La correzione e la grazia |
O fratello dilettissimo Valentino, e voi che insieme servite Dio, letta la missiva che la Carità vostra m'inviò per mezzo del fratello Floro e di coloro che in sua compagnia sono venuti presso di noi, resi grazie a Dio perché conobbi dalla vostra replica la pace che realizzate nel Signore, l'accordo nella verità e l'ardore nella carità.
Il Nemico ha macchinato la rovina di alcuni dei vostri, ma poiché Dio ha misericordia e con mirabile bontà volge le insidie di quello in profitto per i suoi servi, tutto ciò è servito piuttosto a questo, che nessuno di voi ha subìto un danno peggiore, ma alcuni hanno ricevuto una formazione migliore.
Pertanto non è necessario ritornare ancora una volta su tutti gli argomenti, poiché ve li abbiamo fatti avere trattati a sufficienza in un libro completo; e come l'avete accolto, lo rivelano le vostre parole di risposta.
Tuttavia non pensate assolutamente che vi possa risultare chiaro dopo una sola lettura.
Perciò se volete che esso vi riesca fruttuoso al massimo grado, non vi sia di peso di rendervelo del tutto familiare con il rileggerlo; facendo ciò saprete coscienziosamente in che consistano le questioni alle quali viene incontro, per scioglierle e sanarle, un'autorità non umana in questo caso, ma divina.
Da simile autorità non dobbiamo distaccarci, se vogliamo raggiungere lo scopo a cui aspiriamo.
Il Signore stesso poi non solo ci mostra da quale male dobbiamo staccarci e quale bene dobbiamo fare, ( Sal 37,27 ) che è la sola cosa che la lettera della legge può realizzare, ma ci presta anche aiuto per staccarci dal male e fare il bene, cosa che nessuno può senza lo spirito della grazia.
Ma se la grazia manca, ad un solo scopo è presente la legge: a rendere colpevoli e ad uccidere.
Per questo l'Apostolo dice: La lettera uccide, lo spirito invece vivifica. ( 2 Cor 3,6 )
Chi dunque usa in maniera legittima della legge, ( 1 Tm 1,8 ) apprende da essa il male e il bene, e senza fare affidamento sulle proprie capacità cerca rifugio nella grazia, per allontanarsi dal male e fare il bene con il suo aiuto.
Ma chi cerca rifugio nella grazia, se non quando i suoi passi sono guidati dal Signore ed egli desidera seguire la sua via? ( Sal 37,23 )
Per questo anche desiderare l'aiuto della grazia è già inizio della grazia; e di ciò il Salmista afferma: E ho detto: Ora ho cominciato; e questo cambiamento è della destra dell'Eccelso. ( Sal 77,11 )
Pertanto bisogna ammettere che noi possediamo il libero arbitrio per fare sia il bene che il male; ma nel fare il male ognuno è libero dal vincolo della giustizia e servo del peccato; ( Rm 6,20 ) nel bene invece nessuno può essere libero se non sarà stato liberato da Colui che ha detto: Se sarà il Figlio a liberarvi, allora sarete veramente liberi. ( Gv 8,36 )
Eppure, quando uno è stato liberato dalla dominazione del peccato, non se ne deve concludere che non ha più bisogno dell'aiuto del suo Liberatore; anzi piuttosto, sentendosi dire: Senza di me nulla potete fare, ( Gv 15,5 ) sia lui stesso a chiedere: Sii il mio aiuto, non abbandonarmi. ( Sal 27,9 )
E questa fede, che senza dubbio è vera e cattolica e derivante dai Profeti e dagli Apostoli, mi rallegro di averla trovata anche nel nostro fratello Floro; per cui bisogna correggere piuttosto quelli che non lo comprendevano.
Ma penso che ormai, con la benevolenza del Signore, si siano senz'altro corretti.
Ma bisogna riuscire a capire la grazia di Dio che è concessa per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore; per essa sola gli uomini sono liberati dal male e senza di essa non possono assolutamente compiere alcun bene né con il pensiero, né con la volontà e l'amore, né con l'azione.
E bisogna comprenderla non solo perché gli uomini sappiano attraverso l'indicazione della grazia che cosa occorre fare, ma anche perché attraverso l'aiuto della grazia facciano con amore quello che ormai sanno.
È certo questa ispirazione della volontà buona e dell'azione buona che l'Apostolo chiedeva per quelli ai quali dice: Ma noi preghiamo Dio perché non facciate nulla di male, non per apparire noi stessi di virtù provata, ma perché voi facciate ciò che è bene. ( 2 Cor 13,7 )
Chi potrebbe udire ciò senza svegliarsi e senza confessare che ci proviene dal Signore Iddio di allontanarci dal male e fare il bene?
In effetti l'Apostolo non dice: Ammoniamo, ammaestriamo, esortiamo, rimproveriamo; ma dice: Preghiamo Dio perché non facciate nulla di male, bensì ciò che è bene.
E tuttavia rivolgeva loro le sue parole e faceva tutte quelle cose che ho elencato sopra: ammoniva, ammaestrava, esortava, rimproverava; però sapeva che non avevano efficacia tutte queste cose che egli piantando ed innaffiando faceva all'aperto, se non esaudiva la sua preghiera in loro favore Colui che nascostamente fa crescere.
Perché, come dice lo stesso Dottore delle Genti: Né colui che pianta né colui che innaffia è qualche cosa, ma solo Dio che fa crescere. ( 1 Cor 3,7 )
Pertanto non s'illudano quelli che dicono: "Come mai ci viene predicato ed ordinato di allontanarci dal male e di fare il bene, se non siamo noi a fare ciò, ma il volerlo e l'operarlo è in noi opera di Dio?". ( Rm 8,14 )
Anzi, cerchino piuttosto di comprendere che, se sono figli di Dio, essi sono mossi dallo Spirito di Dio, affinché compiano ciò che dev'essere compiuto e, quando hanno compiuto l'azione, rendano grazie a Colui da parte del quale sono stati mossi.
Infatti essi sono mossi perché agiscano, non perché essi stessi non facciano niente; e per questo scopo viene mostrato ad essi che cosa debbano fare; così, quando lo fanno come bisogna farlo, cioè con l'amore e il piacere della giustizia, possono gioire di aver ricevuto la dolcezza che il Signore ha donato affinché la loro terra desse il proprio frutto. ( Sal 85,13 )
Ma quando non lo fanno, o non compiendo affatto il bene o compiendolo senza l'impulso della carità, devono pregare per ricevere quello che ancora non hanno.
Infatti che cosa avranno, se non ciò che riceveranno?
O che cosa hanno, se non ciò che hanno ricevuto? ( 1 Cor 4,7 )
"Dunque - dicono - quelli che ci dirigono si limitano a prescriverci ciò che dobbiamo fare e preghino per noi affinché lo facciamo; ma non ci riprendano e non c'incolpino se non lo faremo".
No, anzi, tutte queste cose devono essere fatte, perché gli Apostoli, dottori delle Chiese, le facevano tutte; prescrivevano quello che andava fatto, riprendevano se non veniva fatto, e pregavano perché si facesse.
L'Apostolo dà una prescrizione quando dice: Ogni vostra azione sia fatta con carità. ( 1 Cor 16,14 )
Muove un rimprovero quando dice: Già assolutamente è un danno per voi avere liti gli uni con gli altri.
Perché infatti piuttosto non tollerate qualche torto? Perché più volentieri non sopportate una frode?
Ma invece siete voi a fare dei torti, a ordire delle frodi, e questo ai vostri fratelli.
O non sapete forse che gli ingiusti non avranno possesso del regno di Dio? ( 1 Cor 6,7-9 )
Ascoltiamolo anche quando prega: Il Signore vi moltiplichi e vi faccia abbondare in carità fra di voi e verso tutti. ( 1 Ts 3,12 )
Prescrive che si abbia carità; riprende, perché non si ha la carità; prega perché la carità abbondi.
O uomo, dal precetto impara che cosa tu devi avere; dal rimprovero impara che quello che non hai è per colpa tua; dalla preghiera impara da dove tu puoi ricevere ciò che vuoi avere.
"In qual maniera - dice - è per colpa mia che non ho, se quello che non ho non l'ho ricevuto da Colui che è l'unico a darlo, perché non c'è assolutamente alcun altro da cui si possa avere un dono di tal genere e tanto grande?".
Lasciate, o fratelli miei, che io lotti almeno un poco non contro di voi, che avete un cuore retto nei confronti di Dio, ma contro coloro che nutrono sentimenti terreni, o addirittura contro gli stessi pensieri umani, in favore della verità della grazia celeste e divina.
Infatti così dicono coloro che nelle loro malvagie opere non vogliono essere rimproverati dai sostenitori di questa grazia: "Prescrivimi cosa io debba fare; e se lo farò, rendi per me grazie a Dio che mi ha concesso di farlo; se non lo farò, non bisogna rimproverare me, ma bisogna pregare Colui perché dia ciò che non ha dato, cioè appunto l'amore fedele per Dio e il prossimo, grazie al quale si compiono i suoi precetti.
Prega dunque per me perché io lo riceva e per mezzo di esso faccia di tutto cuore con volontà buona quello che egli comanda.
Ma giustamente io verrei rimproverato, se non avessi questo amore per mia colpa, cioè se io potessi darmelo o prenderlo da me e non lo facessi, oppure se egli me l'offrisse e io non volessi riceverlo.
Ma se anche la volontà stessa è preparata dal Signore, ( Pr 8, 35 sec. LXX ) perché mi rimproveri quando vedi che non voglio adempiere i suoi precetti e perché piuttosto non chiedi a lui di operare in me anche il volere?"
A queste obiezioni rispondiamo: Se tu, chiunque sia, non adempi i precetti che ti sono già noti e non vuoi essere rimproverato, anche per questo sei da rimproverare, perché non vuoi essere rimproverato.
Infatti non vuoi che ti siano dimostrati i tuoi difetti; non vuoi che essi siano colpiti producendo un dolore per te utile, che ti induca a cercare il medico; non vuoi essere mostrato a te stesso in modo che, vedendoti deforme, tu senta il bisogno di chi ti può cambiare e lo supplichi di non farti rimanere in quella turpitudine.
Certamente è colpa tua il fatto che sei malvagio e colpa ancora maggiore non voler essere rimproverato per la tua malvagità.
Si direbbe quasi che i difetti siano da lodarsi o da mantenersi nell'indifferenza, senza elogiarli né vituperarli; o che il timore dell'uomo che si è visto ripreso non abbia alcuna efficacia, e nemmeno la sua vergogna o la sua pena; al contrario, questo è l'effetto che ottengono simili sentimenti, pungolando in maniera salutare: che si preghi il buon Dio e che i malvagi da rimproverare si trasformino in buoni da lodare.
Infatti ciò desidera che sia fatto per lui chi non vuole essere ripreso e dice: "Prega piuttosto per me"; eppure bisogna rimproverarlo perché egli stesso preghi per sé.
Certo quel dolore per cui è ingrato a se stesso, quando sente l'aculeo della riprensione, lo incita ad un desiderio di più intensa preghiera; cosicché, grazie alla misericordia di Dio e aiutato dall'incremento della carità, smette di fare cose che richiamano vergogna e dolore e compie cose che richiamano lode e plauso.
Questa è l'utilità della riprensione, che viene usata con esito salutare in grado ora maggiore ora minore in proporzione ai diversi peccati; e allora ha esito salutare, quando il Medico celeste le rivolge il suo sguardo.
Infatti essa non giova se non quando fa sì che uno si penta del suo peccato.
E chi è che concede ciò, se non Colui che volse il suo sguardo all'apostolo Pietro mentre lo rinnegava e lo fece piangere? ( Lc 22,61-62 )
Perciò anche l'apostolo Paolo, dopo aver detto che se alcuni hanno convinzioni diverse, vanno ripresi con modestia, di seguito aggiunge: Perché forse Dio concederà loro il pentimento affinché conoscano la verità, e rinsaviranno liberandosi dai lacci del diavolo. ( 2 Tm 2,25-26 )
Ma per quale motivo questi che non vogliono essere ripresi dicono: "Dammi solo dei precetti e prega per me, perché io faccia ciò che tu prescrivi"?
Perché piuttosto secondo il loro aberrante pensiero non rigettano anche questi due princìpi e dicono: Io non voglio né che tu mi dia dei precetti né che tu preghi per me?
Infatti è forse possibile indicare un uomo che abbia pregato per Pietro, affinché Dio gli desse il pentimento grazie al quale pianse di aver rinnegato il Signore?
Quale uomo ci fu che erudisse Paolo nei precetti divini riguardanti la fede cristiana?
Se uno lo sentisse mentre predica il Vangelo e dice: Io faccio conoscere a voi che il Vangelo predicato da me non è secondo l'uomo; e infatti io non l'ho ricevuto né l'ho appreso da un uomo, ma attraverso la rivelazione di Cristo Gesù, ( Gal 1,11-12 ) gli si potrebbe rispondere: Perché ci infastidisci esortandoci a ricevere e ad apprendere da te ciò che tu non hai ricevuto né appreso dall'uomo?
Colui che lo ha dato a te è capace di darlo anche a noi così come a te.
Or dunque se non osano dire ciò, ma lasciano che il Vangelo sia loro predicato da un uomo, benché esso possa essere dato all'uomo anche per un tramite diverso dall'uomo, ammettano anche di dover essere ripresi dai loro superiori dai quali viene predicata la grazia cristiana.
E con questo non s'intende negare che Dio anche senza alcuna ammonizione umana possa correggere chi vuole e rivolgerlo alla salutare sofferenza del pentimento con la capacità del tutto occulta ed onnipotente della sua medicina.
Comunque non bisogna cessare di pregare per coloro che vogliamo si correggano, anche se il Signore rivolse il suo sguardo a Pietro e gli fece piangere il suo peccato senza che nessun uomo pregasse per lui; e allo stesso modo non bisogna trascurare la riprensione, benché Dio fa che si correggano, quelli che egli vuole, anche senza che siano mai stati ripresi.
L'uomo si avvantaggia della riprensione quando gli presta pietà e soccorso Colui che fa progredire chi vuole anche senza la riprensione.
Ma per il fatto che alcuni sono chiamati ad emendarsi in un modo, altri in un altro ed altri infine in un altro ancora, in diverse ed innumerevoli maniere, guardiamoci bene dal dire che il giudizio debba appartenere all'argilla anziché al vasaio. ( Rm 9,20 )
Essi sostengono: "L’Apostolo ammonisce: Chi infatti ti distingue?
Cosa possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto, perché ti vanti come se non l'avessi ricevuto? ( 1 Cor 4,7 )
Perché dunque siamo vituperati, accusati, ripresi, incolpati? Che cosa facciamo, noi che non abbiamo ricevuto?".
Quelli che dicono così, vogliono apparire fuori di colpa pur non obbedendo a Dio; infatti sicuramente anche l'obbedienza stessa è un dono di Dio: è inevitabile che la possieda quello che possiede la carità, ma questa senza dubbio proviene da Dio ed è il Padre a darla ai figli suoi.
"L’obbedienza - dicono - noi non l'abbiamo ricevuta; perché mai dunque siamo ripresi, come se potessimo darcela da noi stessi, mentre non possiamo darcela di nostro arbitrio?" ( 1 Gv 4,7 )
E non riflettono che se non sono ancora rigenerati, c'è una causa prima per la quale debbono dispiacersi con se stessi quando vengono rimproverati per la loro inobbedienza a Dio, ed è che Dio fece l'uomo retto quando inizialmente lo creò, e non c'è ingiustizia in Dio. ( Qo 7,29; Rm 9,14 )
Quindi la prima perversità che ci impedisce di ubbidire a Dio proviene dall'uomo, perché egli divenne perverso decadendo per la sua volontà cattiva dalla rettitudine nella quale Dio originariamente lo aveva creato.
O forse proprio per questo tale perversità non dovrà essere ripresa nell'uomo, perché non è propria di colui che viene ripreso, ma comune a tutti?
Anzi: sia ripresa anche nei singoli perché appartiene a tutti; infatti non si potrà dire che non appartiene ad un determinato individuo perché nessun individuo ne è immune.
Sì, questi peccati originali sono detti estranei perché la singola creatura li trae dai genitori; ma non senza causa sono detti anche nostri, perché in quell'unico, come dice l'Apostolo, tutti peccarono. ( Rm 5,12 )
Vada dunque il biasimo all'origine condannabile, così che dal dolore del rimprovero sorga la volontà della rigenerazione.
Però questo avviene solo se quello che è ripreso è figlio della promessa, perché allora, mentre l'eco della rampogna si ripercuote e sferza dal di fuori, Dio dal di dentro, per occulta ispirazione, opera in lui anche il volere.
Ma chi è ormai rigenerato e giustificato, se ricade di sua volontà nella vita cattiva, costui non può certo dire: "Non ho ricevuto", perché a causa del suo arbitrio, libero nei confronti del male, ha perduto la grazia di Dio già ricevuta.
Ma se poi egli, avvertita salutarmente la trafittura della riprensione, piange e si volge a opere buone simili alle precedenti ed anche migliori, allora qui appare in maniera chiarissima l'utilità del rimprovero.
Ma sia o no provocata dalla carità la riprensione per mezzo dell'uomo, in ogni modo che essa giovi a chi viene ripreso è unicamente opera di Dio.
Ma costui che non vuole essere ripreso come può dire ancora: "Che cosa ho fatto io, dal momento che non ho ricevuto?", se invece è evidente che ha ricevuto e ha perduto per sua colpa quello che ha ricevuto?
Egli sosterrà: "Quando mi accusi perché dalla vita buona sono di nuovo scivolato in quella cattiva per mia volontà, posso, sì, posso continuare a dire: Che cosa ho fatto io, dal momento che non ho ricevuto?
Infatti ho ricevuto la fede che opera per mezzo dell'amore; però non ho ricevuto la perseveranza in essa fino alla fine.
O forse qualcuno oserà dire che questa perseveranza non è un dono di Dio, ma che questo bene così grande è nostro?
Allora l'Apostolo non potrebbe ripetere a chiunque lo possieda: Cosa possiedi che tu non abbia ricevuto? ( 1 Cor 4,7 ) perché chi lo possiede ne sarebbe in possesso senza averlo ricevuto".
Certo, non possiamo negare che di fronte a queste obiezioni anche la perseveranza che progredisce nel bene fino alla fine è un grande dono di Dio, e che non può provenire se non da Colui di cui è scritto: Ogni concessione eccellente e ogni dono perfetto proviene dall'alto, discendendo dal Padre della luce. ( Gc 1,17 )
Ma non perciò bisogna trascurare la riprensione di chi non ha perseverato, perché forse Dio gli concederà il pentimento ed egli rinsavirà liberandosi dai lacci del diavolo.
Appunto per confermare l'utilità della riprensione l'Apostolo ha enunciato questo concetto che ho già ricordato: Correggendo con modestia coloro che hanno convinzioni contrarie, perché forse Dio concederà loro il pentimento. ( 2 Tm 2,25 )
In effetti se diremo che questa perseveranza tanto lodevole e tanto felice appartiene all'uomo senza provenirgli da Dio, priviamo subito di ogni significato quello che il Signore dice a Pietro: Io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. ( Lc 22,32 )
Che era infatti quello che Cristo pregava per lui, se non la perseveranza fino alla fine?
Ma se questa provenisse all'uomo dall'uomo, non dovrebbe certo essere richiesta a Dio.
Inoltre quando l'Apostolo dice: Preghiamo Dio perché non facciate nulla di male, ( 2 Cor 13,7 ) senza dubbio chiede a Dio per loro la perseveranza.
Infatti non si potrà dire che non fa nulla di male chi abbandona il bene e non perseverando in esso si volge al male, invece di allontanarsene.
Anche in quel passo ove dice: Rendo grazie al mio Dio ogni volta che penso a voi, pregando per voi tutti con gioia in ogni mia preghiera, per la vostra comunione nel Vangelo dal primo giorno fino ad ora; e confido proprio in ciò, che Colui che ha iniziato in voi un'opera buona la porterà a termine fino al giorno di Cristo Gesù, ( Fil 1,3-6 ) che cos'altro promette loro dalla misericordia di Dio se non la perseveranza nel bene fino alla fine?
E ugualmente quando dice: Epafra, che è dei vostri, servo di Cristo Gesù, vi saluta, sempre lottando per voi nelle preghiere, affinché restiate perfetti e completi in ogni volontà di Dio, ( Col 4,12 ) che significa: affinché restiate, se non : affinché perseveriate?
Per questo del diavolo è detto: Non restò nella verità, ( Gv 8,44 ) perché fu in essa, ma non vi rimase.
Ora quelli di sicuro erano già stabilmente nella fede, e quando preghiamo che colui che è stabilmente, stabilmente sia, non preghiamo nient'altro se non che perseveri.
Parimenti l'apostolo Giuda, quando dice: A Colui che ha il potere di preservarvi senza peccare e porvi irreprensibili al cospetto della sua gloria in letizia, ( Gd 24 ) non dimostra forse nella maniera più chiara che è dono di Dio perseverare nel bene fino alla fine?
Che cos'altro infatti ci donerà Colui che ci preserva senza peccare, per porci irreprensibili al cospetto della sua gloria in letizia, se non la buona perseveranza?
E che significa quello che leggiamo negli Atti degli Apostoli: Le Genti udendo si rallegrarono ed accettarono la parola del Signore, e tutti quanti erano preordinati alla vita eterna credettero? ( At 13,48 )
Chi ha potuto essere preordinato alla vita eterna se non attraverso il dono della perseveranza, dal momento che chi avrà perseverato sino alla fine, questo sarà salvo? ( Mt 10,22 )
Di quale salvezza si parla, se non di quella eterna?
D'altra parte quando nella preghiera domenicale diciamo a Dio Padre: Sia santificato il tuo nome, ( Mt 6,9 ) che cos'altro vogliamo esprimere se non che il suo nome sia santificato in noi?
E quando ciò sia stato effettuato attraverso il lavacro della rigenerazione, per quale motivo i fedeli continuano ogni giorno ad invocarlo, se non perché ci sia da parte nostra la perseveranza in ciò che è stato realizzato in noi?
Infatti anche il beato Cipriano intende così; illustrando appunto questa preghiera scrive: Diciamo: "Sia santificato il nome tuo", non perché auguriamo a Dio di venire santificato dalle nostre preghiere, ma perché richiediamo da Dio che il suo nome sia santificato in noi.
E d'altronde da chi può essere santificato Dio, se è lui che santifica?
Ma poiché egli ha detto: "Siate santi, perché anch’io sono santo", ( Lv 19,2 ) questo chiediamo e preghiamo, che noi che siamo stati santificati nel battesimo perseveriamo in quello che abbiamo cominciato ad essere.1
Ecco, così pensa quel martire gloriosissimo: in queste parole i fedeli di Cristo chiedono ogni giorno di perseverare in quello che hanno cominciato ad essere.
Senza che nessuno ne possa dubitare, chiunque prega il Signore di farlo perseverare nel bene confessa che tale perseveranza è un dono suo.
Eppure anche se le cose stanno così, riprendiamo, e giustamente li riprendiamo, coloro che dopo essere vissuti nel bene non vi hanno perseverato.
Essi hanno fatto certo di propria volontà il cambiamento da una vita buona a una cattiva, e per questo sono degni di riprensione; e se la riprensione non gioverà loro a nulla, ma vorranno perseverare in una vita dissoluta fino alla morte, sono degni anche della condanna divina in eterno.
E se non hanno scusa ora, quando dicono: "Perché siamo ripresi?", non avranno scusa allora, quando diranno: Perché siamo condannati, dal momento che non abbiamo ricevuto la perseveranza per restare nel bene e quindi dal bene siamo tornati al male?
Con simile discolpa, in nessun modo si potranno sottrarre alla giusta condanna.
Infatti, è la verità stessa a dirlo, nessuno si libera dalla condanna provocata da Adamo se non per mezzo della fede in Gesù Cristo; ma neppure si libereranno da questa condanna quelli che potranno dire di non aver udito il Vangelo di Cristo, perché la fede deriva dall'aver udito. ( Rm 10,17 )
Allora tanto meno se ne potranno liberare quelli che hanno intenzione di dire: Non abbiamo ricevuto la perseveranza.
Logicamente sembra più giusta la scusa di chi lamenta: Non abbiamo ricevuto la possibilità di udire, piuttosto che quella di chi afferma: Non abbiamo ricevuto la perseveranza.
Infatti si può dire: Uomo, se avessi voluto, tu avresti potuto perseverare in quello che avevi udito e seguito; ma in nessun modo si può dire: Se avessi voluto, avresti potuto credere in quello che non avevi udito.
Dunque ci sono alcuni che non hanno udito il Vangelo ed altri che, pur avendolo udito ed essendone stati cambiati in meglio, non hanno ricevuto la perseveranza; altri ancora udirono sì il Vangelo, ma non vollero venire a Cristo, cioè credere in lui, perché egli ha detto: Nessuno viene a me, se non gli è stato dato dal Padre mio. ( Gv 6,66 )
Infine si dà il caso di quelli che per l'età infantile non poterono credere, ma avrebbero potuto essere sciolti dalla colpa originale solo dal lavacro della rigenerazione, tuttavia sono morti senza averlo ricevuto e sono periti.
Ebbene, tutti costoro non sono stati differenziati da quella massa che si sa essere stata condannata, perché tutti vanno alla condanna a causa di uno solo.
Ma quelli che vengono differenziati da questa massa non lo sono per i loro meriti, ma per la grazia del Mediatore, cioè sono giustificati gratuitamente nel sangue del secondo Adamo.
Pertanto, quando ci sentiamo dire: Chi infatti ti distingue? Cosa possiedi che tu non abbia ricevuto?
E se l'hai ricevuto, perché ti vanti come se non l'avessi ricevuto? ( 1 Cor 4,7 ) dobbiamo comprendere che nessuno può essere differenziato da quella massa di perdizione che è stata provocata dal primo Adamo, eccetto colui che possiede questo dono; e questo dono, chiunque sia ad averlo, lo ha ricevuto per grazia del Salvatore.
Questa testimonianza apostolica è tanto fondamentale che il beato Cipriano, scrivendo a Quirino, la tratta proprio sotto il capitolo in cui dice: In niente bisogna gloriarsi, perché niente è nostro.2
Dunque a tutti quelli che sono stati differenziati dalla condanna originale per questa generosità della grazia divina, viene sicuramente concesso anche l'ascolto del Vangelo; e quando lo odono, essi credono e perseverano fino alla fine nella fede che opera attraverso la carità. ( Gal 5,6 )
Se poi talvolta deviano, ripresi si emendano, e alcuni di essi tornano sulla via che avevano abbandonato perfino senza aver subìto alcun rimprovero dai loro simili.
Altri addirittura, ricevuta la grazia, una morte tempestiva li sottrae ai pericoli di questa vita qualunque sia la loro età.
Tutti questi effetti li opera in costoro chi fece di essi dei vasi di misericordia e li scelse nel Figlio suo prima della creazione del mondo per elezione di grazia.
Ma se è per grazia, allora non è per le opere; altrimenti la grazia non è più grazia. ( Rm 11,6 )
Infatti non è che siano stati chiamati, ma non eletti, in conformità all'affermazione: Molti sono i chiamati, pochi gli eletti. ( Mt 20,16; Mt 22,4 )
Al contrario, poiché sono stati chiamati secondo il decreto, certo sono stati anche eletti per elezione della grazia, come è stato detto, e non per un'elezione dovuta a meriti precedenti, perché la grazia è tutto il loro merito.
Di questi dice l'Apostolo: Sappiamo che Dio coopera in ogni cosa al bene per coloro che lo amano e sono stati chiamati secondo il decreto; perché quelli che egli conobbe precedentemente, li predestinò anche ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, affinché egli sia primogenito tra molti fratelli.
Ma quelli che ha predestinato, li ha anche chiamati; e quelli che ha chiamati, li ha anche giustificati; e quelli che ha giustificati li ha anche glorificati. ( Rm 8,28-30 )
Fra questi nessuno perisce, perché tutti sono stati eletti.
Ma sono stati eletti perché sono stati chiamati secondo il decreto: un decreto che non appartiene a loro, ma a Dio; di esso in un altro passo si dice: Affinché il decreto di Dio restasse secondo una libera scelta, non derivante dalle opere, ma dal volere di colui che chiama, le fu detto: Il maggiore servirà il minore; ( Rm 9,11-13 ) e altrove : Non secondo le nostre opere, ma secondo il suo decreto e la sua grazia. ( 2 Tm 1,9 )
Quando dunque udiamo: Ma quelli che ha predestinato li ha anche chiamati, li dobbiamo riconoscere come chiamati secondo il decreto, perché quel passo comincia dicendo: Egli coopera in ogni cosa al bene per coloro che sono stati chiamati secondo il decreto; e poi continua: perché quelli che egli conobbe precedentemente, li predestinò anche ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, affinché egli sia primogenito tra molti fratelli; premesso tutto ciò aggiunge: Ma quelli che ha predestinato, li ha anche chiamati.
Dunque vuole fare intendere che essi sono quelli che ha chiamato secondo il decreto, e l'espressione del Signore: Molti sono i chiamati, pochi gli eletti ( Mt 20,16; Mt 22,4 ) non deve indurci a pensare che fra di essi ve ne siano alcuni chiamati e non eletti.
Infatti tutti gli eletti sono stati senza dubbio anche chiamati; ma non tutti i chiamati sono stati per conseguenza eletti.
Dunque gli eletti sono quelli chiamati secondo il decreto, come abbiamo spesso affermato, cioè quelli che erano stati anche predestinati e conosciuti in precedenza.
Se qualcuno di questi perisce, è Dio che s'inganna; ma nessuno di essi perisce, perché Dio non s'inganna.
Se qualcuno di questi perisce, è Dio che è vinto dalla malizia umana; ma nessuno di essi perisce, perché Dio non è vinto da nessuna cosa.
Sono stati eletti per regnare con Cristo, e non nella maniera in cui fu eletto Giuda per la funzione a cui egli si confaceva.
Sì, certo egli fu eletto da Colui che sa usare a fin di bene anche dei malvagi, perché attraverso la sua opera colpevole si compisse quella venerabile al cui scopo Cristo in persona era venuto.
Dunque quando sentiamo: Non sono stato forse io a scegliere voi dodici?
E uno di voi è un diavolo, ( Gv 6,70 ) dobbiamo intendere che quelli erano stati eletti attraverso la misericordia, l'altro attraverso il giudizio; quelli per ottenere il suo regno, l'altro per spargere il suo sangue.
Giustamente si innalza la voce degli eletti al regno: Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?
Colui che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, come può essere che non ci abbia donato anche ogni cosa insieme con lui?
Chi leverà accusa contro gli eletti di Dio, Dio che giustifica? Chi li condanna?
Cristo, che è morto, anzi che è risuscitato, che è alla destra di Dio e intercede per noi? ( Rm 8,31-34 )
Ma se essi hanno ricevuto il dono di una perseveranza tanto energica fino alla fine, proseguano col dire: Chi ci separerà dall'amore di Cristo? la tribolazione? l'angoscia? la persecuzione? la fame? la nudità? il pericolo? la spada?
Come sta scritto: Perché per causa tua siamo mandati a morte per tutto il giorno, siamo considerati come pecore da macello.
Ma in tutto questo noi stravinciamo per mezzo di Colui che ci ha amati.
Infatti sono certo che né la morte, né la vita, né angelo, né principato, né il presente, né l'avvenire, né la potenza, né l'altezza, né la profondità, né altra creatura ci potrà separare dall'amore di Dio, che è in Cristo Gesù nostro Signore. ( Rm 8,35-39 )
Sono questi che si vogliono indicare a Timoteo, nel passo in cui, dopo aver detto che Imeneo e Fileto sovvertono la fede di alcuni, è subito aggiunto: Ma il fondamento posto da Dio sta saldo, e ha questo suggello: Il Signore conosce quelli che sono suoi. ( 2 Tm 2,19 )
La fede di questi, che opera con amore, ( Gal 5,6 ) o proprio non viene meno, o se si verifica il caso che ad alcuni venga meno, è recuperata prima che questa vita abbia fine e, una volta cancellata l'ingiustizia che era intercorsa, viene loro attribuita la perseveranza fino alla fine.
Ma quelli che non riusciranno a perseverare e dopo essere perciò decaduti dalla fede e dalla condotta cristiana saranno colti dalla fine di questa vita in simile condizione, senza alcun dubbio non devono essere annoverati nel numero degli eletti, neppure per quel periodo che hanno vissuto nella bontà e nella pietà.
Infatti la prescienza e la predestinazione di Dio non sono intervenute a differenziarli dalla massa di perdizione; quindi non sono stati chiamati secondo il decreto e per questo neppure eletti.
Essi appartengono a quei chiamati dei quali è detto: Molti i chiamati, e non a quelli dei quali è detto invece: ma pochi gli eletti.
E tuttavia chi potrebbe negare che essi siano eletti, quando credono, sono battezzati e vivono secondo Dio?
Evidentemente sono chiamati eletti da coloro che non sanno che cosa devono diventare, non da Chi è consapevole che essi non hanno la perseveranza che conduce gli eletti alla vita beata; egli sa che costoro adesso si reggono, tuttavia vede già nella sua prescienza che cadranno.
Perché ai non eletti non viene data la perseveranza?
Indice |
1 | Cipriano, De orat. domin. 12 |
2 | Cipriano, Ad Quir. 3, 3, 4 |