Commento al Vangelo di S. Giovanni |
Cristo stesso è il fine: non in senso di arresto ma di compimento: fine in senso di meta, non in senso di morte.
E così Cristo, che si è immolato, è la nostra Pasqua, perché in lui si compie il nostro "passaggio".
1 - La cena del Signore narrata da Giovanni merita di essere col suo aiuto spiegata e commentata con particolare cura.
Noi cercheremo di farlo secondo la capacità che il Signore stesso ci avrà concesso.
Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine ( Gv 13,1 ).
Pasqua, fratelli, non è, come alcuni ritengono, una parola greca, ma ebraica; ma è sorprendente la coincidenza di significato nelle due lingue.
Patire, in greco, si dice πάσχειν, per cui si è creduto che Pasqua volesse dire Passione, come se questa parola derivasse appunto da patire; mentre nella sua lingua, l'ebraico, Pasqua vuol dire "passaggio", per la ragione che il popolo di Dio celebrò la Pasqua per la prima volta allorché, fuggendo dall'Egitto, passò il Mar Rosso ( Es 14,29 ).
Ora però quella figura profetica ha trovato il suo reale compimento, quando il Cristo come pecora viene immolato ( Is 3,7 ), e noi, segnate le nostre porte col suo sangue, segnate cioè le nostre fronti col segno della croce, veniamo liberati dalla perdizione di questo mondo come lo furono gli Ebrei dalla schiavitù e dall'eccidio in Egitto ( Es 12,23 ); e celebriamo un passaggio sommamente salutare, quando passiamo dal diavolo a Cristo, dall'instabilità di questo mondo al solidissimo suo regno.
E per non passare con questo mondo transitorio, passiamo a Dio che permane in eterno.
Innalzando lodi a Dio per questa grazia che ci è stata concessa, l'Apostolo dice: Egli ci ha strappati al potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio dell'amor suo ( Col 1,13 ).
Sicché, interpretando la parola Pasqua, che, come si è detto, in latino si traduce "passaggio", il santo evangelista dice: Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre.
Ecco la Pasqua, ecco il passaggio! Passaggio da che, e a che cosa? Da questo mondo al Padre.
Nel Capo è stata data alle membra la speranza certa di poterlo seguire nel suo passaggio.
Che sarà dunque degli infedeli e di tutti coloro che sono estranei a questo Capo e al suo corpo?
Non passano forse anch'essi, dal momento che non rimangono qui?
Passano, sì, anch'essi; ma una cosa è passare dal mondo e un'altra è passare col mondo, una cosa passare al Padre e un'altra passare al nemico.
Anche gli Egiziani infatti passarono il mare, ma non lo attraversarono per giungere al regno, bensì per trovare nel mare la morte.
Dunque, sapendo Gesù che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine.
Sì, li amò perché anch'essi, da questo mondo dove si trovavano, passassero, in virtù del suo amore, al loro Capo che da qui era passato.
Che significa infatti sino alla fine se non fino a Cristo?
Cristo - dice l'Apostolo - è il fine di tutta la legge, a giustizia di ognuno che crede ( Rm 10,4 ).
Cristo è il fine che perfeziona, non la fine che consuma; è il fine che dobbiamo raggiungere, non la fine che corrisponde alla morte.
È in questo senso che bisogna intendere l'affermazione dell'Apostolo: La nostra Pasqua è Cristo che è stato immolato ( 1 Cor 5,7 ).
Egli è il nostro fine, e in lui si compie il nostro passaggio.
Mi rendo conto che questa frase del Vangelo può anche essere interpretata in senso umano, nel senso cioè che Cristo amò i suoi fino alla morte, credendo che questo sia il significato dell'espressione: li amò sino alla fine.
Questa è un'opinione umana, non divina: non si può dire infatti che ci amò solo fino a questo punto colui che ci ama sempre e senza fine.
Lungi da noi pensare che con la morte abbia finito di amarci colui che non è finito con la morte.
Se perfino quel ricco superbo ed empio anche dopo la morte continuò ad amare i suoi cinque fratelli ( Lc 16,27-28 ), si potrà pensare che Cristo ci abbia amato soltanto fino alla morte?
No, o carissimi, non sarebbe, col suo amore, arrivato fino alla morte, se poi con la morte fosse finito il suo amore per noi.
Forse l'espressione li amò sino alla fine va intesa nel senso che li amò tanto da morire per loro, secondo la sua stessa dichiarazione: Non c'è amore più grande, che dare la vita per i propri amici ( Gv 15,13 ).
L'espressione dunque li amò sino alla fine, può avere questo senso: fu proprio l'amore a condurlo alla morte.
3 - E fatta la cena, quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, il proposito di tradirlo, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che egli era venuto da Dio e a Dio ritornava, Gesù si leva da mensa, depone le vesti, prende un panno e se ne cinge.
Poi, versa acqua nel catino e si mette a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli col panno di cui si era cinto ( Gv 13,2-5 ).
Non dobbiamo intendere quel "fatta la cena" nel senso che la cena fosse già consumata e terminata; si cenava ancora, quando il Signore si alzò e lavò i piedi ai discepoli.
Di fatti poi si rimise a tavola, e più tardi porse il boccone al suo traditore; sicché la cena non era ancora terminata, se in tavola c'era ancora del pane.
Fatta la cena vuol dire che essa era pronta ed era in tavola per essere consumata dai commensali.
Ma continuiamo: Quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, il proposito di tradirlo.
Forse domandi che cosa era stato messo in cuore a Giuda; appunto questo: il proposito di tradirlo.
Si tratta di una suggestione spirituale, che non avviene attraverso l'orecchio ma attraverso il pensiero, e quindi non materialmente ma spiritualmente. Infatti ciò che si dice spirituale, non sempre si deve intendere in senso positivo.
L'Apostolo ci parla di spiriti del male che abitano nelle regioni celesti, contro i quali noi, dice, siamo in lotta ( Ef 6,12 ); e non vi sarebbero influssi spirituali malefici se non esistessero spiriti maligni.
Il termine spirituale deriva infatti da spirito.
Ma chi può dire come avviene questo fenomeno, che le suggestioni diaboliche possono penetrare in fondo al cuore umano e mescolarsi ai suoi pensieri, tanto che l'uomo è indotto a considerarle proprie?
Non v'è dubbio che anche le buone suggestioni, derivanti dallo spirito buono, seguono una via altrettanto segreta e spirituale.
L'importante è il consenso che la coscienza darà a quelle buone o a quelle cattive, alle prime se soccorsa dall'aiuto divino, alle seconde se privata per sua colpa del medesimo aiuto.
Il diavolo aveva dunque già operato nel cuore di Giuda istigando il discepolo a tradire il Maestro, non avendo Giuda saputo riconoscere Dio in lui.
Giuda era andato alla cena col proposito di spiare il Pastore, di insidiare il Salvatore, di vendere il Redentore.
Con tale animo si era presentato alla cena: Gesù vedeva e tollerava, e Giuda credeva di poter nascondere le sue intenzioni, ingannandosi sul conto di colui che voleva ingannare.
Frattanto Gesù, che ben leggeva nel cuore di Giuda, a sua insaputa si serviva di lui per i propri disegni.
5 - Sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani.
Quindi anche il traditore stesso.
Se infatti non avesse avuto in mano anche lui, non avrebbe potuto servirsene come voleva.
Il traditore quindi era già stato consegnato nelle mani di colui che egli intendeva tradire; così col tradimento si accingeva a compiere un male che, a sua insaputa, si sarebbe convertito in bene ad opera della stessa vittima del suo tradimento.
Il Signore infatti sapeva molto bene che cosa doveva fare per gli amici, egli che pazientemente si serviva dei nemici; e il Padre gli aveva dato in mano tutte le cose, in modo che si servisse di quelle cattive per mandare ad effetto quelle buone.
Inoltre sapeva che egli era venuto da Dio e a Dio ritornava, e come non aveva lasciato Dio quando da Dio era venuto a noi, così non avrebbe lasciato noi, quando sarebbe tornato a Dio.
6 - Sapendo dunque tutte queste cose, si alza da tavola, depone le vesti, prende un panno e se ne cinge.
Poi, versa acqua nel catino e si mette a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli col panno di cui si era cinto.
Dobbiamo, o carissimi, considerare diligentemente l'intenzione dell'evangelista.
Accingendosi a parlare della profonda umiltà del Signore, ha voluto prima richiamare la nostra attenzione alla sua grandezza.
È per questo che dice: Sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che egli era venuto da Dio e a Dio ritornava.
Avendogli dunque il Padre dato tutto nelle mani, egli si mette a lavare, non le mani ma i piedi dei discepoli: pur sapendo di essere venuto da Dio e di tornare a Dio, compie l'ufficio non di Dio Signore ma di uomo servo.
Era con l'intenzione di sottolineare l'umiltà di Cristo che l'evangelista ha voluto parlare prima del suo traditore, che era venuto avendo già quel proposito ben conosciuto dal Signore; e questo particolare mostra come il Signore sia giunto al massimo dell'umiltà, non disdegnando di lavare i piedi a colui le cui mani già vedeva impegnate in sì grande delitto.
Ma perché meravigliarsi che si sia alzato da tavola e abbia deposto le vesti colui che, essendo nella forma di Dio, annientò se stesso?
E che meraviglia se prese un panno, e se ne cinse, colui che prendendo la forma di servo è stato trovato come un uomo qualsiasi nell'aspetto esterno ( Fil 2,6-7 )?
Che meraviglia se versò acqua nel catino per lavare i piedi dei discepoli colui che versò il suo sangue per lavare le sozzure dei peccati?
Che meraviglia se col panno di cui si era cinto asciugò i piedi, dopo averli lavati, colui che con la carne di cui si era rivestito sostenne il cammino degli Evangelisti?
Per cingersi di un panno depose le vesti che aveva; mentre, per prendere la forma di servo, quando annientò se stesso, non depose la forma che aveva ma soltanto prese quella che non aveva.
Si sa, che per esser crocifisso fu spogliato delle sue vesti e, morto, fu avvolto in un lenzuolo; e tutta la sua passione è la nostra purificazione.
Nell'imminenza quindi della passione e della morte, ha voluto rendere questo servizio, non solo a quelli per i quali stava per morire, ma anche a colui che lo avrebbe tradito per farlo morire.
Tanto importante è per l'uomo l'umiltà, che la divina maestà ha voluto raccomandarla anche con il suo esempio.
L'uomo superbo si sarebbe perduto per sempre, se Dio non fosse venuto a cercarlo umiliandosi.
È venuto infatti il Figlio dell'uomo a cercare e a salvare ciò che era perduto ( Lc 19,10 ).
L'uomo si era perduto per aver seguito la superbia del tentatore; segua dunque, ora che è stato ritrovato, l'umiltà del Redentore.
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