83 questioni diverse |
Come si dice che Dio sa anche quando cerca di sapere - sta scritto infatti: Il Signore vostro Dio vi mette alla prova per sapere se lo amate -, ( Dt 13,3 ) così questa frase non vuol dire che il Signore non sa; ma perché gli uomini sappiano quanto siano progrediti nell'amore di Dio.
Il che non si conosce pienamente se non nelle prove che capitano.
E la stessa espressione: mette alla prova sta al posto di: permette che siate provati.
Allo stesso modo quando si dice che non sa, significa o che disapprova, cioè non lo riconosce nei suoi precetti e insegnamenti, come sta scritto: Non vi conosco; ( Mt 25,12 ) o che ritiene utile ignorare ciò che è inutile sapere.
Pertanto l'esatta interpretazione delle parole: Solo il Padre sa? vuol dire che lo fa sapere al Figlio; e neppure il Figlio sa, vuol dire che lascia gli uomini nell'ignoranza, perché non giova loro sapere ciò che è inutile.
1. I cinque pani di orzo, con i quali il Signore ha sfamato la folla sul monte, significano la legge antica, sia perché è stata data ad uomini non ancora spirituali ma ancora carnali, schiavi cioè dei cinque sensi del corpo - la stessa folla era inoltre di cinquemila uomini -, ( Gv 6,9-13 ) sia perché la stessa legge era stata promulgata per mezzo di Mosè; Mosè ha scritto infatti cinque libri.
I pani poi erano di orzo: e questo può a ragione indicare o la stessa legge, che era stata data in modo che l'alimento vitale fosse rivestito da misteriosi segni materiali - infatti il grano d'orzo è ricoperto di pula assai consistente -, o lo stesso popolo non ancora liberato dai desideri carnali che, come pula, aderivano al suo cuore.
Cioè non era ancora circonciso di cuore: nonostante la prova della tribolazione durante la marcia di quarant'anni nel deserto non aveva deposto, schiarita la mente, i veli carnali, come neppure l'orzo viene liberato dall'involucro della pula con la trebbiatura dell'aia.
Conveniva pertanto dare tale legge a quel popolo.
2. I due pesci poi, che davano al pane un sapore gradevole, sembrano indicare le due autorità, la regale cioè e la sacerdotale, alle quali apparteneva anche la famosa unzione sacra, che governavano quel popolo, il quale ne accettava la guida delle riunioni.
Era loro dovere non lasciarsi mai abbattere e corrompere dai tumulti e dalle agitazioni popolari; sedare frequentemente le violente contestazioni della folla, simili a onde minacciose, e talvolta accondiscendere loro, mantenendo la propria integrità: nel governo turbinoso del popolo si trovavano come pesci nel mare in tempesta.
Tuttavia queste due autorità prefiguravano nostro Signore, perché egli da solo ha esercitato i due poteri e li ha perfettamente attuati, non in senso figurato.
Infatti il Signore Gesù Cristo è anche nostro re: ci ha mostrato con l'esempio come lottare e vincere portando nella carne mortale i nostri peccati, senza cedere mai agli assalti seducenti e intimidatori dell'avversario, che deponendo infine la propria carne, spogliando risolutamente i principati e le potestà e trionfando su di essi nella propria persona. ( Col 2,15 )
Sotto la sua guida noi veniamo perciò liberati dai pesi e dalle fatiche di questa nostra peregrinazione, come dall'Egitto, e a noi, che scampiamo, col sacramento del battesimo sono tolti i peccati che ci perseguitano.
E poiché abbiamo la speranza della sua promessa, che ancora non vediamo, girovaghiamo come per luoghi deserti, confortati dalla parola di Dio nelle Sacre Scritture, come gli Ebrei dalla manna del cielo.
Ancora sotto la sua guida speriamo di poter giungere alla Gerusalemme del cielo, come alla terra promessa, e rimanervi eternamente sotto il suo governo e la sua custodia.
In questo modo il nostro Signore Gesù Cristo si manifesta nostro re.
Egli è anche nostro sacerdote in eterno, secondo l'ordine di Melchisedech; ( Sal 110,4 ) si è offerto in olocausto per i nostri peccati e ha raccomandato di celebrare il rinnovamento del suo sacrificio in memoria della sua passione, sicché quello che Melchisedech ha offerto a Dio ( Gen 14,18 ) noi ora lo vediamo offerto per il mondo nella Chiesa di Cristo.
Avendo dunque il nostro re preso su di sé i nostri peccati per mostrare come lottare e vincere, l'evangelista Matteo ha indicato il carico su di sé dei nostri peccati e l'autorità regale, iniziando la sua genealogia secondo la carne da Abramo, che è il padre del popolo fedele, ed enumerando per via discendente la successione della prole è arrivato sino a Davide, sotto il quale il regno si mostra consolidato con grande evidenza.
Poi attraverso Salomone, nato da colei con cui suo padre aveva peccato, ha proseguito la discendenza regale conducendola fino alla nascita del Signore. ( Mt 1,1-17 )
Invece l'altro evangelista Luca, che si è preso anch'egli l'incarico di descrivere la genealogia del Signore secondo la carne, ma nella linea sacerdotale cui spetta la purificazione e l'eliminazione dei peccati, inizia ad esporre gradualmente l'origine dei suoi antenati non dal principio del libro, come Matteo, ma dal punto in cui narra il battesimo di Gesù, dove ha prefigurato la purificazione dei nostri peccati.
Egli non descrive le generazioni per via discendente come Matteo, che lo mostrava mentre scendeva ad addossarsi i peccati, ma in via ascendente, come per indicare che saliva dopo aver distrutto i peccati, senza neppure nominare gli antenati elencati da quello. ( Lc 3,23-38 )
Diversa infatti era l'origine sacerdotale: tramite uno dei figli di Davide, che secondo l'usanza aveva tirato a sorte in matrimonio un donna della tribù sacerdotale, era successo che Maria fosse imparentata con entrambe le tribù, cioè la regale e la sacerdotale.
Quando infatti Giuseppe e Maria furono censiti, è stato notato che erano della casa e della famiglia di Davide. ( Lc 2,4 )
Anche Elisabetta, ricordata come parente di Maria, era di casta sacerdotale. ( Lc 1,5.36 )
E come Matteo, presentando Cristo re che scende per addossarsi i nostri peccati, lo fa discendere da Davide mediante Salomone, perché Salomone era nato da quella donna con cui Davide aveva peccato, così Luca, presentando Cristo sacerdote che ascende al cielo dopo aver distrutto i peccati, risale a Davide attraverso Nathan.
Il profeta Nathan era stato inviato perché Davide, corretto da lui, ottenesse mediante la penitenza il perdono di quello stesso peccato. ( 2 Sam 12,1-13 )
Per questo Luca, dopo aver citato il nome di Davide, non differisce da Matteo nei nomi delle generazioni.
Egli li nomina infatti risalendo da Davide ad Abramo, e quegli discendendo da Abramo a Davide, poiché da Davide quella genealogia è distinta in due famiglie, la regale e la sacerdotale.
Di queste due famiglie, come si è detto, Matteo per via discendente segue la regale e Luca per via ascendente la sacerdotale.
E così il Signore nostro Gesù Cristo, nostro re e sacerdote, discenderebbe dalla stirpe sacerdotale, senza essere peraltro della stirpe sacerdotale, cioè della tribù di Levi, ma sarebbe della tribù di Giuda, cioè di Davide; di questa tribù nessuno serve all'altare.
Per questo motivo egli è detto principalmente figlio di Davide secondo la carne, perché tanto Luca, per via ascendente, quanto Matteo, per via discendente, si sono incontrati in Davide.
Era infatti conveniente che colui che avrebbe abolito i sacrifici, che si offrivano nel sacerdozio levitico secondo l'ordine di Aronne, non fosse della tribù di Levi, perché la remissione dei peccati, che il Signore aveva compiuto con l'offerta del suo olocausto, prefigurato nell'antico sacerdozio, non sembrasse una prerogativa di questa tribù né di questo sacerdozio che nel tempo adombrava quello futuro.
Nella Chiesa poi ha lasciato l'immagine di quell'olocausto da celebrare in memoria della sua passione, per essere sacerdote in eterno non secondo l'ordine di Aronne, ma secondo l'ordine di Melchisedech. ( Eb 6,20 )
Si potrebbe approfondire ancora più diligentemente il mistero di questo fatto.
Ma riguardo ai due pesci, in cui, come abbiamo detto, erano raffigurate le due personalità, la regale e la sacerdotale, basti quanto abbiamo esposto finora.
3. Ora quella turba, seduta sull'erba, indica che coloro, i quali avevano ricevuto l'Antico Testamento, erano stati posti in una speranza carnale, poiché veniva promesso loro un regno temporale e una Gerusalemme terrena: Ogni uomo è come l'erba e la gloria dell'uomo come un fiore del campo. ( Is 40,16 )
Che poi con i resti dei frammenti siano state riempite dodici ceste di avanzi, indica che i discepoli del Signore, per i quali il numero dodici rappresenta la potestà, erano stati colmati dalla comprensione e spiegazione della stessa legge, che i Giudei avevano trascurato e abbandonato.
Non c'era infatti ancora la Scrittura del Nuovo Testamento, quando il Signore, quasi spezzando e aprendo ciò che nella legge era duro e chiuso, saziò i discepoli e aprì loro, dopo la risurrezione, le antiche Scritture, cominciando da Mosè e da tutti i Profeti, spiegando loro in tutte le Scritture quanto li riguardava.
Allora infatti due di loro lo riconobbero allo spezzare del pane. ( Lc 24,27-31 )
4. Per questo motivo s'intende giustamente che il secondo pasto del popolo, che fu di sette pani, appartiene alla predicazione del Nuovo Testamento.
Nessun evangelista ha affermato che questi pani fossero di orzo, come ha detto Giovanni di quei cinque pani.
Dunque questo pasto di sette pani appartiene alla grazia della Chiesa che, come si sa, è nutrita dall'azione ben nota dei sette doni dello Spirito Santo.
Ecco perché qui non è scritto che i pesci erano due, come nella vecchia legge dove solo due erano unti, il re e il sacerdote, ma pochi pesci, cioè coloro che per primi hanno creduto al Signore Gesù Cristo e sono stati unti nel suo nome, quindi mandati a predicare il Vangelo e ad affrontare il mare tempestoso di questo mondo, per essere ambasciatori del grande pesce, cioè di Cristo, come dice l'apostolo Paolo. ( 2 Cor 5,20 )
In quella turba non c'erano cinquemila uomini, come l'altra che indica gli uomini carnali sottomessi alla legge, schiavi cioè dei cinque sensi del corpo, ma piuttosto quattromila; con questo numero sono indicati gli spirituali in forza delle quattro virtù dell'anima, con le quali si vive spiritualmente in questa vita: prudenza, temperanza, fortezza e giustizia.
Di queste la prima è la conoscenza delle cose da desiderare e da evitare, la seconda è la moderazione della cupidigia dei piaceri materiali, la terza è la fermezza d'animo contro le avversità temporali, la quarta, che compenetra tutte le altre, è l'amore di Dio e del prossimo.
5. In verità è ricordato che là c'erano cinquemila uomini e qui quattromila, senza contare le donne e i bambini. ( Mt 15,34-38 )
Questo è detto, mi sembra, per farci capire che anche nel popolo dell'Antico Testamento c'erano alcuni incapaci di adempiere la giustizia che è secondo la legge.
L'apostolo Paolo assicura di essersi comportato irreprensibilmente sotto questa giustizia; ( Fil 3,6 ) c'erano anche altri portati facilmente al culto degli idoli.
Le due categorie, cioè la debolezza e l'errore, vengono rappresentate con i nomi di donne e di bambini.
Il sesso femminile infatti è debole nell'attività e la fanciullezza è facile al gioco.
Che cosa poi è più vicino al gioco dei bambini del culto degli idoli?
A questo genere di superstizione si riferisce l'Apostolo quando dice: Non diventate idolatri come alcuni di loro, secondo quanto sta scritto: " Il popolo sedette a mangiare e a bere e poi si alzò per divertirsi ". ( 1 Cor 10,7 )
Erano dunque simili alle donne coloro che, nelle fatiche dell'attesa per giungere alle promesse di Dio, senza perseverare virilmente, tentarono Dio; mentre erano simili ai fanciulli coloro che si sedettero a mangiare e a bere e si alzarono per divertirsi.
Tuttavia non solo tra loro, ma anche tra il popolo del Nuovo Testamento, coloro che non perseverano nel formare l'uomo perfetto ( Ef 4,13 ) sono da paragonare alle donne e ai bambini o per debolezza di forze o per leggerezza d'animo.
Agli uni infatti è detto: A condizione di mantenere salda sino alla fine la fiducia che abbiamo avuta da principio; ( Eb 3,14 ) e agli altri: Non comportatevi da bambini nei giudizi, siate come bambini in quanto a malizia, ma uomini maturi quanto ai giudizi. ( 1 Cor 14,20 )
Ecco perché costoro sia nel Vecchio che nel Nuovo Testamento non vengono computati, ma là si dice che c'erano cinquemila, e qui quattromila, senza contare le donne e i bambini. ( Mt 14,21; Mt 15,38 )
6. È vero tuttavia che nei due casi, a motivo di Cristo stesso che spesso nelle Scritture è chiamato monte, i due popoli sono stati opportunamente saziati sul monte; qui però non ci si siede sull'erba ma per terra.
Nel primo caso la grandezza di Cristo, a causa degli uomini carnali e della Gerusalemme terrena, è velata da speranze e desideri carnali; nel secondo invece, rimossa ogni cupidigia carnale, era il sostegno della speranza duratura, come la solidità dello stesso monte, a tenere insieme i convitati del Nuovo Testamento senza frapporre alcuna erba.
7. E poiché l'Apostolo molto giustamente dice: Prima però che venisse la fede, noi eravamo custoditi sotto la legge, ( Gal 3,23 ) anche il Signore sembra esprimere la stessa idea quando dice di quelli che avrebbe sfamato con cinque pani: Non occorre che vadano; date loro voi stessi da mangiare. ( Mt 14,16 )
Sotto queste parole essi sono raffigurati come da custodire, mentre i discepoli lo avevano pregato di rimandarli.
Invece di questa moltitudine, che si riferisce ai sette pani, egli stesso ha dichiarato di sentire compassione, perché già da tre giorni lo seguivano digiuni.
Infatti nella totalità delle età del genere umano, il terzo tempo è quello in cui è stata data la grazia della fede cristiana.
Il primo precede la legge, il secondo è sotto la legge, il terzo è sotto la grazia.
E poiché rimane ancora il quarto tempo, durante il quale giungeremo alla pace perfetta della celeste Gerusalemme, a cui tende chiunque crede rettamente in Cristo, per questo motivo il Signore dice di sfamare quella turba, perché non svenga lungo la strada.
Infatti secondo questa economia il Signore si è degnato apparire nell'umanità temporale e visibile e ci ha dato in pegno lo Spirito Santo, che ci rinvigorisce con l'azione dei suoi sette doni, a cui si aggiunge, come il sapore di pochi pesci, l'autorità apostolica: questa economia non fa dunque altro che permetterci di arrivare alla palma della suprema vocazione, senza che vengano meno le forze.
Camminiamo infatti nella fede e non nella visione. ( 2 Cor 5,7 )
Lo stesso Apostolo dice di non aver ancora conquistato il regno di Dio: Dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la mèta, verso la palma della suprema vocazione.
Però al punto in cui siamo arrivati continuiamo a camminare. ( Fil 3,13-14.16 )
Rimanendo uniti nel terzo giorno al Signore e nutriti da lui, non verremo meno lungo la strada.
8. Anche in questo caso non fu possibile finire le provviste, ma rimasero degli avanzi.
Riguardo al futuro non è stato detto invano: Credi che verrà il Figlio dell'uomo e troverà la fede sulla terra? ( Lc 18,8 )
Io credo che sarà così a motivo delle donne e dei bambini.
I frammenti avanzati riempirono tuttavia sette ceste: ad esse corrispondono le sette Chiese, descritte anche nel libro dell'Apocalisse, ( Ap 1,4 ) ossia tutti coloro che persevereranno sino alla fine.
Colui infatti che ha detto: Credi che verrà il Figlio dell'uomo e troverà la fede sulla terra? ha voluto certamente indicare che al termine del convito si potevano lasciare e avanzare delle vivande; ma poiché ha detto anche: Chi persevererà sino alla fine sarà salvo, ( Mt 24,13 ) ha dichiarato che la Chiesa non sarebbe venuta meno: essa col numero sette riceve più abbondantemente gli stessi sette pani e li conserva con larghezza di cuore, che nelle ceste sembra designare la stessa perseveranza.
Si può domandare se coloro, che sono stati battezzati al tempo in cui si dice che il Signore battezzava per mezzo dei suoi discepoli più gente di Giovanni, abbiano ricevuto lo Spirito Santo.
In un altro passo del Vangelo si dice infatti: Lo Spirito non era stato ancora dato, perché Gesù non era stato ancora glorificato. ( Gv 7,39 )
Si può rispondere molto facilmente così che il Signore Gesù, il quale risuscitava anche i morti, poteva impedire che qualcuno di loro morisse finché, dopo la sua glorificazione, cioè la risurrezione dai morti e l'ascensione al cielo, non avessero ricevuto lo Spirito Santo.
Ma mi viene in mente quel ladro a cui è stato detto: In verità ti dico, oggi sarai con me in paradiso. ( Lc 23,43 )
Costui non aveva neppure ricevuto il battesimo.
Sebbene Cornelio e i pagani che con lui avevano creduto avessero ricevuto lo Spirito Santo prima ancora di essere battezzati, ( At 10,44-47 ) non vedo tuttavia come anche quel ladro abbia potuto dire senza lo Spirito Santo: Ricordati di me, Signore, quando entrerai nel tuo regno, ( Lc 23,42 ) quando l'Apostolo afferma: Nessuno può dire: " Signore Gesù ", se non nello Spirito Santo. ( 1 Cor 12,13 )
Il Signore stesso ha mostrato il frutto della sua fede, dicendo: In verità ti dico, oggi sarai con me in paradiso.
Come dunque per l'ineffabile potere e la giustizia di Dio sovrano è stato concesso il battesimo anche al ladro credente, e ciò che non era possibile ricevere nel corpo crocifisso veniva considerato ricevuto nell'animo libero, così anche lo Spirito Santo veniva dato segretamente prima della glorificazione del Signore.
Dopo la manifestazione della sua divinità veniva invece conferito più apertamente.
Anche questo è stato detto: Lo Spirito Santo non era ancora stato dato, vale a dire non era ancora apparso così chiaramente che tutti potessero affermare che era stato dato.
Allo stesso modo anche il Signore non era stato ancora glorificato tra gli uomini, sebbene la sua eterna glorificazione non fosse mai venuta meno.
Ugualmente la stessa venuta è detta manifestazione nella carne mortale.
Venne infatti dove già si trovava, perché venne nella sua casa ed era in questo mondo e il mondo fu fatto per mezzo di lui. ( Gv 1,10-11 )
Come dunque per venuta del Signore s'intende la sua manifestazione corporale, anche se prima di questa manifestazione ha parlato in tutti i santi Profeti come Verbo di Dio e Sapienza di Dio, così anche la venuta dello Spirito Santo è la manifestazione dello Spirito Santo agli stessi occhi della carne, quando il fuoco fu visto dividersi su di loro ed essi cominciarono a parlare in lingue diverse. ( At 2,3-4 )
Se infatti lo Spirito Santo non era presente negli uomini prima della glorificazione visibile del Signore, come Davide avrebbe potuto dire: E non privarmi del tuo Santo Spirito? ( Sal 51,13 )
O come sarebbero stati riempiti Elisabetta e suo marito Zaccaria per profetare, e Anna e Simeone, che tutti, come sta scritto, ripieni di Spirito Santo hanno detto ciò che leggiamo nel Vangelo? ( Lc 1,41-45.60-79; Lc 2,25-38 )
Che poi Dio operi alcune cose segretamente e altre invece palesemente, per mezzo di creature visibili, appartiene all'economia della provvidenza, in virtù della quale tutte le azioni divine si svolgono secondo l'ordine e la stupenda varietà di luoghi e di tempi, senza che la stessa divinità sia racchiusa e si muova nello spazio, o si distenda e muti col tempo.
Come dunque il Signore stesso aveva evidentemente in sé lo Spirito Santo nell'umanità che aveva assunto, quando venne da Giovanni per essere battezzato e tuttavia dopo il battesimo lo Spirito Santo fu visto scendere su di lui in forma di colomba, ( Mt 3,13-16 ) allo stesso modo bisogna ritenere che tutti gli uomini santi potevano possedere segretamente lo Spirito Santo prima ancora della sua venuta visibile e manifesta.
Abbiamo detto questo a ragion veduta perché comprendiamo che, nella stessa visibile manifestazione dello Spirito Santo, che viene chiamata la sua venuta, la pienezza dello Spirito è stata infusa nei cuori degli uomini con maggiore abbondanza, in modo ineffabile e addirittura inconcepibile.
In principio era il Verbo. ( Gv 1,1 )
Il termine greco λόγος in latino significa sia "ragione" che "parola".
In questo passo però è meglio intendere "parola", per indicare non solo il rapporto al Padre, ma anche alle cose, che sono state fatte per mezzo del Verbo con potenza creatrice.
La ragione invece si chiama giustamente ragione, anche se non si fa nulla per mezzo di essa.
1. I misteri evangelici espressi dalle parole e dalle azioni di nostro Signore Gesù Cristo non sono accessibili a tutti.
Alcuni, interpretandoli superficialmente e sconsideratamente, il più delle volte recano danno invece della salvezza ed errore invece della verità.
Tra questi misteri c'è quello in cui si narra che il Signore all'ora sesta venne al pozzo di Giacobbe; stanco del cammino si sedette e chiese da bere a una donna samaritana, e tutto il resto che, nello stesso passo delle Scritture, è proposto alla discussione e alla considerazione.
A tale proposito si deve tener presente innanzitutto una regola da osservare con estrema diligenza in tutte le Scritture, perché l'esposizione del mistero divino sia conforme alla fede.
2. Nostro Signore venne dunque al pozzo all'ora sesta.
Nel pozzo scorgo una profondità tenebrosa.
Sono pertanto esortato a scoprire le regioni inferiori di questo mondo, cioè le terrene, dove il Signore Gesù venne nell'ora sesta, ossia nella sesta età del genere umano, quasi nella vecchiaia del vecchio uomo, di cui ci viene comandato di spogliarci per rivestire il nuovo, creato secondo Dio. ( Ef 4,22-24 )
La sesta età infatti è la vecchiaia: poiché la prima è l'infanzia, la seconda la fanciullezza, la terza l'adolescenza, la quarta la giovinezza, la quinta la maturità.
Pertanto la vita dell'uomo vecchio, che si svolge nella condizione temporale secondo la carne, si conclude con la vecchiaia nella sesta età.
Nella vecchiaia dell'umanità, come ho detto, nostro Signore è venuto a noi come creatore e redentore per inaugurare in se stesso, mentre moriva il vecchio uomo, il nuovo che avrebbe trasferito nel regno celeste, purificato dalle macchie terrene.
Ora il pozzo, come si è detto, indica dunque nella tenebrosa profondità il travaglio terreno e il traviamento di questo mondo.
E poiché il vecchio uomo è esteriore e il nuovo interiore, l'Apostolo ha detto: Se anche il nostro uomo esteriore si corrompe, quello interiore si rinnova di giorno in giorno. ( 2 Cor 4,16 )
È quanto mai appropriato - dal momento che tutte le cose visibili riguardano l'uomo esteriore: ad esse rinunzia la mortificazione cristiana - che il Signore venne al pozzo all'ora sesta, cioè a mezzogiorno, quando questo sole già comincia a volgere al tramonto.
Infatti anche in noi, con la chiamata di Cristo, diminuisce il piacere delle cose visibili, sicché l'uomo interiore, ricreato dall'amore delle cose invisibili, si volga alla luce interiore che mai tramonta e, secondo l'insegnamento dell'Apostolo, non cerchi le cose visibili, ma quelle invisibili: le visibili infatti sono d'un momento, quelle invisibili invece eterne. ( 2 Cor 4,18 )
3. Che poi al pozzo sia giunto stanco indica la debolezza della carne, che si sia seduto, l'umiltà: si è addossato infatti la debolezza della nostra carne, e con profonda umiltà ha voluto mostrarsi uomo tra gli uomini.
Di questa debolezza della carne il Profeta dice: Uomo provato dal dolore e capace di sopportare la sofferenza. ( Is 53,3 )
Dell'umiltà parla invece l'Apostolo che dice: Umiliò se stesso fatto ubbidiente fino alla morte. ( Fil 2,8 )
Il fatto che sedeva, dato che i dottori hanno la consuetudine di sedersi, potrebbe, in un altro senso, indicare non tanto la modestia dell'umiltà quanto l'autorità del maestro.
4. Possiamo ancora domandare perché ha chiesto da bere a una donna samaritana, venuta a riempire d'acqua l'anfora, quando egli stesso avrebbe poi affermato di poter dare, a chi lo pregava, l'abbondanza della sorgente spirituale.
Ma il Signore aveva sete della fede di quella donna, che era samaritana, e la Samaria simboleggia di solito l'idolatria.
Essi, separati dal popolo dei Giudei, avevano consegnato l'onore delle loro anime ai simulacri di muti animali, cioè a vitelli d'oro, il nostro Signore Gesù era invece venuto a condurre la moltitudine delle genti, asservita agli idoli, al baluardo della fede cristiana e della retta religione.
Egli dice infatti: Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. ( Mt 9,12 )
Ha dunque sete della fede di coloro per i quali ha sparso il sangue.
Le disse pertanto Gesù: Donna, dammi da bere. ( Gv 4,10 )
E perché tu sappia di che cosa aveva sete nostro Signore, dopo un po' arrivano i suoi discepoli, andati in città a comprare provviste, e gli dicono: Maestro mangia.
Ma egli rispose: " Ho da mangiare un cibo che voi non conoscete ".
E i discepoli si domandavano l'un l'altro: " Qualcuno forse gli ha portato da mangiare? ".
Gesù disse loro: " Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera ". ( Gv 4,31-34 )
Forse qui si può intendere che la volontà del Padre, che lo ha mandato, e la sua opera, che egli dichiara di voler compiere non ha altro scopo che la nostra conversione alla sua fede dai pericolosi traviamenti del mondo?
Qual è dunque il suo cibo, tale è anche la sua bevanda.
Pertanto in quella donna proprio di questo egli aveva sete: fare in lei la volontà del Padre e compiere la sua opera.
Ma quella, intendendo in senso materiale, risponde: Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una Samaritana?
Perché i Giudei non vanno d'accordo con i Samaritani.
Nostro Signore le rispose: Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: " Dammi da bere ", tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva. ( Gv 4,9-10 )
Voleva farle capire che non aveva chiesto quell'acqua a cui lei aveva pensato, ma che aveva sete della sua fede e a lei, che aveva sete, desiderava dare lo Spirito Santo.
Questo infatti è il vero senso dell'acqua viva, che è dono di Dio, com'egli dice: Se tu conoscessi il dono di Dio.
E come lo stesso evangelista Giovanni attesta in un altro luogo dicendo: Gesù, levatosi in piedi, esclamò ad alta voce: " Chi ha sete venga a me e beva; chi crede in me, come dice la Scrittura, fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno ". ( Gv 7,37 )
Con assoluta conseguenza dice: Chi crede in me, fiumi d'acqua viva sgorgheranno dal suo seno, perché, per meritare questi doni, noi prima crediamo.
I fiumi di acqua viva che egli voleva dare a quella donna sono dunque il premio della fede di cui innanzitutto aveva sete in lei.
Subito dopo espone il significato di quest'acqua viva, e dice: Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui.
Infatti non era stato ancora dato lo Spirito, perché Gesù non era stato ancora glorificato. ( Gv 7,38-39 )
Questo è dunque il dono dello Spirito Santo, che ha dato alla Chiesa dopo la sua glorificazione, come afferma un altro passo della Scrittura: Ascendendo in alto, ha condotto schiava la schiavitù, ha distribuito doni agli uomini. ( Sal 68,19; Ef 4,8 )
5. Ma quella donna ha ancora idee materiali; infatti così risponde: Signore, tu non hai un recipiente per attingere e il pozzo è profondo, come puoi darmi acqua viva?
Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci ha dato questo pozzo e da esso ha bevuto lui, i suoi figli e il suo bestiame?
Questa volta il Signore spiega le sue parole: Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell'acqua che io darò, non avrà più sete in eterno; ma l'acqua che io darò diventerà in lui sorgente d'acqua che zampilla per la vita eterna.
La donna però si attacca ancora alla prudenza della carne.
Cosa risponde infatti? Signore, dammi quest'acqua, perché non abbia più sete e non venga più qui ad attingere.
Le dice Gesù: Va' a chiamare tuo marito e vieni qua.
Ci chiediamo perché abbia parlato così, quando sapeva che non aveva marito.
Quella infatti rispose: Non ho marito.
Gesù le dice: Hai detto bene che non hai marito; infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero. ( Gv 4,11-18 )
Neppure queste parole si devono intendere in senso materiale, altrimenti anche noi saremmo simili a questa donna samaritana.
Se noi abbiamo già assaporato qualcosa del dono di Dio, indaghiamo spiritualmente la questione.
6. Secondo alcuni i cinque mariti sono i cinque libri dati da Mosè.
Quanto poi alla frase: Quello che hai ora non è tuo marito, ( Gv 4,18 ) credono che il Signore l'abbia detto di se stesso, sicché il senso sarebbe questo: Prima eri soggetta ai cinque libri di Mosè come a cinque mariti; ma quello che hai ora, vale a dire quello che ascolti, che parla con te, non è tuo marito, perché non hai ancora creduto in lui.
Ma poiché non crede ancora in Cristo, è perciò ancora soggetta a quei cinque mariti, ossia ai cinque libri; si può muovere l'obiezione, perché abbia potuto dire: Hai avuto cinque mariti, come se ora non li avesse più, mentre vive certamente ancora soggetta a loro.
Inoltre dal momento che i cinque libri di Mosè non hanno altro scopo che annunziare Cristo, come dice egli stesso: Se credeste a Mosè, credereste anche a me, perché di me egli ha scritto, ( Gv 5,47 ) come si può affermare che l'uomo, per passare a Cristo, deve allontanarsi da quei cinque libri, quando colui che crede in Cristo dovrebbe attaccarsi con maggior ardore a quei cinque libri, per intenderli spiritualmente, invece di abbandonarli?
7. C'è dunque un'altra interpretazione: i cinque mariti si riferiscono ai cinque sensi del corpo.
Il primo, che risiede negli occhi, ci permette di vedere questa luce visibile, tutti i colori e le figure dei corpi;
il secondo, quello delle orecchie, ci fa sentire le variazioni delle voci e di tutti i suoni;
il terzo, quello delle narici, ci diletta con la varia soavità dei profumi;
il quarto è il gusto, situato nella bocca: avverte il dolce e l'amaro e distingue tutti i sapori;
il quinto, diffuso per tutto il corpo, distingue, al tatto, il caldo e il freddo, il molle e il duro, il liscio e il ruvido, e ogni altra sensazione tattile.
La prima età dell'uomo, per necessità della natura mortale, è dominata da questi cinque sensi del corpo.
Dopo il peccato del primo uomo nasciamo in tale condizione che, finché non ci sarà restituita la luce della mente, trascorriamo la vita carnale soggetti ai sensi del corpo senza alcuna idea di verità.
Questa è necessariamente la condizione degli infanti e dei piccoli bambini, che non hanno ancora l'uso della ragione.
E poiché questi sensi, che dominano la prima età dell'uomo, sono naturali e ci sono stati dati da Dio creatore, a ragione vengono detti mariti, cioè sposi, in quanto legittimi: non li ha infatti forniti la colpa per proprio vizio, ma la natura per opera di Dio.
Ma quando uno arriva a quell'età in cui è ormai capace di ragione, se potrà cogliere rapidamente la verità, non resterà più sotto la guida di quei sensi, ma avrà un marito, cioè lo spirito razionale, al cui servizio ridurrà i sensi, sottomettendo il proprio corpo all'obbedienza.
Quando l'anima non è più soggetta ai cinque mariti, cioè ai cinque sensi del corpo, ma ha come legittimo sposo il Verbo divino, al quale è intimamente unita, e anche quando lo spirito dell'uomo aderirà a Cristo, perché Cristo è il capo dell'uomo, ( 1 Cor 11,3 ) allora godrà l'amplesso spirituale nella vita eterna senza alcun timore di separazione.
Chi potrà dunque separarci dall'amore di Cristo? ( Rm 8,35 )
Ma poiché quella donna era legata dall'errore e simboleggiava la moltitudine del mondo schiava di varie superstizioni, dopo il periodo dei cinque sensi del corpo dai quali era dominata la prima età, come abbiamo detto, non era stata sposata dal Verbo di Dio, ma l'aveva posseduta il diavolo con vincolo adulterino.
Allora il Signore, vedendo che era carnale, le dice: Va' a chiamare tuo marito e vieni qui; in altre parole: rimuovi da te ogni affetto carnale, che ora ti tiene avvinta, e ti impedisce di comprendere ciò che dico: e chiama tuo marito, vale a dire: sii presente con spirito d'intelligenza.
Lo spirito dell'uomo è in un certo senso sposo dell'anima e governa come una sposa la sensibilità animale.
Non è lo Spirito Santo, che permane immutabilmente col Padre e col Figlio ed è donato senza mutazione alle anime pure, ma lo spirito dell'uomo di cui l'Apostolo dice: Nessuno sa cosa c'è nell'uomo se non lo spirito dell'uomo.
Lo Spirito Santo è infatti lo Spirito di Dio, del quale dice di nuovo così: E nessuno sa le cose di Dio se non lo Spirito di Dio. ( 1 Cor 2,11 )
Quando dunque questo spirito dell'uomo è presente, cioè dentro, e si sottomette religiosamente a Dio, l'uomo comprende ciò che è detto in senso spirituale.
Quando invece nell'anima domina l'errore del diavolo, quasi che l'intelletto fosse assente, è adultero.
Il Signore dice: Chiama dunque tuo marito, cioè lo spirito che è in te, col quale l'uomo può comprendere le cose spirituali, purché la luce della verità lo illumini.
Sia presente lo spirito quando ti parlo, perché tu possa ricevere l'acqua spirituale.
E poiché quella aveva detto: Non ho marito, Gesù rispose: Hai detto bene; infatti hai avuto cinque mariti, cioè i cinque sensi della carne ti hanno dominato nella prima età; e quello che hai ora non è tuo marito, ( Gv 4,17-18 ) perché non c'è in te lo spirito che conosce Dio con il quale tu possa stringere un vincolo legittimo; ma in te prevale piuttosto l'errore del diavolo che ti corrompe con una relazione adulterina.
8. E forse per indicare agli intelligenti che con l'espressione cinque mariti sono raffigurati i cinque sensi del corpo, che abbiamo ricordato, dopo cinque risposte carnali questa donna nella sesta risposta nomina Cristo.
Infatti la sua prima risposta è questa: Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me?
La seconda: Signore, tu non hai un recipiente e il pozzo è profondo;
la terza: Signore, dammi di quest'acqua, perché non abbia più sete e non venga più qui ad attingere;
la quarta: Non ho marito; la quinta: Vedo che tu sei un profeta; i nostri padri hanno adorato su questo monte.
Anche questa risposta è carnale.
Agli uomini carnali era stato infatti concesso un luogo terreno per pregare: ma il Signore ha detto che gli spirituali avrebbero pregato in spirito e verità.
E dopo queste parole alla sesta risposta, la donna riconosce che Cristo è il maestro di tutti costoro; dice infatti: So che verrà il Messia, cioè il Cristo, quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa. ( Gv 4,25 )
Ma s'inganna ancora, perché non vede che è già venuto colui che spera verrà.
Tuttavia per la misericordia del Signore questo errore ora viene cacciato via come adultero.
Gesù le dice infatti: Sono io, che ti parlo. Udito questo la donna non rispose, ma subito, abbandonata l'anfora, andò in fretta in città per annunciare il Vangelo e la venuta del Signore e non credere semplicemente.
Non si deve neppure passare negligentemente sotto silenzio il fatto che si sia allontanata lasciando l'anfora.
L'anfora sta forse a significare l'amore di questo mondo, cioè la cupidigia, con la quale gli uomini ricercano il piacere dal fondo tenebroso, di cui è simbolo il pozzo, vale a dire dalla vita terrena.
Gustato questo piacere si accendono di nuovo desiderio, come dice il Signore: Chi beve di quest'acqua avrà di nuovo sete. ( Gv 4,13 )
Era dunque necessario, per credere in Cristo, rinunciare al mondo e, abbandonata l'anfora, dimostrare di essersi liberata dalla cupidigia terrena, non solo credendo col cuore per la giustizia, ma anche confessando con la bocca e proclamando ciò che credeva per [ avere ] la salvezza. ( Rm 10,10 )
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