Confessioni |
Ignori forse, Signore, per essere tua l'eternità, ciò che ti dico, o vedi per il tempo ciò che avviene nel tempo?
Perché dunque ti faccio un racconto particolareggiato di tanti avveramenti?
Non certo perché tu li apprenda da me. Piuttosto eccito in me e in chi li leggerà l'amore verso la tua persona.
Tutti dovremo dire, "È grande, il Signore e ben degno di lode".
Già lo dissi e lo dirò di nuovo: per amore del tuo amore m'induco a tanto.
Noi preghiamo, certo; però la Verità dice: "Il Padre vostro sa cosa ti occorre prima ancora che glielo domandiate".
Confessandoti dunque le nostre miserie e le tue misericordie su di noi, noi manifestiamo i nostri sentimenti verso di te, affinché tu possa completare la nostra liberazione già da te iniziata: affinché noi cessiamo di essere infelici in noi e ci rallegriamo in te che ci chiamasti a essere poveri nello spirito, e miti e piangenti, e affamati e assetati di giustizia, e misericordiosi e mondi in cuore, e pacifici.
Ecco dunque ch'io ti narrai molti fatti, come potei e volli.
Il primo a volere che mi confessassi a te, Signore Dio mio, poiché sei buono, poiché la tua misericordia è eterna, fosti tu.
Ma quando mai riuscirò con la lingua della mia penna a elencare tutti i tuoi incitamenti e tutte le tue intimidazioni e le consolazioni e le direttive, con cui mi conducesti a predicare la tua parola e a dispensare il tuo sacramento al tuo popolo.
Se anche riuscissi a farne un elenco ordinato, troppo preziose per me sono le gocce del tempo.
Da molto mi riarde il desiderio di meditare la tua legge, di confessarti la mia conoscenza e la mia ignoranza in proposito, le prime luci della tua illuminazione e i residui delle mie tenebre, fino a quando la mia debolezza sia inghiottita dalla tua forza.
Non voglio disperdere altrimenti le ore che mi ritrovo libere dal ristoro indispensabile del corpo, dalle applicazioni dello spirito e dai servizi che dobbiamo ai nostri simili, o che non dobbiamo, ma ugualmente rendiamo.
Signore Dio mio, presta ascolto alla mia preghiera; la tua misericordia esaudisca il mio desiderio, che non arde per me solo, ma vuole anche servire alla mia carità per i fratelli.
Tu vedi nel mio cuore che è così. Lascia che ti offra in sacrificio il servizio del mio pensiero e della mia parola, e prestami la materia della mia offerta a te.
Sono misero e povero, tu ricco per tutti coloro che ti invocano, tu senza affanni, che ti affanni per noi.
Recidi tutt'intorno alle mie labbra, dentro e fuori, ogni temerità e ogni menzogna.
Siano le tue Scritture le mie caste delizie; ch'io non m'inganni su di esse, né inganni gli altri con esse.
Signore, guarda e abbi pietà, Signore. Dio mio, luce dei ciechi e virtù dei deboli, e tosto luce dei veggenti e virtù dei forti; volgi la tua attenzione sulla mia anima e ascolta chi grida dall'abisso.
Se non fossero presenti anche nell'abisso le tue orecchie, dove ci volgeremo? a chi grideremo?
Tuo è il giorno e tua la notte, al tuo cenno trasvolano gli istanti.
Concedimene un tratto per le mie meditazioni sui segreti della tua legge, non chiuderla a chi bussa.
Non senza uno scopo, certo, facesti scrivere tante pagine di fitto mistero; né mancano, quelle foreste, dei loro cervi, che vi si rifugiano e ristorano, vi spaziano e pascolano, vi si adagiano e ruminano.
O Signore, compi la tua opera in me, rivelandomele.
Ecco, la tua voce è la mia gioia, la tua voce una voluttà superiore a tutte le altre.
Dammi ciò che amo. Perché io amo, e tu mi hai dato di amare.
Non abbandonare i tuoi doni, non trascurare la tua erba assetata.
Ti confesserò quanto scoprirò nei tuoi libri.
Oh, udire la voce della tua lode, abbeverarsi di te, contemplare le meraviglie della tua legge fin dall'inizio, quando creasti il cielo e la terra, e fino al regno eterno con re nella tua santa città.
4 Signore, abbi pietà di me ed esaudisci il mio desiderio.
Non credo sia desiderio di cose terrene, di oro e argento e pietre preziose, o di vesti fastose, o di onori e potere, e di piaceri carnali, o di beni necessari al corpo durante il nostro pellegrinaggio in questa vita.
Tutte queste cose ci vengono date in aggiunta, se cerchiamo il tuo regno e la tua giustizia.
Vedi, Dio, ove s'ispira il mio desiderio.
Gli empi mi hanno descritto le loro voluttà, difformi però dalla tua legge, Signore, e a questa s'ispira il mio desiderio.
Vedi, Padre, guarda e vedi e approva, e piaccia agli occhi della tua misericordia che io trovi favore presso di te, affinché si aprano i recessi delle tue parole, a cui busso.
Ti scongiuro per il Signore nostro Gesù Cristo, figlio tuo, eroe della tua destra, figlio dell'uomo, che stabilisti per te mediatore fra te e noi, per mezzo del quale ci cercasti mentre non ti cercavamo, e ci cercasti affinché ti cercassimo; il tuo Verbo, con cui creasti l'universo, e in esso me pure; il tuo unigenito, per mezzo del quale chiamasti all'adozione il popolo dei credenti, e fra esso me pure.
Per lui ti scongiuro, che siede alla tua destra e intercede per noi presso di te; in cui sono ascosi tutti i tesori della sapienza e della scienza.
Questi tesori appunto cerco nei tuoi libri. Mosè ne scrisse, egli stesso lo afferma, lo afferma la Verità.
Fammi udire e capire come in principio creasti il cielo e la terra.
Così scrisse Mosè, così scrisse, per poi andarsene, per passare da questo mondo, da te a te.
Ora non mi sta innanzi. Se così fosse, lo tratterrei, lo pregherei, lo scongiurerei nel tuo nome di spiegarmi queste parole, presterei le orecchie del mio corpo ai suoni sgorganti dalla sua bocca.
Se parlasse in ebraico, invano busserebbe ai miei sensi e nulla di lì giungerebbe alla mia mente.
Se invece in latino, saprei che dice; ma come saprei se dice il vero? E anche se lo sapessi, da lui lo saprei?
Dentro di me piuttosto, nell'intima dimora del pensiero la verità, non ebraica né greca né latina né barbara, mi direbbe, senza strumenti di bocca e di lingua, senza suono di sillabe: "Dice il vero".
E io subito direi sicuro, fiduciosamente a quel tuo uomo: "Dici il vero".
Invece non lo posso interrogare; quindi mi rivolgo a te, Verità, Dio mio, da cui era pervaso quando disse cose vere; mi rivolgo a te: perdona i miei peccati.
E tu, che concedesti al tuo servo di enunciare questi veri, concedi anche a me di capirli.
Ecco che il cielo e la terra esistono, proclamano con i loro mutamenti e variazioni la propria creazione.
Ma tutto ciò che non è stato creato e tuttavia esiste, nulla ha in sé che non esistesse anche prima, poiché questo sarebbe un mutamento e una variazione.
Ancora proclamano di non essersi creati da sé: "Esistiamo, per essere stati creati.
Dunque non esistevamo prima di esistere, per poterci creare da noi".
La voce con cui parlano è la loro stessa evidenza.
Tu dunque, Signore, li creasti, tu che sei bello, poiché sono belli; che sei buono, poiché sono buoni; che sei, poiché sono.
Non sono così belli, né sono così buoni, né sono così come tu, loro creatore, al cui confronto non sono belli, né sono buoni, né sono.
Lo sappiamo, e ne siano rese grazie a te, sebbene il nostro sapere paragonato al tuo sia un ignorare.
Ma come creasti il cielo e la terra? quale strumento impiegasti per un'operazione così grande?
Non ti accadde certamente come a un uomo, che, artista, riproduce in un corpo le forme di un altro corpo seguendo i cenni dello spirito, capace d'imporre entro certi limiti le immagini che vede dentro di sé con l'occhio interiore: e come sarebbe capace di tanto, se non per essere stato creato da te?
Lo spirito impone le sue immagini su qualcosa che già esiste e possiede quanto basta per esistere, come la terra o la pietra o il legno o l'oro o qualsiasi altro materiale di tale genere.
Ora, fuori dalla tua azione, da dove potrebbero derivare queste materie?
Tu desti all'artista un corpo, tu uno spirito, che comanda le membra, tu la materia, con cui attua l'opera, tu l'ingegno, con cui acquistare l'arte e vedere dentro ciò che attuerà fuori di sé; tu i sensi del corpo, per il cui mezzo trasferire dallo spirito alla materia l'opera e ragguagliare poi lo spirito sulla sua attuazione, affinché quest'ultimo consulti in se stesso la verità che lo governa, sulla bontà dell'opera attuata.
Tutte queste cose ti lodano come creatore di tutte le cose.
Ma tu come le crei? come creasti, o Dio, il cielo e la terra?
Non certo in cielo e in terra creasti il cielo e la terra; nemmeno nell'aria o nell'acqua, che pure appartengono al cielo e alla terra.
Nemmeno creasti l'universo nell'universo, non esistendo lo spazio ove crearlo, prima di crearlo perché esistesse.
Né avevi fra mano un elemento da cui trarre cielo e terra: perché da dove lo avresti preso, se non fosse stato creato da te, per crearne altri? ed esiste qualcosa, se non perché esisti tu?
Dunque tu parlasti, e le cose furono create; con la tua parola le creasti.
Ma come parlasti? Forse così, come uscì la voce dalla nube e disse: "Questo è il Figlio mio diletto"?
Fu, quella, una voce che si produsse e svanì, ebbe un principio e una fine; le sue sillabe risuonarono e trapassarono, la seconda dopo la prima, la terza dopo la seconda e così via, ordinatamente, fino all'ultima dopo tutte le altre, e al silenzio dopo l'ultima.
Ne risulta chiaramente che venne prodotta dal moto dì una cosa creata, ministra temporale della tua verità eterna; e queste tue parole formate temporaneamente furono trasmesse dall'orecchio esteriore alla ragione intelligente, il cui orecchio interiore è accostato alla tua parola eterna.
Ma la ragione, confrontando queste parole risuonate nel tempo, con la tua parola silenziosa nell'eternità, disse: "È cosa assai diversa, assai diversa.
Queste parole sono assai più in basso di me, anzi neppure sono, poiché fuggono e passano.
La parola del mio Dio invece permane sopra di me eternamente".
Se dunque con parole sonore e passeggere ti esprimesti per creare il cielo e la terra, e così creasti il cielo e la terra, esisteva già prima del cielo e della terra una creatura corporea, i cui movimenti, avvenendo nel tempo, trasmettevano temporaneamente quella voce.
Ma prima del cielo e della terra non esisteva alcun corpo, o, se esisteva, l'avevi creato certamente senza una voce passeggera, per trarne una voce passeggera con cui dire che fossero creati il cielo e la terra.
Qualunque fosse l'elemento necessario a formare una tale voce, non sarebbe affatto esistito fuori dalla tua creazione; ma per creare il corpo necessario a tali parole, con quali parole avresti parlato?
Così ci chiami a comprendere il Verbo, Dio presso te Dio, proclamato per tutta l'eternità e con cui tutte le cose sono proclamate per tutta l'eternità.
In esso non finiscono i suoni pronunciati, né altri se ne pronunciano perché tutti possano essere pronunciati, ma tutti insieme ed eternamente sono pronunciati.
In caso diverso vi si troverebbe già il tempo, e mutamenti, e non vi sarebbe vera eternità né vera immortalità.
Lo so, Dio mio, e ti ringrazio; lo so, te lo confesso, Signore, e lo sa con me, e ti benedice, chiunque non è ingrato verso la verità sicura.
Noi sappiamo, Signore, sì, sappiamo che una cosa muore e nasce in quanto cessa di essere ciò che era, e comincia a essere ciò che non era.
Nulla dunque nella tua parola scompare o appare, poiché davvero è immortale ed eterna.
Con questa parola coeterna con te enunci tutto assieme e per tutta l'eternità ciò che dici, e si crea tutto ciò di cui enunci la creazione.
Non in altro modo, se non con la parola, tu crei; ma non per questo si creano tutte assieme e per tutta l'eternità le cose che con la parola crei.
Perché ciò, di grazia, Signore Dio mio? Lo vedo in qualche modo, ma come esprimerlo non so.
Forse così: ogni essere che comincia e finisce, comincia e finisce quando la tua ragione eterna riconosce che doveva cominciare o finire, la tua ragione, ove nulla comincia né finisce.
Questa ragione appunto è il tuo Verbo, che è anche il principio, perché anche ci parla.
Parlò nel Vangelo mediante la carne e risuonò esteriormente alle orecchie degli uomini, affinché credessero in lui e lo cercassero in sé e lo trovassero nella verità eterna, ove il buono e unico Maestro, istruisce tutti i suoi discepoli.
Ivi odo la tua voce, Signore, la quale mi dice che chi ci parla ci istruisce, chi non ci istruisce, per quanto parli, non ci parla.
Ora, chi ci istruisce, se non la verità immutabile?
Anche quando siamo ammoniti da una creatura mutabile, siamo condotti alla verità immutabile, ove davvero impariamo, ascoltando immoti.
Ci prende la gioia alla voce dello sposo, che ci restituisce a Colui da cui veniamo.
Perciò è il principio. Se non fosse stabile, mentre noi erriamo, non avremmo dove ritornare.
Invece quando torniamo dai nostri errori, torniamo appunto perché conosciamo, e conosciamo perché lui ci insegna, in quanto è il Principio e ci parla.
In questo principio, o Dio, creasti il cielo e la terra: cioè nel tuo Verbo, nel tuo figlio, nella tua virtù, nella tua sapienza, nella tua verità, con una parola straordinaria compiendo un atto straordinario.
Chi potrà comprenderlo? chi descriverlo? Cos'è, che traspare fino a me e mi colpisce il cuore senza ferirlo?
Timore e ardore mi scuotono: timore, per quanto ne sono dissimile; ardore, per quanto ne sono simile.
La Sapienza, la vera Sapienza traspare fino a me, squarciando le mie nubi, che mi ricoprono, quando nuovamente mi allontano da lei, entro l'alta foschia del mio, castigo.
Il mio vigore si è indebolito nell'indigenza tanto da non poter tollerare il mio bene; finché tu, Signore, divenuto benigno verso tutte le mie malvagità, guarisca ancora tutte le mie debolezze.
Riscatterai dalla corruzione la mia vita, m'incoronerai di commiserazione e misericordia, sazierai nei beni il mio desiderio, perché la mia giovinezza si rinnoverà come quella dell'aquila.
Nella speranza fummo salvati e con pazienza attendiamo le tue promesse.
Chi può, ascolti la tua parola dentro di sé; io fiducioso griderò col tuo oracolo: "Quale magnificenza, Signore, le tue opere, tu creasti tutto nella tua sapienza".
Essa è il principio, e in quel principio creasti il cielo e la terra.
Non sono forse pieni della loro vecchiezza quanti ci dicono: "Cosa faceva Dio prima di fare il cielo e la terra?
Se infatti, continuano, stava ozioso senza operare, perché anche dopo non rimase sempre nello stato primitivo, sempre astenendosi dall'operare?
Se si sviluppò davvero in Dio un impulso e una volontà nuova di stabilire una creazione che prima non aveva mai stabilito, sarebbe ancora un'eternità vera quella in cui nasce una volontà prima inesistente?
La volontà di Dio non è una creatura, bensì anteriore a ogni creatura, perché nulla si creerebbe senza la volontà preesistente di un creatore.
Dunque la volontà di Dio è una cosa sola con la sua sostanza.
E se nella sostanza di Dio qualcosa sorse che prima non v'era, quella sostanza viene chiamata erroneamente eterna.
Che se poi era volontà eterna di Dio che esistesse la creatura, come non sarebbe eterna anche la creatura?".
Quanti parlano così non ti comprendono ancora, o sapienza di Dio, luce delle menti.
Non comprendono ancora come nasce ciò che nasce da te e in te.
Vorrebbero conoscere l'eterno, ma la loro mente volteggia ancora vanamente nel flusso del passato e del futuro.
Chi la tratterrà e la fisserà, affinché, stabile per un poco, colga per un poco lo splendore dell'eternità sempre stabile, la confronti con il tempo mai stabile, e veda come non si possa istituire un confronto, come il tempo dura per il passaggio di molte brevi durate, che non possono svolgersi simultaneamente, mentre nell'eternità nulla passa, ma tutto è presente, a differenza del tempo, mai tutto presente; come il passato sia sempre sospinto dal futuro, e il futuro segua sempre al passato, e passato e futuro nascano e fluiscano sempre da Colui che è l'eterno presente?
Chi tratterrà la mente dell'uomo, affinché si stabilisca e veda come l'eternità stabile, non futura né presente, determini futuro e presente?
Sarebbe la mia mano capace di tanto, o la mano della mia bocca produrrebbe con parole un effetto cosi grande?
Ecco come rispondo a chi chiede: "Cosa faceva Dio prima di fare il cielo e la terra".
Non rispondo come quel tale, che, dicono, rispose, eludendo con una facezia l'insidiosità della domanda: "Preparava la geenna per chi scruta i misteri profondi".
Altro è capire, altro è schernire. lo non risponderò così.
Preferirei rispondere: "Non so ciò che non so", anziché in modo d'attirare il ridicolo su chi ha posto una domanda profonda, e la lode a chi diede una risposta falsa.
Invece dico che tu, Dio nostro, sei il creatore di ogni cosa creata; e se col nome di cielo e terra s'intende ogni cosa creata, arditamente dico: "Dio, prima di fare il cielo e la terra, non faceva alcunché".
Infatti, se faceva qualcosa, che altro faceva, se non una creatura?
Oh, se io sapessi quanto desidero con mio vantaggio di sapere, allo stesso modo come so che non esisteva nessuna creatura avanti la prima creatura!
Se qualche spirito leggero, vagolando fra le immagini del passato, si stupisce che tu, Dio che tutto puoi e tutto crei e tutto tieni, autore del cielo e della terra, ti sia astenuto da tanto operare, prima di una tale creazione, per innumerevoli secoli, si desti e osservi che il suo stupore è infondato.
Come potevano passare innumerevoli secoli, se non li avessi creati tu, autore e iniziatore di tutti i secoli?
Come sarebbe esistito un tempo non iniziato da te? e come sarebbe trascorso se non fosse mai esistito?
Tu dunque sei l'iniziatore di ogni tempo, e se ci fu un tempo prima che tu creassi il cielo e la terra, non si può dire che ti astenevi dall'operare.
Anche quel tempo era opera tua, e non poterono trascorrere tempi prima che tu avessi creato un tempo.
Se poi prima del cielo e della terra non esisteva tempo, perché chiedere cosa facevi allora?
Non esisteva un allora dove non esisteva un tempo.
Ma non è nel tempo che tu precedi i tempi. Altrimenti non li precederesti tutti.
E tu precedi tutti i tempi passati dalla vetta della tua eternità sempre presente; superi tutti i futuri, perché ora sono futuri, e dopo giunti saranno passati.
Tu invece sei sempre il medesimo, e i tuoi anni non finiscono mai.
I tuoi anni non vanno né vengono; invece questi, i nostri, vanno e vengono, affinché tutti possano venire.
I tuoi anni sono tutti insieme, perché sono stabili; non se ne vanno, eliminati dai venienti, perché non passano.
Invece questi, i nostri, saranno tutti quando tutti non saranno più.
I tuoi anni sono un giorno solo, e il tuo giorno non è ogni giorno, ma oggi, perché il tuo oggi non cede al domani, come non è successo all'ieri.
Il tuo oggi è l'eternità. Perciò generasti coeterno con te Colui, cui dicesti: "Oggi ti ho generato".
Tu creasti tutti i tempi, e prima di tutti i tempi tu sei, e senza alcun tempo non vi era tempo.
Non ci fu dunque un tempo, durante il quale avresti fatto nulla, poiché il tempo stesso l'hai fatto tu; e non vi è un tempo eterno con te, poiché tu sei stabile, mentre un tempo che fosse stabile non sarebbe tempo.
Cos'è il tempo? Chi saprebbe spiegarlo in forma piana e breve?
Chi saprebbe formarsene anche solo il concetto nella mente, per poi esprimerlo a parole?
Eppure, quale parola più familiare e nota del tempo ritorna nelle nostre conversazioni?
Quando siamo noi a parlarne, certo intendiamo, e intendiamo anche quando ne udiamo parlare altri.
Cos'è dunque il tempo? Se nessuno m'interroga, lo so; se volessi spiegarlo a chi m'interroga, non lo so.
Questo però posso dire con fiducia di sapere: senza nulla che passi, non esisterebbe un tempo passato; senza nulla che venga, non esisterebbe un tempo futuro; senza nulla che esista, non esisterebbe un tempo presente.
Due, dunque, di questi tempi, il passato e il futuro, come esistono, dal momento che il primo non è più, il secondo non è ancora?
E quanto al presente, se fosse sempre presente, senza tradursi in passato, non sarebbe più tempo, ma eternità.
Se dunque il presente, per essere tempo, deve tradursi in passato, come possiamo dire anche di esso che esiste, se la ragione per cui esiste è che non esisterà?
Quindi non possiamo parlare con verità di esistenza del tempo, se non in quanto tende a non esistere.
Eppure parliamo di tempi lunghi e tempi brevi riferendosi soltanto al passato o al futuro.
Un tempo passato si chiama lungo se è, ad esempio, di cento anni prima; e così uno futuro è lungo se è di cento anni dopo; breve poi è il passato quando è, supponi, di dieci giorni prima, e breve il futuro di dieci giorni dopo.
Ma come può essere lungo o breve ciò che non è? Il passato non è più, il futuro non è ancora.
Dunque non dovremmo dire di un tempo che è lungo, ma dovremmo dire del passato che fu lungo, del futuro che sarà lungo.
Signore mio, luce mia, la tua verità non deriderà l'uomo anche qui?
Perché, questo tempo passato, che fu lungo, lo fu quando era già passato, o quando era ancora presente?
Poteva essere lungo solo nel momento in cui era una cosa che potesse essere lunga.
Una volta passato, non era più, e dunque non poteva nemmeno essere lungo, perché non era affatto.
Quindi non dovremmo dire del tempo passato che fu lungo: poiché non troveremo nulla, che sia stato lungo, dal momento che non è, in quanto è passato.
Diciamo invece che fu lungo quel tempo presente, perché mentre era presente, era lungo.
Allora non era già passato, così da non essere; era una cosa, che poteva essere lunga.
Appena passato, invece, cessò all'istante di essere lungo, poiché cessò di essere.
Consideriamo dunque, anima umana, essendoti dato di percepire e misurare le more del tempo, se il tempo presente può essere lungo.
Che mi risponderai? Cento anni presenti sono un tempo lungo?
Considera prima se possano essere presenti cento anni.
Se è in corso il primo di questi cento anni, esso è presente, ma gli altri novantanove sono futuri, quindi non sono ancora.
Se invece è in corso il secondo anno, il primo è ormai passato, il secondo presente, tutti gli altri futuri.
Così per qualsiasi anno intermedio nel numero dei cento, che si supponga presente: gli anteriori saranno passati, i posteriori futuri.
Perciò cento anni non potranno essere tutti presenti.
Considera ora se almeno quell'unico che è in corso sia presente.
Se è in corso il primo dei suoi mesi, tutti gli altri sono futuri; se il secondo, il primo è ormai passato, gli altri non sono ancora.
Dunque neppure l'anno in corso è presente tutto, e se non è presente tutto, un anno non è presente, perché un anno si compone di dodici mesi, e ciascuno di essi, qualunque sia, è presente quando è in corso, mentre tutti gli altri sono passati o futuri.
Ma poi, neppure il mese in corso è presente: è presente un giorno solo, e se il primo, tutti gli altri sono futuri; se l'ultimo, tutti gli altri sono passati; se uno qualunque degli intermedi, sta fra giorni passati e futuri.
20 Ecco cos'è il tempo presente, l'unico che trovavamo possibile chiamare lungo: ridotto stentatamente alla durata di un giorno solo.
Ma scrutiamo per bene anche questo giorno, perché neppure un giorno solo è presente tutto.
Le ore della notte e del giorno assommano complessivamente a ventiquattro.
Per la prima di esse tutte le altre sono future, per l'ultima passate, per qualunque delle intermedie passate le precedenti, future le seguenti.
Ma quest'unica ora si svolge essa stessa attraverso fugaci particelle: quanto ne volò via, è passato: quanto le resta, futuro.
Solo se si concepisce un periodo di tempo che non sia più possibile suddividere in parti anche minutissime di momenti, lo si può dire presente.
Ma esso trapassa così furtivamente dal futuro al passato, che non ha una pur minima durata.
Qualunque durata avesse, diventerebbe divisibile in passato e futuro; ma il presente non ha nessuna estensione.
Dove trovare allora un tempo che possiamo definire lungo? Il futuro?
Non diciamo certamente che è lungo, poiché non è ancora, per poter essere lungo; bensì diciamo che sarà lungo.
Quando lo sarà? Se anche allora sarà ancora futuro, non sarà lungo, non essendovi ancora nulla, che possa essere lungo; se sarà lungo allora, quando da futuro ancora inesistente sarà già cominciato ad essere e sarà diventato presente, così da poter essere qualcosa di lungo, con le parole or ora riferite il tempo presente grida di non poter essere lungo.
Eppure, Signore, noi percepiamo gli intervalli del tempo, li confrontiamo tra loro, definiamo questi più lunghi, quelli più brevi, misuriamo addirittura quanto l'uno è più lungo o più breve di un altro, rispondendo che questo è doppio o triplo, quello è semplice, oppure questo è lungo quanto quello.
Ma si fa tale misurazione durante il passaggio del tempo; essa è legata a una nostra percezione.
I tempi passati invece, ormai inesistenti, o i futuri, non ancora esistenti, chi può misurarli?
Forse chi osasse dire di poter misurare l'inesistente.
Insomma, il tempo può essere percepito e misurato al suo passare; passato, non può, perché non è.
Io cerco, Padre, non affermo. Dio mio, vigilami e guidami.
Chi vorrà dirmi che non sono tre i tempi, come abbiamo imparato da bambini e insegnato ai bambini, ossia il passato, il presente e il futuro, ma che vi è solo il presente, poiché gli altri due non sono?
O forse anche gli altri due sono, però il presente esce da un luogo occulto, allorché da futuro diviene presente, così come si ritrae in un luogo occulto, allorché da presente diviene passato?
In verità, chi predisse il futuro, dove lo vide, se il futuro non è ancora?
Non si può vedere ciò che non è.
Così chi narra il passato, non narrerebbe certamente il vero, se non lo vedesse con l'immaginazione.
Ma se il passato non fosse affatto, non potrebbe in nessun modo essere visto.
Bisogna concludere che tanto il futuro quanto il passato sono.
Lasciami estendere, o Signore, la mia ricerca, tu, speranza mia, Fa' che nulla disturbi il mio sforzo.
Se il futuro e passato sono, desidero sapere dove sono.
Se ancora non riesco, so tuttavia che, ovunque siano, là non sono né futuro né passato, ma presente.
Futuro anche là, il futuro là non esisterebbe ancora; passato anche là, il passato là non esisterebbe più.
Quindi ovunque sono, comunque sono, non sono se non presenti.
Nel narrare fatti veri del passato, non si estrae già dalla memoria la realtà dei fatti, che sono passati, ma le parole generate dalle loro immagini, quasi orme da essi impresse nel nostro animo mediante i sensi al loro passaggio.
Così la mia infanzia, che non è più, è in un tempo passato, che non è più; ma quando la rievoco e ne parlo, vedo la sua immagine nel tempo presente, poiché sussiste ancora nella mia memoria.
Se sia analogo anche il caso dei fatti futuri che vengono predetti, se cioè si presentano come già esistenti le immagini di cose ancora inesistenti, confesso, Dio mio, di non saperlo.
So però questo, che sovente premeditiamo i nostri atti futuri, e che tale meditazione è presente, mentre non lo è ancora l'atto premeditato, poiché futuro.
Solo quando l'avremo intrapreso, quando avremo incominciato ad attuare il premeditato, allora esisterà l'atto, poiché allora non sarà futuro, ma presente.
Qualunque sia la natura di questo arcano presentimento del futuro, certo non si può vedere se non ciò che è.
Ora, ciò che è, non è futuro, ma presente, e così, allorché si dice di vedere il futuro, non si vedono le cose, ancora inesistenti, cioè future, ma forse le loro cause o i segni, già esistenti.
Perciò si vedono non cose future, ma cose già presenti al veggente, che fanno predire le future immaginandole con la mente.
Queste immaginazioni a loro volta già esistono, e chi predice le vede presenti innanzi a sé.
Mi suggerisca qualche esempio l'innumerevole massa dei fatti.
Se osservo l'aurora, preannuncio la levata del sole.
L'oggetto della mia osservazione è presente; quello della mia predizione, futuro: non futuro il sole, che esiste già, ma la sua levata, che non esiste ancora.
Però non potrei predire nemmeno la levata senza immaginarla dentro di me come ora che ne parlo.
Eppure né l'aurora che vedo in cielo è la levata del sole, quantunque la preceda, né lo l'immagine nel mio animo: queste due cose si vedono presenti, per poter definire in anticipo quell'evento futuro.
Dunque il futuro non esiste ancora, e se non esiste ancora, non si può per nulla vedere; però si può predire sulla scorta del presente, che già esiste e si può vedere.
Quindi tu, che sei il re del tuo creato, in che modo insegni alle anime il futuro?
L'hai pure insegnato ai tuoi profeti. In che modo insegni il futuro, se per te nulla è futuro?
O meglio, in che modo insegni le cose presenti che riguardano le future?
Ciò che non è, non si può evidentemente insegnare.
Il tuo procedimento qui è troppo lontano dalla mia vista, ha superato le mie forze, non vi potrò giungere; ma potrò con le tue, quando lo concederai tu, dolce lume dei miei occhi occulti.
Un fatto è ora limpido e chiaro: né futuro né passato esistono.
È inesatto dire che i tempi sono tre: passato, presente e futuro.
Forse sarebbe esatto dire che i tempi sono tre: presente del passato, presente del presente, presente del futuro.
Queste tre specie di tempi esistono in qualche modo nell'animo e non le vedo altrove: il presente del passato è la memoria, il presente del presente la visione, il presente del futuro l'attesa.
Mi si permettano queste espressioni, e allora vedo e ammetto tre tempi, e tre tempi ci sono.
Si dica ancora che i tempi sono tre: passato, presente e futuro, secondo l'espressione abusiva entrata nell'uso; si dica pure così: vedete, non vi bado, non contrasto né biasimo nessuno, purché si comprenda ciò che si dice: che il futuro ora non è, né il passato.
Di rado noi ci esprimiamo esattamente; per lo più ci esprimiamo inesattamente, ma si riconosce cosa vogliamo dire.
Dissi poc'anzi che misuriamo il tempo al suo passaggio.
Così possiamo dire che questa porzione di tempo è doppia di quella, che è semplice, o lunga quanto quella; oppure, misurandola, indicare qualsiasi altro rapporto fra porzioni di tempo.
In tal modo, come dicevo, misuriamo il tempo al suo passaggio.
Se mi si chiedesse: "Come lo sai?", risponderci: "Lo so perché misuriamo, e non possiamo misurare ciò che non è, e non è né il passato né il futuro".
Il tempo presente, poi, come lo misuriamo, se non ha estensione?
Lo si misura mentre passa; passato, non lo si misura, perché non vi sarà nulla da misurare.
Ma da dove, per dove, verso dove passa il tempo, quando lo si misura?
Non può passare che dal futuro, attraverso il presente, verso il passato, ossia da ciò che non è ancora, attraverso ciò che non ha estensione, verso ciò che non è più.
Ma noi non misuriamo il tempo in una certa estensione?
Infatti non parliamo di tempi semplici, doppi, tripli, uguali, e di altri rapporti del genere, se non riferendoci a estensioni di tempo.
In quale estensione dunque misuriamo il tempo al suo passaggio? Nel futuro, da dove passa?
Ma ciò che non è ancora, non si misura.
Nel presente, per dove passa? Ma una estensione inesistente non si misura.
Nel passato, verso dove passa? Ma ciò che non è più, non si misura.
22.28 Il mio spirito si è acceso dal desiderio di penetrare questo enigma intricatissimo.
Non voler chiudere, Signore Dio mio, padre buono, te ne scongiuro per Cristo, non voler chiudere al mio desiderio la conoscenza di questi problemi familiari e insieme astrusi.
Lascia che vi penetri e s'illuminino al lume della tua misericordia, Signore.
Chi interpellare su questi argomenti, a chi confessare la mia ignoranza più vantaggiosamente che a te, cui non è sgradito il mio studio ardente, impetuoso delle tue Scritture?
Dammi ciò che amo. Perché io amo, e tu mi hai dato di amare.
Dammi, o Padre, che davvero sai dare ai tuoi figli doni buoni; dammi, poiché mi sono proposto di conoscere e mi attende un lavoro faticoso, finché tu mi schiuda la porta.
Per Cristo ti supplico, in nome di quel santo dei santi nessuno mi disturbi.
Anch'io ho creduto, perciò anche parlo.
Questa è la mia speranza, per questa vivo: di contemplare le delizie del Signore.
Ecco, tu hai stabilito i miei giorni decrepiti, ed essi passano, e non so come.
Noi parliamo di tempo e tempo, di tempi e tempi.
"Quanto tempo fa lo disse!", "Quanto tempo fa lo fece!", e: "Da quanto tempo non lo vedo!", e: "Questa sillaba ha una durata di tempo doppia di quell'altra, breve": così diciamo e udiamo, così ci facciamo comprendere e comprendiamo.
Sono espressioni chiarissime, usatissime; eppure sono estremamente oscure, e astrusa è la loro spiegazione.
Ho udito dire da una persona istruita che il tempo è, di per sé, il moto del sole, della luna e degli astri; e non assentii.
Perché il tempo non sarebbe piuttosto il moto di tutti i corpi?
Qualora si arrestassero gli astri del cielo, e si muovesse la ruota del vasaio, non esisterebbe più il tempo per misurarne i giri e poter dire che hanno durate uguali, oppure, se si svolgono ora più lenti, ora più veloci, che gli uni sono più lunghi, gli altri meno?
E ciò dicendo, non parleremmo noi stessi nel tempo? e non vi sarebbero nelle nostre parole sillabe lunghe e brevi per la sola ragione che le prime risuonarono per un tempo più lungo, le seconde più breve?
O Dio, concedi agli uomini di scorgere in un fatto modesto i concetti comuni delle piccole come delle grandi realtà.
Esistono astri e lumi del cielo quali segni delle stagioni, dei giorni e degli anni, esistono, è vero; ma come io non oserei affermare che la rivoluzione di quella rotella di legno sia il giorno, neppure quel saggio oserà dire che perciò non sia un tempo.
30 Io desidero conoscere il valore e la natura del tempo, lo strumento con cui misuriamo i movimenti del corpo e diciamo che uno di essi è per esempio lungo il doppio di un altro.
Questo cerco di sapere: si dà nome di giorno non solo al periodo in cui il sole permane sopra la terra, secondo il quale si distingue il giorno dalla notte, ma anche all'intera rotazione che il sole compie da oriente a oriente, secondo la quale si dice: "Passarono tanti giorni", designando con i giorni anche le notti rispettive, che non si considerano a parte; ebbene, poiché il giorno si completa col movimento rotatorio del sole da oriente a oriente, io cerco di sapere se il giorno è il movimento stesso, oppure il periodo in cui si compie, oppure l'una cosa e l'altra.
Se il giorno fosse il movimento del sole, avremmo un giorno anche quando il sole compisse quel suo corso nello spazio di tempo di un'ora; se fosse il periodo in cui si compie, non vi sarebbe giorno quando l'intervallo fra una levata e l'altra del sole fosse breve come quello di un'ora sola, ma il sole dovrebbe effettuare la sua rotazione ventiquattro volte per colmare un giorno intero; se fosse l'uno e l'altro, non si potrebbe parlare di giorno né quando il sole percorresse tutto il suo giro nello spazio di un'ora, né quando passasse tanto tempo col sole fermo, quanto ne impiega abitualmente il sole a compiere l'intero circuito da mattino a mattino.
Quindi ora non cercherò più di sapere cosa sia ciò che chiamiamo giorno, ma cosa sia il tempo, con cui misuriamo la rotazione del sole, per il quale diremmo che la compì nella metà dello spazio di tempo abituale, qualora l'avesse compiuta nello spazio di tempo in cui si compiono dodici ore; e diremmo, confrontando queste due durate, che la seconda è semplice, la prima doppia, anche qualora la rotazione del sole da oriente a oriente avesse talvolta quella durata semplice, talvolta questa doppia.
Dunque non mi si dica che il tempo è il movimento dei corpi celesti.
Quando il sole si fermò all'appello di un uomo per dargli modo di concludere una battaglia vittoriosa, il sole era fermo, ma il tempo procedeva, tant'è vero che la battaglia fu condotta e finita nello spazio di tempo ad essa sufficiente.
Vedo dunque che il tempo è in qualche modo un'estensione.
Ma vedo veramente, o mi vedo vedere? Tu me lo chiarirai, o Luce, o Verità.
Mi comandi di approvare chi dicesse che il tempo è il movimento di un corpo? No certo.
Nessun corpo si muove fuori dal tempo; questo lo intendo: tu lo dici.
Ma che il movimento stesso del corpo sia il tempo, questo non lo intendo: tu non lo dici.
Di un corpo che si muove, misuro col tempo la durata del movimento, da quando inizia a quando finisce.
Se non ho visto quando iniziò, e continua a muoversi di modo che non vedo quando finisce, mi è impossibile misurarlo, a meno di misurarlo da quando inizio a quando finisco di vederlo.
Vedendolo a lungo, riferisco soltanto che è un tempo lungo, senza riferire quanto, poiché, per dire anche quanto, facciamo un confronto, ad esempio: "Questo è quanto quello", oppure: "Questo è doppio di quello", e così via.
Se invece avremo potuto rilevare nello spazio il punto da cui è partito e il punto in cui arriva un corpo in movimento, oppure le sue parti, qualora si muova come un tornio, possiamo dire in quanto tempo si è effettuato il movimento del corpo o di una sua parte da un punto a un altro.
Il movimento del corpo è dunque cosa distinta dalla misura della sua durata.
E chi non capisce ormai a quale delle due nozioni conviene dare il nome di tempo?
Infatti, se anche un corpo alternamente si muove e sta fermo, noi misuriamo col tempo non soltanto il suo movimento, ma anche la stasi.
Diciamo: "Stette fermo tanto, quanto si mosse", oppure: "Stette fermo due, tre volte più di quanto si mosse"; oppure indichiamo altri rapporti, misurati con precisione o a stima, più o meno, come si suole dire.
Dunque il tempo non è il movimento dei corpi.
Ti confesso, Signore, d'ignorare tuttora cosa sia il tempo; d'altra parte ti confesso, Signore, di sapere che pronuncio queste parole nel tempo; che da molto ormai sto parlando del tempo, e che proprio questo molto non lo è per altro, che per la durata del tempo.
Ma come faccio a saperlo, se ignoro cosa sia il tempo? O chissà, non so esprimere ciò che so?
Ahimè, ignoro persino cosa ignoro.
Ecco, Dio mio, davanti a te che non mento: quale la mia parola, tale il mio cuore.
Tu, Signore Dio mio, illuminando la mia lucerna illuminerai le mie tenebre.
Non è veritiera la confessione della mia anima, quando ti confessa che misuro il tempo?
Dunque, Dio mio, io misuro e non so cosa misuro.
Misuro il movimento di un corpo per mezzo del tempo, ma non misuro ugualmente anche il tempo?
Potrei misurare il movimento di un corpo, la sua durata, la durata del suo spostamento da un luogo all'altro, se non misurassi il tempo in cui si muove?
Ma questo tempo con che lo misuro? Si misura un tempo più lungo con un tempo più breve come con la dimensione di un cubito quella di un trave?
Così ci vedono misurare la dimensione di una sillaba lunga con quella di una breve, e dirla doppia; così misuriamo la dimensione dei poemi con la dimensione dei versi, e la dimensione dei versi con la dimensione dei piedi, e la dimensione dei piedi con la dimensione delle sillabe, e la dimensione delle sillabe lunghe con quella delle brevi: non sulle pagine, perché così misuriamo spazi e non tempi, ma al passaggio delle parole, mentre vengono pronunciate.
Diciamo: "E un poema lungo, infatti si compone di tanti versi; versi lunghi, infatti constano di tanti piedi; piedi lunghi, infatti si estendono per tante sillabe.
E una sillaba lunga, infatti è doppia della breve".
Ma neppure così si definisce una misura costante di tempo, poiché un verso più breve può essere fatto risuonare, strascicandolo, per uno spazio di tempo maggiore di uno più lungo, che venga affrettato.
La stessa cosa può avvenire di un poema, e di un piede, e di una sillaba.
Ne ho tratto l'opinione che il tempo non sia se non un'estensione. Di che? Lo ignoro.
Però sarebbe sorprendente, se non fosse un'estensione dello spirito stesso.
Perché, cosa misuro, di grazia, Dio mio, quando affermo o imprecisamente: "Questo tempo è più lungo di quello", o anche precisamente: è doppio di quello"?
Misuro il tempo, lo so; ma non misuro il futuro, perché non è ancora; né misuro il presente, perché non ha estensione alcuna; né misuro il passato, perché non è più.
Cosa misuro dunque? Forse i tempi al loro passaggio, non passati? È quanto dissi.
Insisti, spirito mio, e fissa intensamente il tuo sguardo.
Dio è il nostro aiuto, egli ci fece, e non noi. Fissa il tuo sguardo dove albeggia la verità.
Ecco, immagina che una voce, corporea, cominci a risuonare, risuona, risuona ancora, ed ecco cessa, è già tornato il silenzio, la voce è passata, non c'è più voce ormai.
Era futura, prima di risuonare, e non si poteva misurarla, perché non era ancora, come non si può ora, perché non è più.
Si poteva misurarla quando risuonava, perché allora era, in modo che si poteva misurare.
Ma anche allora non era ferma, perché andava, passava.
O proprio per questo invece si poteva? Passando, infatti, si estendeva per un certo spazio di tempo, durante il quale si poteva misurarla, poiché il presente non ha nessuna estensione.
Ammesso dunque che in quel frangente poteva essere misurata, eccoti ora una seconda voce, che cominciò a risuonare e risuona tuttavia con tono uniforme, senza alcuna variazione.
Misuriamola finché risuona, poiché, appena avrà cessato di risuonare, sarà ormai passata e non sarà più, in modo che si possa misurare!
Misuriamola, presto, e indichiamone la durata.
Ma sta risuonando ancora: non si può misurarla, se non partendo dall'inizio della sua esistenza, ossia dal momento in cui cominciò a risuonare, e giungendo alla fine, ossia al momento in cui cessa.
Gli intervalli si misurano appunto da un certo inizio e a un certo fine, quindi una voce non ancora finita non può essere misurata, non si può dire quanto sia lunga o breve, né dire se sia uguale a un'altra, o semplice o doppia o comunque diversa rispetto a un'altra.
Ma una volta finita non sarà più. Come si potrà misurarla allora?
Eppure misuriamo il tempo: non quello che non è ancora, né quello che non è più, né quello che non si estende in durata, né quello che non ha limiti; cioè non lo misuriamo né futuro, né passato, né presente, né passante; eppure lo misuriamo, il tempo.
35 Deus creator ommium: in questo verso si alternano otto sillabe brevi e lunghe: le quattro brevi, cioè la prima, terza, quinta e settima, semplici rispetto alle quattro lunghe, cioè la seconda, quarta, sesta e ottava.
Di queste ultime ognuna dura un tempo doppio rispetto a ognuna delle prime, come annuncio mentre le pronuncio, e come è, secondo che ci fanno intendere manifestamente i sensi.
Come manifestano i sensi, io misuro la sillaba lunga mediante la breve, sentendo che la lunga ha una durata doppia della breve.
Ma una sillaba risuona dopo un'altra; se prima è la breve, la lunga dopo, come trattenere la breve? e come applicarla sulla lunga per misurarla e trovare così che ha una durata doppia, se la lunga comincia a risuonare soltanto quando la breve cessò di risuonare? e la stessa sillaba lunga la misuro quando è presente, mentre non la misuro che finita?
Ma quando è finita è passata. Cosa misuro dunque?
Dov'è la breve, che uso per misurare? dov'è la lunga, che devo misurare?
Entrambe risuonarono, svanirono, passarono, non sono più.
Eppure io misuro e rispondo, con tutta la fiducia che si ha in un senso esercitato, che una è semplice, l'altra doppia, in estensione temporale, s'intende: cosa che posso fare solo in quanto sono passate e finite.
Dunque non misuro già le sillabe in sé, che non sono più, ma qualcosa nella mia memoria, che resta infisso.
È in te, spirito mio, che misuro il tempo.
Non strepitare contro di me: è così; non strepitare contro di te per colpa delle tue impressioni, che ti turbano.
È in te, lo ripeto, che misuro il tempo.
L'impressione che le cose producono in te al loro passaggio e che perdura dopo il loro passaggio, è quanto io misuro, presente, e non già le cose che passano, per produrla; è quanto misuro, allorché misuro il tempo.
E questo è dunque il tempo, o non è il tempo che misuro.
Ma quando misuriamo i silenzi e diciamo che tale silenzio durò tanto tempo, quanto durò tale voce, non concentriamo il pensiero a misurare la voce, come se risuonasse affinché noi possiamo riferire qualcosa sugli intervalli di silenzio in termine di estensione temporale?
Anche senza impiego della voce e delle labbra noi percorriamo col pensiero poemi e versi e discorsi, riferiamo tutte le dimensioni del loro sviluppo e le proporzioni tra i vari spazi di tempo, esattamente come se li recitassimo parlando.
Chi, volendo emettere un suono piuttosto esteso, ne ha prima determinato l'estensione col pensiero, ha certamente riprodotto in silenzio questo spazio di tempo, e affidandolo alla memoria comincia a emettere il suono, che si produce finché sia condotto al termine prestabilito: o meglio, si produsse e si produrrà, poiché la parte già compiuta evidentemente si è prodotta, quella che rimane si produrrà.
Così si compie. La tensione presente fa passare il futuro in passato, il passato cresce con la diminuzione del futuro, finché con la consumazione del futuro tutte non è che passato.
Ma come diminuirebbe e si consumerebbe il futuro, che ancora non è, e come crescerebbe il passato, che non è più, se non per l'esistenza nello spirito, autore di questa operazione, dei tre momenti dell'attesa, dell'attenzione e della memoria?
Così l'oggetto dell'attesa fatto oggetto dell'attenzione passa nella memoria.
Chi nega che il futuro non esiste ancora? Tuttavia esiste già nello spirito l'attesa del futuro.
E chi nega che il passato non esiste più? Tuttavia esiste ancora nello spirito la memoria del passato.
E chi nega che il tempo presente manca di estensione, essendo un punto che passa?
Tuttavia perdura l'attenzione, davanti alla quale corre verso la sua scomparsa ciò che vi appare.
Dunque il futuro, inesistente, non è lungo, ma un lungo futuro è l'attesa lunga di un futuro; così non è lungo il passato, inesistente, ma un lungo passato è la memoria lunga di un passato.
38 Accingendomi a cantare una canzone che mi è nota, prima dell'inizio la mia attesa si protende verso l'intera canzone; dopo l'inizio, con i brani che vado consegnando al passato si tende anche la mia memoria.
L'energia vitale dell'azione è distesa verso la memoria, per ciò che dissi, e verso l'attesa, per ciò che dirò: presente è però la mia attenzione, per la quale il futuro si traduce in passato.
Via via che si compie questa azione, di tanto si abbrevia l'attesa e si prolunga la memoria, finché tutta l'attesa si esaurisce, quando l'azione è finita e passata interamente nella memoria.
Ciò che avviene per la canzone intera, avviene anche per ciascuna delle sue particelle, per ciascuna delle sue sillabe, come pure per un'azione più lunga, di cui la canzone non fosse che una particella; per l'intera vita dell'uomo, di cui sono parti tutte le azioni dell'uomo; e infine per l'intera storia dei figli degli uomini, di cui sono parti tutte le vite degli uomini.
Ma poiché la tua misericordia è superiore a tutte le vite, ecco che la mia vita non è che distrazione, mentre la tua destra mi raccolse, nel mio Signore, il figlio dell'uomo, mediatore fra te, uno, e noi, molti, in molte cose e con molte forme, affinché per mezzo suo io raggiunga Chi mi ha raggiunto e mi ricomponga dopo i giorni antichi seguendo l'Uno.
Dimentico delle cose passate, né verso le future, che passeranno, ma verso quelle che stanno innanzi non disteso, ma proteso, non con distensione, ma con tensione inseguo la palma della chiamata celeste.
Allora udrò la voce detta tua lode e contemplerò le tue delizie, che non vengono né passano.
Ora i miei anni trascorrono fra gemiti, e il mio conforto sei tu, Signore, padre mio eterno.
Io mi sono schiantato sui tempi, di cui ignoro l'ordine, e i miei pensieri, queste intime viscere della mia anima, sono dilaniati da molteplicità tumultuose.
Fino al giorno in cui, purificato e liquefatto dal fuoco dei tuo amore, confluirò in te.
Allora mi stabilizzerò e consoliderò in te nella mia forma, la tua verità.
Non subirò più le domande di chi, per una malattia condannabile desideroso di bere più di quanto non comprenda, chiede: "Cosa faceva Dio prima di fare il cielo e la terra?", oppure: "Come gli venne l'idea di fare qualcosa, mentre prima non aveva fatto mai nulla?".
Concedi loro, Signore, di riflettere bene a come parlano, e di scoprire che non si parla di un mai là dove non esiste tempo.
Dire: "Non aveva fatto mai nulla", non equivale forse a dire che non aveva fatto nulla in nessun tempo?
Comprendano quindi che non esiste alcun tempo senza creato, e cessino di dire vanità come queste.
Volgano la loro attenzione anche verso le cose che stanno innanzi, e capiscano che tu sei prima di tutti i tempi, eterno creatore di tutti i tempi; che nessun tempo è coeterno con te, come anche nessuna creatura, sebbene ve ne siano di superiori al tempo.
Signore Dio mio quale abisso il tuo profondo segreto, e come me ne hanno gettato lontano le conseguenze dei miei peccati!
Guarisci i miei occhi, e parteciperò alla gioia della tua luce.
Certo, se esistesse uno spirito di scienza e prescienza così potente da conoscere tutto il passato e il futuro come io una canzone delle più conosciute, susciterebbe, questo spirito, meraviglia e quasi sacro terrore, poiché nulla gli sfuggirebbe sia delle età già concluse, sia di quelle che rimangono: come a me che canto non sfugge, sia la parte della canzone già passata dopo l'esordio, sia quella che resta fino alla fine.
Lontana, lontana invece l'idea che, creatore dell'universo, creatore delle anime e dei corpi, tu così conosci tutto il futuro e il passato!
Tu assai, assai più mirabilmente e assai più misteriosamente.
A chi canta o ascolta una canzone conosciuta, l'attesa delle note future e il ricordo delle passate modifica il sentimento e tende il senso.
Nulla di simile accade a te, immutabilmente eterno, ossia davvero eterno creatore delle menti.
Come conoscesti in principio il cielo e la terra senza modificazione della tua conoscenza, così creasti in principio il cielo e la terra senza tensione della tua attività.
Chi lo capisce ti confessi, e anche chi non lo capisce ti confessi.
Oh, quanto sei elevato! Eppure quanti si abbassano in cuore sono la tua casa.
Tu infatti sollevi gli abbattuti, e non cadono quanti hanno in te la loro elevatezza.
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