Il consenso degli Evangelisti |
Parlando di Giovanni, Matteo prosegue così: In quei giorni comparve Giovanni il Battista a predicare nel deserto della Giudea, dicendo: " Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino! ".
Egli è colui che fu annunziato dal profeta Isaia quando disse: " Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! ". ( Mt 3,13 )
Marco e Luca concordano con Matteo nel riferire a Giovanni la testimonianza di Isaia. ( Mc 1,3; Lc 3,4 )
Anzi Luca, parlando proprio di Giovanni Battista aggiunge altre parole, quelle cioè che seguono nel testo del profeta.
L'evangelista Giovanni, viceversa, racconta che fu lo stesso Giovanni Battista a riferire a se stesso la testimonianza di Isaia sopra ricordata, ( Gv 1,23 ) esattamente come fa Matteo il quale riporta a questo punto alcune parole di Giovanni omesse dagli altri evangelisti.
Dice: Mentre predicava nel deserto della Giudea egli diceva: "Convertitevi perché il Regno dei cieli è vicino ", parole non riferite negli altri Vangeli.
Quanto al resto che Matteo aggiunge proseguendo: Questi è colui che fu annunziato dal profeta Isaia quando dice: "Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri ", il passo è ambiguo, né risulta con chiarezza se Matteo riporti tali parole come scritte da se stesso o se ve l'abbia aggiunte riportando ancora parole di Giovanni.
In tale ipotesi sarebbe stato Giovanni a dire tutta la frase: Convertitevi perché il Regno dei cieli è vicino.
Questi è colui che fu annunziato dal profeta Isaia, ecc.
Al riguardo non ci deve sorprendere il fatto che il Precursore non abbia detto: Io sono colui del quale ha parlato il profeta Isaia, ma: Questi è colui che fu annunziato.
Tale modo di esprimersi si trova infatti frequentemente negli evangelisti Matteo e Giovanni.
Ad esempio, dice Matteo: Egli trovò un uomo seduto al banco della gabella, ( Mt 9,9 ) e non: " Trovò me ".
E Giovanni a sua volta: Questi è il discepolo che attesta tali cose e le ha messe in iscritto, e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera. ( Gv 21,24 )
Non dice: " Io sono il discepolo " ecc., né: " La mia testimonianza è vera ".
Parimenti lo stesso nostro Signore spessissimo si denomina Figlio dell'uomo o Figlio di Dio, ( Mt 9,6; Mt 16,27; Mt 17,9; Mc 8,31-38; Gv 5,25 ) e non dice: " Io ".
Confrontare anche il detto: Bisognava che il Cristo soffrisse e risuscitasse il terzo giorno, ( Lc 24,46 ) mentre avrebbe dovuto dire: " Bisognava che io soffrissi ".
Allo stesso modo anche Giovanni Battista, dopo le parole: Convertitevi perché il Regno dei cieli è vicino, poté aggiungere, riferendole a se stesso, le altre: Questi è colui che fu annunziato dal profeta Isaia, ecc.
Riportate queste parole del Battista, Matteo continua la narrazione dicendo: Ora, questo Giovanni indossava una veste fatta con peli di cammello ecc.
Pertanto, se le cose stanno davvero così, non c'è da meravigliarsi che egli, interrogato sull'idea che aveva di se stesso, abbia risposto, come riferisce l'evangelista Giovanni: Io sono la voce di uno che grida nel deserto. ( Gv 1,23 )
La stessa cosa infatti aveva asserito allorché ingiungeva di far penitenza.
Parlando poi delle sue vesti e del suo cibo, Matteo continuando la narrazione dice: Ora questo Giovanni indossava una veste fatta con peli di cammello e attorno ai fianchi aveva una fascia di pelle.
Suo nutrimento erano le locuste e il miele selvatico. ( Mt 3,4 )
La stessa cosa è narrata da Marco e quasi con le stesse parole. ( Mc 1,6 )
Matteo continua dicendo: Allora accorrevano a lui da Gerusalemme, da tutta la Giudea e dalla zona adiacente il Giordano; e, confessando i loro peccati, si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano.
Vedendo però molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: " Razza di vipere! Chi vi ha suggerito di sottrarvi all'ira imminente?
Fate dunque frutti degni di conversione, e non crediate di poter dire fra voi: Abbiamo Abramo per padre.
Vi dico che Dio può far sorgere figli di Abramo da queste pietre.
Già la scure è posta alla radice degli alberi: ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco.
Io vi battezzo con acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più potente di me e io non sono degno neanche di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco.
Egli ha in mano il ventilabro, pulirà la sua aia e raccoglierà il suo grano nel granaio, ma brucerà la pula con un fuoco inestinguibile ". ( Mt 3,5-12 )
Le stesse cose riferisce anche Luca, riportando su per giù le stesse parole di Giovanni; ( Lc 3,7-17 ) e se talvolta ci sono varianti di parole, non esistono divergenze circa il contenuto, che è identico.
Ad esempio, secondo Matteo Giovanni diceva: E non vogliate dire in cuor vostro: "Abbiamo per padre Abramo "; ( Mt 3,9 ) secondo Luca invece: Non cominciate a dire: " Abbiamo per padre Abramo ". ( Lc 3,8 )
E appresso Matteo fa dire a Giovanni: Io vi battezzo nell'acqua per la penitenza, ( Mt 3,11 ) mentre Luca frappone la domanda della gente che chiede cosa avrebbero dovuto fare e la risposta di Giovanni concernente la necessità delle opere buone, quale frutto del ravvedimento: ( Lc 3,16 ) particolare omesso da Matteo.
Successivamente Luca parla di alcuni che in cuor loro pensavano che Giovanni fosse il Cristo e che appunto a questi tali egli disse: Io vi battezzo con acqua, ( Lc 3,16 ) senza però aggiungere: " Per la penitenza ".
Continua Matteo: Colui che verrà dopo di me è più forte di me, che è diverso da Luca, il quale scrive: Viene uno più forte di me. ( Mt 3,11; Lc 3,16 )
E ancora dice Matteo: Io non sono degno di portare i suoi calzari, ( Mt 3,11 ) mentre Luca: Io non sono degno di sciogliere il laccio dei suoi calzari. ( Lc 3,16 )
Quest'ultima espressione riferisce anche Marco, tacendo su tutto il resto.
Descritto infatti il vestito e il nutrimento di Giovanni, Marco aggiunge: Egli predicava dicendo: Dopo di me viene uno più forte di me.
A lui io non sono degno di prostrarmi davanti per sciogliere il laccio dei suoi calzari.
E se io vi ho battezzati nell'acqua, egli vi battezzerà nello Spirito Santo. ( Mc 1,38 )
Riguardo ai calzari dunque Marco si differenzia da Luca per quell'aggiunta del prostrarsi davanti; riguardo poi al battesimo si differenzia dagli altri due perché non dice: " E nel fuoco ", ma semplicemente: Nello Spirito Santo.
Matteo infatti dice: Egli vi battezzerà nello Spirito Santo e nel fuoco, e la stessa cosa e nello stesso ordine riporta Luca, senza però aggiungere la parola Santo là dove Matteo dice: Nello Spirito Santo e nel fuoco.
Con questi tre concorda anche l'evangelista Giovanni, il quale scrive: Giovanni rende a lui testimonianza e grida: " Costui era l'uomo del quale vi avevo detto: Colui che viene dopo di me mi ha sorpassato perché esisteva prima di me ". ( Gv 1,15 )
Scrivendo così, mostra che il Battista disse quelle parole nel momento riferito dagli altri evangelisti e che le ripeté, al fine di richiamarle alla memoria, quando disse: Costui era l'uomo del quale vi avevo detto: Colui che viene dopo di me.
12.27 Ma ci si può, al riguardo, chiedere quali parole abbia pronunziato realmente Giovanni Battista: se quelle riferite da Matteo o quelle riferite da Luca o magari quelle poche che Marco, tralasciando il resto, scrive essere state dette da lui.
Su tale ricerca non è proprio il caso di affaticarci: la valutazione è ben nota ad ogni ricercatore saggio, che si renda conto del fatto che per conoscere il vero senso di un detto è da prendersi in considerazione l'affermazione in sé, qualunque siano le parole con cui la si manifesta.
Se uno scrittore, ad esempio, segue un ordine diverso da quello seguito da un altro nel riportare certe parole, non per questo è in contrapposizione con lui.
Né gli è contrario chi riferisce un particolare che l'altro omette.
È chiaro infatti che gli evangelisti hanno descritto le cose come ciascuno ricordava o come a ciascuno stavano a cuore.
Si sono avute così narrazioni più brevi o più lunghe, ma nelle une e nelle altre essi hanno voluto sempre esprimere lo stesso contenuto.
12.28 Da qui emerge una constatazione importantissima, specie in questa nostra materia, ed è questa: la verità evangelica è stata a noi comunicata dal Verbo di Dio, che rimane eterno e immutabile al di sopra di ogni creatura, mediante l'opera di creature umane e attraverso segni e lingue umane.
Questa comunicazione ha raggiunto nel Vangelo il più alto vertice dell'autorevolezza.
Non dobbiamo pertanto credere che l'uno o l'altro degli evangelisti abbia mentito se la stessa cosa, o udita o vista da parecchi e da costoro mandata a memoria, sia stata poi esposta in modo diverso e con parole diverse, purché la cosa sia rimasta veramente la stessa.
Così è ad esempio, quando si inverte l'ordine delle parole o si pone un vocabolo al posto di un altro che abbia lo stesso significato.
Ugualmente quando di una cosa che il narratore non ricorda o che può essere desunta dal contesto si dice meno.
Può anche darsi che uno scrittore, essendosi prefisso di raccontare più diffusamente certe cose, per avere uno spazio sufficiente a raggiungere il suo intento decida di non sviluppare completamente una qualche parte ma solo toccarla di traverso.
E se a lui era stata data l'autorità di narratore [ sacro ], egli poté anche aggiungere qualcosa, certo non alla sostanza ma all'espressione verbale, al fine di rendere più chiara ed esplicita l'idea.
Egli inoltre poté ricordare con precisione la sostanza dei fatti ma non riuscire poi, nonostante i suoi sforzi, ad esporre integralmente le parole che aveva udite e conservate nella memoria.
Qualcuno potrebbe obiettare: Almeno agli evangelisti lo Spirito Santo con la sua potenza avrebbe dovuto concedere la grazia di non diversificarsi fra loro nella scelta delle parole, nel loro ordine e numero.
Chi ragiona così non comprende quale sia la funzione degli evangelisti, la cui autorità, quanto più è superiore a qualsiasi altra, tanto più vale a dar sicurezza a tutti coloro che nella Chiesa predicano la verità.
Se questi predicatori, pur volendo narrare in parecchi la stessa verità, differiscono l'uno dall'altro nel presentarla, a nessuno di loro si potrà con fondatezza rimproverare d'averla falsificata quando egli a sua difesa può addurre l'esempio degli evangelisti che antecedentemente hanno fatto la stessa cosa.
Se infatti non è lecito né pensare né dire che qualcuno degli evangelisti abbia mentito, sarà anche evidente che non è un falsario colui che, riferendo le cose a memoria, sarà incorso in una di quelle mende che si riscontrano anche nei Vangeli.
E siccome evitare la falsità rientra in maniera tutta speciale nelle norme della buona condotta, essi dovevano proprio per questo essere sostenuti da un'autorità che supera tutte le altre: di modo che, trovando nei diversi racconti elementi diversi l'uno dall'altro, mai avessimo a pensare a falsificazioni della verità, dal momento che le stesse variazioni le troviamo fra un evangelista e l'altro.
E poi c'è una constatazione che rientra quant'altre mai nel cuore della dottrina cristiana, ed è questa: noi dobbiamo renderci conto che la verità non è da ricercarsi o collocarsi nelle parole ma nella realtà delle cose, e pertanto noi riconosciamo essere rimasti fedeli alla verità, sempre identica, tutti coloro che, sebbene non usino le stesse parole, non sono in contrasto nel riferire i fatti e le affermazioni riguardanti il contenuto.
12.29 Orbene, nei brani evangelici che ho proposto confrontandoli l'uno con l'altro cosa riterremo essere incompossibile?
Forse l'aver un evangelista detto: A lui io non sono degno di portare i calzari, ( Mt 3,11 ) mentre un altro: Di sciogliere il laccio dei calzari? ( Lc 1,7; Lc 3,16; Gv 1,27 )
In effetti, portare i calzari e sciogliere il laccio dei calzari a prima vista sembrano espressioni che si diversificano non solo per i termini o per l'ordine delle parole o per la forma del dire ma anche per il contenuto.
Al riguardo si può certo indagare cosa in realtà abbia detto Giovanni e di che cosa si ritenesse indegno: se di portare i calzari o di sciogliere il laccio dei calzari.
Se infatti egli pronunciò una di queste frasi, si dovrà concludere - così almeno sembra - che abbia detto il vero colui che fu in grado di riferire ciò che egli effettivamente disse; quanto invece all'altro, si potrà ritenere che, se ha riferito una cosa per un'altra, ciò facendo non ha mentito ma, ovviamente, è incorso in una dimenticanza.
È tuttavia conveniente escludere nei racconti evangelici ogni sorta di falsità: non solo quindi quella che si commette mentendo ma anche quella che consiste nel dimenticare una cosa.
E allora, se rientra davvero nella sostanza delle cose intendere in un senso le parole portare i calzari e sciogliere il laccio dei calzari in un altro, cosa pensi si dovrà concludere, per essere nella verità?
Credo non resti altro che dire aver Giovanni usato l'una e l'altra espressione o in tempi diversi o una dopo l'altra.
Ad esempio, egli poté dire così: A lui io non sono degno di sciogliere il laccio dei calzari e nemmeno di portare i suoi calzari.
In questa ipotesi un evangelista prese una parte dell'affermazione mentre gli altri ne presero un'altra, ma tutti narrarono la verità.
Ma Giovanni parlando dei calzari del Signore, poté intendere questo soltanto: inculcarci la dignità eminente di Gesù e il suo abbassamento.
In tal caso, qualunque cosa abbia egli detto, tanto cioè sciogliere il laccio dei calzari quanto portare i calzari, ha colto il vero senso della sua espressione - in questa ipotesi, identica - chiunque nel riferimento ai calzari riportato con parole proprie ha saputo vedere inculcata la nota dell'umiltà, significata appunto dai calzari.
In tal modo nessuno dei narratori ha deviato da ciò che Giovanni intendeva asserire.
Quando dunque si parla dell'accordo fra gli evangelisti occorre tener presente questo procedimento, che è utile e occorre imparare a memoria: non esiste menzogna quando uno narra una cosa in termini alquanto diversi da quelli con cui si espresse colui del quale sono riportate le parole, purché il narratore sia fedele nell'esporre le stesse cose che intendeva tramandarci colui che pronunciò le parole riportate.
In questo modo ci si fa conoscere, a nostra salvezza, che non è da ricercarsi altro all'infuori di quello che intende dire colui che parla.
Matteo prosegue dicendo: In quel tempo Gesù dalla Galilea andò al Giordano da Giovanni per farsi battezzare da lui.
Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: " Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me? ".
Ma Gesù gli disse: " Lascia fare per ora, poiché conviene che così adempiamo ogni giustizia ". Allora Giovanni acconsentì. ( Mt 3,13-15 )
Gli altri evangelisti riferiscono che Gesù si recò da Giovanni e che fu da lui battezzato, ( Mc 1,9; Lc 3,21; Gv 1,32-34 ) ma non dicono niente di quel che, secondo Matteo, Giovanni disse al Signore né della risposta che questi gli diede.
Continua Matteo: Appena battezzato, Gesù uscì dall'acqua: ed ecco, si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui.
Ed ecco una voce dal cielo che disse: " Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto ". ( Mt 3,16-17 )
La stessa cosa narrano gli altri due, cioè Marco e Luca, e nello stesso modo. ( Mc 1,10-11; Lc 3,22 )
Tuttavia riguardo alle parole della voce celeste variano nella dicitura, pur lasciando inalterata l'identità del contenuto.
E se Matteo riferisce che la voce disse: Questi è il mio Figlio diletto, mentre gli altri due: Tu sei il mio Figlio diletto, ( Mc 1,11; Lc 3,22 ) ciò serve a rendere più esplicito il senso della frase, come ho già precedentemente esposto, ma la frase non è mutata.
Di queste due espressioni la voce celeste ne disse certamente una sola, ma stava a cuore all'evangelista mostrarci che ambedue si equivalgono; e se fu detto: Questi è il mio Figlio, lo si disse per indicare agli uditori che quel tale era il Figlio di Dio, e per questo motivo un altro evangelista preferì le parole: Tu sei mio Figlio, intendendole nel senso che ai presenti si diceva: Questi è il mio Figlio.
Non si voleva dunque inculcare a Cristo una cosa che lui certo sapeva, ma è detto così perché così udirono i presenti, per i quali era effettivamente venuta la voce.
Lo stesso vale per quel che segue. Dice un evangelista: Nel quale mi sono compiaciuto; un altro: In te io sono compiaciuto, un terzo: In te mi sono compiaciuto.
Se vuoi indagare quali siano state le precise parole uscite da quella voce, scegli quelle che ti pare, purché ritenga che gli evangelisti, sebbene non abbiano riferito alla lettera le parole usate, abbiano riferito il senso della frase, identico in tutte le narrazioni.
Anzi, io direi che già in se stessa questa diversità di espressione è utile, in quanto impedisce che la cosa sia compresa in maniera inadeguata e interpretata in senso diverso da come realmente si verificò: inconvenienti che potrebbero accadere se la si trovasse narrata in un unico modo.
Poniamo infatti che la voce abbia detto: Nel quale mi sono compiaciuto.
Chi volesse intendere la frase nel senso che Dio abbia trovato nel Figlio le sue compiacenze è richiamato ad una diversa accezione dal testo che dice: In te sono compiaciuto.
Se viceversa un altro, fermandosi su quest'unico testo, volesse intendere che nel Figlio il Padre ha voluto rendersi accetto agli uomini, è richiamato dal testo che dice: In te ho posto le mie compiacenze.
Da cui scaturisce questa conclusione: uno degli evangelisti, chiunque sia stato, ha riportato alla lettera le parole della voce celeste; gli altri le hanno modificate, volendo con ciò spiegare e rendere più accessibile il loro significato.
Dovrà dunque ritenersi che tutti hanno inteso suggerirci di prendere tali parole come equivalenti a: " In te ho collocato la mia compiacenza ", o anche: " Io per tuo mezzo compio quel che è di mio gradimento ".
Quanto poi al testo di Luca riportato da alcuni codici, nei quali la voce dal cielo si sarebbe espressa citando le parole del Salmo che dice: Tu sei il mio Figlio, oggi io ti ho generato, ( Sal 2,7; Lc 3,22 ) a quel che ci si tramanda, tale richiamo non si trova nei codici greci più antichi.
Tuttavia, se ci fossero esemplari attendibili, anche se pochi di numero, che lo confermassero, quale lezione bisognerà preferire se non quella che accetta le due espressioni, qualunque sia stato l'ordine delle parole quando risuonarono dalla voce celeste?
Per quanto è detto nel Vangelo di Giovanni circa la colomba notiamo che egli non racconta il fatto collocandolo nel momento che accadde ma vengono riferite le parole di Giovanni Battista e com'egli narrava la visione avuta.
Al riguardo ci si chiede come egli abbia potuto dire: Io veramente non lo conoscevo ma colui che mi aveva mandato a battezzare con acqua mi aveva detto: Colui sul quale vedrai scendere lo Spirito e fermarsi su di lui, egli è colui che battezza nello Spirito Santo. ( Gv 1,33 )
Se infatti lo conobbe quando vide la colomba scendere su di lui, fan problema le parole che egli disse a Gesù mentre veniva a farsi battezzare: Sono io che debbo essere battezzato da te, ( Mt 3,14 ) parole dette, come risulta, prima che si posasse su di lui la colomba.
Dal racconto si può pertanto ricavare questa conclusione assai evidente: Giovanni lo conosceva già prima, tant'è vero che, quando Maria andò da Elisabetta, ( Lc 1,41 ) egli balzò in grembo a sua madre, ma con la discesa della colomba apprese in lui un qualcosa che ancora non conosceva.
Apprese cioè che egli battezzava nello Spirito Santo e questo faceva con un potere divino a lui proprio ed esclusivo: con la conseguenza che nessun uomo il quale dopo essere stato battezzato da Dio si fosse messo a battezzare, avrebbe potuto dire che conferiva un suo proprio dono né che era lui a dare lo Spirito Santo.
Matteo prosegue dicendo: Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo.
E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame.
Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: " Se sei Figlio di Dio, di' che questi sassi diventino pane ".
Ma egli rispose: " Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio ", ( Dt 8,3 ) ecc. fino alle parole: Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco gli angeli gli si accostarono e lo servivano. ( Mt 4, 1-5.11 )
Tutto questo è riferito in maniera quasi uguale da Luca, ( Lc 4,1-13 ) ma l'ordine non è lo stesso, per cui rimane incerto cosa sia accaduto prima e cosa dopo: se cioè prima siano stati presentati a Gesù i regni della terra e dopo sia stato elevato sul pinnacolo del tempio o viceversa.
La cosa in effetti non tocca la sostanza del racconto, purché si ritenga, come è chiaro, che si tratti di cose realmente avvenute; e se Luca volle presentare con parole diverse lo stesso pensiero, non occorre che stiamo sempre a ricordare come questo non lede affatto la verità.
Quanto a Marco, egli segnala che Gesù nel deserto fu tentato dal diavolo per quaranta giorni e quaranta notti ( Mc 1,12-13 ) ma non riferisce cosa gli fu proposto e cosa egli replicò.
Marco inoltre non ha tralasciato il particolare degli angeli che servivano il Signore omesso da Luca.
Di tutto l'episodio nulla in Giovanni.
Il racconto di Matteo prosegue: Avendo udito che Giovanni era stato arrestato, si ritirò in Galilea. ( Mt 4,12 )
La stessa cosa riferiscono Marco e Luca, ( Mc 1,14; Lc 4,14 ) sebbene Luca a questo punto non dica nulla dell'arresto di Giovanni.
Quanto al Vangelo di Giovanni vi sono riportati i seguenti episodi: prima che Gesù andasse in Galilea restò Pietro, che era insieme ad Andrea, un giorno con lui, e in quell'occasione Gesù gli impose il nome di Pietro, mentre prima si chiamava Simone.
L'indomani, volendo partire per la Galilea, incontrò Filippo e l'invitò a seguirlo.
Subito dopo è narrata la vocazione di Natanaele.
Tre giorni dopo Gesù è in Galilea e a Cana compie il miracolo del cambiamento dell'acqua in vino. ( Gv 1, 39-2,11 )
Tutti questi episodi gli altri evangelisti li hanno omessi, limitandosi a dire in forma compendiosa che Gesù tornò in Galilea.
Ci si lascia intendere quindi che dovettero trascorrere alcuni giorni, nei quali appunto avvennero gli incontri con i discepoli, che Giovanni inserisce in questo punto della narrazione.
Né il racconto del quarto Vangelo è in contrasto con quanto narra Matteo sull'occasione in cui Gesù disse a Pietro: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa. ( Mt 16,18 )
Non si deve infatti interpretare il testo nel senso che Pietro abbia ricevuto allora per la prima volta questo nome ma che l'aveva ricevuto quando, come riferisce Giovanni, gli fu detto: Ti chiamerai Cefa, che significa Pietro. ( Gv 1,42 )
In seguito a questo intervento, il Signore poté chiamarlo col nome che era già suo e dirgli: Tu sei Pietro.
Non gli disse infatti allora: " Tu ti chiamerai Pietro ", ma: Tu sei Pietro, in conformità con quanto gli aveva detto prima, che cioè si sarebbe chiamato Pietro.
17.35 Matteo continua il racconto in questo modo: Lasciata la città di Nazareth, venne ad abitare in Cafarnao marittima nel territorio di Zabulon e di Neftali ( Mt 4,13 ) ecc., fino al termine del discorso tenuto sul monte. ( Mt 4, 14-7,29 )
Nello svolgimento della narrazione gli si conforma Marco parlando della chiamata dei discepoli Pietro e Andrea e, un po' dopo, di Giacomo e Giovanni. ( Mc 1,16-31 )
Tuttavia, siccome Matteo passa immediatamente a raccontare quel lungo discorso che il Signore tenne sul monte dopo che ebbe guarito un gran numero di malati, per cui molte folle lo seguivano, ( Mt 5,1-48; Mt 6,1-34; Mt 7,1-29 ) Marco inserisce qui altri particolari: che, cioè, egli insegnava loro nella sinagoga, che essi erano stupiti della sua sapienza, ( Mc 1,16-22 ) e che li istruiva come uno che ha potere e non come gli scribi: ( Mt 7,29; Mc 1,22 ) rilievo che troviamo anche in Matteo alla fine del lungo discorso da lui riferito.
Marco racconta anche di quell'uomo da cui fu cacciato lo spirito immondo e l'episodio della suocera di Pietro. ( Mc 1,23-31 )
In questi racconti Luca concorda con Marco, ( Lc 4,31-39 ) invece Matteo non dice nulla di questo demonio, mentre della suocera di Pietro parla non qui ma più avanti. ( Mt 8,14-15 )
17.36 Al punto che stiamo esaminando Matteo, descritta la chiamata dei discepoli, ai quali ingiunge di seguirlo mentre stavano a pescare, riferisce che Gesù andava in giro per la Galilea insegnando nelle sinagoghe, predicando il Vangelo e guarendo ogni sorta di malattie.
Essendosi radunate attorno a lui numerose folle, egli salì sul monte e pronunziò quel lungo discorso. ( Mt 4,23-25; Mt 5,1 )
Egli pertanto lascia adito sufficiente per farci supporre che proprio in quel periodo accaddero i fatti narrati da Marco dopo l'elezione dei discepoli, quando egli percorreva la Galilea e insegnava nelle loro sinagoghe; e questo vale anche per l'episodio della suocera di Pietro. ( Mc 1,16-31 )
Intenzionalmente Matteo riferisce più tardi ciò che sa d'aver omesso, sebbene non di tutti gli avvenimenti tralasciati egli faccia memoria nel suo racconto.
17.37 Può certamente destare meraviglia quanto riferisce Giovanni e cioè che a seguire il Signore il primo fu Andrea, insieme con un altro di cui si tace il nome, e che il fatto accadde non in Galilea ma presso il Giordano.
Subito dopo ci si narra di Pietro che dal Signore riceve appunto questo nome e, in terzo luogo, di Filippo che viene chiamato a seguirlo. ( Gv 1, 35.44 )
Al contrario gli altri tre evangelisti, e specialmente Matteo e Marco, raccontano in maniera abbastanza uniforme che quei discepoli furono chiamati durante la pesca. ( Mt 4,18; Mc 1,16 )
È vero che Luca non parla di Andrea, sebbene anch'egli, secondo quanto raccontano Matteo e Marco in una descrizione certo riassuntiva del fatto, doveva trovarsi nella stessa barca degli altri.
Nei particolari della chiamata Luca si diffonde di più ed è più esplicito: ricorda il miracolo della pesca miracolosa e come dalla barca il Signore aveva antecedentemente parlato alle turbe. ( Lc 5,1-11 )
Sembra inoltre piuttosto diverso il particolare riferito da Luca, secondo il quale il Signore solo a Pietro disse: D'ora in poi sarai pescatore di uomini, ( Lc 5,10 ) poiché secondo gli altri due evangelisti tali parole furono rivolte a tutt'e due i fratelli.
In effetti, quanto riportato da Luca poté essere detto [ da Gesù ] in un primo momento al solo Pietro, stupefatto per la gran quantità di pesci che avevano pescato, e quel che riportano gli altri due evangelisti a tutti e due i fratelli.
Quanto al rilievo che facevamo sul racconto di Giovanni, esso merita un'indagine molto accurata.
Vi si può riscontrare infatti un'opposizione non piccola, essendo fra i due racconti diversità notevole di luogo, di tempo e di modalità nella stessa chiamata.
I due discepoli infatti, uno dei quali era Andrea, seguirono Gesù presso il Giordano, prima che egli si recasse in Galilea, e lo seguirono per la testimonianza di Giovanni Battista.
Andrea condusse immediatamente a Gesù suo fratello Simone, il quale in quell'occasione ricevette il nome di Pietro.
Come può allora dirsi dagli altri evangelisti che Gesù li trovò a pescare in Galilea e li chiamò al suo seguito?
Occorrerà intendere il testo [ di Giovanni ] nel senso che i discepoli presso il Giordano videro il Signore senza però decidersi a seguirlo definitivamente: si resero solamente conto di chi egli fosse e pieni di ammirazione se ne tornarono alle loro case.
17.38 Lo si può ricavare anche da quel che dice appresso lo stesso Giovanni: i suoi discepoli credettero in lui a Cana di Galilea dopo che Gesù ebbe trasformato l'acqua in vino.
Ecco il testo: Tre giorni dopo ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c'era la madre di Gesù.
Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli . ( Gv 2,1-2 )
Ora fu in quell'occasione - come ci informa più avanti l'evangelista - che i discepoli credettero in lui, significandoci con questo che, quando vennero invitati alle nozze, non erano ancora discepoli.
Si tratta pertanto di un modo d'esprimersi che anche noi usiamo: ad esempio, quando diciamo che l'apostolo Paolo nacque a Tarso di Cilicia, ( At 22,3 ) e certamente allora non era un apostolo.
Allo stesso modo quando ci si dice che alle nozze furono invitati i discepoli di Cristo non dobbiamo pensare che fossero già discepoli ma che erano quelli che sarebbero diventati discepoli.
E, in realtà, quando questi episodi venivano raccontati e messi in iscritto essi erano certamente discepoli di Cristo e come tali, in veste di storico, ce li presenta l'autore sacro.
17.39 Una parola ancora su Giovanni, che scrive: Dopo ciò, Gesù scese a Cafarnao con sua madre, i suoi fratelli e i suoi discepoli e vi si fermarono non molti giorni. ( Gv 2,12 )
È incerto se al suo seguito ci fossero già fin da allora Pietro e Andrea e i figli di Zebedeo.
Difatti Matteo racconta che prima venne a Cafarnao e vi si stabilì e poi che chiamò i discepoli mentre erano sulle barche intenti a pescare. ( Mt 4,13-19 )
Giovanni viceversa afferma che essi erano con lui quando venne a Cafarnao.
Che dire? Che Matteo abbia riepilogato in una frase tutto quello che aveva omesso?
Egli infatti non scrive: " Dopo ciò, mentre camminava presso il mare di Galilea, vide due fratelli ", ma senza precisare l'ordine cronologico, scrive: Mentre camminava presso il mare di Galilea vide due fratelli, ( Mt 4,18 ) ecc.
Può darsi, dunque, che egli abbia riportato in un secondo tempo non ciò che accadde effettivamente in epoca posteriore ma ciò che prima aveva omesso di raccontare, consentendoci in tal modo di pensare che i discepoli vennero a Cafarnao quando, al dire di Giovanni, vi andò lui con sua madre e i suoi discepoli.
O non si tratta, forse, di altri discepoli? Ad esempio, già lo seguiva Filippo, da lui chiamato con la parola: Seguimi. ( Lc 1,45 )
In quale ordine infatti siano stati chiamati tutti e dodici gli Apostoli non risulta chiaro dai Vangeli; si noti anzi che non solo la successione delle chiamate ma nemmeno la chiamata stessa di tutti e dodici è in essi riferita.
Si ricorda solo quella di Filippo, di Pietro e Andrea, dei figli di Zebedeo e di Matteo, il pubblicano chiamato anche Levi. ( Mt 4,18-22; Mc 1,10; Lc 5,1-11; Gv 1,35 )
In rapporto al nome, il primo e l'unico a riceverlo singolarmente fu Pietro; ( Gv 1,42 ) i figli di Zebedeo ebbero anch'essi il nome di "figli del tuono ", non però singolarmente ma come comprendente entrambi. ( Mc 3,17 )
17.40. A questo punto è doveroso notare che i Vangeli e gli scritti apostolici chiamano discepoli di Gesù non soltanto i Dodici ma tutti coloro che, credendo in lui, lo riconoscevano come Maestro e ne accettavano la dottrina che conduce al Regno dei cieli.
Fra costoro, che erano in molti, ne scelse dodici, cui impose il nome di Apostoli, come riferisce Luca. ( Lc 6,13-16 )
Costui infatti poco dopo scrive: Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante.
C'era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente. ( Lc 6,17 )
Non potrebbe certo parlare di stuolo di discepoli se si fosse trattato solo di dodici persone.
Né mancano nelle Scritture altri passi da cui risulta con evidenza che il nome di " discepolo " del Signore è dato a tutti coloro che da lui erano ammaestrati nelle cose riguardanti la vita eterna.
17.41 Giova anche ricercare in che senso il Signore, al dire di Matteo e di Marco, abbia chiamato i discepoli mentre pescavano e li abbia chiamati a due a due: prima Pietro e Andrea e poi, fatta un po' di strada, i due figli di Zebedeo.
Luca infatti parla di due barche stracolme per l'abbondante pesca che avevano fatta e presenta Giacomo e Giovanni figli di Zebedeo come compagni di Pietro, sottolineando che essi furono chiamati a venire in loro aiuto poiché non riuscivano a tirare a riva le reti piene di pesci.
Insieme con loro restarono anch'essi sbalorditi per la gran quantità di pesci che avevano preso e, sebbene al solo Pietro fosse stato detto: Non temere! D'ora innanzi sarai pescatore di uomini, ( Lc 5,10 ) il testo lucano prosegue col dire che tutti i presenti, tirate le barche all'asciutto, si misero al suo seguito.
Dobbiamo quindi ritenere che in un primo momento dovettero accadere gli eventi a cui fa cenno Luca: con la conseguenza che gli Apostoli non furono chiamati in quella circostanza ma allora fu solamente predetta a Pietro la sua missione di pescatore di uomini.
E tale predizione gli fu fatta non nel senso che egli mai più in seguito sarebbe tornato a pescare i pesci, cosa in contrasto con quanto leggiamo riguardo ai discepoli, i quali dopo la risurrezione del Signore tornarono a pescare. ( Gv 21,3 )
Se dunque gli fu detto che da quel momento sarebbe stato pescatore di uomini, ciò non vuol dire che non avrebbe più dovuto pescare i pesci.
Ci è pertanto consentito supporre che gli Apostoli tornarono alla loro vita normale di pescatori e solo più tardi avvennero i fatti narrati da Matteo e Marco: che cioè il Signore li chiamò a due a due e impartì loro l'ordine di seguirlo, prima a Pietro e Andrea e poi ai due figli di Zebedeo.
In quel giorno essi lo seguirono senza nemmeno trascinare a riva le barche, come chi fosse preoccupato di ritornare, ma ponendosi al seguito di colui che li chiamava imponendo una sequela.
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