Gli atti di Pelagio

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15.38 - Pelagio, presente, non respinse la testimonianza del vescovo di Gerusalemme

Questi fatti raccontò il vescovo Giovanni alla presenza di Pelagio, il quale certo avrebbe potuto dire garbatamente: " Si sbaglia la tua santità, non ricorda bene; io non ho detto di fronte a queste testimonianze che tu citasti dalle Scritture: Credo così.

Perché io non le intendo nel senso che la grazia di Dio collabori con l'uomo in tal modo che il suo non peccare non dipende dalla volontà né dagli sforzi dell'uomo, ma da Dio che usa misericordia ". ( Rm 9,16 )

16.39 - Pelagio avrebbe dovuto replicare al vescovo di Gerusalemme, perché dava una interpretazione di S. Paolo contraria alla sua

Esistono infatti certi commenti della Lettera di S. Paolo ai Romani, che si dicono essere dello stesso Pelagio,9 nei quali la frase: Non dipende dalla volontà né dagli sforzi dell'uomo, ma da Dio che usa misericordia secondo Pelagio " non è stata detta per conto di Paolo, ma che questi nel pronunziarla ha usato la voce di uno che interroga e obietta, come se una tale affermazione non si dovesse evidentemente fare ".

Quando dunque il vescovo Giovanni riconobbe esplicitamente che questa sentenza era dell'Apostolo, quando la citò proprio perché Pelagio non reputasse che qualcuno possa evitare il peccato senza la grazia di Dio, quando disse che Pelagio aveva risposto: " Credo anch'io così " e Pelagio sentì dire tutto questo in sua presenza, non ci fu da parte di costui nessuna smentita: Io non credo così.

Occorre quindi che nei riguardi di quel commento sbagliato, dove vuol dare ad intendere che l'Apostolo non ha ritenuto questa sentenza, ma piuttosto l'ha respinta, o neghi che è suo o non indugi a correggerlo e ad emendarlo.

Qualunque cosa infattiabbia detto il vescovo Giovanni sul conto dei nostri fratelli assenti, sia dei coepiscopi Eros e Lazzaro, sia del presbitero Orosio,10 sia degli altri dei quali non sono stati indicati i nomi, credo che Pelagio capisca che ciò non può farsi valere a pregiudizio contro di loro.

Se infatti fossero stati presenti, lungi da me l'affermare che forse avrebbero potuto convincere di falso Giovanni, ma probabilmente gli avrebbero rammentato quello che aveva dimenticato o quello in cui l'interprete latino l'aveva ingannato, sebbene senza l'intento di mentire, ma sicuramente per una certa difficoltà nella lingua straniera poco capita.

Tanto più che la discussione non veniva trascritta a verbale negli Atti, che sono stati utilmente istituiti perché gli imbroglioni non mentiscano e i buoni non abbiano nulla da dimenticare.

Se qualcuno però vorrà proporre delle questioni sulla vicenda ai suddetti nostri fratelli e li chiamerà a comparire davanti ad un tribunale di  vescovi, essi faranno il possibile per essere presenti.

Quanto a noi, perché dovremmo affaticarci su questo punto, se nemmeno gli stessi giudici, dopo il racconto  di un nostro fratello nell'episcopato, vollero emettere un giudizio sulla medesima questione?

17.40 - La buona fede di Pelagio è molto sospetta

Poiché dunque Pelagio, che era presente, in riferimento a quelle testimonianze delle Scritture con il suo silenzio riconobbe d'aver detto che credeva così, come mai, ricordando poco sopra quel testo dell'Apostolo e trovando che Paolo ha confessato: Non sono degno di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio, ma per grazia di Dio sono quello che sono, ( 1 Cor 15,9-10 ) come mai non capì che, trattando dell'abbondanza delle grazie ricevute dal medesimo Apostolo, non avrebbe dovuto dire che Paolo " era degno di riceverle "?

Infatti lo stesso Paolo non solo si è detto indegno di riceverle, ma l'ha dimostrato adducendo anche un'altra ragione e ha fatto risaltare così la grazia come vera grazia.

Ma se per mala sorte non fu in grado di ripensare o di ricordare il racconto già fatto molto tempo prima dal santo vescovo Giovanni, tenesse conto almeno della propria recentissima risposta e avesse presenti gli errori che, obiettatigli attraverso gli scritti di Celestio, egli aveva anatematizzati poco tempo prima.

Anche tra essi c'è appunto l'errore che si obiettò come insegnato da Celestio: " La grazia di Dio si dà secondo i nostri meriti ".

Se Pelagio dunque anatematizzò questo errore con sincerità, perché mai dice che tutte quelle grazie furono date all'Apostolo secondo il suo merito?

C'è forse differenza tra essere degno di ricevere e ricevere secondo il merito?

Può Pelagio dimostrare con qualche sottile argomentazione che uno può essere degno senza meritare?

Comunque Celestio o chi altro sia l'autore di cui Pelagio anatematizzò tutti i precedenti errori, non gli consente di sollevare una cortina di fumo su questa espressione per nascondersi dentro di essa.

Incalza infatti dicendo: " Anche la stessa grazia consiste nella mia volontà, degno o indegno che io sia ".

Se dunque fu condannata da Pelagio con rettitudine e sincerità l'affermazione che " la grazia di Dio si dà secondo i meriti e a coloro che ne sono degni ", con che cuore pensò o con quale bocca proferì le parole: " Diciamo che Dio dona tutte le grazie a chi è degno di riceverle "?

Chi, se avverte diligentemente tutto questo, sarebbe capace di non preoccuparsi della risposta di Pelagio o della sua autodifesa?

17.41 - Agostino si sente perplesso di fronte alla sentenza dei vescovi

Domanderà qualcuno: Perché dunque i giudici approvarono Pelagio?

Confesso che già io stesso non me lo spiego.

Ma evidentemente o quella rapida parola " degno " sfuggì con facilità all'ascolto e all'avvertenza dei giudici, o stimando che essa potesse intendersi rettamente in qualche modo credettero che non fosse il caso di promuovere una controversia su di una parola appena con un imputato di cui sullo stesso argomento sembrava ad essi di possedere limpide confessioni.

Sarebbe accaduto lo stesso anche a noi, se ci fossimo trovati a sedere con essi in quel tribunale.

Se, per esempio, al posto di " degno " fosse stato messo: " predestinato " o un'altra parola simile, certamente non avrebbe toccato o turbato l'animo nessuno scrupolo.

Se al contrario venisse chiamato degno invece che eletto chi è giustificato per elezione di grazia, certamente senza buoni meriti precedenti ma per destinazione divina, sarebbe difficile giudicare se ciò si possa accettare con sicurezza o costituisca una benché minima offesa all'intelligenza.

Per quanto mi riguarda, io sorvolerei facilmente su questa parola " degno ", se quel libro, a cui ho risposto e nel quale Pelagio non dice grazia di Dio nient'altro che la nostra natura dotata di libero arbitrio gratuitamente creata, non mi rendesse preoccupato dell'intenzione dello stesso Pelagio: forse gli ha fatto inserire quella parola non la negligenza del suo linguaggio, ma la diligenza del suo dogma.

Quanto alle ultimissime asserzioni che ormai restano da esaminare, esse turbarono talmente i giudici che pensarono di doverle condannare ancora prima della risposta di Pelagio.

18.42 - Proposizioni condannate dai vescovi prima della risposta di Pelagio

Infatti nel sesto capitolo del libro di Celestio si trova questa proposizione che fu messa sotto accusa: " Non si possono chiamare figli di Dio se non coloro che sono stati resi puri assolutamente da ogni peccato ".

Con questo metro, secondo lui, sarebbe detto dalla Scrittura che non è figlio di Dio nemmeno l'apostolo Paolo, avendo egli detto: Non che io abbia già conquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione. ( Fil 3,12 )

Nel settimo capitolo si legge: " La dimenticanza e l'ignoranza non soggiacciono a peccato, perché non provengono da volontà, ma da necessità ".

Eppure Davide dice: Non ricordare i peccati della mia giovinezza e della mia ignoranza, ( Sal 25,7 ) e nella Legge si offrivano sacrifici per l'ignoranza, come per il peccato. ( Lv 4, 2-3. 13-14. 22-23.27-28 )

Nel decimo capitolo è scritto: " Non è libero arbitrio, se ha bisogno dell'aiuto di Dio, perché ciascuno possiede nella propria volontà il potere di fare o di non fare un'azione ".

Nel dodicesimo capitolo si legge: " La nostra vittoria non viene dall'aiuto di Dio, ma dal libero arbitrio " e si dice che Celestio abbia proposto tale errore con queste parole: " Nostra è la vittoria, perché abbiamo imbracciato le armi di nostra volontà, come al contrario nostra è la sconfitta, perché abbiamo trascurato volontariamente d'imbracciare le armi ".

Dall'apostolo Pietro riportò questa testimonianza: Noi siamo partecipi della natura divina, ( 2 Pt 1,4 ) in dipendenza della quale gli si attribuisce il seguente sillogismo: " Se l'anima non può essere senza peccato, anche Dio allora soggiace al peccato, perché una sua parte, cioè l'anima, è soggetta al peccato ".

Nel tredicesimo capitolo dice: " Ai penitenti non si dà il perdono secondo la grazia e la misericordia di Dio, ma secondo i meriti e gli sforzi di coloro che mediante la penitenza sono divenuti degni di misericordia ".

19.43 - Le dichiarazioni dei vescovi e di Pelagio

Letti questi brani, il Sinodo chiese: " Che cosa dice il monaco Pelagio qui presente relativamente a questi capitoli che sono stati letti?

Tutto questo riprova il santo Sinodo e la Chiesa di Dio santa e cattolica ".

Pelagio rispose: " Dichiaro di nuovo che queste frasi, anche secondo la testimonianza degli avversari, non sono mie e di esse non devo giustificarmi, come ho detto.

Le frasi che ho riconosciute mie affermo che sono esatte.

Quelle che ho respinte come non mie le riprovo secondo il giudizio della santa Chiesa, anatematizzando chiunque contravvenga e contraddica alla dottrina della santa Chiesa cattolica.

Io infatti credo nella Trinità di una sola sostanza e in tutte le verità secondo la dottrina della santa Chiesa cattolica.

Se qualcuno pensa diversamente da essa sia anatema ".

20.44 - La sentenza del Concilio

Il Sinodo disse: " Poiché è stata data ora soddisfazione a noi con le spiegazioni del monaco Pelagio qui presente, il quale da una parte assentisce ai pii insegnamenti della Chiesa e dall'altra smentisce e anatematizza le affermazioni contrarie alla fede della Chiesa, noi dichiariamo che egli è nella comunione ecclesiastica e cattolica ".

21.45 - L'assoluzione non ha dissipato i sospetti attorno a Pelagio

Questi sono gli Atti per i quali gli amici di Pelagio godono che egli sia stato assolto.

Quanto a noi, poiché egli ebbe il modo e la cura di far conoscere anche la nostra amicizia verso di lui, tirando fuori e leggendo perfino in tribunale una nostra lettera familiare che è stata inserita negli Atti, gli desideriamo, sì, e gli auguriamo tanta salute nel Cristo, ma non dobbiamo godere alla leggera di questa sua assoluzione, più presunta che limpidamente provata.

E dicendo questo io non accuso i giudici né di negligenza, né di connivenza, né d'accoglienza fatta a dogmi empi, un atteggiamento dal quale essi aborriscono certissimamente.

Ma, approvato e lodato il loro giudizio secondo il suo merito, non mi sembra tuttavia che Pelagio sia stato prosciolto davanti a coloro ai quali è noto con maggiore ampiezza e certezza.

I giudici infatti, trovandosi a giudicare quasi uno sconosciuto, specialmente per l'assenza di coloro che avevano presentato il libello d'accusa contro di lui, non poterono certamente esaminare Pelagio con troppa diligenza.

Ciò nonostante, essi sbaragliarono radicalmente l'eresia stessa, se a coloro che combattevano a favore dell'errore di Pelagio preme di attenersi al giudizio dei vescovi.

Al contrario coloro che conoscono bene gli insegnamenti correnti di Pelagio, tanto quelli che hanno opposto resistenza alle sue discussioni, quanto quelli che si rallegrano d'essersi liberati dallo stesso errore, come fanno a non sospettare di lui, quando leggono non una sua semplice confessione di condanna degli errori da lui sostenuti in passato, ma una difesa formulata così da far credere che egli non abbia mai pensato nulla di diverso da quanto in cotesto tribunale è stato approvato nelle sue risposte?

22.46 - Notizie storiche sui rapporti tra Agostino e Pelagio

Per parlare soprattutto di me stesso, io conobbi per la prima volta il nome di Pelagio, accompagnato da grandi elogi, mentre egli era lontano e dimorava a Roma.

In seguito la fama cominciò a portarci la voce che egli combattesse contro la grazia di Dio.

Sebbene ciò mi affliggesse e lo sentissi testimoniato da persone alle quali credevo, tuttavia desideravo conoscere qualcuna di quelle sue opinioni direttamente da lui o da qualche suo libro, perché egli non potesse negare, qualora io avessi preso a confutarlo.

Dopo però che in mia assenza egli arrivò in Africa, fu accolto sulla nostra sponda, cioè su quella d'Ippona, dove, come ho saputo dai nostri, non si udì da lui nemmeno una sola parola dei suoi errori, anche perché se ne ripartì prima del previsto.

Successivamente ho veduto, per quanto ricordo, una o due volte la sua faccia a Cartagine, mentre ero occupatissimo nel preparare la Conferenza con gli eretici donatisti.

Egli però si affrettò a trasferirsi anche sull'altra sponda del mare.

Nel frattempo si spargevano con fervore i suoi insegnamenti per bocca di coloro che l'opinione pubblica portava come suoi discepoli, tanto che Celestio fu condotto davanti a un tribunale ecclesiastico e ne riportò una sentenza degna della sua perversità.

Noi credevamo in tutta buona fede di comportarci più opportunamente contro di loro, se tacendo i nomi delle persone si confutavano e riprovavano gli errori stessi, e così gli individui si potessero correggere per paura di un giudizio ecclesiastico, piuttosto che esser condannati da un giudizio ecclesiastico.

Per questo non cessavamo né con libri, né con discorsi popolari di discutere contro quegli errori.

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9 M. Mercator, Common. adv. haer. Petagii et Cael
10 Orosio, Liber apologeticus 6, 1