Cesaropapismo
È la tendenza dello stato ( "Cesare" ) a riservarsi diritti d'intervento nell'ambito della Chiesa ( "Papa" ) e quindi a considerare la religione come soggetta al potere politico. Sorto inizialmente quale contropartita ai sostegni che lo stato prestava alla Chiesa, si sviluppò, soprattutto in Oriente, quando le controversie teologiche si accanirono tanto da mettere a repentaglio l'ordine pubblico e quindi da spingere gl'imperatori a sollecitare soluzioni che adeguassero anche il dogma all'interesse statale. Il terreno fu particolarmente fertile per questa germinazione a Costantinopoli, che si arrogò la preminenza quale seconda Roma in base alla presenza dell'imperatore e del senato e non della sede di Pietro, come sempre fece la prima Roma: era una Chiesa a fondamento imperiale ed era naturale che tutta la sua fisionomia ne risentisse. Il fenomeno si ripeté, su scala assai maggiore, nell'Occidente protestante con le Chiese costituzionalmente sottoposte ai principi ( cuius regio eius religio ). Tentativi di cesaropapismo insorsero anche negli stati cattolici europei, ma furono validamente contenuti dalle reazioni papali. Pietro è pur sempre una roccia contro la quale si infrangono, per quanto spumeggino, i marosi del mondo. |
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Tendenza, detta anche "cesarismo", che porta ad attribuire allo Stato il compito di supremo organo legislativo anche in materia ecclesiastica. Si contrappone perciò al sistema della teocrazia ( v. ), caratterizzata dalla prevalenza della Chiesa sullo Stato. Imperniati sull'idea, diffusa nelle teorie e nella prassi politiche dell'antica Roma, che sosteneva come primario il ruolo pubblico della religione, vari modelli di cesaropapismo si susseguirono nel corso della storia, da quello bizantino, in cui gli imperatori venivano equiparati agli apostoli, a quello del Sacro Romano Impero, fino alle moderne tipologie delle Chiese nazionali. |
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È il nome dato a quei regimi politico-ecclesiastici che consentono al potere civile il controllo diretto sulle strutture della Chiesa. |