La Continenza |
Per evitare cedimenti in fatto di continenza, dobbiamo stare in guardia contro le insidie e le suggestioni del diavolo, evitando soprattutto di presumere delle nostre forze.
Poiché maledetto l'uomo che ripone nell'uomo la sua speranza. ( Ger 17,5 )
E chi è ciascuno se non un uomo? Non si può quindi riporre la propria fiducia in se stessi e dire che non la si pone in un uomo.
Orbene, se il vivere in conformità alla propria natura umana è vivere secondo la carne, chiunque venga allettato a seguire le lusinghe della passione, ascolti e, se gli è rimasto un po' di senso cristiano, si spaventi.
Ascolti, ripeto: Se vivrete secondo la carne, morrete. ( Rm 8,13 )
Qualcuno potrebbe obiettarmi che una cosa è vivere secondo l'uomo, e un'altra secondo la carne.
L'uomo infatti è una creatura razionale e in lui c'è un'anima razionale per la quale si differenzia dal bruto, mentre la carne è la sua parte inferiore e terrena.
Per cui vivere secondo la carne è, sì, vizioso; ma colui che vive secondo l'uomo non vivrebbe secondo la carne, ma piuttosto secondo quella parte della sua umanità per la quale è un uomo, cioè secondo lo spirito e la ragione, che lo fanno superiore ai bruti.
Un tal modo d'argomentare vale, forse, qualcosa nell'ambito delle scuole filosofiche; ma noi, per comprendere l'Apostolo di Cristo, dobbiamo investigare quale sia il modo di esprimersi dei nostri libri cristiani.
È certamente articolo di fede, per tutti noi che in Cristo abbiamo la vita, che il Verbo di Dio assunse l'umanità non priva dell'anima razionale ( come pretendono certi eretici ); eppure leggiamo: Il Verbo si fece carne ed abitò tra noi, ( Gv 1,14 ) in un passo come questo, cosa bisognerà intendere per carne se non l'uomo?
E vedrà ogni carne la salvezza di Dio, ( Lc 3,6 ) cosa intendere anche qui se non ogni uomo?
Verrà a te ogni carne, ( Sal 65,3 ) che cosa significa se non ogni uomo?
Hai dato a lui il potere su ogni carne ( Gv 17,2 ) su che cosa se non su tutti gli uomini?
Mediante le opere della legge non sarà resa giusta alcuna carne, ( Rm 3,20 ) cosa vuol dire se non che nessun uomo verrà giustificato?
Idea che lo stesso Apostolo esprime più chiaramente in un altro passo dove dice: Dalle opere della legge l'uomo non viene giustificato. ( Gal 2,16 )
Parimenti, quando rimprovera i Corinzi dice loro: Ma non siete voi delle persone carnali e vi comportate da uomini? ( 1 Cor 3,3 )
Li chiama persone carnali, e nel precisare, non ripete: "Voi vi regolate secondo la carne" ma come uomini.
Vuol dire che la frase da uomini equivale a secondo la carne.
Che se, al contrario, comportarsi o vivere secondo la carne fosse colpa, e vivere secondo l'uomo fosse un pregio, non direbbe in tono di rimprovero: vi comportate da uomini.
Si riconosca, quindi, il rimprovero; si muti il proposito; si eviti la rovina.
Ascolta, o uomo: non comportarti secondo l'uomo, ma conforme ai voleri di colui che fece l'uomo.
Non allontanarti da chi ti ha creato, fosse anche per ripiegarti su di te.
Ci fu infatti un uomo, che non viveva a livello di uomo, il quale diceva: Non siamo in grado di pensare alcunché da noi stessi, in base alle nostre risorse, ma ogni nostra riuscita è da Dio. ( 2 Cor 3,5 )
Vedi un po' se vive da uomo [ decaduto ] colui che, con tanta verità, afferma queste cose.
Avvertendo, dunque, l'uomo a non vivere da [ semplice ] uomo, l'Apostolo restituisce l'uomo a Dio.
Che se uno non vive secondo l'uomo, ma secondo Dio, certo non vive più per se stesso, perché anche egli è un uomo.
Tuttavia anche di uno che così vive si dice che vive secondo la carne, perché, anche se viene menzionata solo la carne, si intende tutto l'uomo, come abbiamo dimostrato.
Proprio come quando si menziona solo l'anima, e si intende tutto l'uomo.
Per cui sia scritto: Ogni anima sia soggetta ai poteri più elevati, ( Rm 13,1 ) e questo vuol dire: Ogni uomo sia soggetto.
E ancora: Settantacinque anime discesero in Egitto insieme a Giacobbe: ( Gen 46,27 ) significa settantacinque persone.
Non voler, dunque, o uomo, vivere secondo la tua natura.
Ciò facendo ti eri rovinato, ma sei stato recuperato.
Non vivere - ripeto - secondo quell'essere che sei tu: così facendo ti eri smarrito, ma sei stato ritrovato.
Non prendertela contro la tua umanità, quando senti le parole: Se vivrete secondo la carne, morrete. ( Rm 8,13 )
Avrebbe potuto dire, e dirlo con la massima esattezza: Se condurrete una vita secondo la vostra natura di uomini, morrete.
Il diavolo infatti non ha carne, eppure, avendo voluto vivere secondo la sua natura, non rimase nella verità. ( Gv 8,44 )
Che sorpresa, allora, se egli vivendo in conformità della sua natura, quando suggerisce menzogne, parla di quello che ha di proprio? ( Gv 8,44 )
È una verità asserita nei suoi riguardi da colui che è la Verità.
Ascolta le parole: Il peccato non domini in voi, ( Rm 6,14 ) e non fidarti di te stesso.
Così il peccato non verrà a dominarti.
Fidati piuttosto di colui al quale un santo rivolgeva la preghiera: Indirizza il mio camminare in conformità alle tue parole; e non venga a soggiogarmi alcuna iniquità. ( Sal 119,133 )
Difatti, per evitare che, inorgogliti dalle parole: Il peccato non vi tiranneggi, attribuissimo a noi stessi questo risultato, l'Apostolo, proprio in vista di ciò, soggiunse: Voi non siete sotto la legge ma sotto la grazia. ( Rm 6,14 )
È dunque la grazia che impedisce al peccato di dominare su di te.
Non poggiare la tua fiducia su te stesso, perché non si consolidi maggiormente su di te il dominio del peccato.
Ugualmente, quando sentiamo dirci: Se mediante lo Spirito mortificherete le opere carnali, avrete la vita, ( Rm 8,13 ) non dobbiamo attribuire un bene così grande alle forze del nostro spirito, quasi che esso, da solo, abbia tali risorse.
Non accettiamo questo senso carnale, che ci darebbe uno spirito morto esso stesso e non in grado di dare la morte alla carne.
Ce lo dice subito appresso: Quanti sono mossi dallo Spirito di Dio, sono figli di Dio. ( Rm 8,14 )
È, dunque, lo Spirito di Dio quello che ci muove a mortificare col nostro spirito le opere della carne.
Egli dà la continenza, mediante la quale riusciamo a frenare, a domare e a vincere la concupiscenza.
È una grande lotta quella in cui vive l'uomo rinato alla grazia, e, quando con l'aiuto divino riesce a combattere bene, esperimenta nel Signore una trepida esultanza.
Tuttavia, anche ai combattenti più gagliardi e a quanti con animo indomito mortificano le opere della carne, non mancano ferite, loro inferte dal peccato.
Sono le ferite per la cui guarigione ogni giorno supplichiamo con verità: Rimetti a noi i nostri debiti. ( Mt 6,12 )
Contro questi vizi e contro il diavolo, principe e sovrano dei vizi, si ha da ingaggiare, mediante l'orazione, una lotta molto accorta e accanita, affinché certe sue perniciose suggestioni non abbiano a spuntarla.
Dico delle tentazioni che, oltre tutto, inclinano il peccatore a scusare, non ad accusare, le proprie colpe: per cui le ferite non solo non guariscono ma, anche se prima non erano mortali, divengono più gravi e danno la morte.
È questo un campo in cui occorre una continenza veramente rigorosa.
Essa deve essere in grado di frenare la smania boriosa per la quale l'uomo vuol piacere a se stesso e non riconoscersi colpevole, e, anche se è in peccato, rifiuta di ammettere che è stato lui a peccare.
Non si decide ad accusare se stesso con quell'umiltà che lo salverebbe; ma mosso dall'orgoglio cerca piuttosto di scusarsi, e così va in rovina.
Per arginare quest'orgoglio, chiedeva quel tale al Signore il dono della continenza: quel tale di cui sopra ho riferito le parole, commentandole come ho potuto.
Aveva infatti esclamato: Poni, o Signore, una custodia alla mia bocca, una porta - la continenza - sulle mie labbra.
Non permettere che il mio cuore pieghi verso parole maligne; ma, per farci meglio comprendere a che cosa si riferiva, soggiunse: che non avanzi scuse di fronte ai peccati. ( Sal 141,3-4 )
Cosa, infatti, può esserci di più perverso delle parole con le quali il colpevole, convinto dell'azione cattiva che non può negare, rifiuta di riconoscersi colpevole?
E, siccome non può nascondere il fatto né può chiamarlo azione onesta, e d'altra parte si rende conto che a tutti è noto chi ne sia l'autore, si ingegna di riversare su un altro la responsabilità dell'accaduto: quasi che, ciò facendo, possa evitarne la responsabilità.
Col non riconoscersi reo, aumenta piuttosto la sua colpa; e non comprende che, scusando i propri peccati, invece di accusarli, non si scrolla di dosso la pena ma ne ostacola il perdono.
Presso i giudici umani, soggetti come sono a sbagliare, se uno anche con menzogne riesce a scolparsi del male commesso, può conseguirne un qualche momentaneo vantaggio.
Ma Dio non può essere tratto in inganno, e quindi non è il caso di ricorrere a false difese ma piuttosto alla sincera confessione dei peccati.
C'è della gente che, per scusarsi dei peccati, se la prendono col destino, quasi che sia stato lui a spingerli al male, o con le stelle, dove il male sarebbe stato determinato.
Il primo a peccare sarebbe stato, quindi, il cielo, perché ha stabilito un ordine per il quale, in un secondo momento, l'uomo pecca traducendo in atto quei decreti.
Altri preferiscono ascrivere alla sorte i loro peccati: credono che ogni cosa sia mossa dal cieco fato, ma, quanto alla loro scienza e alle loro asserzioni, lì sono duri a sostenere che non è questione di caso o di sorte ma di motivi controllati.
Ma quale balordaggine non è mai quella di attribuire alla ragione le proprie argomentazioni, e voler attribuire le proprie azioni ai capricci della sorte?
Altri riversano sul diavolo la responsabilità di tutto ciò che fanno di male, né vogliono ammettere che, insieme con lui, anche loro hanno almeno una parte di colpa.
Invece, anche quando si può sospettare che lui abbia spinto al male con suggestioni occulte, non si può mettere in dubbio che il consenso a tali suggestioni, da qualunque parte provenienti, sono stati loro a darlo.
Ce ne sono anche di quelli che, pur di scusarsi, giungono ad accusare Dio.
Miseri, in riferimento al giudizio divino che li attende; blasfemi, in riferimento al furore che li anima.
In opposizione a lui, essi suppongono nell'uomo una sostanza del male, originata da un principio contrario e in continuo stato di ribellione.
A questo principio ribelle, Dio non avrebbe potuto resistere, se non gli avesse abbandonato una porzione della sua propria sostanza e natura, affinché, mescolandosi con esso, venisse contaminata e corrotta.
Il peccato - dicono essi - avviene quando in essi la natura del male prende il sopravvento sulla natura di Dio.
È, questa, la turpissima follia dei manichei, i cui artifizi diabolici vengono molto facilmente infranti dalla verità, da tutti ammessa, che ritiene essere la natura di Dio esente da ogni contaminazione e corruzione.
Ma quale scellerata contaminazione e corruzione non si ha diritto di supporre in questa gente, che si immagina corruttibile e soggetto a contaminazione Dio stesso che è l'essere sommamente e incomparabilmente buono?
Ci sono di quelli che, volendo scusare i loro peccati, ne accusano Dio, dicendo persino che egli trova gusto nel peccato.
Se gli dispiacesse - dicono -, onnipotente com'è, non permetterebbe in alcun modo il peccato.
Quasi che Dio lasci impunite le colpe.
E questo, in quegli stessi che, avendoli perdonati, libera dal castigo eterno.
Non c'è infatti alcuno cui venga condonata una pena grave che gli era dovuta, e che non abbia a scontare un'altra pena, per quanto assai più leggera di quella che s'era meritata.
E se Dio dispensa con larghezza la sua misericordia, lo fa a patto che non vengano trascurate le esigenze della sua giustizia.
Anche il peccato che sembra rimanere impunito è accompagnato, come da un'ancella, dalla pena: di modo che tutti ci si debba dispiacere amaramente delle colpe commesse o, se non ci si dispiace, è questione di cecità.
E allora, se tu mi dici: "Perché permette certe cose, se gli dispiacciono?", io ti replico: "Come fa a punirle, se gli piacciono?".
Ne segue che, come io ammetto che nessun peccato accadrebbe se Dio nella sua onnipotenza non lo permettesse, così anche tu devi ammettere che i peccati non si debbono fare, se Dio nella sua giustizia li punisce.
Evitando di fare ciò che egli punisce, potremo meritarci di conoscere perché egli permetta ciò che poi punisce.
Il cibo solido è - dice la Scrittura - degli uomini perfetti. ( Eb 5,14 )
E coloro che hanno fatto progressi in questa via, già comprendono come rientri nello stile dell'onnipotenza divina il permettere che ci siano dei mali, derivanti dal libero arbitrio della volontà.
È infatti così grande la sua onnipotenza e bontà che può trarre il bene anche dal male: o perdonandolo, o guarendolo, ovvero ordinandolo e volgendolo in bene per le persone fedeli, o anche castigandolo con somma giustizia.
Tutti questi interventi sono buoni e degnissimi di un Dio buono e onnipotente; eppure non ci sarebbero se non ci fosse il male.
Cosa dunque c'è di più buono, cosa di più onnipotente di colui che, mentre non compie alcun male, ricava il bene anche dal male?
Coloro che hanno commesso il male gridano a lui: Rimetti a noi i nostri debiti. ( Mt 6,12 )
Egli li ascolta e li perdona. Peccando, s'erano fatti del male; Dio li soccorre e porta rimedio al loro male.
I nemici infieriscono sugli amici di Dio. Dio, attraverso la loro crudeltà, forma i martiri.
Alla fine poi condanna quelli che giudica degni di castigo: essi gemono nel proprio male, Dio tuttavia fa una cosa buona.
Ogni cosa giusta è, infatti, anche buona; e certamente, com'è ingiustizia il peccato, così è cosa giusta la punizione del peccato.
Non mancava a Dio il potere di creare l'uomo con la prerogativa di non poter peccare, ma egli preferì crearlo tale che, se avesse voluto, gli fosse permesso di peccare e, se non avesse voluto, fosse potuto restare senza peccato.
Gli proibì pertanto il peccato e gli prescrisse di non peccare, affinché conseguisse, in un primo tempo, il merito di non aver peccato, e poi, come giusto premio, gli fosse accordato di non poter peccare.
Egli infatti alla fine renderà i suoi santi tali che non possano assolutamente peccare, come sono adesso gli angeli di Dio.
E noi, questi angeli, li amiamo nel Signore, e siamo certi che nessuno di loro col peccato diventerà diavolo.
Quanto agli uomini, invece, per quanto giusti, noi di nessuno presumiamo una tal cosa finché resta in questa vita mortale, ma ce l'attendiamo tutti per la vita immortale.
Dio onnipotente, che sa ricavare il bene anche mediante i nostri mali, quali beni non saprà darci, quando ci avrà liberati da tutti i mali?
Si potrebbero sviluppare trattazioni più ampie e più sottili sul valore e le finalità del male; ma non è questo il tema del presente opuscolo; e poi bisogna stare attenti che non divenga troppo prolisso.
Ritorniamo al tema che ci ha spinti alla presente digressione.
Noi abbiamo bisogno della continenza e riconosciamo che essa è un dono di Dio, mediante il quale il nostro cuore non si lascia andare a parole maliziose volendo scusare i peccati.
Della continenza abbiamo bisogno per trattenerci da ogni sorta di peccati e non commetterli.
Per suo mezzo ugualmente, qualora il peccato sia stato commesso, ci asteniamo dal difenderlo con micidiale superbia.
In ogni maniera, dunque, è necessaria la continenza se vogliamo evitare il male.
Fare il bene, invece, sembra esser compito di un'altra virtù, la giustizia, come ci inculca il santo salmo dove leggiamo: Allontànati dal male e fa' il bene.
E soggiunge anche il fine per cui lo dobbiamo fare: Ricerca la pace e mettiti sulle sue orme 58 . ( Sal 34,15 )
Ma la pace perfetta la conquisteremo solo quando la nostra natura sarà unita inseparabilmente al suo Creatore e in noi non ci sarà niente che si ribelli contro di noi.
È - per quanto mi è dato capire - quanto volle inculcare il nostro Salvatore allorché disse: I vostri fianchi siano cinti e le vostre lampade accese. ( Lc 12,35 )
Cosa vuol dire cingere i fianchi? Tenere a freno le passioni sregolate: e questo è compito della continenza.
Avere le lampade accese vuol dire invece splendere ed essere fervorosi nelle opere buone: e questo è compito della giustizia.
Né volle passare sotto silenzio il fine per cui dobbiamo agire così, ma soggiunse: Siate simili a quelle persone che stanno in attesa del padrone, finché non ritorni dalle nozze. ( Lc 12,36 )
Quando egli verrà, ci ricompenserà per esserci frenati in quello che la passione suggeriva e per aver compiuto quel che la carità ordinava.
Regneremo allora nella sua pace perfetta ed eterna, né avremo più da lottare col male ma godremo sommamente nella gioia del bene.
Noi crediamo in Dio vivo e vero, la cui natura è sommamente buona e immutabile, incapace di fare il male e di riceverne.
Da lui deriva ogni bene, anche quello che è soggetto a diminuzioni, mentre in quel bene che è la sua stessa essenza diminuzioni non possono esserci.
Convinti di questo, ascoltiamo rettamente le parole dell'Apostolo: Regolatevi secondo lo spirito e non vogliate soddisfare i desideri della carne.
La carne infatti ha desideri opposti a quelli dello spirito e lo spirito desideri opposti a quelli della carne.
Essi sono in contrasto fra loro, di modo che voi non non potete fare quello che vorreste. ( Gal 5,16-17 )
Non crediamo assolutamente a quello che sostengono pazzescamente i manichei, che cioè in questo passo si presentino due nature, una del bene e l'altra del male, in lotta fra loro per via dei loro principi opposti.
Sono - queste due realtà - assolutamente buone, l'una e l'altra: buono lo spirito, buona la carne.
E buono è anche l'uomo, che risulta delle due sostanze, l'una che comanda, l'altra che sta soggetta, anche se egli è mutevole nella sua bontà.
Autore del tutto, poi, non potrebbe essere se non quell'Uno che è immutabile nella bontà.
È lui che ha creato buona ogni cosa tanto se piccola come se grande.
Se essa è piccola, chi l'ha tratta all'esistenza è grande.
Se è grande, non è certo da paragonarsi in alcun modo con la grandezza del Creatore.
Tuttavia in questa natura dell'uomo, sebbene buona e creata rettamente e convenientemente strutturata da quell'Uno che è buono, attualmente esiste una guerra, poiché non ha ancora conseguito la salute.
Guarita l'infermità, ci sarà la pace; e mi riferisco all'infermità causata dalla colpa, non affermo che essa sia congenita nella natura.
Questa colpa è stata, sì, rimessa ai fedeli quando per grazia di Dio sono stati lavati a rigenerazione; ma, sebbene in mano al medico, la natura ha ancora da combattere con le proprie malattie.
In tale combattimento la salute verrà con la vittoria completa: non una salute temporanea ma eterna.
Là avrà fine il presente languore, né alcun altro ne sorgerà.
Da ciò si spiega l'apostrofe che il giusto rivolge alla sua anima: Benedici, anima mia, il Signore, e non scordarti dei tanti suoi benefici.
Egli perdona tutte le tue colpe, risana tutte le tue infermità. ( Sal 103,2-3 )
È propizio alle iniquità, quando rimette i peccati; sana le malattie, quando raffrena i cattivi desideri.
È propizio alle iniquità, quando accorda il perdono; risana le malattie, quando concede la continenza.
Il primo dono ci venne accordato nel battesimo, quando confessammo il suo Nome; l'altro ci si concede mentre combattiamo nell'arena, quando, sorretti dal suo aiuto, ci impegniamo a vincere la nostra malattia.
Ogni giorno, anzi, ci si concedono i due doni: il primo quando viene esaudita l'invocazione: Rimetti a noi i nostri debiti; il secondo quando Dio ascolta le altre parole: Non ci esporre alla tentazione. ( Mt 6, 12-13 )
Difatti, ognuno è tentato - secondo quel che dice l'apostolo san Giacomo - perché fuorviato e sedotto dalla sua concupiscenza: ( Gc 1,14 ) vizio per il quale si implora l'aiuto e la medicina da colui che è in grado di guarire tutti i languori spirituali.
Egli non strappa da noi la nostra natura, quasi che sia estranea a noi, ma la rimette in ordine.
Ragion per cui il citato apostolo non dice: Ognuno è tentato dalla concupiscenza, ma precisa: dalla sua.
E allora, ascoltando queste parole, impariamo a supplicare: Io esclamo: Signore, abbi pietà di me; risana l'anima mia, perché ho peccato contro di te. ( Sal 41,5 )
Non avrebbe infatti - l'anima - avuto bisogno d'essere guarita, se peccando non si fosse viziata.
E il vizio sta in questo: che la carnalità avanza desideri contrastanti con quelli dello spirito.
Cioè: l'anima, per la parte che è diventata inferma e asservita alla carnalità, sta in guerra con se stessa.
La carne non avanza desideri se non attraverso l'anima; e se si dice della carne che è in contrasto con lo spirito, lo si dice in quanto l'anima, dietro la spinta della concupiscenza carnale, si ribella allo spirito.
Tutto questo siamo noi; e di noi la parte inferiore è la carne, quella carne che muore quando l'anima se ne separa: non nel senso che la abbandona come cosa da fuggirsi, ma solamente la lascia da parte per un certo tempo per poi riassumerla e, una volta ripresala, non abbandonarla mai più.
Si semina un corpo animale; risorgerà un corpo spirituale. ( 1 Cor 15,44 )
Allora la carne non nutrirà voglie contrarie a quelle dello spirito, ma meriterà anche lei il nome di sostanza spirituale.
Sarà sottomessa allo spirito senza ribellarglisi, e sarà dotata d'una vita eterna, esente da ogni bisogno di alimento materiale.
Attualmente, però, questi due elementi, che poi siamo noi stessi, sono in contrasto fra loro; e bisogna pregare e lavorare perché si mettano d'accordo.
Non dobbiamo pensare che uno dei due sia nostro nemico, ma, se la carne avanza desideri contro lo spirito, dipende dal vizio.
Quando questo vizio sarà guarito, cesserà anche di esistere, e le due sostanze saranno salve e ogni contrasto verrà abolito.
Prestiamo ascolto all'Apostolo: So - dice - che non abita in me, cioè nella mia carne, il bene. ( Rm 7,18 )
Questo, senza dubbio, perché la viziosità della carne, anche se subiettata in una realtà buona, non è un bene.
Quando poi cesserà il vizio, resterà ugualmente la carne, ma non sarà più né viziata né viziosa.
Essa comunque fa sempre parte della nostra natura: come dice san Paolo: So che non abita in me il bene, aggiungendo, a scopo di precisazione: In me, vale a dire: Nella mia carne.
Se stesso e carne sua significano la stessa cosa.
In se stessa, dunque, la carne non è nostra nemica; e quando opponiamo resistenza ai suoi vizi, dimostriamo amore per lei, poiché la vogliamo curare.
Nessuno, infatti - dice ancora l'Apostolo -, ha mai avuto in odio la sua propria carne. ( Ef 5,29 )
Come in un altro passo dice ancora: Pertanto io stesso con la mente servo alla legge di Dio, ma con la carne alla legge del peccato. ( Rm 7,25 )
Lo ascoltino quanti hanno orecchi: io stesso. Io per la mente, io per la carne.
Solo che nella mente servo alla legge di Dio, mentre nella carne servo alla legge del peccato.
In che modo, con la carne servo alla legge del peccato?
Forse consentendo alla concupiscenza carnale? Certo no.
Si dice servo, in quanto nella carne ha da sostenere certi moti e appetiti che non avrebbe voluto avere, eppure aveva.
Negando ad essi il consenso, serviva con la mente alla legge di Dio, e teneva in suo dominio le membra perché non divenissero armi di peccato.
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