La Continenza |
Ci sono dunque in noi dei desideri cattivi, ai quali, se non consentiamo, non viviamo malamente.
Ci sono delle voglie peccaminose, alle quali, finché non diamo retta, non commettiamo il male; ma pure, per il solo fatto d'averle non raggiungiamo la perfezione del bene.
L'Apostolo precisa le due cose: che non si è perfetti nel bene finché esistono in noi desideri di male; che non si commette il male finché si resiste a tali desideri.
La prima cosa, la sottolinea là dove dice: Mi riesce di volere il bene, ma non di realizzarlo in pieno; ( Rm 7,18 ) la seconda, in quell'altro passo: Camminate secondo lo spirito, e non traducete in atto le voglie della carne. ( Gal 5,16 )
Non dice, in quel primo passo, che non gli riesce di fare il bene ma di realizzarlo in pieno.
Né in quell'altro proibisce di avere le passioni carnali, ma di attuarle con opere.
Le passioni cattive agiscono in noi tutte le volte che esperimentiamo un piacere per cose illecite, ma non si traducono in atto se la mente, al servizio della legge di Dio, riesce a frenare questi appetiti disordinati.
E così anche il bene: lo si compie, in qualche modo, tutte le volte che, docili all'attrattiva del bene, neghiamo il consenso al piacere sregolato.
La perfezione del bene, tuttavia, non la si raggiunge finché la carne rimane al servizio del peccato, si lascia lusingare dal piacere disordinato, e, sebbene tenuta a freno, tuttavia si muove verso l'illecito.
Non ci sarebbe infatti bisogno di frenarla se non si muovesse.
Verrà una buona volta questa perfezione del bene, e allora sarà abolito ogni male.
Quello sarà sommo; questo totalmente scomparso.
Ma queste cose, se ce le aspettiamo per la vita presente e mortale, ci inganniamo: saranno per quando non ci sarà più la morte e, quanto al luogo, saranno là dove la vita sarà eterna.
Difatti in quell'eternità e in quel regno il bene sarà assoluto e il male non esisterà in alcun modo.
E sarà, allora, sommo l'amore per la sapienza, e non ci sarà più il dovere penoso della continenza.
Non è dunque cattiva la nostra carne; basta che sia sottratta al potere del male, cioè ai vizi che hanno deteriorato l'uomo: il quale non fu creato malamente ma si causò il proprio male.
Per l'un elemento e per l'altro, cioè quanto all'anima e quanto al corpo, l'uomo fu creato buono e da un Dio buono; fu lui stesso a rendersi cattivo commettendo il male.
E sebbene mediante il perdono sia stato già liberato dal reato della colpa originale, gli resta tuttavia da lottare mediante la continenza contro i suoi vizi, perché si convinca che non fu colpa leggera quella che commise.
Quanto poi a coloro che regnano nella pace che ha da venire, impossibile pensare che abbiano a lottare coi vizi.
Non potrebbe essere altrimenti, poiché, nella guerra che quaggiù si combatte dai proficienti, ogni giorno si riducono non solo i peccati ma anche le passioni sregolate.
E la lotta sta proprio nel negare loro il consenso, mentre si commette peccato quando loro si consente.
Se dunque la carne nutre desideri contrari a quelli dello spirito, se nella nostra carne non risiede il bene, se nelle nostre membra c'è una legge che si oppone alla legge della ragione, non dipende dal fatto che è avvenuta in noi una mescolanza di due nature originate da principi contrari.
Si tratta piuttosto di una frattura e di un conflitto dell'unica natura contro se stessa, causati dal peccato.
Difatti noi non eravamo così in Adamo prima che la natura, prestando ascolto e seguendo i suggerimenti del nemico ingannatore, avesse disprezzato e offeso il suo Creatore.
Non è questa la vita che l'uomo condusse in principio quando fu creato, ma una punizione che successivamente fu inflitta al peccatore.
Da questa condanna si è stati liberati mediante la grazia di Gesù Cristo e si è divenuti liberi.
Tuttavia bisogna lottare contro la punizione inflittaci, non essendo ancora completa la salute ma avendone ricevuto soltanto una caparra.
Quanto a quelli, poi, che non sono stati liberati, sono rei di peccato e soggetti al castigo.
Dopo la vita presente, ai colpevoli è riservata, per la colpa, una pena che durerà in eterno.
Chi invece avrà conseguito la libertà sarà per sempre esente e dalla colpa e dalla pena.
Comunque esisteranno per tutta l'eternità le due sostanze, in sé buone, lo spirito e la carne: sostanze che Dio, buono e immutabile, aveva creato buone, per quanto soggette a mutamenti.
Resteranno per sempre, cambiate in meglio, né mai più suscettibili di decadere in peggio.
Ogni male sarà eliminato, tanto quello che l'uomo aveva commesso per sua colpa, tanto quello che aveva subìto per giusto castigo.
Scomparse totalmente queste due sorte di mali, e quella della colpa, che precede, e l'altra dell'infelicità, che consegue, la volontà dell'uomo godrà di perfetta rettitudine, né sarà viziata da sbandamenti.
Sarà chiaro ed evidente a tutti ciò che adesso la maggior parte dei fedeli ammette per fede e solo pochi comprendono: cioè che il male non è una sostanza.
Esso cominciò ad esistere a causa di una infrazione originaria in una natura che per sua colpa si era viziata; e fu come una piaga aperta nel corpo.
Cesserà di esistere quando la salute sarà perfetta.
Quando dunque tutto il male che ha avuto origine da noi sarà stato eliminato da noi, quando il bene sarà aumentato in noi fino a divenire perfetto e raggiungere il vertice dell'incorruzione, dell'immortalità e della felicità, in che condizione si troverà allora la nostra duplice sostanza?
Anche adesso, infatti, pur nella condizione di esseri corruttibili e mortali, quando ancora il corpo corruttibile appesantisce l'anima ( Sap 9,15 ) e, come si esprime l'Apostolo, quando il corpo è preda di morte a causa del peccato, ( Rm 8,10 ) tuttavia vale la testimonianza che egli dà alla nostra carne - cioè alla nostra parte infima e terrena - quando dice ( come sopra ricordato ) che nessuno ha mai avuto odio per la sua carne.
E soggiunge: ma la nutre e ne ha cura, come Cristo fa con la Chiesa. ( Ef 5,29 )
Quale, dunque, non è mai l'accecamento - che dico? -, l'insania dei manichei, che fanno derivare la nostra carne da non so quale favolosa genia, che avrebbe avuto da sempre, cioè al di là di ogni inizio, una natura cattiva!
Contro di loro un autorevole maestro di verità esorta i mariti ad amare le proprie mogli come la propria carne, e corrobora l'esortazione con l'esempio di Cristo e della Chiesa.
È opportuno riferire per intero il passo dell'epistola di san Paolo poiché è molto pertinente al nostro tema.
Dice: Voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa ed ha sacrificato se stesso per lei, per santificarla, purificandola col lavacro dell'acqua in forza della parola, affinché egli potesse presentare a se stesso gloriosa la Chiesa, senza macchia o ruga o altro di simile, ma perché fosse santa ed immacolata.
Così - diceva - i mariti devono amare le loro mogli, come i loro propri corpi.
Chi ama la propria moglie, ama se stesso. ( Ef 5,25-28 )
E subito dopo soggiunge le parole che abbiamo citato: Nessuno infatti ha mai odiato la propria carne, ma la nutre e ne ha cura, come fa Cristo con la Chiesa. ( Ef 5,29 )
Cosa insegna, di fronte a questo, la pazzia di questa sporca ed empia setta?
Cosa insegnate, o manichei, di fronte a queste dottrine?
Voi cercate di cacciare in noi due sostanze eterne, una del bene e una del male, e ciò lo ricavereste, o quasi, dalle lettere degli Apostoli!
Perché allora ricusate d'ascoltare le stesse lettere degli Apostoli, quando vi obbligano a ritrattare la vostra sacrilega aberrazione?
Come infatti leggete: La carne ha delle brame contrarie a quelle dello spirito ( Gal 5,17 ) e: Nella mia carne non ha dimora il bene, ( Rm 7,18 ) così leggete: Nessuno ha mai avuto in odio la propria carne, ma la nutre e la protegge, come fa Cristo con la Chiesa. ( Ef 5,29 )
Come leggete: Vedo nelle mie membra un'altra legge, in contrasto con la legge della mia ragione, ( Rm 7,23 ) così anche leggete: Come Cristo amò la Chiesa, così anche i mariti debbono amare le proprie mogli, come il proprio corpo. ( Ef 5, 25.28 )
Non dovete cavillare sul senso delle prime testimonianze, né chiudere gli orecchi alle seconde: in tal modo le une e le altre vi gioveranno a ravvedimento.
Se infatti intenderete come si conviene le seconde, riuscirete mediante lo sforzo a capire nel vero senso anche le prime.
L'Apostolo ci invita ad osservare tre coppie ( se si possono chiamare così ): Cristo e la Chiesa, il marito e la moglie, lo spirito e la carne.
In ogni coppia, il primo nominato provvede al bene del secondo; il secondo sta soggetto al primo.
Tutti sono buoni, purché fra loro rispettino a dovere l'ordine e l'armonia: gli uni nel presiedere con dignità, gli altri nello stare soggetti con decoro.
Quanto al marito e alla moglie, e come debbano comportarsi l'uno con l'altra, si danno loro il precetto e l'esempio.
Ecco il precetto: Le mogli siano soggette al proprio marito, come al Signore, perché l'uomo è il capo della donna; ( Ef 5,22-23 ) e, analogamente: Mariti, amate le vostre mogli. ( Ef 5,25 )
L'esempio poi viene tratto, per le mogli, dalla Chiesa; per i mariti, da Cristo.
Dice: Come la Chiesa è soggetta a Cristo, così anche le mogli al proprio marito, in tutte le cose. ( Ef 5,24 )
Parimenti, avendo dato ai mariti l'ordine di amare le proprie mogli, ne aggiunge anche il paragone: Come Cristo ha amato la Chiesa. ( Ef 5,25 )
Quanto ai mariti, per esortarli volle prendere lo spunto anche da una realtà inferiore, qual è il loro corpo, e non soltanto da una realtà superiore, cioè dal loro Signore.
Non disse infatti solamente: Mariti, amate le vostre mogli come Cristo ha amato la Chiesa - esemplificando da un essere superiore -, ma disse: I mariti debbono amare le proprie mogli come il proprio corpo, ( Ef 5,28 ) esemplificando da un oggetto inferiore.
Tanto è vero che gli esseri, superiori o inferiori, sono tutti buoni.
Alla donna non fu presentato l'esempio del corpo o della carne, perché fosse soggetta al marito come la carne è soggetta allo spirito.
Forse l'Apostolo volle lasciare a noi il compito di trarre la conseguenza che egli aveva omesso; o, forse, non credette opportuno prendere lui stesso dalla carne l'esempio della soggezione da proporsi all'imitazione delle mogli, per il fatto che, in questa vita mortale e malandata la carne è nelle sue tendenze in contrasto con lo spirito.
Quanto agli uomini, lasciò passare l'esempio, perché, sebbene lo spirito nutra desideri contrari alla carne, ciò fa per il bene della carne: né è come la carne, la quale, con i desideri che avanza contro lo spirito, non mira né al bene dello spirito né a quello di se stessa.
Quanto allo spirito buono, non farebbe del bene alla carne, tanto col nutrirla e curarne con preveggenza le esigenze naturali, quanto col resistere mediante la continenza ai vizi di lei, se, anche attraverso l'ordine e l'armonia che si stabilisce fra l'una e l'altra realtà, non risultasse evidente che di tutt'e due l'unico artefice è Dio.
Come fate, dunque, voi, a vantarvi d'esser cristiani, se, con tanta perversione, a occhi chiusi - o meglio, guasti - vi ostinate contro le Scritture cristiane?
È, la vostra, una vera pazzia.
Come fate a dire che Cristo apparve fra gli uomini con una carne falsa, e che la Chiesa con l'anima appartiene a Cristo mentre, quanto ai corpi, appartiene al diavolo, e che il sesso, maschile e femminile, è opera del diavolo e non di Dio, e che la carne è unita allo spirito come una sostanza cattiva a una sostanza buona?
Se i brani delle lettere apostoliche già citati vi sembrano insufficienti, ascoltatene ancora altri, se avete orecchi!
Cosa dice quel pazzo furioso di Manicheo a proposito della carne di Cristo?
Che non fu vera carne ma solo apparente.
Cosa insegna invece il santo Apostolo? Ricordati che Gesù Cristo, della stirpe di Davide, risuscitò di tra i morti, in conformità col mio Vangelo. ( 2 Tm 2,8 )
E lo stesso Gesù Cristo ebbe a dire: Palpatemi, e persuadetevi che lo spirito non ha carne né ossa, come vedete che ho io. ( Lc 24,39 )
Potrà esserci la verità nel loro insegnamento, se predicano che nella carne di Cristo c'era il trucco?
Come faranno a dire che in Cristo non c'era alcun male, se c'era un inganno così grande?
Ma per questi uomini, troppo puri, è un male avere la carne vera, mentre non è male presentare come vera una carne fittizia.
È un male, per uno che nasce dalla stirpe di Davide, avere una vera carne, e non è male dire con lingua menzognera: Palpatemi, e persuadetevi: lo spirito non ha ossa né carne, come vedete che ho io! ( Lc 24,39 )
E riguardo alla Chiesa, cosa asserisce quel falsario al fine di attirare la gente nel suo errore fatale?
Che, per quanto concerne le anime, essa appartiene a Cristo, mentre, per quanto concerne i corpi, appartiene al diavolo.
Cosa afferma contro tali spropositi il vero Dottore delle genti nella fede e nella verità?
Ecco: Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? ( 1 Cor 6,15 )
Del sesso, maschile e femminile, cosa dice il figlio della perdizione?
Che né l'uno né l'altro sono da Dio, ma tutt'e due dal diavolo.
Cosa replica a questa scempiaggine il Vaso di elezione?
Come la donna proviene dall'uomo, così l'uomo è per la donna: tutto però proviene da Dio. ( 1 Cor 11,12 )
E a proposito della carne, come si esprime lo spirito immondo per bocca di Manicheo?
Che essa è una sostanza perversa, creata non da Dio ma dal nemico.
Cosa insegna lo Spirito Santo per bocca di Paolo?
Come il corpo è uno, pur avendo molte membra, e come le membra del corpo, pur essendo molte, non distruggono l'unità del corpo, così è il Cristo. ( 1 Cor 12,12 )
E poco dopo: Dio ci diede le membra e le dispose nel corpo come gli piacque. ( 1 Cor 12,18 )
E ancora: Dio ordinò il nostro corpo in modo che un maggior rispetto venisse riservato alle membra che non ne avevano, e, così, nel corpo non ci fossero antagonismi, ma ogni membro fosse sollecito del bene degli altri.
Se pertanto soffre un membro, ne risentono tutti gli altri; se un membro riceve onori, ne godono tutte le membra. ( 1 Cor 12,24-26 )
Come può essere cattiva la carne, se si invitano le stesse anime a imitare la pace delle membra del corpo?
Come può essere opera del nemico, se le stesse anime, incaricate di reggere il corpo, debbono prendere l'esempio dalle membra del corpo, al fine di evitare dissensi e inimicizie? se debbono desiderare di avere per grazia quanto Dio ha conferito al corpo per natura?
Scrive giustamente Paolo ai Romani: Vi scongiuro, fratelli, per la bontà di Dio, ad offrire i vostri corpi quale ostia vivente, santa, gradita a Dio. ( Rm 12,1 )
Non avremmo alcun fondamento per sostenere che le tenebre non sono la luce e la luce non è la stessa cosa che le tenebre, se siamo autorizzati a presentare a Dio un'offerta viva santa e a lui gradita, desumendola da corpi appartenenti a una genia tenebrosa.
Essi dicono: Come trovare una qualche somiglianza fra la carne e la Chiesa, sì da poterle mettere a confronto?
Forse che la Chiesa nutre delle aspirazioni contrarie a Cristo?
Ma l'Apostolo dice che la Chiesa è sottomessa al Cristo! ( Ef 5,24 ) Oh, certamente!
La Chiesa è soggetta a Cristo; e se lo spirito ha dei desideri opposti a quelli della carne, tende proprio a questo, che la Chiesa raggiunga la totale sottomissione a Cristo.
E, viceversa, se la carne ha dei desideri opposti a quelli dello spirito, ciò dipende dal fatto che la Chiesa non ha ancora conseguito quella pace perfetta che le è stata promessa.
Pertanto, la Chiesa è sottomessa a Cristo per la salute che ha conseguito, sia pure in pegno; mentre la carne avanza brame contrarie allo spirito per l'infermità in cui langue.
Erano senza dubbio membri della Chiesa quei tali a cui Paolo diceva: Camminate secondo lo spirito, e non vogliate soddisfare i desideri della carne.
La carne infatti ha desideri opposti a quelli dello spirito, e lo spirito desideri opposti a quelli della carne.
Essi sono in contrasto fra loro, di modo che voi non potete fare tutto quello che vorreste. ( Gal 5,16-17 )
Sono, queste, esortazioni indirizzate alla Chiesa: la quale, se non fosse soggetta a Cristo, non avrebbe posseduto lo spirito che per la continenza si oppone alle voglie della carne.
Mentre, proprio perché appartenenti alla Chiesa, potevano - quei tali - resistere alle concupiscenze della carne: per quanto non ancora in grado di fare ciò che avrebbero voluto - cioè non avere le stesse concupiscenze carnali - a motivo delle aspirazioni sregolate che la carne solleva contro lo spirito.
Finalmente, perché non dire con franchezza che la Chiesa è soggetta a Cristo per quanto riguarda gli uomini spirituali, mentre negli uomini carnali essa racchiude brame che contrastano col Cristo?
Forse che non avevano desideri contrari a quelli di Cristo, quei tali cui si diceva: Ma che il Cristo è diviso? ( 1 Cor 1,13 )
E gli altri: Io non ho potuto parlarvi come si conveniva a uomini spirituali, ma come ad esseri di carne.
Come a dei bambini in Cristo, vi detti da bere del latte e non cibo solido.
Voi infatti non eravate in grado di riceverlo, né lo siete tuttora, perché siete carnali.
Infatti, dal momento che ci sono fra voi gelosie e contese, non siete forse carnali? ( 1 Cor 3,1-3 )
Contro chi avanzano pretese la gelosia e la rivalità? Non forse contro Cristo?
Tali aspirazioni carnali Cristo le guarisce nei suoi, non le ama in alcuno.
E la Chiesa, finché ha membra di tal sorta è santa, sì, ma non è senza macchia né ruga.
E poi bisogna aggiungere gli altri peccati, per i quali ogni giorno si leva da tutta la Chiesa l'invocazione: Rimetti a noi i nostri debiti. ( Mt 6,12 )
Da questi debiti non dobbiamo ritenere esenti nemmeno le persone spirituali.
Lo asserisce non uno qualunque degli uomini carnali e nemmeno uno qualunque di tra gli spirituali, ma colui che durante la cena stava adagiato sul petto del Signore, colui che il Signore amava più degli altri. ( Gv 13,23 )
Se diciamo di non aver peccati, inganniamo noi stessi, e in noi non c'è la verità. ( 1 Gv 1,8 )
Orbene, in ogni peccato c'è sempre incluso un desiderio contrastante con la giustizia, più grande in un peccato maggiore, più piccolo in un peccato minore.
E se è stato scritto di Gesù Cristo che è divenuto per noi, per volontà di Dio, sapienza e giustizia e santificazione e redenzione ( 1 Cor 1,30 ) ne segue che in ogni peccato rientrano anche desideri contrari a Gesù Cristo.
Colui che risana tutti i nostri languori ( Sal 103,3 ) porterà la Chiesa alla guarigione, da tutte le infermità, che le ha promesso.
Allora in nessuno dei suoi membri ci sarà la benché minima macchia o ruga.
La carne non avanzerà in alcuna maniera desideri contrari a quelli dello spirito, e pertanto nemmeno lo spirito avrà da nutrire brame contrarie a quelle della carne.
Avrà termine, allora, il combattimento di adesso, e fra le due sostanze ci sarà somma concordia, al segno che nessun uomo sarà più carnale ma la stessa carne sarà resa spirituale.
Ecco dunque come si comporta con la sua carne colui che vive secondo Cristo: cerca di sviluppare brame che si oppongano alle brame sregolate di lei, e, non possedendola ancora risanata, cerca di condurla alla guarigione.
D'altra parte, siccome essa è sostanzialmente buona, la nutre e protegge, secondo il detto: Nessuno ha mai avuto in odio la sua carne. ( Ef 5,29 )
E proprio in questo modo si comporta Cristo con la sua Chiesa, se è lecito stabilire confronti fra cose piccole e cose grandi.
Egli infatti la sferza con severi richiami perché non travii inorgoglita dall'impunità; la risolleva poi con le consolazioni perché non soccomba sotto il peso delle miserie.
A questo allude l'Apostolo: Se ci giudicassimo da noi stessi, non saremmo certo giudicati.
Quando poi siamo giudicati, è il Signore che ci riprende per non condannarci col mondo presente. ( 1 Cor 11,31 )
Parimenti il salmo: Secondo la misura dei dolori che mi passarono in cuore, le tue consolazioni rallegrarono l'anima mia. ( Sal 94,19 )
Aspettiamoci dunque la perfetta guarigione della nostra carne, compresa la liberazione da ogni moto ribelle.
Avverrà quando la Chiesa di Cristo raggiungerà la tranquillità assoluta, al di fuori di ogni timore.
Facciamo basta con la polemica contro i manichei e la loro falsa continenza, e volgiamoci alla continenza vera.
Nessuno creda che il nobile sforzo prodotto dalla continenza, quando consegue il suo frutto, cioè quando disciplina e trattiene dai piaceri smodati e illeciti la nostra parte inferiore che è il corpo, tenda a infierire contro di questo quasi fosse un nemico, ma piuttosto a domarlo e quindi salvarlo.
Il corpo infatti, sebbene per natura diverso dallo spirito, non è estraneo alla natura dell'uomo.
Lo spirito non è composto di corpo, ma l'uomo risulta di anima e di corpo; e, se Dio libera una persona, la libera tutta intera, anima e corpo.
Per cui, quando il Salvatore si degnò di liberare in noi tutto quello che aveva creato, anche lui assunse tutto l'uomo.
A quei tali che rinnegano questa verità, cosa potrà giovare il contenersi dalle loro voglie libidinose? seppure è vero che si contengono!
Cosa potrà diventare in essi puro mediante la continenza, quando la loro stessa continenza è sporca?
Tanto che non meriterebbe nemmeno il nome di continenza.
Le loro dottrine infatti sono veleno del diavolo, mentre la continenza è dono di Dio.
Viene qui da pensare a tanta gente che soffre o che si sottopone con grande fortezza ad ogni sorta di tormenti.
Non tutti costoro sono, certamente, dotati della virtù della pazienza, che è, come questa della continenza, un dono di Dio.
Ci sono infatti molti che riescono a tollerare mille tormenti per non palesare se stessi o i propri complici nel delitto.
Altri soffrono per saziare la brame libidinose di cui ardono, ovvero per conseguire o non abbandonare quelle cose cui sono legati da lacci d'un amore riprovevole.
Molti ancora soffrono in difesa degli svariati ma sempre funesti errori da cui sono irretiti.
Orbene, di tutti costoro non si può certo dire che abbiano la vera pazienza.
Allo stesso modo, non di tutta la gente che sa contenersi in qualcosa o che, magari, riesce a frenare le varie passioni della carne o dello spirito può dirsi che abbiano la continenza, dei cui vantaggi ed eccellenza stiamo ragionando.
Ci sono, ad esempio, certuni che - sembrerebbe strano a dirsi - si contengono per motivi di incontinenza.
Poni il caso di una donna che si rifiuta al marito, perché l'ha giurato al suo complice nell'adulterio.
Certi altri si contengono commettendo dell'ingiustizia, come quando una persona sposata si rifiuta di rendere al proprio coniuge il debito coniugale perché è ormai in grado di dominare l'istinto sessuale.
E così ci sono di quelli che si contengono perché ingannati da false credenze religiose, o perché sperano successi vani o sono lusingati da vani miraggi.
Tra costoro sono da annoverarsi tutti gli eretici e quanti sono fuori strada in fatto di religione.
La loro continenza sarebbe vera, se fosse vera la loro fede; ma, se questa non merita neppure il nome di fede, appunto perché è falsa, neppure la loro continenza merita questo nome.
Difatti, chi mai potrà dire che sia peccato la continenza, di cui abbiamo affermato con verità che è dono di Dio?
Oh! non sia mai che alberghi nel nostro cuore una così abominevole insensatezza!
Tuttavia, se è vero ciò che dice l'Apostolo: Tutto ciò che non procede dalla fede è peccato, ( Rm 14,23 ) una continenza non accompagnata dalla fede non merita neppure il nome di continenza.
Ci sono anche delle persone che, ponendosi apertamente al servizio degli spiriti maligni, si astengono dai piaceri carnali per riuscire, col loro intervento, a soddisfare altri delittuosi piaceri, di cui non sanno domare l'impeto e la fiamma.
Voglio dire solo qualcosa al riguardo, passando sopra a quanto renderebbe troppo lungo il discorso.
Alcuni rifuggono ogni contatto con la propria moglie perché, così purificati, pretendono, attraverso arti magiche, di raggiungere le mogli degli altri.
Continenza davvero mirabile! Anzi, a dirla francamente, perversione e sporcheria senza confronti.
Se si fosse trattato di vera continenza, la carne e le sue passioni sarebbero state tenute a bada prima di tutto in fatto di adulterio, e non soltanto circa i rapporti coniugali, privandosi di questi pur di raggiungere quello.
La continenza coniugale infatti attenua, normalmente, la concupiscenza carnale, ma è anche un freno che impone agli sposi una tale disciplina che, nell'ambito stesso del matrimonio, non permette che si abbandonino ad una sfrenata licenza ma li obbliga a rispettare la moderazione: quella moderazione che risulti doverosa per la debolezza del coniuge, a cui l'Apostolo accorda questo diritto, non in forza d'un comando ma come una concessione di condiscendenza; ( 1 Cor 7,6 ) ovvero la moderazione che risponda al dovere di procreare i figli, che, nei tempi remoti, fu per i padri e le madri sante l'unica ragione per cui si unissero sessualmente.
Facendo questo, cioè moderando e in qualche modo limitando nei coniugi la concupiscenza carnale, la continenza, mentre ne ordina e restringe entro certi limiti i moti inquieti e disordinati, si serve rettamente di una cosa cattiva che è nell'uomo.
In tal modo lo rende buono e tende a portarlo alla perfezione: come quando Dio, per rendere perfetti i buoni, si serve anche degli uomini cattivi.
Della continenza dice la Scrittura che è dono della Sapienza conoscere da chi proviene. ( Sap 8,21 )
Orbene, non sia mai detto che questo dono celeste lo posseggano quei tali che si contengono perché schiavi dell'errore, o coloro che riescono a domare qualcuna delle loro vogliuzze al fine di soddisfare poi le altre più grandi, di cui sono schiavi.
La continenza vera, quella che viene dall'alto, non vuole che nuovi mali si sostituiscano ai mali precedenti, ma, mediante il bene, vuol guarire ogni sorta di mali.
Eccone in brevi parole tutto il campo d'azione.
La continenza ha il compito di vigilare perché siano dominate e risanate tutte, senza eccezione, quelle voglie di godere che, nate dalla concupiscenza, si oppongono alle gioie della sapienza.
Ne restringono, pertanto, troppo l'ambito quei tali che sentenziano essere suo ufficio frenare soltanto i piaceri carnali.
Un po' meglio, certo, coloro che, senza aggiungere la delimitazione corpo, dicono che la sfera d'azione della continenza si estende, generalmente, a moderare ogni sorta di desideri o cupidigie sregolate.
Tale cupidigia, la si ritiene vizio, e vizio non solo del corpo ma anche dell'anima.
Se infatti la passione carnale agisce nelle fornicazioni e nelle ubriachezze, nessuna soddisfazione si procura al corpo con le inimicizie, le contese, le gelosie, le stizze: le quali si esercitano con l'anima e ne sono moti o passioni. ( Gal 5,19-21 )
Eppure l'Apostolo chiama opere della carne tutte queste passioni, tanto quelle che rientrano nell'ambito dello spirituale quanto quelle che propriamente sono della carne.
Ciò dipende dal fatto che egli chiama carne l'uomo in quanto tale; e opere dell'uomo sono tutte quelle che non sono opere di Dio.
Difatti l'uomo che le compie, e proprio perché le compie, vive secondo il suo proprio naturale e non secondo Dio.
Mentre ci sono altre opere che, sebbene dell'uomo, tuttavia sono da chiamarsi opere di Dio.
È Dio infatti - dice l'Apostolo - colui che opera in voi e il volere e il realizzare le opere, secondo la buona volontà. ( Fil 2,13 )
E ancora: Tutti quelli che sono mossi dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. ( Rm 8,14 )
Lo spirito dell'uomo, dunque, se aderisce allo Spirito di Dio, nutre dei desideri contrari alla carne, cioè in ultima analisi, contrari a se stesso.
Questo però torna a suo vantaggio, nel senso che si tratta di moti umani non conformi alla legge di Dio: moti che, nati dall'infermità contratta col peccato, seguitano tuttora ad insorgere tanto nel corpo quanto nell'anima.
Essi vengono rintuzzati dalla continenza, per il conseguimento della salute.
In tal modo, l'uomo, non vivendo più da uomo decaduto, potrà dire: Veramente non sono più io che vivo; è Cristo che vive in me. ( Gal 2,20 )
Dove infatti non c'è più il mio io, là ci sono io in una forma più sublime e fortunata.
In tale situazione, quando si solleva un qualche moto naturale e riprovevole, siccome la persona, che con la mente è al servizio dello Spirito di Dio, non gli consente, può anche affermare che non è lei a compiere quel male. ( Rm 7,17 )
A tal sorta di persone vengono dette quelle parole che dobbiamo essere in grado d'intendere anche noi, in quanto anche noi siamo loro colleghi e compartecipi: Se siete risuscitati con Cristo, cercate le cose dell'alto, dov'è il Cristo, assiso alla destra di Dio; pensate alle cose dell'alto, e non a quelle che sono sulla terra.
Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio.
Quando comparirà Cristo, vostra vita, allora anche voi apparirete con lui nella gloria. ( Col 3,1-4 )
Cerchiamo di capire a chi siano indirizzate queste parole, anzi, ascoltiamolo con maggiore attenzione, poiché nulla è più chiaro e manifesto di questo.
Egli si rivolge a coloro che sono risuscitati con Cristo: risuscitati spiritualmente, non ancora col corpo.
Li dice morti, ma da questa morte usciti ancora più vivi; difatti afferma che la loro vita è nascosta con Cristo in Dio.
Sono di tali morti le parole: Veramente non vivo più io; è Cristo che vive in me. ( Gal 2,20 )
Eppure a questa gente, la cui vita è nascosta con Cristo in Dio, rivolge il monito e l'esortazione di mortificare le loro membra finché sono sulla terra.
Così infatti prosegue: Fate dunque morire le vostre membra che sono sulla terra. ( Col 3,4 )
E affinché nessuno, magari perché tardo d'ingegno, pensasse che la loro mortificazione dovesse esercitarsi sulle membra visibili del corpo, subito precisando il senso delle sue parole, soggiunge: La fornicazione, l'impurità, la passione, il desiderio cattivo, l'avarizia, che è una specie d'idolatria. ( Col 3,5 )
Ma allora, bisognerà forse credere che queste persone, che erano già morte e la cui vita era nascosta con Cristo in Dio, fossero ancora dedite alla fornicazione, o che menassero una vita scostumata, si dessero ad opere malvagie, al servizio delle voglie della concupiscenza o dell'avarizia, sì da esserne sconvolte?
Nessuno, per quanto insipiente, potrebbe pensare una tal cosa nei loro riguardi.
Se pertanto l'Apostolo vuole che pratichino la mortificazione, esercitando la virtù della continenza, lo dice per certi moti che ancora sussistono in noi e ci disturbano con i loro richiami al di là del consenso della nostra mente e senza esplicarsi in opere esterne attraverso le membra del corpo.
Questi moti vengono mortificati dalla continenza tutte le volte che ad essi si rifiuta il consenso della mente e non si somministrano le armi, cioè le membra del corpo.
E poi, c'è qualcosa di più importante, che occorre sottoporre a una vigilanza e continenza ancora più rigorose.
È il nostro stesso pensiero, che, sebbene in certo qual modo sfiorato dal richiamo e, per così dire, dal bisbiglio di questi moti, deve resistere alle loro lusinghe e restarne immune, sì da potersi volgere meglio alle cose del cielo e gustarne la soavità.
Di questi moti si occupa l'Apostolo nei suoi scritti, inculcando che non ci si soffermi in essi ma piuttosto che li si fugga.
La qual cosa ci sarà consentita se ne ascolteremo con impegno le parole e, con l'aiuto di colui che per mezzo del suo Apostolo ci dà il precetto, le metteremo in pratica.
Cercate - dice - le cose dell'alto, dove è Cristo, assiso alla destra di Dio.
Pensate alle cose dell'alto, non a quelle della terra. ( Col 3,1-2 )
Dopo aver elencato i mali di cui sopra, Paolo soggiunge: Fu per queste [ aberrazioni ] che venne l'ira di Dio sui figli dell'incredulità. ( Col 3,6 )
È un salutare spavento che vuole incutere, perché, divenuti credenti, non pensassero che per la sola loro fede potessero salvarsi se avessero seguitato a vivere nei vizi di prima.
Contro una tale interpretazione protesta l'apostolo Giacomo quando, con parole quanto mai chiare, afferma: Uno dice d'avere la fede.
Se costui non ha le opere, potrà forse la fede portarlo a salvezza? ( Gc 2,14 )
Ma anche il Dottore delle genti osservava che a causa di quei disordini era scesa l'ira di Dio sui figli infedeli; e, affermando che anche voi un tempo vi camminavate e conducevate una vita immersa negli stessi vizi, ( Col 3,7 ) lascia sufficientemente intendere che adesso non ci vivevano più.
Erano infatti morti ai vizi e la loro vita di adesso era nascosta con Cristo in Dio.
Non vivevano più, dunque, nei vizi; eppure dà loro il comando di mortificarli.
È segno che mentre essi, le persone, non vivevano nel vizio, i moti viziosi erano ancora in vita, come ho precisato or ora.
Si menzionano le membra, ma in realtà si trattava dei vizi che albergano nelle membra, in forza di quella figura retorica che nomina il contenente per il contenuto.
Come quando, ad esempio, si dice: "Ne parla tutta la piazza", che vuol dire: "Ne parla tutta la gente che è in piazza".
E nel salmo, per la stessa locuzione figurata, si canta: Ti adori tutta la terra. ( Sal 66,4 )
Vale a dire: Tutti gli uomini che sono sulla terra.
Continua l'Apostolo: Spogliatevi dunque anche voi di tutte le cose, ( Col 3,8 ) ed elenca una lunga serie di vizi.
Perché non si contenta di dire: Spogliatevi di tutte le cose, ma vi aggiunge la congiunzione anche voi?
Lo fa senza dubbio perché non pensassero che loro si potevano abbandonare a questi disordini e ci potevano vivere impunemente per il fatto che la fede li aveva sottratti all'ira divina, che invece si effondeva sugli increduli, dediti appunto a tali opere e, privi della fede, viventi nel vizio.
Dice: Sbarazzatevi anche voi di quei mali, per causa dei quali scese l'ira di Dio sui figli dell'incredulità, né ripromettetevi l'impunità per il merito della fede.
Parlando a gente che da tali vizi s'era liberata e non consentiva più ad essi né prestava loro le proprie membra come strumenti di peccato, non avrebbe detto: Sbarazzatevi, se la vita dei santi quaggiù - finché dura la nostra condizione di esseri mortali - non si trovasse davvero in tale situazione né avesse ad occuparsi di tale lavoro.
Purtroppo però, finché lo spirito ha delle brame contrarie a quelle della carne, c'è proprio questo problema in cui ci si dibatte con grande tensione spirituale: resistere mediante l'attrattiva della santità, l'amore per la castità, la vigoria dello spirito e l'armonia interiore prodotta dalla continenza, ai piaceri sregolati, alle passioni disoneste, ai movimenti carnali e indecorosi.
In questo modo si liberano definitivamente dalle tendenze cattive coloro che sono già morti ad esse e che, negando loro il consenso, non vivono più immersi in esse.
Vengono eliminate - dico - se mediante una mai interrotta continenza le si reprime perché non rinascano.
Che se uno, invece, sicuro di sé, volesse interrompere questo lavoro di repressione, subito gli balzerebbero sulla roccaforte della mente, e ne la spodesterebbero e la ridurrebbero in schiavitù, prigioniera in una condizione disonorevole e quanto mai brutta.
Regnerebbe allora, nel corpo mortale dell'uomo, il peccato, e lo costringerebbe ad obbedire ai suoi desideri; ed egli, l'uomo, presterebbe le sue membra al peccato come armi di iniquità. ( Rm 6,13 )
E il punto d'arrivo, di questo tale, sarebbe peggiore che non quello di partenza. ( Mt 12,45 )
È infatti molto più tollerabile non aver mai intrapreso una lotta anziché averla intrapresa e abbandonarla, rassegnandosi a diventare prigioniero, da combattente valoroso e vittorioso che si era.
Ragion per cui il Signore non dice: "Sarà salvo chi avrà cominciato", ma: Chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvo. ( Mt 10,22 )
Sia dunque che lottiamo con ardore per non essere sopraffatti, sia che vinciamo, come talora capita, con quella facilità che non avremmo osato né sperare né immaginarci, diamo gloria a colui che ci fa dono della continenza.
Ricordiamoci di quel tal giusto che nella prosperità diceva: Io non sarò mai smosso dalla mia strada; ( Sal 30,7 ) e invece gli fu fatto constatare quanto fossero avventate le sue parole, mentre attribuiva alle sue proprie forze quello che gli veniva accordato dall'alto.
Lo apprendiamo dalla confessione che ci fa lui stesso, quando, subito appresso, soggiunge: O Signore, nel tuo beneplacito mi avevi conferito la virtù e l'onorabilità.
Quando invece mi voltasti la faccia, caddi nel turbamento. ( Sal 30,8 )
Il Signore nella sua Provvidenza lo abbandonò temporaneamente, e ciò fu una medicina, affinché egli stesso, nella sua micidiale superbia, non abbandonasse il Rettore.
È certo, quindi che tutto in noi accade per la nostra salute, sia che combattiamo contro i nostri vizi al fine di domarli e ridurli - compito della vita presente -, sia che non abbiamo più nemici né mali da cui essere contagiati - cosa che ci sarà riservata alla fine dei tempi nel mondo avvenire.
Scopo ultimo di tutto questo è che chi si gloria, si glori nel Signore. ( 1 Cor 1,31 )
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