei primi uomini quando si coprirono le pudende: quella è la pena del peccato, quella è la piaga e il marchio del peccato, quella è l'attrattiva e il fomite del peccato, quella è la legge che nelle membra muove guerra alla legge dello spirito.
Di ciò si ha vergogna e giustamente si ha vergogna.
Infatti se così non fosse, che cosa sarebbe più ingrato per noi, più irreligioso del confonderci nelle nostre membra non di un vizio o di una nostra pena, ma delle opere di Dio?14
È certamente chiaro in che modo gioisca: non può mettere freni al suo gaudio!
Ritiene la mia sentenza per poter con essa mostrare cattiva la concupiscenza naturale e assegnarla alle opere del diavolo.
La quale sentenza dice che l'ha estorta dalla mia bocca con la forza della verità.
Strombazza che sarebbe molto scellerato e sacrilego confessare che si debbano coprire per pudore parti del corpo che diciamo fatte da Dio.
Ma, troppo commosso dalla sua euforia, non poté ponderare il suo dire.
Mentre infatti asserisce che nelle opere di Dio non c'è nulla di cui vergognarsi, mentre asserisce al contrario che l'opera dei genitali è vergognosa e tale perciò da non potersi ascrivere alle opere del Creatore, improvvisamente confessa che l'opera dei genitali non solo è onesta ma anche giusta, che è assegnata ai nostri corpi non solo da Dio creatore ma anche da Dio giudice.
Ho dimostrato nel terzo libro della mia prima opera che la pena non può identificarsi con la colpa.
Agostino. Non hai dimostrato quello che ti vanti invano d'aver dimostrato.
Anzi tu stesso, dimentico di quanto avevi detto prima, hai confessato in un passo che la colpa può essere anche la pena di chi ha peccato.
Il che avevo dimostrato io con sufficiente evidenza nel risponderti antecedentemente,15 provando anche per mezzo dell'Apostolo che si puniscono i peccati con altri peccati.
Il quale Apostolo, dopo aver detto di alcuni che avevano scambiato la gloria dell'incorruttibile Dio con l'immagine e con la figura dell'uomo corruttibile, con le immagini degli uccelli, dei quadrupedi e dei rettili, subito, dimostrando che questo peccato è stato punito con altri peccati, scrive: Perciò Dio li ha abbandonati all'impurità secondo i desideri del loro cuore, così che disonorarono tra loro i propri corpi, ( Rm 1,23-24 ) e il resto che ha intrecciato lí.
Né si direbbe nel Salmo: Imputa a loro colpa su colpa e non ottengano la tua giustizia, ( Sal 69,28 ) se per un giusto giudizio di Dio i peccati precedenti non si punissero con l'addizione di altri peccati.
Giuliano. E perciò non c'è da affaticarsi su questo.
Sottolineo tuttavia l'acutezza del polemista, che non vuole creata da Dio la morte, che dice resa per punizione da Dio, dichiarando non conveniente alle opere di Dio ciò che egli vuole conveniente ai giudizi di Dio.
Agostino. Apparisce che tu non capisci in che modo sia stato detto: Dio non creò la morte, ( Sap 1,13 ) mentre tuttavia è per giudizio di Dio che muore chi pecca.
Conviene dunque al giudizio di Dio che il peccatore muoia, né tuttavia conviene all'opera di Dio la morte, perché Dio non creò la morte.
Giusto è appunto il suo giudizio che ciascuno muoia per il suo peccato, mentre Dio non crea il peccato; come non creò la morte e tuttavia colui, che Dio giudica degno di morte, muore.
Dove si legge: Dio non creò la morte, si legge: La morte e la vita vengono dal Signore Dio. ( Sir 11,14 )
Le quali due affermazioni che non siano contraddittorie tra loro lo vede certamente chiunque distingue dalle opere divine i giudizi divini.
Il che se tu lo avessi potuto fare, non avresti detto coteste sciocchezze.
Giuliano. Dunque non c'è spazio per la vergogna nelle opere di Dio, ma c'è somma turpitudine nelle sentenze di Dio!
Un reato appunto merita certamente una pena.
Ma per questo è vero tuttavia che la confusione dovuta alla colpa ritorna nella punizione, così che si nomini non vergognoso ciò che ha fatto il reo, ma non si possa dire non ignominioso ciò che giudicando ha fatto Dio?
Agostino. Perché complichi le verità esplicite e intrighi le verità dipanate, per sembrare agli ingegni più tardi, numerosi in mezzo agli uomini, di dire qualcosa, mentre non dici nulla?
Sei infatti un uomo che tenti più con l'inverecondia che con la facondia di persuadere che non c'è nessuna bruttura o poca nel concupire della carne contro lo spirito, mentre la carne dovrebbe sottostare allo spirito; o che non sia giusto il giudizio di Dio di abbandonare a sé chi abbandona la legge di Dio, perché sia pena a se stesso colui per il quale Dio era stato la vera felicità; o che ciascuno si debba confondere del peccato e non della pena del suo peccato, quando i più non arrossiscono dei loro peccati, se nessuna pena è conseguita ad essi che si faccia sentire da loro e li faccia confondere la pena, come non li avrebbe fatti confondere l'impunità.
Ma chi contro verità evidentissime si prenderebbe il gusto di essere " diserto ", se non fosse " deserto " dalla verità?
Noi però diciamo liberamente ambedue i fatti: e quello che l'uomo ha compiuto volente e quello che l'uomo ha patito nolente, ossia e la disobbedienza dello spirito e la concupiscenza della carne contro lo spirito.
Ma tu uno di questi fatti ti vergognavi di dirlo, per non ricordare a noi il modo di confutare il tuo errore.
Ed ora, quando nomini ormai la concupiscenza della carne e la libidine, perché non si dica che tu arrossisci del nome della tua protetta, temi ancora di più di arrossire e non temi di errare.
Giuliano. Consta tuttavia che il nostro accusatore si voltola nel medesimo loto che avversa.
Poiché infatti ha inventato come giustamente resa da Dio la pena della libidine, poiché inculca che questa giustizia conviene alla divina sentenza, dalla quale dice provenuta la libidine, da lui confessata vergognosa, egli riporta senza dubbio nell'opera di Dio quella medesima vergogna che aveva respinta nell'opera di Dio.
Agostino. Ti è già stato detto che Dio non creò la morte, ( Sap 1,13 ) ma nel pronunziamento della sentenza di Dio c'è: Morirai certamente. ( Gen 2,17 )
Ecco, Dio ha fatto che si retribuisse al peccatore ciò che Dio stesso non ha fatto.
E tuttavia, poiché è un Dio che fa giustizia, ( Sal 94,1 ) dice pure che crea i mali, ( Is 45,7 ) e nel libro dell'Ecclesiastico alcune creature si dicono fatte da Dio per punire. ( Sir 39,33 )
Ma quando il peccato è anche pena del peccato, non è Dio che con un'opera iniqua fa il peccato, bensí è Dio che con un'opera giusta fa che il peccato sia la pena di chi ha peccato.
Chi infatti negherebbe che sia un peccato credere a profeti menzogneri?
E tuttavia questa fu la pena del re Acab, inflittagli per giudizio divino, come attesta la Storia dei Regni. ( 1 Re 22 )
Né per questo c'è qualcuno tanto pazzo da reputare meritevoli di lode le menzogne dei falsi profeti o da dire Dio autore di menzogna, quando per giusto giudizio fa che sia ingannato dalla menzogna chiunque egli riconosca degno di tale pena.
Leggi e intendi, e non ti voler stordire con il tumulto della loquacità per non intendere.
Giuliano. A ciò tuttavia, quasi come corollario di speciale scelleratezza, ha fatto l'aggiunta di dire inflitta da Dio una pena tale che fosse incentivo e fomite di peccato, una pena che come legge invitta nelle membra movesse guerra alla legge della nostra mente.
Con il quale genere di punizione Dio moltiplicherebbe le colpe invece di punirle, ed egli che si era adirato contro la cattiva volontà con la quale l'uomo aveva sbagliato, da allora in poi metterebbe in essere la necessità di peccare.
Quale sia tuttavia questo giudizio se lo veda la pazzia furiosa di Manicheo, purché risulti che questo giudice inventato da Agostino, abbia pur simulato di aborrire il peccato, ma è invece attaccato ai peccati con tanta passione che essi non potrebbero trovare un precettore più diligente.
Agostino. Leggi ciò che è scritto: Poiché non amarono di conoscere Dio, egli li abbandonò alla loro reproba mente, perché facessero azioni sconvenienti, ( Rm 1,28 ) e avvéditi che certi peccati sono anche pene di coloro che peccano.
Per capire poi in che modo Dio lo faccia, rileggi quello che ti ho fatto osservare precedentemente nei riguardi del re Acab: la sua colpa fu certamente di credere ai falsi profeti, e tuttavia questo peccato per castigo di Dio fu altresí pena del peccante.
Considera questi fatti e non abbaiare contro la verità, perché non si debba riconoscere anche in te questa pena.
Giuliano. Che vuoi dunque, o sottilissimo disquisitore?
Vuoi che nelle opere di Dio ci sia una sacrilega vergogna, mentre tutte le cose fatte da Dio si devono trattare indiscriminatamente per evitare che la nostra trepidazione sembri accusare il Creatore?
Errò dunque l'apostolo Paolo, il quale descrivendo le opere di Dio afferma: Le parti più vereconde del nostro corpo hanno maggiore onestà.
E Dio ha composto il corpo conferendo maggiore onore alle parti che ne erano prive, perché non ci fosse disunione nel corpo. ( 1 Cor 12,23-25 )
Agostino. Leggi diligentemente e scruta il codice greco e troverai che l'Apostolo ha detto disoneste le parti che tu dici più vereconde.
E chiedendoti perché siano disoneste quelle membra che erano precedentemente tanto oneste da essere nudi quei due senza che ne sentissero confusione, ( Gen 2,25 ) riscontrerai, se l'animosità della contesa non ti acceca, che questa conseguenza fu provocata dalla precedenza del peccato, e che Dio non fece qualcosa di disonesto nei primi uomini, come non fece Dio nemmeno la morte, sebbene il corpo non lo faccia se non Dio, e tuttavia dice l'Apostolo verace: Il corpo è morto a causa del peccato. ( Rm 8,10 )
Giuliano. Erra pure la cautela delle persone oneste che circonda dei ripari della verecondia i fenomeni naturali!
Tu dunque evacua per conto tuo sotto gli occhi dei popoli i resti dei cibi, che certo riconosci non pertinenti alla libidine.
Anzi per conciliare autorità al tuo dogma con l'esempio fa' nella Chiesa tutte le azioni che dici provenienti dal comando della volontà e, contentandoti di occultare solamente l'operazione del coito, dalla quale hai smesso e prima forse per tuo proposito e adesso per senilità, di' che si commette un grande sacrilegio, se evita lo sguardo del pubblico un fatto che ha Dio per creatore.
Mangia quindi nel foro o nelle sinagoghe dove risuonano le tue dispute, e quando le vesti sono di peso sotto un torrido sole, lasciando coperta unicamente la parte del corpo che viene mossa dal diavolo, incedi nudo in tutto il resto, poiché dichiari ingrato e profano coprire ciò che si ascrive alle opere di Dio.
E poiché non fai nulla di questo - a meno che tu l'abbia fatto senza trarne profitto -, con le stesse opere tu confermi una delle due conclusioni: o appartengono al diavolo tutte coteste azioni che non eseguisci al cospetto del pubblico, o il vostro dogma è caduto, se non per testimonianza del tuo cuore, almeno per testimonianza del tuo ventre.
Agostino. Delle azioni che il pudore occulta alcune sono orribili, altre sono concupiscibili.
Quelle orribili si nascondono per non suscitare orrore, come l'evacuazione dei resti degli alimenti.
Quelle concupiscibili si nascondono invece perché non si concupiscano: o dissuadendo dal concupire ciò che si suole fare per mezzo di tali azioni, com'è il caso di quelle membra che dal pudore stesso si dicono pudende, o quando per mezzo di esse si compie la stessa opera della concupiscenza.
Infatti anche il vergognarsi di lasciare nude o di denudare le altre parti piuttosto distanti dalle pudende dipende dal fatto che la concupiscenza della carne si alimenta più estesamente per mezzo degli occhi.
Donde quei due famosi impudichi per quanto poterono vollero denudare la pudica Susanna. ( Dn 13,32 )
Si può dunque ben intendere che pure Dio raccomandò la cura anche del medesimo pudore, quando quei due che, confusi della loro nudità, si erano fatti delle cinture, li rivestí altresí di tuniche, e precisamente di tuniche di pelle, ( Gen 3,21 ) per indicare che la morte si era associata a quei corpi ormai corruttibili.
Di nutrirsi in pubblico lo proibisce invece la consuetudine a quanti lo proibisce, e fare contro la consuetudine fa giustamente vergognare.
Infatti gli antichi Romani, come tu stesso hai letto, erano soliti cenare e pranzare all'aperto.
Perché dunque divaghi nel vuoto, non ragionando, ma ingiuriando?
Guarda a quei primi genitori che erano nudi senza provarne vergogna: osserva che cosa abbiano coperto e confessa che cosa abbiano sentito.
Dalle cinture si arrivò alle tuniche: da là cominciò e crebbe il tegumento del corpo umano, dove a membra umane fu posto il nome di pudende.
Ivi è più grande la cura del pudore dove la pudicizia resiste alla concupiscenza.
Rincresce infatti alla natura razionale di avere nella sua carne qualcosa dove, se non vuole perdere per l'impudicizia la propria dignità, è necessario essere riluttanti, tanto alle persone coniugate per non macchiarsi di un coito illecito, quanto alle persone non coniugate per non macchiarsi di nessun coito.
Lungi da noi pensare che abbia potuto esistere nel paradiso questa discordia tra la carne e lo spirito, se nessuno avesse peccato.
Ma essa non prese possesso di noi per la mescolanza di un'altra natura estranea.
Da dove dunque è discesa dentro di noi se non dalla prevaricazione del primo uomo?
Giuliano. Sono argomenti sconvenienti e dànno alla nostra penna più imbarazzo che lavoro, ma tengono necessariamente dietro alla tua fede.
Tuttavia però avviso ancora il lettore a stare attento.
Hai cercato appunto di asserire che è bene non vergognarsi dell'opera di Dio.
Ma, come non sei riuscito ad ottenerlo, così hai promesso in modo assoluto di escludere la vergogna dalla libidine, se questa risultasse opera di Dio.
Il che io ho tanto provato nella mia prima opera da reputare che nemmeno tu ne dubiterai quando l'avrai letta.
Tuttavia, poiché il tuo presente commento sta a significare che non sono ancora giunti nelle tue mani i miei libri, non rincrescerà che io spieghi la medesima questione anche adesso.
Da chi dunque pensi che siano stati creati gli animali irragionevoli, i quali in certi periodi sono scossi da un'ardentissima libidine, che acuisce perfino le abitudini feroci delle singole belve?
In quei periodi è crudele il cinghiale, in quei periodi la tigre è pessima.
Più di tutte è significativa la frenesia delle cavalle.16
Veramente si gonfiano le erbe.
Veramente trabocca l'abbondanza di un tenero umore.
E in certi giorni gli armenti ripetono il coito.17
Sarebbe troppo lungo passare in rassegna i singoli animali: tutte le specie che il volo innalza, che il nuoto immerge, che il vagabondare disperde nei cieli, nei mari, nei boschi, e che tuttavia la ragione non sublima, né la colpa deprime, s'infiammano della nota voluttà di mescolare i corpi.
Quell'ardore dunque dei sessi che gli animali patiscono, lo hanno ricevuto per opera di Dio o per opera del diavolo?
Senza dubbio tu griderai: per opera di Dio! Dunque è Dio che accende il sesso di voluttà naturale.
Il che Manicheo nega certamente con più coerenza di te.
Lui infatti, dal quale tu hai imparato a condannare la concupiscenza della carne, soppesando ciò che doveva dire, perseguita dovunque l'ha potuta trovare la concupiscenza della carne come realtà che aveva definita diabolica ed aveva rimossa dalle opere di Dio.
E perciò, come attribuisce all'opera del diavolo i corpi degli uomini attraverso la concupiscenza, così attraverso gli uomini attribuí alla iniziativa del diavolo tutti gli animali.
Tu invece, mentre rimanendo ancora nell'accampamento di Manicheo accetti il suo massimo drago, dal quale ispiri per le anime infelici un veleno letale attraverso il male naturale e attraverso i crimini delle nozze, non vuoi tuttavia scagliare contro tutte le nature le armi apprestate dal tuo maestro e, più benevolo verso i bruti - ma li risparmi per incolpare con maggiore autorità lo stato delle creature razionali! -, consenti che Dio abbia creato nei loro corpi la concupiscenza che ritieni nei nostri corpi creata dal diavolo, pur confessando che negli uomini e nelle bestie c'è la medesima libidine, ma più mite negli uomini.
Perché dunque il prudente lettore accolga il risultato ottenuto: tu non neghi che la libidine dei corpi sia stata creata da Dio negli animali.
Non è dunque indegna delle opere di Dio questa inclinazione che si trova più acuta in quelle sostanze che non rapirono nulla al male del diavolo, nemmeno con una tenue volontà.
Dunque, poiché la concupiscenza è stata difesa con l'esempio degli animali, poiché è stata difesa altresí con la dignità del suo autore, non è né cattiva né diabolica una concupiscenza che Dio ha fatto, plasmatore dei corpi; una concupiscenza che si trova nella natura esente dal peccato.
Poiché dunque si è reso chiaro questo punto, io chiedo: Consenti che Dio abbia fatto cotesta libidine che risentono i corpi umani?
Se acconsenti, è sparita la tenzone, tu sei emendato e Manicheo rimane schiacciato.
Se dirai invece: Nei corpi degli uomini la concupiscenza non poté essere fatta da Dio, allora io replico che tu reputi quella voluttà e concupiscenza della carne indegna delle opere dell'uomo, non indegna delle opere di Dio.
È appunto indubitabile: se tu dici che non poté essere fatto da Dio nell'uomo ciò che riconosci fatto da Dio in tutti gli altri animali, non togli alla concupiscenza le testimonianze debite, ma cerchi per il corpo dell'uomo delle testimonianze indebite.
Avvediti dunque quanto sia sacrilega la fine della tua setta.
Dici che è indegno della carne dell'uomo mortale ciò che non fu indegno dell'opera del Creatore.
Perciò con tale modo di sentire non hai vituperato la libidine, ma hai esaltato l'uomo che avevi voluto accusare.
Tale coerenza e tale ricompensa si trova ad avere chi indíce guerra alla verità: egli è sempre colpito dagli effetti contrari al suo intento.
Ora dunque io insorgo con parole più logiche delle tue, come sa la prudenza di tutti.
È mai possibile nel giudicare le opere di Dio e nell'esprimerle non ascoltare la ragione e non considerare gli esempi di tutte le nature?18
È mai possibile che l'insania di un uomo si spinga invece a tal punto da ritenere sconveniente alle sue viscere ciò che vede valere per opera di Dio in quanti sono compartecipi della sua natura?
Né infatti l'origine o l'indole dei nostri corpi è diversa da quella degli animali muti.
Agostino. Di' dunque che la risurrezione e l'incorruttibilità sempiterna non è dovuta ai corpi umani, dal momento che sono terreni anch'essi, come i corpi delle bestie.
Di' che non può essere diversa la fine dove non è diversa l'origine.
Di' queste sciocchezze, se ti piace, e con l'impeto di una vana loquacità fa' ostentazione di quanto tu abbia progredito con le lettere secolari contro le Lettere evangeliche.
Se poi non osi dirlo, confessa secondo la fede cristiana che anche questa è una pena dell'uomo: essere stato messo alla pari degli animali irragionevoli e reso simile a loro. ( Sal 49,13 )
Per l'uomo dunque è una miseria questa, mentre non possono essere miseri gli animali.
Così anche la concupiscenza della carne è una pena per l'uomo, non per la bestia, nella quale la carne non concupisce mai contro lo spirito.
O forse ti piace equiparare le nature mortali così da asserire che anche nelle bestie la carne concupisce contro lo spirito?
Se non lo fai per non essere senza intelligenza come il cavallo e il mulo, ( Sal 32,9 ) riconosci che nel paradiso, se nessuno avesse peccato, non sarebbe esistita una libidine tale e quale la diciamo ora e per cui la carne concupisce contro lo spirito.
Tale appunto non esiste la concupiscenza nelle bestie, dalle quali hai preso tanto patrocinio per la tua cliente da poter essere verboso di fronte alla loro mutezza.
Se infatti per l'umana libidine la carne non concupisse contro lo spirito, ma negli uomini si trovasse una libidine tale che insorgesse al comando della volontà quando ce ne fosse bisogno, e non suggerisse incitamenti di nessuna sorta quando non ce ne fosse bisogno, costringendo la nostra volontà a combatterli per reprimerli e per frenarli, non avremmo nulla da rimproverare a voi di volerla collocare tanto infelicemente nel paradiso, cioè nell'abitazione di tanta felicità.
Giuliano. Come infatti ricevemmo l'immagine di Dio con la ragione della mente, così sentiamo la comunione delle bestie con l'affinità della carne, la quale, sebbene sia diversa la forma, è tuttavia una sola sostanza proveniente dalla materia degli elementi, destinata certamente a vedere l'eternità secondo i meriti dell'animo razionale: o misera per le afflizioni o gloriosa per le rimunerazioni.
Agostino. Se a seconda dei meriti dell'animo razionale, come confessi tu, la carne, terrena e corruttibile come quella delle bestie, è tuttavia destinata a vedere l'eternità con una fine ben diversa, per quale ragione tu non accetti che per i meriti della immagine di Dio, che non era stata deformata da nessun peccato, la carne sia stata originariamente creata, benché dalla materia terrena, in tale modo che, se nessuno avesse peccato, fosse destinata a rimanere nella eternità e nella incorruttibilità, e non ci fosse in noi un corpo corruttibile che grava l'anima, cioè l'immagine di Dio, ma le fosse così sottomesso che per generare i figli anche le membra genitali si movessero al comando della volontà come le altre membra con le quali compiamo qualcosa, o tale fosse la concupiscenza della carne da non insorgere se non volente l'anima, cioè l'immagine di Dio, e da non soffocare la riflessione della mente con il traboccamento della voluttà?
Se infatti la concupiscenza fosse tale anche adesso, non si direbbe che essa non viene dal Padre, ma dal mondo, ( 1 Gv 2,16 ) cioè dagli uomini, che per mezzo di essa e in compagnia di essa nascono al mondo e sono senza dubbio destinati a perdersi, se non rinascono a Dio.
Convenientemente dunque si crede che della materia corporale, comune a noi e alle bestie, sia stata diversa l'origine per il merito della immagine di Dio prima che cominciasse il peccato, come diversa è la fine dopo che ha ricevuto il peccato.
Giuliano. Per quale ragione dunque sarebbe indegno, non dell'immagine di Dio, perché la sostanza dell'anima è diversa dalla sostanza della carne, ma indegno del servo corruttibile dell'immagine di Dio, ciò che non era stato indegno di essere creato da Dio stesso?
Fece dunque i corpi Dio, distinse il sesso dei corpi Dio, fece le membra genitali Dio, dotò questi corpi dell'attrattiva di mescolarsi tra loro Dio, diede anche la forza dei semi Dio, opera nei segreti della natura per mezzo della materia dei semi Dio, ma nulla di male, nulla di reo fa Dio.
Agostino. Nulla di male, nulla di reo fa Dio, ma in quanto Dio lo fa, non in quanto lo fa da una massa che è stata viziata e condannata.
Giuliano. La libidine, tanto degli animali quanto degli uomini, l'ha fatta Dio, ma negli animali ha lasciato senza coercizione gli istinti, mentre nell'uomo ragionevole Dio ha istituito una misura.
Un vestito procura all'uomo la prudenza e l'onestà che gli ha data Dio.
Quindi non la misura, non il genere della libidine incolpa Dio, ma il suo eccesso, che sorgendo dall'insolenza della libera volontà non accusa lo stato della natura, bensí il merito dell'operante.
Agostino. Per quale ragione dunque la libidine nell'uomo resiste allo spirito, mentre non lo fa nella bestia, se non per la ragione che nella bestia la libidine appartiene alla sua natura, nell'uomo invece appartiene alla pena, sia per la sua presenza che non ci sarebbe altrimenti, sia per la sua resistenza, perché sarebbe stata sottomessa, se non fosse stata causata o viziata dal peccato?
Infatti se Dio negli animali ha lasciato senza coercizione gli istinti, certamente tu confessi che nell'uomo sono sotto coercizione le libidini, poiché sono queste che tu chiami istinti.
Ma per nessuna ragione sarebbero coercíte, se non si movessero viziosamente.
Ecco infatti tu dici che Dio ha istituito nell'uomo una misura per la libidine: perché essa non si tiene dentro la misura nella quale fu stabilita da Dio, ma esce da essa, se non è coercíta?
In che modo dunque si dice un bene la libidine che, se non le si resiste, spinge e costringe l'uomo a fare il male?
Ti avvedi o no che la tua esimia pupilla nella natura dell'uomo o è nata dal peccato o è stata viziata dal peccato, e da qui viene il fatto che coprirono le pudende dopo il peccato i primi uomini che prima del peccato erano nudi senza sentirne confusione?
Cos'è infatti quello che dici: Un vestito procura all'uomo la prudenza e l'onestà che gli ha data Dio?
Erano dunque stolti e disonesti, imprudenti e impudenti gli uomini prima del peccato, quando non si vergognavano della loro nudità?
Grazie al peccato, perché altrimenti sarebbero rimasti così! Il che se è assurdissimo dirlo, furono certamente la prudenza e l'onestà naturale a coprire le parti pudende, le quali però prima del peccato non furono pudende.
Perciò l'eccesso della libidine è un peccato, ma è anche vero che l'impulso della libidine è un vizio.
Del quale impulso arrossirono Adamo ed Eva, che non vollero lasciare nude le membra che la tua cliente sollecitava contro la loro volontà.
Giuliano. Fa' bene attenzione ora quale sia la conclusione che si raccoglie dalla tua opinione: non dev'essere coperto dal pudore ciò che si crede buono.
Ma noi abbiamo insegnato che la voluttà inserita per natura nei sessi e non è cattiva e appartiene all'opera di Dio.
E per questo tu abbandonerai o la tua empietà o il pudore.
Ma perché pretendiamo tanto? Se cambia un Etiope la sua pelle o un leopardo il suo manto variegato, ( Ger 13,23 ) così anche tu riuscirai a lavarti dai misteri dei manichei.
Agostino. Tu piuttosto non smetterai di aiutare i manichei, se di cotesta tua protetta, ritenuta cattiva anche dai manichei, non dirai con Ambrogio e con tutti i cattolici che si è convertita nella nostra natura a causa della prevaricazione del primo uomo, perché non si creda, secondo quei nefandi eretici che tu aiuti inconsapevolmente, che un vizio tanto manifesto dell'uomo abbia un principio coeterno a Dio.
Giuliano. Resta dunque che tu lasci andare il pudore e, rimanendo la tua amicizia con il tuo maestro, faccia combutta con i Cinici, i quali tuttavia, come riferisce Cicerone nel De officiis, seguono anche le argomentazioni di alcuni Stoici.
Rimproverano appunto alla morale comune il fatto che noi consideriamo disoneste certe parole che usiamo per indicare realtà oggettivamente non turpi, mentre viceversa chiamiamo con i loro nomi realtà oggettivamente turpi.
Perpetrare un latrocinio, fare una frode, commettere un adulterio sono azioni di loro natura turpi, ma non sono osceni i loro vocaboli; darsi a fare figli è un'azione di sua natura onesta, ma ne è osceno il vocabolo.
Continua a dire: Molti sono i ragionamenti che essi fanno nello stesso senso contro il pudore.
Per conto nostro invece dobbiamo seguire la natura e rifuggire da tutto ciò che gli occhi e gli orecchi disapprovano.19
Dunque anche tu, a cui dispiace questo " germano " concetto di onestà naturale, scegli una delle due: o di' che a fronte di un latrocinio, di un sacrilegio, di un parricidio, tutte azioni che hanno nella realtà la massima turpitudine e non hanno nei vocaboli nessuna oscenità, è più tenebroso e sacrilego darsi a fare figli, un'operazione che reclama l'ufficio del pudore; o se arrossisci di accusare le nozze al punto che esse preponderino anche a confronto delle suddette scelleratezze, esorta i coniugi ad appellare quella loro mescolanza tanto sicuramente e tanto liberamente quanto siamo soliti nominare il parricidio e il latrocinio.
Ma se, come fai abitualmente per illudere gli orecchi dei cristiani, aggiungerai che la congiunzione dei corpi destinata alla procreazione non si macchia di nessuna iniquità, ma può giudicarsi buona dentro la sua misura, abbràcciati allora al fatto famoso del tebano Cratete, ricco e nobile, al quale fu tanto cara la setta dei Cinici che abbandonò le ricchezze paterne e si trasferí ad Atene con la moglie Iparcide, seguace con pari animo di cotesta filosofia.
Una volta, volendo congiungersi con lei in pubblico, come racconta Cornelio Nepote, e tirandosi lei il pallio per coprirsi, fu bastonata dal marito che le disse: Così poco hai imparato finora dai tuoi sensi da non avere il coraggio di compiere in presenza di altri quello che sai di fare onestamente.20
Si deve davvero alle vostre greggi un tale abito mentale: le membra naturali, poiché sono da riconoscersi buone in quanto create da Dio per la moltiplicazione dei corpi, siano adoperate senza nessuna remora di pudore.
Rendete dunque grazie ai quadrupedi: come essi con i loro esempi e per bocca di Manicheo proteggono la sensibilità dei vostri corpi dalla possessione del diavolo, anche voi seguite nell'unione sessuale la loro libertà per attestare la bontà dell'azione.
È appunto conveniente che gli animali prestino il magistero dei comportamenti agli uomini ai quali hanno prestato il patrocinio delle membra.
E per ripetere con precisione ciò che abbiamo fatto: tu hai detto che la libidine se l'avesse fatta Dio non si dovrebbe vestire affatto di pudore; noi, sebbene nei quattro libri dell'opera precedente abbiamo già trattato l'argomento in modo pieno, tuttavia anche nell'opera presente, con la testimonianza di tutti gli animali, che provvisoriamente confessi creati da Dio, abbiamo dimostrato che è stata creata da Dio la libidine dei sessi, la quale riconosciamo tuttavia doversi velare negli uomini con il pudore.
Al tuo dogma tiene dietro dunque questo risultato: con un rimpatrio dopo una lunga assenza ci riproponi la bella sortita dei Cinici ed eserciti sotto gli occhi di un'intera città le membra naturali, perché sono state fatte da Dio.
Non senti come ad occhi chiusi sei saltato contro la mia sentenza con la quale ho detto: Per esprimere la credibilità delle opere il Profeta si è avvicinato a mettere in pericolo il pudore?21
Queste considerazioni, infatti, come coerentemente, secondo le sue favole, le accusa il tuo precettore, del quale nel libro precedente ho riferito le fantasticherie, e il quale di tutti i corpi nega assolutamente che siano stati fatti da Dio, così tu hai osato impudentemente manipolarle confessando - sebbene con timore -, che Dio è il creatore dei corpi, la sensibilità dei quali assegni al principe delle tenebre.
Il che è certamente distrutto da tanta potenza della verità quanta è la fede con la quale dall'Evangelista è stato detto che da Dio tutto è stato fatto e senza di lui niente è stato fatto. ( Gv 1,3 )
Agostino. Potresti forse equiparare nella concupiscenza o nella libidine della carne le bestie agli uomini, se tu non credessi che anche quei progenitori del genere umano come portatori di corpi corruttibili sarebbero morti, pure nel caso che non avessero peccato?
E questa affermazione la condanna così nell'errore novizio della vostra eresia la Chiesa cattolica che il vostro principe Pelagio, per timore della sua propria condanna, la condannò quando tra le altre obiezioni gli fu contestata dinanzi ai quattordici vescovi orientali dai quali era ascoltato in giudizio.
Nel quale giudizio sei stato condannato certamente anche tu che ritieni Adamo fatto in tal modo da essere morituro, sia che peccasse, sia che non peccasse, contraddicendo l'Apostolo il quale dice: Il corpo è morto a causa del peccato. ( Rm 8,10 )
Ebbene, se quei corpi non sarebbero stati morituri, se precedentemente non fosse stato commesso un peccato, non sarebbero stati nemmeno corruttibili certamente per non appesantire quelle anime beate: è scritto infatti che un corpo corruttibile appesantisce l'anima. ( Sap 9,15 )
Quindi come la morte e la corruzione poterono non essere comuni ai corpi delle bestie e ai corpi degli uomini, benché fosse comune ad essi la materia terrena, così poté non essere comune ad essi la libidine, anche nella propagazione dei figli; ma essa o non sarebbe esistita affatto negli uomini, così che questi, come si servono delle altre membra per le loro opere congrue, altrettanto si servissero anche dei genitali mossi dalla volontà per l'opera della generazione; o la libidine non sarebbe nell'uomo tale e quale è nelle bestie, bensí pronta a servire al primo cenno della volontà e mai, nemmeno in mezzo alla voluttà, capace di distogliere la mente dalla vigilanza del pensiero.
Adesso invece, per un precedente peccato che ha mutato in peggio la natura umana, sono diventate penali per l'uomo le inclinazioni che sono congrue alla natura delle bestie.
Ma in questo male, che fa concupire la carne contro lo spirito, c'è una maggiore causa di umiliazione ed è questa: tra i due elementi, che appartengono l'uno e l'altro alla nostra natura e dei quali l'uno deve comandare e l'altro obbedire, è sorta una discordia che non è soltanto dolorosa, ma anche molto vergognosa.
Che ti hanno giovato, dunque, gli aiuti dei Cinici da te invocati e non pertinenti al caso, dal momento che in questa via del tuo errore, venendo meno tu sulla retta via, nemmeno quei giumenti, che hai paragonati, agli uomini ti hanno potuto giovare?
Giuliano. Il tempo ci avvisa di passare ad altro.
Ma poiché è certo che tu non hai da offrire in vendita ad orecchi inesperti nient'altro che la vergogna dei genitali, accennerò nella più breve maniera possibile a quanto si pensi che resti ancora da fare.
Chi dunque negherà che l'onestà, per la quale copriamo i nostri genitali, varia secondo le persone, i luoghi, le occupazioni e i costumi?
Così la nudità alquanto oscena nelle riunioni pubbliche non ha nulla di turpe nei bagni.
Così altro è l'abito da camera, seminudo e libero, altro è l'abito del foro, più accurato e più ampio.
Che c'è da obiettare, se spesso la mancanza di riguardo intende essere una testimonianza di familiarità, e se in presenza d'una persona o troppo poco conosciuta o troppo distinta tanto più si sceglie un abito accurato?
E che significa il fatto che nessuno ha mai incolpato i marinai o la maggior parte degli operai di essere nudi?
E perché questa semplicità non si attribuisca alle persone più che alle occupazioni, anche l'apostolo Pietro e per giunta dopo la risurrezione del Signore, alla maniera di tutti, stava nudo sulla barca a pescare. ( Gv 21,7 )
Dirigi di qui gli occhi alle prestazioni dei medici: essi per guarire applicano la loro arte nelle zone del pudore.
Per gli atleti la nudità è perfino bella.
Ma è vero che non solo per certi adolescenti e per i soci di gruppi di seduzione, ma anche per alcune intere popolazioni resta scoperto l'uno e l'altro sesso e si pratica la mescolanza senza la ricerca di un posto segreto.
Che c'è tuttavia da meravigliarsi che lo facciano gli Scoti e la barbarie delle genti vicine a loro, quando ha giudicato alla stessa maniera anche la filosofia sopra menzionata e a questo è giunto il dogma dei traduciani?
Quale sarà dunque la quantità di pudore da mantenere, quale il limite tra tante sue diversità e tra compiti in parte necessari, in parte difesi dalla società, attraverso il qual limite poter insegnare che è stato il diavolo a mescolare ai sessi l'ardore naturale?
Perciò come l'impalcatura della tua opinione risulta crollata per le occupazioni, per i luoghi, per le abitudini, per le arti e per intere popolazioni insieme, così è rimasto invitto ciò che noi difendiamo per l'insegnamento della ragione stessa e dell'apostolo Paolo: tutti i corpi, tutte le membra dei corpi, tutti i sensi dei corpi li ha creati Dio, autore dell'universo; ma egli ha ordinato che secondo l'opportunità dei tempi il pudore coprisse alcune delle nostre membra e che l'onestà naturale ne esibisse altre, per le quali sarebbe tanto sconveniente portarle coperte, quanto inopportuno sarebbe prostituire la segretezza dei genitali.
Agostino. Tu piuttosto aspergi inopportunamente della colpa d'inopportunità coloro dei quali la Scrittura divina afferma: Erano nudi e non ne provavano vergogna. ( Gen 2,25 )
certamente allora erano così retti come erano stati fatti retti, poiché leggiamo: Dio ha fatto l'uomo retto. ( Qo 7,29 )
In quel tempo dunque di tanta loro rettitudine è mai possibile che fossero così depravati da prostituire la segretezza dei genitali imprudentemente, impudentemente, disonestamente, inopportunamente?
Riconosci dunque che non esisteva ancora la causa di vergognarsi, quando non erano ancora pudende quelle membra che ora si chiamano propriamente pudende.
Non abitava infatti nelle membra a muovere guerra alla legge della mente la legge della concupiscenza senza la quale adesso non nasce nessuno.
Non ancora per un giusto giudizio di Dio, che meritamente disertò il disertore, era stata retribuita alla disobbedienza dell'uomo la disobbedienza della sua carne.
Infatti concupire contro lo spirito è disobbedienza della carne, quantunque concupiscendo anche lo spirito contro la carne non le lasci realizzare ciò che tenta di realizzare.
Questo dunque non esisteva ancora quando erano nudi e non se ne vergognavano.
Non è vero pertanto che essi con la loro vera nudità prostituissero inopportunamente la segretezza dei genitali, ma non avevano sentito ancora nulla di inopportuno nei genitali.
Perché raccogli parole vane a guisa di foglie secche per coprire con esse anche tu la tua tenzone carnale contro l'autorità spirituale, quasi carne concupiscente contro lo spirito?
Perché domandi quale sia la quantità di pudore da mantenere o quale sia il limite tra le tante sue diversità prodotte dalle diverse necessità, dalle arti, dalle opinioni, dai costumi, siano retti o siano perversi?
Ecco hai gli uomini che hanno generato non una qualche gente, come gli Scoti, ma tutte le genti; uomini non depravati da qualche prava opinione, come i Cinici e tutti gli altri macchiati da bruttura di simile sconcezza,
ma uomini creati retti da Dio; non costretti da una qualche necessità di lavoro, come fu la nudità di Pietro, con la quale hai creduto di doverti coprire, ma uomini liberi nel paradiso delle delizie.
Ad essi guarda, sbandieratori della libertà prima del peccato, dottori del pudore dopo il peccato.
Prima del peccato erano nudi e non se ne vergognavano, dopo il peccato si sentirono umiliati dalla loro nudità.
Prima del peccato lasciarono senza indumenti i genitali non ancora pudendi, dopo il peccato coprirono i genitali ormai pudendi.
Dunque questi testimoni abbastanza idonei convincono con la loro nudità, prima non pudenda e dopo pudenda, sia la pervicacia dei pelagiani, sia l'impudenza di certe popolazioni e dei Cinici.
Giuliano. Assolto quindi questo compito nell'opera presente, per quanto lo esigeva l'importanza della questione trattata, vengo alla tua affermazione che nel Cristo non c'è stata questa concupiscenza naturale.
Così infatti mi parli: Ma tra tutte queste realtà costui non ha voluto nominare la concupiscenza della carne, che non viene dal Padre, bensí dal mondo; del quale mondo è stato detto principe il diavolo.
Egli non la trovò nel Signore, perché il Signore non venne uomo tra gli uomini attraverso di essa.22
Hai dunque dichiarato: il Cristo, che la fede cattolica confessa uomo vero sotto tutti gli aspetti, non ebbe nella sua carne la concupiscenza che dice l'apostolo Giovanni.
Ma Giovanni, come hanno insegnato i suoi testi, afferma che la concupiscenza della carne e la concupiscenza degli occhi con tutto il mondo non vengono dal Padre; ( 1 Gv 2,16 ) e questo in che modo lo si dovrebbe intendere lo abbiamo spiegato.
Agostino. Hai spiegato, sí, in che modo intendessi tu o piuttosto non intendessi, non in che modo si dovrebbe intendere.
Sul quale argomento, replicando alla tua discussione non verace ma loquace, ti ho risposto combattendo per la verità.
Giuliano. Tu al contrario, abbracciato al nome stesso della concupiscenza, vuoi che dal corpo del Cristo sia stato lontano tanto il senso degli occhi, quanto il senso delle viscere.
Agostino. Non diresti questi spropositi, se tu avessi il senso sano, non del corpo ma dell'animo.
Giuliano. Qui perciò prego il lettore d'essere presente con tutto l'animo.
Vedrà che da te viene restaurata l'eresia degli Apollinaristi, ma con la tua aggiunta di Manicheo.
Di Apollinare si dice appunto che all'inizio abbia inventato questo tipo d'incarnazione del Cristo: della sostanza umana fu assunto, sembra, soltanto il corpo, e al posto dell'anima ci fu la divinità stessa: sembrerebbe che il Cristo non abbia preso un uomo, ma un cadavere d'uomo.
Il che si prese a scalzare con l'attestazione sia della ragione, sia del Vangelo.
Un argomento è questo: per tale opinione era necessario accusare di falsità il fatto che il Cristo, perseguitato dai Giudei per avere insegnato la verità, si era detto uomo, se da lui era stata presa soltanto la carne, perché l'uomo non può essere se non l'insieme di anima e di corpo.
O un altro argomento è ciò che il Signore aveva detto nel Vangelo: Io ho il potere di deporre la mia anima e il potere di prenderla di nuovo. ( Gv 10,18 )
Quale anima sarebbe stata deposta, se non fosse stata assunta?
Dopo dunque che fu sbaragliato dall'autorità di tali testimonianze e dalla evidente ragione, escogitò un altro diversivo donde nascesse la sua eresia che perdura ancora.
Disse che l'anima umana nel Cristo ci fu, ma non ci fu in lui il senso del corpo, e dichiarò che egli era vissuto impassibile a tutti i peccati.
Agostino. Epifanio di santa memoria, vescovo di Cipro, nella piccola opera che pubblicò sulle eresie, disse che alcuni degli Apollinaristi hanno detto nel Signore Gesú Cristo consustanziale il corpo alla divinità; altri poi hanno negato che egli abbia assunto un'anima; altri, per l'affermazione: Il Verbo si fece carne, ( Gv 1,14 ) hanno sostenuto che non assunse una carne dalla carne creata, cioè dalla carne di Maria, ma assunse il Verbo fatto carne; in seguito però hanno detto, non so che cosa pensando, che non assunse la mente.
Ciò che dunque affermi tu, come asserito dagli Apollinaristi, che nel Cristo non ci furono i sensi del corpo, e che lo dichiararono impassibile, né l'ho letto in nessun'altra parte all'infuori che in questo tuo libro, né l'ho mai sentito dire da qualcuno.
Ma poiché vedo che tu cerchi spazio dove espandere le tue ciance per apparire copioso, mentre sei verboso, rispondo alla svelta: Chiunque crede o nelle affermazioni degli Apollinaristi che ho ricordate sopra, o crede che il Cristo non abbia avuto i sensi del corpo e sia stato impassibile, sia anatema.
Ma perché tu possa riconoscere anche te stesso: Chiunque crede che la carne del Cristo abbia concupito contro lo spirito, sia anatema.
Giuliano. Non che egli abbia evitato i delitti per virtù di giudizio, ma egli non poté sentire la cupidità dei vizi per la felicità della carne, segregata dai nostri sensi.
Agostino. Noi non diciamo: Il Cristo per la felicità della carne segregata dai nostri sensi non poté sentire la cupidità dei vizi, ma diciamo che egli non ebbe la cupidità dei vizi per la perfezione della sua virtù e per la procreazione della sua carne dal di fuori della concupiscenza della carne.
Altro è infatti che non abbia avuto la cupidità cattiva, altro che non l'abbia potuta sentire: l'avrebbe infatti sentita, se l'avesse avuta, perché non gli mancò il senso per sentirla; ma fu presente in lui una volontà che non l'aveva.
Né ti meravigliare che il Cristo, benché uomo vero e tuttavia buono sotto tutti gli aspetti, non abbia voluto avere la cupidità cattiva.
Chi infatti all'infuori di voi nega che sia cattiva la cupidità per cui si concupiscono i mali?
Chi, ripeto, all'infuori di voi tenta di persuadere che non sia un vizio la cupidità che Giuliano confessa cupidità dei vizi, e che non sia un male la cupidità consentendo alla cui suggestione si fa un'opera cattiva?
Questa cupidità il Cristo e la potrebbe sentire se l'avesse e la potrebbe avere se volesse; ma non sia mai che volesse.
Tuttavia però se avesse la cupidità cattiva o, per usare le tue parole, la cupidità dei vizi, essa avrebbe cominciato ad essere in lui dalla sua volontà, perché non è nato con essa come noi.
E perciò la sua virtù era di non averla, la nostra virtù è di non acconsentirle e d'imitare in questo modo lui: come egli non fece peccato non avendola, così non dobbiamo fare peccato nemmeno noi non acconsentendo ad essa, e come egli volle e poté non averla, così noi dobbiamo volere di esserne liberati, perché lo potremo.
Ci libererà appunto dal corpo di questa morte, ossia dalla carne del peccato, la grazia di colui che venne a noi in una carne simile a quella del peccato e non nella carne del peccato.
Giuliano. Un'affermazione fatta, come indica la realtà, con adulazione tanto grave contro la fede dei cattolici, non solo non necessaria per nulla, ma anche sacrilega.
Con la volontà infatti di dimostrare che nel corpo del Cristo ci fu qualcosa di più, perché non perdesse di dignità nella comunione della nostra carne, lo defraudò della integrità dei sensi naturali, senza accorgersi quanto fosse esiziale il danno recato alla verità, sebbene corrotta per adulazione.
A quella provocazione fremette appunto il diritto dei cattolici, perché presso tale fede maggior danno venivano a soffrire i misteri del Cristo che le sue membra.
Se per questo infatti, dicono, il Cristo è nato dalla stirpe di Davide, ( Rm 1,3 ) se per questo è nato da donna, se per questo è nato sotto la legge ( Gal 4,4 ) per darci l'esempio e perché seguissimo le orme di lui, che non commise peccato e non fu mai trovato con la menzogna in bocca, ( 1 Pt 2,12.22 ) né tuttavia rivestí sotto ogni aspetto la proprietà della nostra sostanza, se portò o la carne senz'anima o l'uomo senza i sensi che la natura ha dati in dote a noi, non si dimostra attuata con pienezza in lui la " forma " dell'esempio e della legge.
Che ci fu infatti degno di lode nel disprezzare le attrattive dei sensi delle quali era incapace per beneficio di natura?
Che aveva di meraviglioso in lui il frenare gli occhi, non vagabondi per il privilegio della sua carne?
Che aveva di grande il sottrarre le narici agli odori seducenti, ai quali le narici non sapevano aprirsi?
Che aveva di stupendo serbare quotidianamente un'ardua parsimonia nei cibi, dei quali non poteva provare lo stimolo rabbioso?
Che avrebbero di arduo infine i digiuni protratti fino al quarantesimo giorno, se in lui non ci poteva essere la molestia della fame?
Quale onore meriterebbe la disciplina degli orecchi che non recepivano se non oneste voci, soffrendo di sordità nativa per le voci indebite?
Quale gloria di castità poi, se in lui era assente più la virilità che la volontà e se ciò che si pensava proveniente dal vigore dell'animo proveniva dal languore delle membra?
Agostino. Giustamente queste affermazioni si fanno non contro Apollinare o contro qualcuno degli apollinaristi, che non giudico abbiano negato nella carne del Cristo la presenza dei sensi del corpo umano, bensí contro chiunque lo dica.
Ma noi diciamo che il Cristo sentí con gli occhi e il bello e il brutto, e sentí con le narici e gli odori graditi e gli odori sgraditi, e percepí con il senso degli orecchi le melodie e le stonature, e distinse con il gusto l'amaro dal dolce, e giudicò con il tatto e gli oggetti ruvidi e gli oggetti levigati, gli oggetti duri e gli oggetti teneri, i freddi e i caldi, e poté sentire e percepire tutto ciò che di altro si può sentire e percepire con il senso del corpo; né gli mancò la possibilità di generare, se lo avesse voluto, e tuttavia la sua carne non concupí mai contro lo spirito.
Che se per questo è un gran bene astenersi dai delitti perché, come pensi tu, non mancano le libidini da vincere, e non sarebbe invece un gran bene se fossero mancate le libidini, tanto più lodevole sarà ciascuno nella virtù quanto più libidinoso sarà stato nella carne.
E perciò il Cristo, secondo questa vostra orribile e detestabile mostruosità, come fu il più grande degli uomini nella virtù, così dovette essere il più libidinoso degli uomini nella carne.
Il che se senti quanto sia empio sentire, non tardare a cambiare sentenza e a distinguere dai sensi le libidini, che in tutti sono sentite più di quanto i sensi sentono, perché non sembri che ciascuno sia tanto più vivace nel senso quanto più sia stato ardente nella libidine, e non si creda che il Cristo abbia arso di libidini tanto più acute quanto più puri i sensi che ebbero vigore in lui.
Indice |
14 | De nupt. et concup. 2,9,22 |
15 | Contra Iul. 5,3,10 |
16 | Vergilius, Georg. 3, 248. 266 |
17 | Vergilius, Georg. 2, 324-331 |
18 | De nupt. et concup. 2, 9,22 |
19 | Cicero, De off. 1 |
20 | Cornelius Nepos |
21 | De nupt. et concup. 2, 9,22 |
22 | De nupt. et concup. 2,2,5 |