La correzione e la grazia |
A questo punto, se mi si dovesse chiedere perché Dio non dà la perseveranza a coloro ai quali ha dato la carità per vivere cristianamente, rispondo che io non lo so.
Io infatti non con arroganza, ma riconoscendo il mio limite, ascolto l'Apostolo che dice: O uomo, chi sei tu per rispondere a Dio? ( Rm 9,20 ) e: O profondità delle ricchezze di sapienza e di scienza di Dio!
Quanto imperscrutabili sono i suoi giudizi e impenetrabili le sue vie! ( Rm 11,33 )
Rendiamo dunque grazie per quanto egli si degna di manifestarci dei suoi giudizi; ma per quanto ce ne nasconde non mormoriamo contro le sue decisioni, ma riteniamo che anche ciò sia per noi estremamente salutare.
Ma chiunque tu sia, nemico della grazia, che rivolgi quella domanda, tu stesso che ne dici?
C'è di buono il fatto che non neghi di essere cristiano e ti vanti di essere cattolico.
Se tu dunque confessi che è dono di Dio perseverare nel bene fino alla fine, penso che tu non sai, esattamente come me, perché quello riceva tale dono e l'altro non lo riceva, e nessuno di noi due qui può penetrare gli imperscrutabili disegni di Dio.
Al contrario se tu pensi: il fatto che ciascuno perseveri o no nel bene riguarda il libero arbitrio dell'uomo ( e questo tu lo sostieni non in accordo con la grazia di Dio, ma contro di essa ) e se uno persevera non è Dio che glielo concede, ma lo realizza la volontà umana, allora che cosa escogiterai contro le parole di Colui che dice: Ho pregato per te, Pietro, perché la tua fede non venga meno? ( Lc 22,32 )
Oserai forse sostenere che anche malgrado la preghiera di Cristo perché non venisse meno la fede di Pietro, essa sarebbe venuta meno lo stesso se Pietro avesse voluto, cioè se non avesse voluto che essa perseverasse fino alla fine?
Come se Pietro in qualche modo potesse volere qualcosa di diverso da ciò che Cristo pregava che egli volesse!
Chiunque capisce che la fede di Pietro sarebbe perita nel momento in cui fosse venuta meno la volontà per la quale egli era fedele, e che sarebbe restata, se la volontà stessa si fosse conservata.
Ma poiché la volontà è preparata dal Signore, ( Pr 8,35 sec. LXX ) la preghiera di Cristo per lui non poteva essere inefficace.
Quando dunque ha pregato che la fede di Pietro non venisse meno, che cos'altro ha pregato se non che avesse nella fede una volontà assolutamente libera, forte, invitta, perseverante?
Ecco in qual modo si difende secondo la grazia di Dio e non contro di essa la libertà del volere.
Non è sicuramente con la libertà che la volontà umana consegue la grazia, ma è piuttosto con la grazia che consegue la libertà, insieme a una dilettevole stabilità e a una invincibile fortezza per perseverare.
Sì, è strano, ed anche molto strano, il fatto che Dio non doni la perseveranza a certi suoi figli che ha rigenerato in Cristo, ai quali ha donato la fede, la speranza, l'amore; eppure perdona delitti tanto grandi a figli altrui e dispensando loro la grazia li rende figli suoi!
Chi non se ne meraviglierebbe? Chi non si stupirebbe profondissimamente?
Ma anche quest'altra cosa non è meno strana, e tuttavia è vera, e così lampante che nemmeno gli stessi nemici della grazia di Dio sono capaci di trovare il mezzo di negarla: alcuni figli di suoi amici, cioè di fedeli rigenerati e buoni, se escono da questa terra da bambini senza battesimo, li esclude dal regno suo nel quale manda invece i genitori.
Eppure se avesse voluto, avrebbe potuto procurare loro la grazia di questo lavacro, dato che ogni cosa è in suo potere.
E al contrario fa pervenire in mano di cristiani alcuni figli di nemici suoi e per mezzo del lavacro li introduce nel regno cui restano estranei i genitori; di loro propria volontà questi ultimi bambini non hanno meritato in alcun modo nel bene, come i primi in alcun modo nel male.
Certo sicuramente in questo caso i giudizi di Dio non possono essere né vituperati né penetrati, perché sono giusti e profondi; e un giudizio del genere è quello sulla perseveranza, di cui stiamo trattando.
Dunque su gli uni e su gli altri esclamiamo: O profondità delle ricchezze di sapienza e di scienza di Dio!
Quanto imperscrutabili sono i tuoi giudizi! ( Rm 11,33 )
E non meravigliamoci se noi non possiamo investigare le sue vie impenetrabili.
Non voglio nemmeno parlare di altri doni innumerevoli che sono assegnati ad alcuni e ad altri no da parte del Signore Iddio, presso il quale non esistono riguardi personali. ( Rm 2,1 )
Questi doni non vengono attribuiti per i meriti della volontà, e fra di essi si trovano ad esempio la rapidità, la forza, la buona salute, la bellezza fisica, l'ingegno fuori dal comune, le attitudini naturali dell'intelletto e svariate arti, oppure ci sono doni che sopravvengono all'uomo dall'esterno, come la ricchezza, la nobiltà, gli onori e tutte le altre cose di tal genere: che uno le possieda è esclusivamente in potere di Dio.
E non soffermiamoci poi nemmeno sul battesimo dei bambini ( eppure nessuno di loro potrà dire che esso non appartenga, come i doni già nominati, al regno di Dio ).
Per quale motivo a questo bambino è concesso e a quello no, se tanto l'una che l'altra soluzione è in potere di Dio e senza quel sacramento nessuno entra nel regno di Dio?
Ma io voglio tacere di tutto questo e lasciarlo da parte: i fratelli dissenzienti prendano in esame solo la categoria di individui di cui si tratta qui; infatti il nostro problema riguarda coloro che non hanno la perseveranza nella bontà, ma muoiono proprio quando la loro volontà buona passa dal bene al male.
Rispondano, se possono: perché Dio non li ha strappati dai pericoli di questa vita allora, quando vivevano con fede e pietà, affinché la malizia non mutasse la loro mente e la frode non traesse in errore le loro anime? ( Sap 4,11 )
Forse ciò non era in suo potere o ignorava i loro futuri peccati?
Assolutamente nessuna delle due ipotesi può essere avanzata se non a costo della massima perversità e follia.
Perché allora non lo fece?
Rispondano questi che ci deridono quando esclamiamo: Quanto imperscrutabili sono i suoi giudizi e impenetrabili le sue vie!. ( Rm 11,33 )
Allora, o non è vero che Dio concede questo dono a chi vuole, oppure mente quel passo della Scrittura che sulla morte per così dire immatura dell'uomo giusto dice: Egli fu rapito perché la malizia non mutasse la sua mente o la frode non traesse in errore la sua anima. ( Sap 4,11 )
Perché dunque Dio dà ad alcuni e non ad altri un così grande beneficio?
Eppure in lui non è iniquità né vi sono riguardi personali, mentre è in suo potere far rimanere ciascuno quanto vuole in questa vita, che è stata definita una prova sulla terra. ( Gb 7,1 )
Dunque sono costretti ad ammettere che per l'uomo è un dono di Dio mettere fine a questa vita prima di cambiare dal bene al male; ma perché ad alcuni lo conceda e ad altri no, lo ignorano; allora alla stessa maniera ammettano insieme con noi che secondo le Scritture, dalle quali ho già tratto numerose testimonianze, la perseveranza nel bene è un dono di Dio; e perché ad alcuni sia concesso e ad altri no, si contentino d'ignorarlo insieme con noi senza mormorare contro Dio.
E non lasciamoci impressionare dal fatto che Dio non concede questa perseveranza a certi suoi figli.
Nemmeno lontanamente infatti potrebbe accadere così, se essi appartenessero a quei predestinati e chiamati secondo il decreto, che veramente sono figli della promessa.
Gli altri sono chiamati figli di Dio quando vivono piamente; ma poiché in seguito vivranno empiamente e morranno in questa empietà, questi non possono essere chiamati figli di Dio dalla prescienza divina.
Infatti sono figli di Dio alcuni che non lo sono ancora per noi e lo sono già per Dio, e di questi dice l'evangelista Giovanni: Gesù doveva morire per la sua nazione, e non soltanto per la sua nazione, ma anche per raccogliere in unità i figli di Dio dispersi. ( Gv 11,51-52 )
Essi sarebbero diventati figli di Dio quando avessero cominciato a credere grazie alla predicazione del Vangelo; e tuttavia prima che ciò avvenisse, essi erano già figli di Dio iscritti nell'irremovibile stabilità della memoria del Padre loro.
E ci sono ancora alcuni, che sono detti figli di Dio da noi per la grazia ricevuta sia pure temporaneamente, ma che non lo sono per Dio, e di essi dice lo stesso Giovanni: Sono usciti di fra noi, ma non erano dei nostri, perché se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti senz'altro con noi. ( 1 Gv 2,19 )
Non dice: Uscirono di fra noi, ma poiché non rimasero con noi, ormai non sono più dei nostri; dice invece: Uscirono di fra noi, ma non erano dei nostri; cioè anche quando sembravano essere fra noi, non erano dei nostri.
E come se uno gli dicesse: E da che cosa lo argomenti?
Egli continua: Perché se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti senz'altro con noi.
Queste sono le parole dei figli di Dio: parla Giovanni, già collocato in un posto eminente fra i figli di Dio.
Quando dunque i figli di Dio dicono di coloro che non hanno ricevuto la perseveranza: Sono usciti di fra noi, ma non erano dei nostri, e aggiungono: perché se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti senz'altro con noi, che altro dicono se non questo: Non erano figli, anche quando erano nella condizione e nel nome di figli?
E non lo erano non perché simularono la giustizia, ma perché non rimasero in essa.
Infatti non dice: Effettivamente se fossero stati dei nostri, avrebbero mantenuto senz'altro con noi una giustizia vera e non simulata; al contrario afferma: Se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti senz'altro con noi.
Fuor da ogni dubbio egli voleva che essi restassero nel bene.
E c'erano nel bene, ma poiché non vi rimasero, cioè non perseverarono fino alla fine, non erano - dice - dei nostri, anche quando erano con noi; cioè non erano nel numero dei figli, anche quando erano nella fede dei figli, perché quelli che sono figli veramente furono conosciuti in precedenza e predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, e sono stati chiamati secondo il decreto per essere eletti.
Infatti non perisce il figlio della promessa, ma il figlio della perdizione. ( Gv 17,12 )
Dunque questi appartennero alla moltitudine dei chiamati, ma non furono del piccolo numero degli eletti.
Non si potrà dire allora che Dio non dette la perseveranza ai suoi figli predestinati: infatti anche i primi l'avrebbero avuta se fossero stati nel numero dei figli; e che cosa avrebbero avuto, che non avessero ricevuto, secondo l'espressione veritiera dell'Apostolo? ( 1 Cor 4,7 )
E perciò sarebbero stati dati al Figlio Cristo figli tali secondo quanto egli dice al Padre: Che tutto quello che mi desti non perisca, ma abbia vita eterna. ( Gv 3,15; Gv 6,39 )
Da qui si comprende che sono dati a Cristo quelli che sono stati ordinati per la vita eterna.
Essi appunto sono i predestinati e chiamati secondo il decreto, e di essi nessuno perisce.
E perciò nessuno di essi incontra la fine di questa vita dopo un cambiamento dal bene al male, perché egli è stato ordinato così e dato a Cristo per questo, affinché non perisca, ma ottenga la vita eterna.
E inoltre quelli che chiamiamo suoi nemici o i figli ancora piccoli dei suoi nemici, quanti di essi egli ha intenzione di rigenerare perché finiscano questa vita nella fede che opera per amore, ( Gal 5,6 ) ancor prima che ciò avvenga sono figli suoi in quella predestinazione e sono stati dati a Cristo Figlio suo affinché non periscano, ma ottengano la vita eterna.
Infine il Salvatore dice ancora: Se rimarrete nella mia parola, sarete veramente miei discepoli. ( Gv 8,31 )
Forse che fra di questi bisognerà calcolare Giuda, che non rimase nella parola del Signore?
Forse che tra questi bisognerà calcolare anche coloro dei quali parla il Vangelo, nel passo in cui, dopo che il Signore ebbe raccomandato di mangiare la sua carne e di bere il suo sangue, l'Evangelista dice: Queste cose disse, insegnando nella Sinagoga, in Cafarnao.
Allora molti dei discepoli nell'ascoltarlo dissero: È duro questo discorso, chi lo può ascoltare?
Ma Gesù, sapendo in se stesso che i suoi discepoli mormoravano di ciò, disse loro: Questo vi scandalizza?
E allora se vedrete il Figlio dell'uomo salire dove era prima?
È lo spirito che vivifica, la carne invece non giova a nulla.
Le parole che io ho detto a voi, sono spirito e vita.
Ma ci sono alcuni fra di voi che non credono.
Infatti Gesù sapeva fin dall'inizio chi fossero quelli che credevano e chi lo avrebbe tradito; e diceva: Per questo dissi a voi che nessuno viene a me, se non gli è stato dato dal Padre mio.
In seguito a queste parole molti dei suoi discepoli si allontanarono e non andarono più con lui. ( Gv 6,60-67 )
Forse che non sono chiamati discepoli anche questi, se lo dice il Vangelo?
E tuttavia non erano veramente discepoli, perché non rimasero nella parola del Signore, secondo il passo che afferma: Se rimarrete nella mia parola, sarete veramente miei discepoli.
Dunque poiché non ebbero la perseveranza, come non furono veramente discepoli di Cristo, così neppure furono veramente figli di Dio, anche quando sembrava che lo fossero e ne ricevevano il nome.
Dunque noi chiamiamo eletti, discepoli di Cristo e figli di Dio, perché così bisogna chiamarli, quelli che scorgiamo vivere nella pietà dopo la rigenerazione; ma sono veramente quello che il loro appellativo dichiara solo se rimangono nello stato per il quale ricevono tale appellativo.
Se invece non hanno la perseveranza, cioè non rimangono nello stato in cui hanno cominciato ad essere, il loro appellativo non è dato secondo verità, perché sono chiamati così senza esserlo: infatti essi non lo sono presso Colui al quale è noto quello che saranno, cioè malvagi dopo essere stati buoni.
Per questo, dopo che l'Apostolo ha detto: Sappiamo che Dio coopera in ogni cosa al bene per coloro che lo amano, sapendo che taluni amano Dio e non permangono in questo bene fino alla fine subito aggiunge: per coloro che sono stati chiamati secondo il decreto. ( Rm 8,28 )
Questi ultimi infatti rimangono fino alla fine nello stato di amore verso Dio; e quelli che per un certo tempo ne deviano vi ritornano, per restare fino alla fine nel bene in cui avevano iniziato ad essere.
E per dimostrare che cosa significhi essere chiamati secondo il decreto, subito aggiunge quello che ho già citato: Perché quelli che egli conobbe precedentemente, li predestinò anche ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, affinché egli sia primogenito tra molti fratelli; ma quelli che ha predestinato li ha anche chiamati, cioè secondo il decreto, e quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; e quelli che ha giustificati li ha anche glorificati. ( Rm 8,29-30 )
Tutte queste azioni sono state già compiute: conobbe precedentemente, predestinò, chiamò, giustificò, perché tutti ormai sono stati conosciuti e predestinati, e molti già chiamati e giustificati.
Ciò che invece pone per ultimo: li ha anche glorificati, non è ancora avvenuto ( perché qui bisogna intendere quella gloria della quale lo stesso Apostolo dice: Quando Cristo, vita vostra, apparirà, allora anche voi apparirete in gloria con lui ( Col 3,4 ).
Per quanto, anche quelle due azioni, cioè: chiamò e giustificò, non si sono realizzate in tutti coloro ai quali sono riferite: infatti fino alla fine del mondo molti devono ancora essere chiamati e giustificati.
Tuttavia sono state usate espressioni al passato anche su cose ancora da avvenire, come se Dio avesse già realizzato quelle cose il cui adempimento ha disposto fino dall'eternità.
Perciò il profeta Isaia dice di lui: Colui che fece le cose che avverranno. ( Is 45,11 sec. LXX )
Dunque tutti quelli che sono stati conosciuti fin da prima nella disposizione sommamente previdente di Dio, che sono stati predestinati, chiamati, giustificati, glorificati, non dico quando ancora non sono rinati, ma quando ancora non sono nemmeno nati, già sono figli di Dio, e assolutamente non possono perire.
Questi veramente vengono a Cristo, perché vengono nel modo che dice egli stesso: Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me; e colui che viene a me, io non lo caccerò fuori. ( Gv 6,37 )
E poco dopo aggiunge: Questa è la volontà del Padre che mi mandò, che io non perda niente di ciò che egli mi dette. ( Gv 6,39 )
Da lui dunque è data anche la perseveranza nel bene sino alla fine, e non viene data se non a quelli che non periranno, perché quelli che non perseverano periranno.
Per quelli che hanno un tale modo di amarlo, Dio coopera in ogni cosa al bene, proprio in tutte le cose, fino a tanto che se anche alcuni di loro deviano ed escono di carreggiata, perfino un fatto simile lo rivolge al loro bene, perché tornano più umili e meglio ammaestrati.
Infatti imparano che proprio nella via giusta essi debbono esultare con tremore, non arrogandosi la fiducia di permanere nel bene come se ciò venisse dalla loro propria capacità, e senza dire nella loro prosperità: Non vacilleremo in eterno. ( Sal 30,7 )
È per questo che ad essi è detto: Servite il Signore nel timore, ed esultate in lui con tremore, perché una volta o l'altra il Signore non si adiri e voi vi perdiate dalla giusta via. ( Sal 50,22 )
E non dice infatti: Non veniate alla giusta via, ma: e perché voi non vi perdiate dalla giusta via, volendo dimostrare solo questo: coloro che già camminano nella giusta via sono ammoniti a servire Dio nel timore, cioè a non inorgoglire, ma ad avere timore. ( Rm 11,20 )
Il che significa: Non insuperbiscano, ma siano umili, per cui anche altrove dice: Non presumendo grandezze, ma piegandovi alle cose umili. ( Rm 12,16 )
Esultino in Dio, ma con tremore, senza gloriarsi in nulla, dato che nulla è nostro, cosicché chi si gloria si glori nel Signore; ( Ger 9, 23.24; 1 Cor 1,31; 2 Cor 10,17 ) e tutto perché non si perdano dalla giusta via nella quale già hanno cominciato a camminare, con l'attribuire a se stessi appunto il fatto di trovarsi in essa.
Queste parole le ha usate anche l'Apostolo, quando dice: Adoperatevi alla vostra salvezza con timore e tremore; e dimostrando perché devono farlo con timore e tremore: È Dio infatti - afferma - che opera in voi il volere e l'operare, secondo le sue intenzioni. ( Fil 2,12-13 )
Infatti non aveva questo timore e tremore colui che diceva nella sua prosperità: Non vacillerò in eterno. ( Sal 30,7 )
Ma poiché era figlio della promessa, non della perdizione, quando Dio lo abbandonò appena un poco sperimentò cosa fosse egli stesso e disse: Signore, nella tua volontà prestasti al mio onore la potenza; ma distogliesti da me il tuo volto e io sono stato confuso. ( Sal 30,8 )
Ecco che maggiormente ammaestrato e perciò anche più umile, mantenne la via perché ormai scorgeva e ammetteva che nella sua volontà Dio aveva prestato al suo onore la potenza; al contrario finché attribuiva ciò a se stesso e in questa prosperità che gli aveva prestato Dio confidava in sé invece di confidare in Colui che l'aveva prestata, diceva: Non vacillerò in eterno.
Dunque venne confuso perché ritrovasse se stesso e con saggia umiltà apprendesse in chi bisogna riporre la speranza non solo della vita eterna, ma anche della condotta pia e della perseveranza in questa vita.
Queste parole avrebbero potuto essere dell'apostolo Pietro; in realtà anche egli disse nella sua prosperità: Darò per te la mia vita, ( Gv 13,37 ) attribuendo a se stesso con troppa fretta quello che gli doveva essere poi largito dal Signore.
E il Signore distolse il suo volto da lui ed egli fu confuso, così che ebbe paura di morire per Cristo e lo rinnegò tre volte.
Ma poi il Signore rivolse ancora il suo viso a lui ed egli lavò la sua colpa con le lacrime.
Che altro significa infatti che lo guardò, ( Lc 22,61 ) se non che rivolse a lui il volto che per un poco aveva distolto da lui?
Dunque aveva subìto il turbamento, ma poiché imparò a non confidare in se stesso, anche questa esperienza gli tornò in bene per azione di Colui che coopera in ogni cosa al bene per coloro che lo amano; ( Rm 8,28 ) infatti egli era stato chiamato secondo il decreto, cosicché nessuno poteva strapparlo dalle mani di Cristo a cui era stato dato.
Nessuno dunque dica che non bisogna riprendere chi esce dalla via giusta, ma solo richiedere per lui al Signore il ritorno e la perseveranza; nessuno che sia avveduto e fedele dica ciò.
Se infatti questo è stato chiamato secondo il decreto, fuor di dubbio Dio coopera al suo bene anche attraverso il rimprovero.
Ma poiché quello che lo riprende non conosce se egli sia stato chiamato in tal modo, faccia con amore quello che sa di dover fare; infatti sa che se uno ha deviato deve essere ripreso, e poi Dio praticherà su di lui o la sua misericordia o il suo giudizio.
Sarà certo la misericordia, se colui che è ripreso è stato sceverato dalla massa di perdizione dalla generosità della grazia e non è tra i vasi d'ira che sono stati costruiti per la perdizione, ma tra i vasi di misericordia che Dio apprestò per la gloria; ( Rm 9,22-23 ) sarà invece un giudizio, se egli fu condannato ad essere tra i vasi d'ira e non predestinato tra i vasi di misericordia.
A questo punto sorge un'altra questione, che certo non dev'essere trascurata, ma affrontata e risolta con l'aiuto di Dio nella cui mano siamo noi e i nostri ragionamenti. ( Sap 7,16 )
i viene chiesto infatti, per quanto riguarda questo dono di Dio che è il perseverare nel bene fino alla fine, che cosa pensiamo particolarmente del primo uomo, che certo fu creato retto e senza alcuna menda.
Io non dico: Se non ebbe la perseveranza, come poté essere senza difetto uno a cui mancò questo dono di Dio tanto necessario?
Infatti a simile domanda si risponde facilmente così: Egli non ebbe la perseveranza perché non rimase in quel bene che lo rendeva senza difetto; cominciò ad avere il difetto dal momento in cui cadde, e se cominciò, prima di cominciare evidentemente fu senza difetto.
Infatti una cosa è non avere il difetto, e un'altra non rimanere in quella bontà nella quale non c'è alcun difetto.
Proprio perché non è detto che egli non fu mai senza difetto, ma è detto che non restò senza difetto, senza alcun dubbio viene dimostrato che fu senza difetto, bene in cui è accusato di non essere rimasto.
Ma piuttosto ciò che dev'essere indagato e trattato con maggior diligenza è come dobbiamo rispondere a quelli che dicono: "Se ebbe la perseveranza in quella rettitudine nella quale fu creato senza difetto, senza dubbio perseverò in essa; e se perseverò, certo non peccò e non abbandonò né quella sua rettitudine né Dio.
Ma la verità proclama che egli peccò e abbandonò il bene.
Allora non ebbe la perseveranza in quel bene; e se non l'ebbe, certo non la ricevette.
Infatti come avrebbe potuto ricevere la perseveranza e non perseverare?
Ma allora, se non l'ebbe perché non la ricevette, come fece a peccare non perseverando, lui che la perseveranza non l'aveva ricevuta?
E infatti non si può dire che egli non la ricevette perché la generosità della grazia non lo distinse dalla massa di perdizione.
Sicuramente, prima che peccasse colui dal quale fu tratta l'origine corrotta, non ci poteva essere ancora nel genere umano quella massa di perdizione".
Su tutto questo problema noi confessiamo nella maniera più salutare quello che crediamo nella maniera più retta: Dio, Signore di tutte le cose, le creò tutte buone assai, seppe in precedenza che dai beni sarebbero sorti dei mali, ma conobbe che era più conveniente all'assoluta onnipotenza della sua bontà trarre il bene anche dai mali piuttosto che non permettere l'esistenza dei mali; dunque dette alla vita degli angeli e degli uomini un ordinamento tale da dimostrare in essa prima quale potere avesse il loro libero arbitrio e poi quale potere avessero il beneficio della sua grazia e il giudizio della sua giustizia.
Ecco allora che alcuni angeli, il cui capo è quello che è detto diavolo, rinnegarono il Signore Iddio per mezzo del libero arbitrio.
Ma rifuggendo dalla sua bontà, che li aveva resi beati, non poterono sfuggire il suo giudizio, che li fece diventare sommamente infelici.
Gli altri invece per mezzo dello stesso libero arbitrio stettero saldi nella verità, e si meritarono di sapere grazie a quella verità certissima che la loro caduta non sarebbe mai sopraggiunta.
Se infatti anche noi abbiamo potuto sapere dalle sante Scritture che nessuno dei santi angeli cadrà mai più, con quanta maggior ragione lo devono sapere essi stessi grazie ad una verità rivelata loro in forma più sublime?
A noi è stata promessa una vita beata senza fine e l'uguaglianza con gli angeli; ( Mt 22,30 ) e per questa promessa siamo certi che quando saremo arrivati dopo il giudizio a quella vita, da una simile condizione non potremo più cadere; ora, se gli angeli ignorassero questo di se stessi, noi saremmo non eguali a loro, ma più beati di loro, mentre la Verità ci ha promesso l'uguaglianza con essi.
Dunque è certo che essi sanno attraverso la visione quello che noi sappiamo attraverso la fede, e cioè che non avverrà mai più la rovina di alcun santo angelo.
Ma anche il diavolo e i suoi angeli erano beati prima che cadessero, e non sapevano che sarebbero piombati nella miseria; c'era tuttavia ancora qualcosa che poteva essere aggiunta alla loro beatitudine, se per mezzo del libero arbitrio fossero restati saldi nella verità fino a ricevere quella pienezza della più alta beatitudine come premio della loro perseveranza.
Cioè, dopo aver avuto dallo Spirito Santo grande abbondanza dell'amore di Dio, essi non avrebbero più potuto assolutamente cadere e lo avrebbero saputo con totale certezza.
Non avevano questa pienezza della beatitudine, ma poiché ignoravano la loro futura miseria, godevano di una beatitudine minore, ma tuttavia senza difetto.
Infatti se avessero conosciuto la loro futura caduta e la condanna eterna, certo non avrebbero potuto essere beati perché il timore di un male tanto grande li avrebbe ridotti ad essere infelici fin da allora.
Allo stesso modo Dio creò anche l'uomo in possesso del libero arbitrio, e benché questi ignorasse se doveva cadere o no, tuttavia era beato in quanto sentiva che il non morire e non diventare infelice era in suo potere.
E se avesse voluto rimanere, appunto attraverso il libero arbitrio, in questo stato integro e senza difetto, certamente senza aver sperimentato affatto la morte e l'infelicità, avrebbe ricevuto per merito di tale perseveranza quella pienezza di beatitudine della quale sono beati anche i santi angeli, cioè la beatitudine di non poter più cadere e di saperlo con assoluta certezza.
Infatti egli non avrebbe potuto essere beato neppure nel paradiso terrestre, anzi non avrebbe potuto nemmeno starci, lì dove non si conviene essere infelici, se la prescienza della sua caduta con il timore di un male tanto grande lo avesse afflitto.
Ma poiché attraverso il libero arbitrio abbandonò Dio, sperimentò il suo giusto giudizio e fu condannato con tutta la sua stirpe, che consistendo allora interamente in lui, peccò tutta con lui.
Quanti di questa stirpe sono liberati ad opera della grazia di Dio, vengono liberati proprio dalla condanna nella quale ormai sono tutti serrati.
Per cui anche se nessuno ne venisse liberato, non ci sarebbe persona in diritto di riprendere il giusto giudizio di Dio.
Quelli che vengono liberati sono pochi solo in paragone con coloro che periscono, ma il loro numero è grande; e questo avviene per la grazia, avviene gratuitamente e bisogna ringraziare per il fatto che avviene, affinché nessuno si inorgoglisca come di propri meriti, ma ogni bocca si chiuda ( Rm 3,19 ) e chi si gloria, si glori nel Signore.
E allora? Adamo non ebbe la grazia di Dio? Anzi al contrario l'ebbe e grande, ma diversa.
Egli si trovava fra i beni che aveva ricevuto dalla bontà del suo Creatore; infatti quei beni nei quali egli non subiva alcun male, non se li era procacciati con i suoi meriti nemmeno lui.
Invece i santi, ai quali è diretta questa grazia della liberazione, in questa vita si trovano tra i mali, e perciò gridano a Dio: Liberaci dal male. ( Mt 6,13 )
Egli in quei beni non aveva bisogno della morte di Cristo; questi invece sono sciolti dal reato sia ereditario sia loro proprio dal sangue dell'Agnello.
Egli non aveva bisogno di quell'aiuto che implorano questi quando dicono: Vedo nelle mie membra un'altra legge, che si ribella alla legge della mia mente e mi imprigiona nella legge del peccato, che è nelle mie membra.
Uomo infelice che sono, chi mi libererà da questo corpo di morte? La grazia di Dio, per Gesù Cristo nostro Signore. ( Rm 7,23-25 )
Infatti in essi la carne ha desideri contrari a quelli dello spirito ( Gal 5,17 ) e lo spirito a quelli della carne, e mentre si affannano e rischiano in questa contesa, chiedono che sia data loro attraverso la grazia di Cristo la forza di lottare e vincere.
Ma egli non era affatto combattuto né turbato da questa lotta di se stesso contro se stesso e godeva in sé della sua pace in quel luogo di beatitudine.
Pertanto questi al momento hanno bisogno di una grazia non più beata, ma certo più potente; e quale grazia è più potente del Figlio di Dio unigenito, uguale al Padre e coeterno, fatto uomo per loro, e crocifisso da uomini peccatori e senza che avesse alcun peccato originale o proprio?
Egli il terzo giorno risorse e non morirà più; tuttavia subì la morte per i mortali, dando così la vita ai morti, perché, redenti dal suo sangue e ricevuto un pegno di tanta grandezza e valore, dicessero: Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?
Colui che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per noi tutti, come può essere che non ci abbia donato anche ogni cosa insieme con lui? ( Rm 8,31-32 )
Dio dunque assunse la nostra natura, cioè l'anima razionale e la carne dell'uomo Cristo, con un'assunzione singolarmente mirabile o mirabilmente singolare; senza che avesse precedentemente acquistato alcun merito con la sua giustizia, fu Figlio di Dio fin dal momento in cui iniziò ad essere uomo in maniera tale che egli stesso e il Verbo, che è senza inizio, erano una persona sola.
Infatti nessuno potrebbe essere cieco di un'ignoranza tanto grande in questa verità e nella fede, da osar dire che il Figlio dell'uomo, benché nato dallo Spirito Santo e dalla Vergine Maria, tuttavia meritò di essere Figlio di Dio vivendo bene attraverso il libero arbitrio e facendo opere buone senza peccato.
A questa ipotesi si oppone il Vangelo quando dice: Il Verbo si fece carne. ( Gv 1,14 )
Infatti dove avvenne ciò, se non nell'utero verginale da cui trasse origine l'uomo Cristo?
Così quando la Vergine chiese come potesse accadere quello che le veniva annunciato dall'angelo, l'angelo rispose: Lo Spirito Santo verrà sopra di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà della sua ombra; per questo quell'Essere santo che nascerà da te sarà chiamato Figlio di Dio. ( Lc 1,35 )
Per questo, dice, non per le opere, che per uno che non è ancora nato non possono esistere affatto; per questo, perché lo Spirito Santo verrà sopra di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà della sua ombra; per questo quell'Essere santo che nascerà da te sarà chiamato Figlio di Dio.
Questa nascita, certo gratuita, congiunse in unità di persona l'uomo a Dio, la carne al Verbo.
Le buone opere seguirono quella nascita e non furono esse a meritarla.
E neppure c'era da temere che la natura umana assunta dal Verbo Dio nell'unità di persona in questo modo ineffabile, peccasse attraverso il libero arbitrio della volontà; anzi questa assunzione era tale che la natura dell'uomo assunta così da Dio non ammetteva in sé nessun impulso di volontà cattiva.
Questo Mediatore fu assunto in tal modo che non fu mai malvagio né mai da cattivo si trasformò per sempre in buono, e attraverso di esso, Dio, come ci fa vedere, trasforma da cattivi in buoni per l'eternità coloro che ha redenti con il suo sangue.
Il primo uomo non ebbe questa grazia, di non voler essere mai malvagio; ma senza dubbio ebbe quella che non lo avrebbe mai fatto essere malvagio se avesse voluto mantenersi in essa; senza tale grazia anche con il libero arbitrio non avrebbe potuto essere buono, mentre invece con il libero arbitrio l'avrebbe potuta abbandonare.
Dio dunque volle che neppure Adamo fosse senza la sua grazia, ma la lasciò nel suo libero arbitrio.
Effettivamente il libero arbitrio è sufficiente per il male, ma inadeguato per il bene se non venga aiutato dal Bene onnipotente.
E se Adamo non avesse abbandonato questo aiuto con il libero arbitrio, sarebbe sempre stato buono; ma lo abbandonò e fu abbandonato.
Certo l'aiuto era tale che egli poteva abbandonarlo quando lo voleva, oppure permanervi se lo voleva; ma esso non poteva far sì che volesse.
Questa è la prima grazia che fu data al primo Adamo; ma una più potente di questa è nel secondo Adamo.
Infatti la prima è quella che fa avere all'uomo la giustizia, se vuole; ma la seconda ha maggior potere, perché fa anche sì che egli voglia e voglia tanto intensamente e ami con tanto ardore da vincere con la volontà dello spirito la volontà della carne che ha brame contrarie.
Neppure la prima era piccola e dimostrava nello stesso tempo la potenza del libero arbitrio, perché l'uomo ne riceveva tanto giovamento che senza questo aiuto non era in grado di rimanere nel bene, pur potendolo abbandonare se voleva.
Ma la seconda è tanto maggiore: infatti poco sarebbe per l'uomo riconquistare per mezzo di essa la libertà perduta, poco sarebbe non potere senza di essa conquistare il bene o nel bene perseverare volendo, se essa non glielo facesse anche volere.
Dunque Dio aveva dato all'uomo la volontà buona, perché in essa certo lo aveva creato Colui che lo aveva creato retto; gli aveva dato un aiuto senza il quale non avrebbe potuto permanere in questa virtù se lo avesse voluto, ma volerlo o no lo lasciò al suo libero arbitrio.
Dunque se lo avesse voluto avrebbe potuto permanervi, perché non gli mancava l'aiuto per mezzo del quale poteva e senza il quale non poteva mantenere con perseveranza il bene che voleva.
Ma poiché non volle permanere, certo la colpa è della stessa persona alla quale sarebbe appartenuto il merito se avesse voluto permanere.
L'esempio è quello degli angeli santi: mentre gli altri attraverso il libero arbitrio cadevano, attraverso lo stesso libero arbitrio essi rimasero saldi e meritarono di ricevere la mercede dovuta a questa persistenza, cioè una così assoluta pienezza di beatitudine che li rende sicurissimi di rimanervi sempre.
Se questo aiuto fosse mancato sia all'angelo che all'uomo fin dal primo momento che furono creati, poiché la loro natura non era stata creata tale da poter perseverare, se lo voleva, senza l'aiuto divino, certamente non sarebbero caduti per loro colpa: evidentemente sarebbe mancato loro l'aiuto senza il quale non potevano perseverare.
Ma ora, se a qualcuno manca tale aiuto, ciò è ormai castigo del peccato; a chi invece è dato, è dato secondo la grazia, non secondo il dovuto.
Ed esso tanto più generosamente è dato attraverso Gesù Cristo nostro Signore a quelli ai quali piacque a Dio di darlo, che non solo ci assiste un aiuto senza il quale non possiamo perseverare anche se vogliamo, ma esso è anche di tanta grandezza e valore da far sì che noi vogliamo.
Così avviene che noi, per mezzo di questa grazia di Dio che ci aiuta a ricevere il bene e a conservarlo con perseveranza, non solo possiamo quello che vogliamo, ma anche vogliamo quello che possiamo.
Ma non fu questa la condizione del primo uomo: egli ebbe una di queste due cose, ma non l'altra.
Infatti per ricevere il bene non aveva bisogno della grazia perché non l'aveva ancora perduto, ma per rimanere in esso aveva bisogno dell'aiuto della grazia, senza il quale assolutamente non poteva perseverare.
Aveva ricevuto il dono di potere se voleva, ma non possedeva il dono di volere quello che poteva; infatti, se lo avesse avuto, avrebbe perseverato.
E avrebbe in realtà potuto perseverare se avesse voluto; il fatto che non volle dipese dal libero arbitrio, che allora era libero al punto che poteva volere sia bene che male.
Ma che ci sarà di più libero del libero arbitrio, quando esso non potrà più essere servo del peccato?
E questa doveva essere la ricompensa del merito che anche l'uomo avrebbe avuto come l'ebbero i santi angeli.
Ma ora, dopo che con il peccato è stato dissipato il merito nel bene, in coloro che vengono liberati è diventato un dono della grazia quello che sarebbe stato il compenso del merito.
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