Benevolenza
1) Comprensione, indulgenza, buona disposizione verso il prossimo, in partic. nei confronti di un inferiore
Sinonimo: benignità
L'etimologia della parola benevolenza evoca non solo il "bene", ma anche il fatto di essere "insieme" e "d'accordo".
La benevolenza è propria di chi vuole il bene dell'altro.
Anzitutto è un aspetto dell'amore di Dio, il quale, essendo sommo Bene e sorgente del bene, vuole il bene dell'uomo.
La benevolenza di Dio pervade tutta la storia biblica, anche quando il suo popolo gli volta le spalle e sceglie di servire gli idoli.
Ma il Signore, nonostante tutto, mostra benevolenza e volontà di riscattare il popolo fedifrago: « Su, venite e discutiamo – dice il Signore –.
Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve.
Se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana » ( Is 1,18 ).
La pienezza della benevolenza di Dio la scopriamo in Gesù, mandato dal Padre come espressione suprema del suo amore, per salvare gli uomini.
La morte di Gesù in Croce rivela questo amore che è andato sino all'estremo.
Gesù rivela la benevolenza del Padre raccontando le parabole della pecorella smarrita, della dracma perduta, del figliol prodigo.
E non solo racconta e insegna, ma realizza in tutta la sua vita la benevolenza del Padre.
Quando noi riceviamo lo Spirito Santo, la nostra vita è resa capace di manifestare e di donare l'amore, la bontà, la benevolenza del Padre.
Sono modelli di benevolenza molti Santi, che hanno fondato ospedali, orfanotrofi, case di cura, case di accoglienza, scuole, per tutti i bisognosi della nostra società.
Il cristiano, con lo Spirito Santo nel cuore, diventa consolatore, rivelatore di Dio, uno che guida alla verità.
Diventa "sacramento", cioè segno e strumento dell'amore di Dio per gli uomini.
* * *
Coltivare la pratica della benevolenza in famiglia significa dare a tutti la stessa attenzione, la stessa importanza e la stessa comprensione che vorremmo fosse data a noi:
ecco 10 punti chiave per riuscire a coltivare questa attenzione fraterna verso chi ci è vicino.
Cercare di guardare il proprio coniuge o i propri figli con lo sguardo di Cristo, può trasformare l'approccio che si ha verso di loro.
In famiglia, a tavola, bandite ogni discussione sui voti e sui risultati scolastici dei figli, altrimenti il pasto diventerà per loro una situazione penosa, dove l'atmosfera è pesante e con la sensazione di esistere solo per il loro status di studenti.
Se non siete d'accordo con il vostro coniuge, evitate di interromperlo, ascoltatelo e, se cresce il nervosismo, pregate in silenzio per qualche secondo per calmarvi, piuttosto che farvi coinvolgere in discussioni e con parole troppo dure.
Regalare del tempo ad ogni persona, figlio o coniuge, anche breve, ma in cui si è pienamente disponibili.
La persona che ne beneficia capisce che conta e si sente importante agli occhi dell'altra persona.
Quando i figli vanno a letto, fateli raccontare due eventi della giornata, il più triste e il più felice, per capire meglio ciò che li anima.
In questo modo i figli si sentiranno ascoltati e potranno esprimere facilmente le loro emozioni.
È molto importante imparare a considerare gli errori dei propri figli come opportunità di apprendimento.
Chiedergli dove potrebbero migliorare li coinvolge e gli insegna a conoscersi e rimaniamo spesso sorpresi dalla pertinenza delle loro valutazioni.
Organizzate di tanto in tanto un pasto dove tutti possano fare un qualsiasi ringraziamento ad un membro della famiglia.
Si può anche complimentarsi con ognuno per delle sue particolari azioni o qualità.
Saper riconoscere la propria responsabilità e scusarsi in caso di eccesso è giusto, e insegna ai bambini a fare lo stesso.
Quando a volte la conversazione piega verso la maldicenza, cambiate argomento.
Non giudicate i figli a partire dai loro difetti, ma dalle loro qualità: questo li spingerà al bene.
Ciò su cui mettiamo l'attenzione li farà crescere e ne raccoglieremo i frutti.
* * *
Ricordiamo sempre, con il pericolo di diventare ripetitivi, che i frutti dello Spirito Santo non sono qualità personali, cioè realtà che alcuni possiedono e altri no ma opera dello Spirito; per cui la possibilità di riceverli sono offerte a tutti coloro che si lasciano guidare dallo Spirito.
Il frutto che oggi vediamo e quello della benevolenza.
Qualcuno si potrebbe chiedere dove sta tutta questa differenza tra la bontà e la benevolenza.
In italiano in genere questi due termini risultano essere sinonimi.
In effetti ci troviamo di fronte ad una figura retorica, chiamata "endiadi"che consiste nell'utilizzo di due o più parole coordinate per esprimere un unico concetto.
Si tratta di esprimere attraverso due sostantivi un concetto che, di norma, viene espresso con un sostantivo accompagnato da un aggettivo o da un complemento di specificazione.
Un esempio della lingua parlata è: "far fuoco e fiamme".
È un concetto attraverso due parole ma con uno sguardo più approfondito della realtà.
La benevolenza ha comunque un'accezione diversa rispetto a quella della bontà.
Siamo coscienti di avere a che fare con un problema non solo lessicale ma anche di confusione espressa da un'attitudine filantropica che confonde bontà con benevolenza o addirittura con buonismo.
La parola "benevolenza" viene dal termine greco "krestotes" ( κρεστοτες ) e dalla sua radice "krestos", che vuol dire utile, adatto.
Se solitamente viene intesa come gentilezza o affabilità, il vero significato della parola è quello di un senso di utilità, di adattabilità, di essere adatto per qualcosa.
Una persona benevolente è colei che compie fino in fondo il suo compito, raggiunge il risultato che si è prefissato.
Praticamente il benevolente è dotato di una intuizione che vede uno scopo buono da realizzare e riesce a realizzarlo.
La benevolenza è, in buona sostanza, un'attitudine di fronte alla vita e alle persone, per cui viene colto costantemente l'aspetto costruttivo.
È una visione della vita per cui di fronte anche alle cose negative io sono convinto che il fine sarà buono, che tutto andrà verso qualcosa di positivo.
San Paolo dice nella lettera ai Romani: "Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio" ( Rm 8,28 ).
Come frutto dello Spirito, è l'intuizione di un bene possibile.
È importante precisare che questo "qualcosa di buono" è diverso dalla parola bontà ( agatos ).
Lì il concetto di bontà è assoluto e finalizzato all'altro.
Qui il concetto è relativo nel senso che in greco – ma per certi versi anche in italiano – può essere addirittura applicato alle cose negative.
Per fare anche qui un esempio, quando uso l'espressione "ho preso una bella ( buona ) influenza" ( bello e buono in greco ha lo stesso significato ) va intesa ovviamente, non nel senso che sono contento di averla presa, ma per averla presa in tutta la sua pienezza, in tutta la sua efficacia.
Ugualmente quando si parla di benevolenza nel senso di utilità o adattabilità bisogna intendere che essa compie fino in fondo ciò che deve compiere e porta al risultato per cui è prefissata.
Proviamo ad approfondire meglio.
Il benevolente, dicevamo, è dotato di un'intuizione che vede uno scopo buono da realizzare e riesce a realizzarlo.
Forse non siamo troppo interessati alle lingue antiche ma esse sono un aiuto per capire meglio il vero significato delle parole.
Nell'Antico Testamento, in estrema sintesi, si può dire che la benignità ( krestotes ) è attributo fondamentalmente divino, come appare chiarissimo soprattutto nei Salmi.
Talvolta questo termine greco è tradotto dall'ebraico "anawim" ( ןצ'שמש ), che caratterizza gli umili e i poveri, coloro che soffrono perché oppressi.
La benevolenza va intesa come una spontaneità, una volontarietà ovverosia un'intuizione.
È un'intuizione spontanea che mira all'aspetto utile e proficuo delle cose.
Partiamo da una constatazione dell'esperienza di ognuno di noi.
Nella maggioranza delle volte le cose non vanno come noi ci aspettiamo.
Siamo spesso di fronte ad un imprevisto.
Facciamo ancora un esempio: ho organizzato una gita in montagna, coinvolgendo altre persone e assumendomi anche l'aspetto organizzativo dell'uscita.
Ed ecco che, contrariamente alle previsioni, la giornata è piovosa e bisogna annullare l'evento.
Di fronte a qualcosa che non mi aspetto, che spezza i miei piani, viene naturale la tristezza, la mormorazione, la reazione arrabbiata, la sgradevolezza, perché in fin dei conti si rifiuta l'evento.
La benevolenza ti porta a pensare: ma se fosse un bene?
Ma se questa cosa in realtà fosse guidata da una mano sapiente, forse questo non era il mio bene, forse non era questa l'organizzazione della mia giornata migliore.
Ci si apre ad una visione positiva.
Attenzione però a non confondere la benevolenza con una sorta di ottimismo, del bicchiere mezzo pieno, del semplice carattere adattabile.
Qui siamo di fronte all'intuizione profonda e quasi impercettibile che lo Spirito Santo semina nel cuore dell'uomo: il sospetto che ci sia qualcosa di buono nella contraddizione, il sospetto che nella giornata andata male, forse c'è una sorpresa da cogliere, forse c'è un bene in ciò ce sta succedendo.
Passando da esempi elementari a cose più serie, applichiamo il frutto della benevolenza a Gesù Cristo, che – insieme al Padre - è il benevolente per eccellenza.
Lo Spirito Santo opera la benevolenza nell'uomo.
Lo vediamo in Cristo e nell'attitudine di Dio che è benevolo verso gli ingrati e verso i malvagi.
Essere benevolo vuol dire cogliere nell'altro, quando mostra il suo aspetto peggiore, la sua potenzialità.
Dio guarda l'uomo non in quanto errore, ma in quanto capacità di costruzione.
Nell'uomo c'è una potenzialità che Dio guarda con occhio di Padre.
Dio si rallegra per il bene che possiamo compiere e inizia una storia di salvezza di fronte al nostro male, si fa luogo di incontro con la sua misericordia.
Di fronte al male che l'uomo compie, nella sua libertà, Dio ha un atteggiamento benevolente, guarda cioè sempre alla salvezza.
Cristo non è venuto al mondo per condannare, ma per salvare il mondo.
E allora le mie debolezze, nelle mani di Dio diventano l'occasione per conoscere il suo amore, la sua pazienza, la sua incredibile tenerezza e il suo atteggiamento sempre paterno.
Ciò non significa che Dio ci lasci così come siamo.
La sua benevolenza implica correzione, anche disciplina, implica un aspetto di autenticità e di verità che può essere recepito dall'uomo talvolta come durezza.
Ma Dio non conosce tenebra, non conosce menzogna, ed è capace di trarre il bene dal male, di trarre la luce dalla tenebra.
Allora Dio ci guarda sempre come qualcosa di bello, come un padre guarda al proprio figlio, anche il più disgraziato, il più ribelle.
Vede in noi sempre qualcosa di proficuo, di utile, di efficace.
Agli occhi di Dio possiamo sempre essere salvati e redenti.
Qual è la via della benevolenza?
Come è possibile essere benevolenti?
Il fatto che Dio abbia trovato qualcosa di bello in me, abbia sfruttato l'occasione della mia debolezza per amarmi, apre a una prospettiva nuova.
Nasce in me la convinzione che tutto questo sia vero e possibile dando origine alla gratitudine che mi pone nella stessa attitudine di fronte al prossimo.
Se è vera l'espressione "gli amici si vedono nel bisogno" allora difronte alla grave necessità di una persona ecco l'occasione per essere amico e farmi prossimo.
Il difetto di un coniuge, vissuto spesso come dramma, è in realtà la potenzialità di un matrimonio.
Quando vuoi amare tua moglie o tuo marito se non quando si comporta in maniera insopportabile?
Il momento dell'amore è il momento del perdono.
Amare una persona perché si comporta bene non è in sé molto sorprendente, come dice Gesù: "Se amate quelli che vi amano … che cosa fate di straordinario?" ( Mt 5,46.47 ).
Molta gente, pensando di evitare l'appiattimento della propria vita, è sempre in cerca di emozioni.
In realtà le emozioni più grandi si hanno sfruttando le occasioni concrete della propria vita.
Un amico mi fa del male?
Questo è il momento di amarlo, questo il momento di perdonarlo.
Nel matrimonio uno dei due sbaglia?
Questo è il momento di amarlo e di perdonarlo.
Il matrimonio si costruisce attraverso questa intuizione, di vedere lo sbaglio altrui come l'occasione per l'amore.
Quando vuoi voler bene a un bambino se non quando è debole!
Siamo nati forse per stare bene, farci i fatti nostri, passare la vita in pace e morire in buona salute o siamo nati per amare?
Se capisco di essere nato per amare, ho avuto quella intuizione necessaria per leggere la mia storia.
Se Dio mi ha amato quando ho sbagliato, anch'io, con allegria, potrò perdonare l'altro quando sbaglia nei miei confronti.
Ma amare non vuol dire ancora capire; la croce, quando arriva, non si capisce, la croce si vive.
Perfino la croce, la cosa che ci fa più ribrezzo nella nostra vita, ci consegnerà il regalo più grande che è la morte, la quale a sua volta ci darà il paradiso.
Così potremo dire che anche la morte è stata utile.
Magistero |
|
Catechesi - Benedetto XVI | 5-12-2012 |
Dio rivela il suo "disegno di benevolenza" | |
Catechismo della Chiesa Cattolica |
|
Disegno di benevolenza di Dio | 50-51 |
-- | 257 |
-- | 315 |
-- | 2807 |
-- | 2823 |
Benevolenza propria di Dio | 214 |
Spirito Santo datore di benevolenza | 736 |
-- | 1832 |
L'inferno | 1037 |
Carità e benevolenza | 1829 |
L'autorità | 1900 |
Uguaglianza e differenze tra gli uomini | 1937 |
Comunità umane e benevolenza | 2213 |
-- | 2540 |
-- | 2554 |
Benevolenza degli uomini verso gli animali | 2416 |
Il disordine delle cupidigie | 2540 |
Summa Teologica |
|
Pare che l'amare, in quanto atto della carità, non sia altro che la benevolenza. | II-II, q27, a2 |