Gli atti di Pelagio |
Ed ecco che mi fu dato dai servi di Dio, Timasio e Giacomo, persone buone e oneste, anche quel libro dove Pelagio, facendo la parte dell'avversario, opponeva apertamente a se stesso la questione della grazia di Dio, per cui si era già sollevata contro di lui una grande odiosità.
Pelagio credette di doverla risolvere dicendo grazia di Dio la natura creata con il libero arbitrio, unendo talvolta, ma blandamente e non esplicitamente, alla natura o l'aiuto della legge o la remissione anche dei peccati.
Allora, sì, senza più nessun dubbio mi fu chiaro quanto fosse nemico della salvezza cristiana il veleno di quell'errore.
E tuttavia nemmeno in quella condizione di spirito io inserii il nome di Pelagio nella mia opera con la quale confutai il medesimo libro, stimando che gli sarei stato più facilmente di aiuto, se conservando la sua amicizia avessi ancora riguardo al suo pudore, dal momento che non dovevo averne ormai più ai suoi scritti.
Da qui viene che mal sopporto che in questo processo egli ad un certo punto abbia detto: "Anatematizzo coloro che ritengono così o in altro tempo hanno ritenuto così ".
Sarebbe bastato che dicesse: " Coloro che ritengono così ", perché credessimo che egli si era corretto.
Aggiungendo invece le altre parole: " O in altro tempo hanno ritenuto così ", quanto ingiustamente, prima di tutto, ha osato condannare quegli innocenti che non erano stati esenti dall'errore imparato dall'insegnamento o di altri o di lui stesso!
In secondo luogo, tra coloro che lo sanno non solo partecipe nel passato di tali errori, ma anche maestro, chi non avrebbe il diritto di sospettare che abbia anatematizzato fintamente coloro che ritengono adesso tali errori, se non ha esitato ad anatematizzare nello stesso modo coloro che li hanno ritenuti in passato e lo ricorderanno come loro maestro in tali errori?
Ecco, per tacere di altri, con quali occhi, con quale faccia avrà il coraggio di guardare Timasio e Giacomo, che sono stati suoi amici affezionati e per qualche tempo suoi discepoli, e ai quali io ho scritto il libro dove ho risposto al suo?
In che modo essi mi abbiano risposto non ho creduto davvero di doverlo tacere e sorvolare, ma riporto qui sotto la copia della loro lettera.11
" Al vescovo Agostino, signore veramente beatissimo e padre meritamente venerabile, Timasio e Giacomo dicono salute nel Signore.
La grazia di Dio, somministrata mediante la tua parola, ci ha tanto confortati e rinnovati da dover dire con tutta sincerità: Mandò la sua parola e li fece guarire, ( Sal 107,20 ) signore beatissimo e padre meritamente venerabile.
Ben riscontriamo che la tua santità ha spulato con tanta diligenza il testo del medesimo libro da rispondere con nostro stupore ai singoli punti, sia riguardo agli errori che ad un cristiano conviene respingere, detestare e fuggire, sia riguardo ai passi dove non è sufficientemente chiaro che egli abbia errato, sebbene anche in essi, per non so quale scaltrezza, abbia creduto di dover sopprimere la grazia di Dio.
Ma di una sola cosa ci rammarichiamo in tanto grande beneficio: che il dono così splendido della grazia di Dio sia giunto tardi a brillare del suo fulgore.
È accaduto appunto che alcuni alla cui cecità si doveva tale illustrazione di una verità tanto stupenda fossero già partiti.
Ad essi non diffidiamo che giunga, per quanto un po' più tardi, la medesima grazia per la misericordia di Dio, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità. ( 1 Tm 2,4 )
Quanto poi a noi, sebbene grazie allo spirito della carità che vive in te abbiamo già gettato via il giogo di tale errore, ti ringraziamo presentemente anche per il fatto che adesso sappiamo aprire agli altri le verità che finora credevamo, perché ci ha spalancato la via della facilità il libro così abbondante della tua santità.
E con altra mano : La misericordia del nostro Dio glorifichi in eterno la tua beatitudine, la conservi incolume e memore di noi ".
Se dunque anche Pelagio confessasse che una volta si è trovato dentro a quest'errore come una persona colta di sorpresa, ma che adesso anatematizza coloro che sostengono tali opinioni, chiunque non si congratulasse con lui, perderebbe lo spirito della carità, mentre Pelagio camminerebbe già sulla via della verità.
Ora invece non solo non si è contentato di non confessare d'essersi liberato da quella peste, ma per giunta ha anatematizzato coloro che se ne sono liberati e che lo amano così da desiderare che ne sia liberato anche lui stesso.
Tra i quali ci sono pure cotesti due che hanno fatto capire il loro affetto verso di lui con questa lettera scritta a me: proprio a lui principalmente pensavano dicendo di rammaricarsi che io avessi scritto quel libro in ritardo.
" È accaduto " dicono " che alcuni alla cui cecità si doveva tale illustrazione di una verità tanto stupenda fossero già partiti.
Ad essi non diffidiamo che giunga, per quanto un po' più tardi, la medesima grazia per la misericordia di Dio ".
Il nome appunto o i nomi anch'essi credettero bene di doverli tacere ancora, perché continuando a vivere l'amicizia degli amici venisse a morire piuttosto l'errore degli amici.
Se ora Pelagio pensa a Dio, se non è ingrato verso la sua misericordia che l'ha condotto al giudizio dei vescovi perché non osasse difendere in seguito queste dottrine anatematizzate e le riconoscesse meritevoli ormai d'esser detestate e abbandonate, accoglierà questo nostro scritto, dove facendo espressamente il suo nome preferiamo aprire la piaga per guarirla.
L'accoglierà con maggior piacere di quegli scritti dove, temendo di recargli dolore, facevamo crescere il tumore, e di ciò ci pentiamo.
Ma se fosse adirato con me, si renda conto quanto ingiustamente è adirato e per vincere l'ira domandi una buona volta la grazia di Dio, della quale ha riconosciuto in quel processo la necessità per le nostre singole azioni, perché con l'aiuto di Dio consegua una vera vittoria.
Che gli giovano infatti le lodi così grandi tributategli dai vescovi nelle lettere ch'egli credette di dover ricordare od anche leggere ed allegare in suo favore?
Come se a tutti coloro che ascoltavano le sue veementi e in certo qual modo ardenti esortazioni a condurre una vita buona fosse stato facile sapere che egli sosteneva tali errori.
Io veramente, nella mia lettera che fu allegata da lui, non solo mi sono mantenuto misurato nel lodarlo, ma nei limiti del possibile, senza sollevare la questione sulla grazia di Dio, l'ho anche esortato a ritenere la sana dottrina.
Nel saluto l'ho chiamato signore, come siamo soliti scrivere nello stile epistolare anche a certi non cristiani, e ciò senza menzogna, perché, per conseguire la salvezza che sta nel Cristo, dobbiamo a tutti in qualche modo la nostra libera servitù.
L'ho chiamato dilettissimo e lo chiamo così pure adesso, anche se si fosse adirato, e lo chiamerò così pure in seguito, perché, se non avrò carità verso di lui, anche se lui resta adirato, un danno ancora maggiore io recherò a me stesso.
L'ho chiamato desideratissimo, perché ero bramosissimo di dialogare alquanto con lui a viva voce: avevo infatti già sentito dire che, appena si accennava alla grazia che ci giustifica, egli s'impennava fortemente e apertamente.
Del resto la stessa brevità della mia lettera indica tutto questo.
Eccone il contenuto: dopo averlo ringraziato d'avermi rallegrato con il suo scritto assicurandomi della salute sua e dei suoi - e certamente dobbiamo volere anche la salute fisica di quelli di cui vogliamo la correzione -, gli auguravo subito che il Signore gli elargisse non i beni concernenti la salute corporale, ma quei beni invece che egli riteneva o forse ritiene ancora dipendenti solamente dall'arbitrio della volontà e del proprio potere umano, augurandogli contemporaneamente e conseguentemente la vita eterna.
E poiché egli, nella sua lettera alla quale io rispondevo, aveva lodato grandemente e gentilmente alcuni di quei beni in me, io anche nella mia risposta chiedevo a lui di pregare per me perché piuttosto il Signore mi facesse quale egli già credeva che io fossi.
In tal modo gli ricordai, contro il suo convincimento, che anche la stessa giustizia che aveva ritenuto di dover lodare in me non dipendeva né dalla volontà né dagli sforzi dell'uomo, ma da Dio che usa misericordia. ( Rm 9,16 )
Questo è tutto il contenuto della mia breve lettera e questo è l'intento con il quale è stata dettata. Eccone infatti il testo.
" Al signore dilettissimo e fratello desideratissimo Pelagio Agostino dice salute nel Signore.
Ti ringrazio moltissimo d'esserti degnato di rallegrarmi con la tua lettera e di assicurarmi della vostra salute.
Il Signore ti ricompensi con beni che ti facciano essere buono per sempre e vivere in eterno con lui eterno, signore dilettissimo e fratello desideratissimo.
Ed io, sebbene non mi senta meritevole dei tuoi elogi che su di me sono contenuti nella lettera della tua benignità, non posso tuttavia mancare di gratitudine all'animo tuo che è benevolo verso la mia esiguità; però ti raccomando insieme di pregare piuttosto per me, perché il Signore mi faccia quale tu credi che io sia già.
E con altra mano: Memore di noi, possa tu piacere al Signore in pienezza di salute, signore dilettissimo e fratello desideratissimo ".
Anche con la stessa formula di saluto apposta da me, che egli potesse piacere al Signore, ho indicato che ciò è riposto più nella grazia di Dio che nella sola volontà dell'uomo, perché ciò io non l'ho né raccomandato, né comandato, né insegnato, ma augurato.
Come in realtà, con l'esortazione, il comando o l'insegnamento avrei indicato che piacere a Dio è compito anche del libero arbitrio, senza tuttavia togliere nulla alla grazia di Dio, così facendogli l'augurio ho, sì, messo in risalto la grazia di Dio, ma non ho tuttavia soppresso l'arbitrio della volontà.
Con quale mira dunque in questo processo ha tirato fuori una lettera siffatta?
Se essa avesse ispirato il suo pensiero fin dal principio, non sarebbe stato probabilmente citato a comparire davanti al giudizio dei vescovi da fratelli buoni senza dubbio, ma tuttavia offesi dalla falsità delle sue discussioni.
E a questo punto dico: come ho reso conto io di questa mia lettera, così, se necessario, renderebbero conto delle loro gli altri, di cui egli ha allegato le lettere, dicendo che cosaavevano creduto nei suoi riguardi o che cosa avevano ignorato o per quale ragione avevano scritto.
Perciò Pelagio, lasci da parte le varie persone sante della cui amicizia si è vantato, i vari vescovi dei quali ha letto gli elogi rilasciati da loro a lui stesso, i vari documenti da lui addotti a propria difesa.
Se non anatematizzerà con esplicita confessione tutti gli errori che l'autorità di testimoni idonei dimostra ch'egli ha inseriti nei suoi libri contro la grazia di Dio, la quale ci chiama e ci giustifica, se non si asterrà in seguito dallo scrivere e discutere contro queste stesse dottrine, non potrà in nessun modo apparire, a coloro che lo conoscono meglio degli altri, che si sia corretto.
Non tacerò ora le vicende che sono seguite a questo processo e che sono tali da accrescere ancora di più i nostri sospetti.
È giunta nelle nostre mani una lettera che si dice dello stesso Pelagio.
Egli risponde a un certo presbitero suo amico, il quale, com'è contenuto nella stessa lettera, gli aveva scritto ammonendolo benevolmente ad evitare che per causa sua qualcuno si separasse dal corpo della Chiesa.
Tra le altre cose che sarebbe troppo lungo riportare qui, e non è necessario, Pelagio dice nella lettera: " Dalla sentenza dei quattordici vescovi è stata approvata la nostra dichiarazione con la quale abbiamo detto che l'uomo può vivere senza peccato ed osservare facilmente i comandamenti di Dio, se vuole.
Questa sentenza ha riempito di confusione il volto dei contraddittori e ha posto in contrasto l'intera consorteria di coloro che cospiravano al male".
Sia che Pelagio abbia scritto questa lettera, sia che l'abbia inventata qualche altro sotto il suo nome, chi non vede come questo errore si vanti persino del giudizio che l'ha convinto di falso e l'ha condannato, quasi si tratti d'una sua vittoria?
Ha riferito infatti le parole come si leggono nel libro di Pelagio detto Libro dei Capitoli, non come furono obiettate nel processo e ripetute anche da Pelagio nella sua risposta.
Anche coloro che mossero l'accusa misero, non so per quale incuria, una parola in meno, sulla quale la controversia non è poca.
Attestarono infatti che egli aveva detto: " L'uomo, se vuole, può vivere senza peccato; può, se vuole, osservare i comandamenti di Dio ".
Qui non si dice nulla della " facilità ".
Pelagio nella sua risposta dichiarò: " Ho detto che l'uomo può vivere senza peccato e osservare i comandamenti di Dio, se vuole ".
Neppure lui disse: " Osservare facilmente ", ma solo: " Osservare ".
Così altrove, tra i punti su cui mi consultò Ilario e sui quali risposi,12 alla obiezione: " L'uomo può essere senza peccato, se vuole ", rispose Pelagio: " Che l'uomo possa essere senza peccato è stato detto sopra ".
Nemmeno qui dunque, né da parte degli obiettanti, né da parte di lui stesso nel rispondere fu aggiunto l'avverbio " facilmente ".
Anche sopra nel racconto del santo vescovo Giovanni il fatto viene ricordato così: " Insistendo costoro a dire: È eretico perché dice che l'uomo, se vuole, può essere senza peccato, e interrogandolo noi su questo rispose: Non ho detto che la natura dell'uomo ha ricevuto la dote di essere impeccabile, ma ho detto che chi vuol faticare e combattere ai fini della propria salvezza per non peccare e camminare nei precetti di Dio, costui riceve da Dio questa possibilità.
Mormorando allora alcuni e dicendo che Pelagio affermava la possibilità dell'uomo d'arrivare alla perfezione senza bisogno della grazia di Dio, io, facendo da accusatore, ricordai su questo punto che anche l'apostolo Paolo, pur avendo faticato molto, l'ha detto tuttavia non secondo le proprie forze, bensì secondo la grazia di Dio: Io ho faticato più di tutti loro; non io però, ma la grazia di Dio che è con me ". ( 1 Cor 15,10)
E il resto che ho già riferito.
Indice |
11 | Ep. 168: NBA 22, 782 s |
12 | Ilario, Ep. 156 (tra le agostin.) e AUG., Ep. 157: NBA 22, 580-637 |