L'anima e la sua origine

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Libro III

A Vincenzo Vittore

1.1 - La stima di Agostino per Vincenzo Vittore

Il fatto stesso che ho ritenuto mio dovere scriverti voglio che prima di tutto ti porti a riflettere, o mio dilettissimo figlio Vittore, che non ti avrei assolutamente scritto, se ti disprezzassi.

Né tuttavia devi per questo abusare della nostra umiltà così da stimarti approvato perché ti vedi non disprezzato.

Io non ti amo infatti come uno da imitare, ma come uno da emendare, e poiché non dispero nemmeno della tua possibilità ad essere emendato, non voglio che ti sorprenda la mia impossibilità a disprezzare chi amo.

Se infatti ti dovevo amare prima che tu fossi in comunione con noi perché tu fossi cattolico, quanto più ti devo amare adesso che sei già in comunione con noi perché tu non sia un nuovo eretico e sia un tal cattolico a cui non possa resistere nessun eretico!

Per quanto infatti appare dai doni d'ingegno che il Signore ti ha già elargiti, tu sarai senza dubbio sapiente, se crederai di non esserlo, e se per esserlo lo chiederai piamente, supplichevolmente, insistentemente a colui che rende sapienti gli uomini, e se preferirai di non essere ingannato dall'errore piuttosto che onorato dalle lodi di coloro che sono nell'errore.

2.2 - Agostino contesta a Vittore il soprannome di Vincenzo

La prima cosa che mi ha preoccupato nei tuoi riguardi è stato l'appellativo aggiunto al tuo nome nei tuoi libri.

Avendo io domandato chi fosse Vincenzo Vittore a coloro che ti conoscevano e che forse erano stati presenti [ alla lettura dei tuoi libri ], mi sentii dire che eri stato donatista o meglio rogatista e che da poco tempo eri entrato nella comunione della Cattolica.

E mentre me ne rallegravo, quanto siamo soliti rallegrarci per coloro che conosciamo liberati da quell'errore ( e anzi anche molto di più, perché vedevo che il tuo ingegno, fonte di gioia per me nei tuoi scritti, non era rimasto a servizio degli avversari della verità ), fu aggiunto dagli informatori un particolare che in mezzo a quei motivi di letizia mi rattristò: la ragione per cui tu avevi voluto esser soprannominato Vincenzo è che ritieni ancora con intima convinzione il successore di Rogato, chiamato Vincenzo, come un personaggio grande e santo, e per questo hai voluto fare del suo nome il tuo cognome.

Né mancarono persone che ti attribuivano d'esserti anche vantato che Vincenzo stesso ti era apparso non so in qual genere di visione e ti aveva così aiutato nella composizione dei libri - dei quali prendo a trattare con te in questo nostro lavoretto - da dettarteli egli stesso, per quanto concerne temi e argomentazioni.

Se questo è vero, non mi meraviglio più che tu possa aver detto tali spropositi che ti pentirai senz'altro d'aver detti, se darai pazientemente ascolto ai miei richiami e se considererai ed esaminerai quei libri con la mentalità cattolica.

Evidentemente colui che si maschera da angelo di luce, ( 2 Cor 11,14 ) come lo smaschera l'Apostolo, si è mascherato per te nella figura di colui che tu credi sia stato o sia una specie d'angelo di luce.

E certamente riesce meno ad ingannare i cattolici con questo suo metodo di mascherarsi, non in angeli di luce, ma in eretici: non vorrei però che con te ormai cattolico egli riuscisse nell'inganno.

Lo roda dunque la rabbia che tu abbia imparato la verità, quanto più l'aveva preso la gioia d'averti persuaso alla falsità.

Perché poi tu non ami un morto, senza che il tuo amore possa giovare a lui, mentre può nuocere a te, ti esorto a riflettere su questa breve osservazione: sicuramente non è santo e giusto Vincenzo, se tu sei sfuggito ai lacci degli eretici donatisti o rogatisti; se viceversa lo stimi santo e giusto ti sei rovinato mettendoti in comunione con i cattolici.

È certo infatti che ti fingi cattolico, se sei nell'animo quello che era Vincenzo che ami.

E tu sai quanto sia terribile la dichiarazione della Scrittura: Il santo spirito della scienza rifugge dalla finzione. ( Sap 1,5 )

Se invece non ti fingi cattolico, comunicando sinceramente con i cattolici, per quale ragione nutri ancora tanto amore per un eretico morto da volerti gloriare ancora del nome di chi non ti tiene più con il suo errore?

Non vogliamo che tu porti tale complemento del tuo nome, come se tu fossi il monumento funebre d'un eretico morto.

Non vogliamo che il tuo libro porti un appellativo che diremmo falso, se lo leggessimo sul sepolcro di Vincenzo.

Sappiamo infatti che Vincenzo non è un vincitore ma un vinto, e magari fosse fruttuosamente vinto, come vogliamo che sia vinto tu dalla verità!

Si pensa poi che tu, dando il nome di Vincenzo Vittore ai tuoi libri, che desideri far passare come dettati a te da Vincenzo in rivelazione, hai voluto astutamente e scaltramente, non tanto chiamarti Vincenzo, quanto chiamare lui Vittore, come se lui fosse stato vincitore dell'errore rivelandoti le verità da scrivere.

Che ti giova questo, o figlio? Sii piuttosto un cattolico vero e non finto, perché lo Spirito Santo non ti sfugga e non ti possa aiutare per nulla quel Vincenzo nel quale per ingannarti si è mascherato lo spirito più maligno che esista: sono appunto del diavolo tutte quelle falsità, qualunque sia stata la sua frode per convincerti.

Se dopo il mio avvertimento correggerai questi errori con pia umiltà e pace cattolica, essi saranno giudicati come errori d'un giovane molto avido di sapere e più desideroso d'emendarsi che di adagiarsi nell'errore.

Se al contrario, e Dio te ne guardi, il diavolo ti convincerà pure ad una lotta pervicace in difesa dei tuoi errori, allora sarà necessario che essi siano condannati come eresie insieme al loro autore, evidentemente per un dovere pastorale e medicinale, prima che in mezzo al popolo incauto comincino a serpeggiare contagi rovinosi, se, con un amore solo di nome e non di fatto, si trascura d'applicare la disciplina salutare.

3.3 - Il primo errore di Vittore: l'anima non creata dal nulla, ma dalla stessa essenza di Dio

Se cerchi di sapere quali siano quegli errori, potrai leggere i miei libri indirizzati ai nostri fratelli, il servo di Dio Renato e il presbitero Pietro, al quale ultimo hai stimato di dover scrivere i tuoi medesimi libri dei quali trattiamo, " obbedendo ", come asserisci, " alla volontà di lui che te li ha chiesti ".

Te li daranno senza dubbio a leggere, se li vorrai, e te li suggeriranno anche se non li chiederai.

Ma tuttavia non tacerò nemmeno qui gli errori dei quali mi preme soprattutto la correzione nei tuoi medesimi libri e nella tua fede.

Il primo è questo: " Tu non vuoi che Dio abbia fatto l'anima così da averla fatta dal nulla, ma l'abbia fatta da se stesso ".

E qui tu non vai a pensare che ne viene di conseguenza che l'anima sarebbe della stessa natura di Dio, perché conosci anche tu da te stesso quanto ciò sia empio.

Per non cadere in tale empietà bisogna che tu dica che Dio è autore dell'anima così che essa sia stata fatta da lui, ma non tratta da lui.

Quello che procede dall'essenza di Dio, come il Figlio unigenito, è della stessa natura di Dio.

Perché l'anima non sia della medesima natura di Dio, essa è stata fatta, sì, da Dio, ma non tratta da Dio.

Dunque o spiega donde sia stata fatta o confessa che è stata fatta dal nulla.

Che significano mai le tue parole: " È una specie di particella dell'alito della natura di Dio "?

Neghi forse che l'alito della natura di Dio sia della medesima natura di Dio, del quale alito l'anima sarebbe cotesta particella?

Se lo neghi, logicamente Dio ha fatto dal nulla anche quest'alito, del quale tu vuoi che l'anima sia una particella.

Oppure se Dio non l'ha fatto dal nulla, spiega donde l'abbia fatto.

Se da se stesso, allora egli stesso sarebbe, e non sia mai, la materia della propria opera.

Ma tu dici: " Quando Dio fa l'alito o il fiato da se stesso, Dio rimane integro in se stesso ", come se non rimanesse integra anche la fiamma d'una lucerna, quando da quella fiamma si accende un'altra lucerna, pur essendo della stessa natura e non di natura diversa.

4.4 - Una similitudine sballata di Vittore

Tu dici: " Ma quando noi gonfiamo un otre non è che vi mettiamo dentro una qualche parte della nostra natura o della nostra qualità, perché il fiato che riempie e dilata l'otre viene emesso senza nessuna diminuzione di noi stessi ".

A queste tue parole aggiungi ancora un paragone, ti ci fermi e ci insisti, come se fosse senza scampo, per farci capire in che modo Dio senza nessun detrimento della propria natura e faccia l'anima traendola da se stesso, e l'anima fatta e tratta da Dio non sia ciò che è Dio.

Dici infatti: " È forse una parte della nostra anima il fiato spinto in un otre, o formiamo degli uomini quando gonfiamo degli otri, o subiamo un danno di noi stessi quando distribuiamo in direzioni diverse il nostro alito?

Ma nessun danno soffriamo quando trasmettiamo il fiato da noi in direzione di qualcosa e, rimanendo piena in noi la qualità e integra la quantità del nostro fiato, non ricordiamo d'avvertire nessun danno dal gonfiamento d'un otre ".

Considera quanto tu sia ingannato da questa similitudine che ti sembra abbastanza elegante e appropriata.

Tu dici appunto che l'incorporeo Dio non ha fatto l'anima dal nulla, ma servendosi di se stesso alita un'anima corporea, mentre noi emettiamo un alito che, sebbene corporeo, è tuttavia più sottile dei nostri corpi, e non lo esaliamo dall'anima nostra, ma da quest'aria per mezzo di organi interni del nostro corpo.

L'anima appunto, al cui cenno si muovono anche le altre membra del corpo, muove i polmoni come mantici a prendere e a rendere l'aria circostante.

Oltre infatti agli alimenti solidi e liquidi, come le vivande e le bevande, Dio ha diffuso intorno a noi questo terzo elemento dell'aria.

Noi ce ne appropriamo così necessariamente che senza mangiare e senza bere possiamo resistere a lungo, senza invece questo terzo alimento, che l'aria presente in ogni parte offre a noi che aspiriamo ed espiriamo, non possiamo vivere nemmeno per breve tempo.

Come poi le vivande e le bevande non si devono soltanto immettere, ma anche emettere attraverso gli organi destinati a queste funzioni, perché non rechino danno né in un modo né in un altro, cioè o non entrando o non uscendo, così questo terzo alimento respirabile, poiché non lo si lascia rimanere a lungo dentro di noi e non si corrompe nel breve periodo che ci rimane, ma si emette appena si immette, non ebbe assegnati orifizi diversi, ma i medesimi, ossia la bocca o le narici o entrambe, e per entrare e per uscire.

4.5 - L'errore di quella similitudine

Prova per te in te stesso quello che dico: emetti il fiato espirando e vedi se duri a non immetterlo, immettilo aspirando e vedi come ti senti a disagio se non torni ad emetterlo.

Quando dunque gonfiamo un otre, come dici, facciamo precisamente quello che facciamo per vivere.

La sola differenza è che allora tiriamo un po' più di fiato per emetterne un po' più e costringere, non con il quieto ritmo dell'aspirare e dell'espirare ma con lo sforzo di soffiare, l'aria respirata, cioè il vento, dentro l'otre da riempire e da dilatare.

Perché allora dici: " Nessun danno soffriamo, quando trasmettiamo il fiato da noi in direzione di qualcosa e, rimanendo piena in noi la qualità e integra la quantità del nostro fiato, non ricordiamo d'avvertire nessun danno dal gonfiamento d'un otre "?

Sembra proprio che tu, o figlio, se qualche volta hai gonfiato un otre, non ti sia accorto di quello che facevi.

Di ciò che perdi soffiando non ti avvedi, perché lo riprendi subito.

Ma lo puoi imparare con molta facilità, se è questo che vuoi e se non vuoi piuttosto difendere - essendo tu stesso gonfiato invece che gonfiare un otre - ciò che hai detto solo perché tu l'hai detto, e gonfiare con il vano strepito del tuo ventoso parlare i tuoi uditori, che dovresti edificare con insegnamenti veraci.

In questa causa non ti rimando ad altro maestro che a te stesso.

Spingi il fiato in un otre, chiudi subito la bocca, stringiti le narici e sperimenta almeno in questo modo la verità di quello che dico.

Quando comincerai a soffrire un disagio insopportabile, che cosa desidererai di riavere con la bocca aperta e con le narici, se non credi d'aver perduto nulla quando hai soffiato?

Sta' attento in quale sofferenza ti vieni a trovare, se non riprendi aspirando ciò che avevi emesso soffiando.

Sta' attento a quali danni e perdite avrebbe provocato quel soffiare, se l'aspirazione non fosse intervenuta a ripararli.

Se quanto hai speso nell'empire l'otre non ritornerà ad alimentarti attraverso gli aditi spalancati, che ti rimarrà, non dico per poter gonfiare un otre, ma per poter vivere?

4.6 - La differenza tra noi e Dio

Tutto questo avresti dovuto considerare, quando scrivevi, e non valerti di cotesta similitudine di otri gonfiati o gonfiandi per presentarci un Dio che o ispira le anime servendosi di un'altra natura che esisteva già, come noi produciamo il fiato con quest'aria che ci avvolge, oppure presentarci, ma ciò e urta con la tua similitudine e gronda d'empietà, un Dio che certamente senza nessun danno di se stesso, ma tuttavia dalla sua propria natura o tira fuori qualcosa di mutevole o, ancora peggio, lo fa, come se egli stesso fosse la materia di ciò che fa.

Per prendere dunque una qualche similitudine su questo argomento dal nostro fiato, ecco ciò che si deve piuttosto credere: come noi, non dalla nostra natura ma, poiché non siamo onnipotenti, da quest'aria nella quale siamo immersi e che prendiamo e rendiamo aspirando ed espirando, quando soffiamo facciamo un alito non vivente e non senziente, benché noi viviamo e sentiamo, proporzionalmente Dio, non dalla sua natura ma ( poiché è tanto onnipotente da poter creare ciò che vuole ) anche da ciò che non esiste affatto, ossia dal nulla, può fare un alito vivente e senziente, benché indiscutibilmente mutevole, mentre Dio non è mutevole in se stesso.

5.7 - La risuscitazione del figlio della donna di Sunnem

Per quale scopo hai voluto aggiungere come esempio a questa similitudine il fatto del beato Eliseo, che risuscitò un morto alitandogli in faccia? ( 2 Re 4,34-35 )

Credi forse che l'alito di Eliseo si sia convertito nell'anima di quel ragazzo?

Non potrei credere che tu esorbiti dalla verità fino a tal punto.

Se dunque l'anima, che era stata tolta a quel fanciullo vivente perché morisse, gli fu restituita tale e quale perché rivivesse, com'è pertinente al nostro caso quello che dici tu: " Nulla fu tolto ad Eliseo ", quasi che si creda passato qualcosa dal profeta nel fanciullo che lo facesse vivere?

Se l'hai detto perché Eliseo soffiò e rimase integro, che bisogno c'era che tu dicessi di Eliseo risuscitante un morto ciò che ugualmente potresti dire di qualsiasi persona respirante e non risuscitante nessuno?

Hai parlato proprio incautamente - non essendo ammissibile che tu creda convertito nell'anima di quel ragazzo risuscitato il fiato di Eliseo - nel voler riporre la differenza tra il primo operato di Dio e l'operato di questo profeta nel fatto che Dio alitò una volta sola e il profeta tre volte.

Ecco appunto quello che dici tu: " Eliseo, ad imitazione della prima origine, alitò sulla faccia del figlio morto di quella Sunamite.

E benché una potenza divina riaccendesse per mezzo dell'alito del profeta le membra già morte e le rianimasse del vigore di prima, nulla fu diminuito ad Eliseo, per il cui alito quel cadavere riebbe rediviva l'anima e riebbe lo spirito.

La sola differenza è che il Signore soffiò una volta sola sulla faccia d'Adamo ed egli fu vivo, tre volte soffiò Eliseo sulla faccia del morto ed egli fu redivivo ".

Suonano così le tue parole, quasi che il divario sia soltanto nel numero dei soffi per non credere che il profeta abbia fatto lui pure quello che fece Dio.

È dunque anche questo un punto che dev'essere corretto.

Tra quell'opera di Dio e quest'opera di Eliseo ci corre così tanto!

Dio soffiò l'alito della vita perché l'uomo diventasse un essere vivente. ( Gen 2,7 )

Eliseo soffiò invece un alito né senziente né vivente, ma raffigurante a scopo di significare qualcosa.

Il profeta inoltre non fece rivivere quel ragazzo animandolo, ma amandolo impetrò che lo facesse rivivere Dio.

Quanto poi alla tua affermazione che soffiò tre volte, o ti ha tradito la memoria, come suole accadere, o la mendosità d'un codice.

A che servirebbe dire ancora di più?

Per dimostrare questa verità non hai bisogno di cercare esempi e argomenti, ma piuttosto d'emendare e cambiare sentenza.

Non voler dunque credere, non voler dunque dire, non voler insegnare che " Dio non fece l'anima dal nulla, ma dalla sua natura ", se vuoi essere cattolico.

6.8 - Il secondo errore di Vittore

Non voler credere, né dire, né insegnare che " Dio per un tempo infinito dà le anime, e così sempre, come sempre è colui che le dà ", se vuoi esser cattolico.

Ci sarà infatti un tempo che Dio non darà più le anime, pur non cessando egli d'esistere.

Avrebbe potuto intendersi il tuo " sempre dà " nel senso di dare incessantemente, fin tanto che gli uomini generano e sono generati, ( Lc 20,34 ) come di certe donne è detto: Stanno sempre li ad imparare, senza riuscire mai a giungere alla conoscenza della verità. ( 2 Tm 2,24 )

Qui con il " sempre " non si intende dire che non cesseranno mai di stare ad imparare, perché senza dubbio non ci staranno più quando avranno smesso di vivere in questo corpo o quando avranno cominciato ad ardere nel supplizio del fuoco della geenna.

Tu invece non permetti d'intendere così la tua espressione " Sempre dà ", perché hai creduto di doverla riferire a un tempo infinito.

E questo è poco. Ma come se ti si chiedesse di spiegare meglio quel tuo " Sempre dà ", aggiungi: " Come sempre è colui che dà ".

Ciò è condannato assolutamente dalla fede sana e cattolica.

Non possiamo credere che Dio continua a donare sempre le anime, come sempre esiste lui che le dà.

Egli esiste per sempre così da non cessare mai di essere in avvenire.

Le anime invece non continuerà a darle per sempre, ma cesserà certamente di darle quando sarà finito il secolo della generazione ( 2 Tm 3,7 ) e non nasceranno più quelli a cui debbono essere date.

7.9 - Il terzo errore di Vittore

Non voler credere, né dire, né insegnare che " l'anima ha perduto un qualche merito a causa della carne, come se prima della carne fosse in possesso d'un merito buono ", se vuoi esser cattolico.

L'Apostolo infatti nei riguardi di persone non ancora nate dice che non avevano fatto nulla né di bene né di male. ( Rm 9,11 )

Donde avrebbe dunque l'anima potuto avere un merito buono, senza aver fatto nulla di bene?

O forse oserai dire che l'anima era vissuta bene prima della carne, se non puoi nemmeno dimostrare che sia preesistita?

Come dunque puoi dire: " Tu non vuoi che l'anima contragga dalla carne del peccato la sua infermità, mentre vedi che la santità a sua volta arriva all'anima passando attraverso la carne, per restaurare la sua condizione con la medesima carne con la quale aveva perduto il suo merito "?

Queste opinioni per cui si crede che l'anima prima della carne avesse un qualche stato buono e un qualche merito buono, se caso mai lo ignori, a parte gli antichi eretici, le ha già condannate la Chiesa cattolica anche recentemente nei priscillianisti.

7.10 - Il quarto errore di Vittore

Non voler credere, né dire, né insegnare che " l'anima ricupera mediante la carne la sua condizione originale e rinasce per mezzo della medesima carne per la quale aveva meritato d'esser macchiata", se vuoi esser cattolico.

Omettiamo pure che tu dicendo: " L'anima ricupera giustamente mediante la carne la sua condizione originale, che è sembrato per poco avesse perduta a causa della carne: comincia a rinascere mediante la medesima carne per la quale aveva meritato d'esser macchiata", tanto alla svelta sei stato contrario a te stesso.

Infatti pur avendo detto poco prima che l'anima ripara il suo stato per mezzo della medesima carne a causa della quale aveva perduto il suo merito - e qui non si può intendere in nessun modo se non un merito buono, che tu vuoi senz'altro riparato attraverso la carne nel battesimo -, vieni poi a dire viceversa che l'anima a causa della carne meritò d'esser macchiata - e qui non si può intendere più un merito buono, ma uno cattivo -.

Omettiamo pure questa tua contraddizione ma credere che l'anima prima della carne abbia avuto un qualche merito o buono o cattivo non è affatto cattolico.

8.11 - Il quinto errore di Vittore

Non voler credere, né dire, né insegnare che " l'anima meritò d'esser peccatrice prima d'ogni peccato ", se vuoi esser cattolico.

Perché è un gran merito cattivo aver meritato di diventare peccatrice.

E certamente un merito tanto cattivo non l'avrebbe potuto avere in nessun modo prima d'ogni peccato, specialmente prima di venire nella carne, quando non poteva avere nessun merito, né cattivo né buono.

Come puoi dunque dire: " Se l'anima che non poteva esser peccatrice meritò d'esser peccatrice, non rimase tuttavia nel peccato, perché modellata sul Cristo non doveva esser nel peccato ( Ef 5,26 ) come non lo poteva essere "?

Sta' attento a quello che dici e smetti subito di dirlo.

In che modo infatti meritò d'esser peccatrice e perché non lo poteva essere?

In qual modo, dimmi, ti prego, meritò d'esser peccatrice un'anima che non visse malamente?

In qual modo dimmi, ti prego, diventò peccatrice un'anima che non poteva esser peccatrice?

Oppure, se dici che " non poteva" intendendo che non l'avrebbe potuto fuori dalla carne, allora perché ha meritato di diventare peccatrice per essere, a causa di questo merito, inviata nella carne, atteso che prima della carne non avrebbe potuto esser peccatrice per meritare così alcunché di male?

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