La dignità del matrimonio |
Ciascun uomo è parte del genere umano; la sua natura è qualcosa di sociale e anche la forza dell'amicizia è un grande bene che egli possiede come innato.
Per questa ragione Dio volle dare origine a tutti gli uomini da un unico individuo, in modo che nella loro società fossero stretti non solo dall'appartenenza al medesimo genere, ma anche dal vincolo della parentela.
Pertanto il primo naturale legame della società umana è quello fra uomo e donna.
E Dio non produsse neppure ciascuno dei due separatamente, congiungendoli poi come stranieri, ma creò l'una dall'altro, e il fianco dell'uomo, da cui la donna fu estratta e formata, sta ad indicare la forza della loro congiunzione. ( Gen 2,21-22 )
Fianco a fianco infatti si uniscono coloro che camminano insieme e che insieme guardano alla stessa meta.
Conseguenza è che la società si continua nei figli che sono l'unico frutto onesto non del legame tra l'uomo e la donna, ma della relazione sessuale.
Infatti anche senza un simile rapporto vi sarebbe potuta essere nei due sessi una forma di amichevole e fraterna congiunzione, fungendo l'uomo da guida e la donna da compagna.
Non è necessario a questo punto che noi analizziamo e risolviamo il problema di come sarebbe potuta nascere la prole dei primi esseri umani, se questi non avessero peccato.
Dio li aveva benedetti con le parole: Crescete e moltiplicatevi e riempite la terra, ( Gen 1,28 ) ma l'unione fisica non può essere propria che dei corpi mortali, e la condizione mortale i loro corpi la meritarono appunto con il peccato.
In effetti sulla questione si sono dati parecchi e diversi pareri, e se si volesse esaminare quale di essi si accordi nella maniera migliore con la verità delle divine Scritture, bisognerebbe ricorrere a una lunga trattazione.
I nostri progenitori, se non avessero peccato, avrebbero potuto avere figli, anziché attraverso la relazione carnale, in qualche maniera diversa, per dono del Creatore onnipotente, dato che egli poté far nascere loro stessi senza genitori, poté formare il corpo di Cristo nel grembo di una vergine e, per parlare in maniera intelligibile anche a coloro che non credono, poté assicurare la riproduzione alle api senza unione sessuale.
Oppure si può pensare che questo passo contenga molti significati mistici e figurati, e che quindi la frase: Riempite la terra e dominatela, ( Gen 1,28 ) vada interpretata diversamente, intendendo cioè che questo si sarebbe realizzato con la pienezza e la perfezione della vita e del potere.
Perciò anche lo stesso accrescimento e moltiplicazione espressi con le parole: Crescete e moltiplicatevi dovrebbe indicare un progresso dello spirito e un'abbondanza di virtù, come è nel salmo: Tu mi moltiplicherai in virtù nell'anima mia. ( Sal 138,3 )
Non sarebbe stata data all'uomo questa continuazione nella prole, se non dopo che, a causa del peccato, l'individuo fu destinato a scomparire nella morte.
O forse da principio a quegli uomini fu creato un corpo non spirituale, ma solamente animale, perché con il merito dell'obbedienza diventasse poi spirituale, e l'immortalità fosse ottenuta non dopo la morte che penetrò sulla terra per invidia del diavolo ( Sap 2,24 ) e fu il castigo del peccato, ma per quella commutazione che indica l'Apostolo, quando dice: Poi noi viventi, i superstiti, insieme ad essi saremo rapiti sulle nubi, in cielo verso il Signore. ( 1 Ts 4,17 )
Allora dovremo intendere che quei corpi che costituirono la prima coppia fossero creati mortali all'origine, ma che tuttavia non sarebbero morti, se non avessero peccato.
Dio aveva minacciato loro la morte, come si minaccia una ferita, poiché il loro corpo era vulnerabile; ma ciò tuttavia non sarebbe accaduto, se essi non avessero trasgredito il suo divieto.
Dunque, in questa condizione tali corpi si sarebbero potuti riprodurre anche attraverso l'atto coniugale, ma si sarebbero accresciuti fino a un certo limite, senza arrivare alla vecchiaia; oppure sarebbero anche arrivati alla vecchiaia, ma tuttavia non alla morte, fino a che la terra fosse colmata dalla loro moltiplicazione benedetta dal Signore.
Se infatti Dio conservò senza alcun danno e per quarant'anni le vesti degli Israeliti nel proprio stato, ( Dt 29,5 ) quanto meglio poteva garantire il più felice equilibrio della condizione fissata al corpo di uomini obbedienti al suo volere, fino al momento di cambiarla in una migliore, non con la morte dell'individuo, che separa il corpo dall'anima, ma con una beata commutazione dalla mortalità all'immortalità, dalla natura animale a quella spirituale!
3. Sarebbe lungo ricercare ed esporre quale sia la vera fra queste opinioni o se da quelle parole se ne possa trarre un'altra ancora o più altre.
Ciò che vogliamo dire ora, riferendoci a questa condizione di nascita e di morte che conosciamo e nella quale siamo stati creati, è che il connubio del maschio e della femmina è un bene.
E tale unione è approvata a tal punto dalla divina Scrittura che non è consentito di passare a nuove nozze a una donna ripudiata dal marito, finché il marito vive, né è consentito di risposarsi all'uomo respinto dalla moglie, finché non sia morta quella che lo ha abbandonato.
Se dunque il matrimonio è un bene, come viene confermato anche nel Vangelo, quando il Signore proibisce di ripudiare la moglie se non per fornicazione, ( Mt 19,9 ) e quando accoglie l'invito a partecipare a una cerimonia nuziale, ( Gv 2,2 ) ciò che giustamente si ricerca è per quali motivi sia un bene.
E mi sembra che sia tale non solo per la procreazione dei figli, ma anche perché stringe una società naturale fra i due sessi.
Altrimenti non continuerebbe a chiamarsi matrimonio anche nei vecchi, specie quando avessero perduto i figli, o non li avessero avuti affatto.
Ora invece in un matrimonio riuscito, anche dopo molti anni, per quanto sia appassita l'attrazione giovanile tra il maschio e la femmina, rimane una viva disposizione d'affetto tra il marito e la moglie.
Anzi, quanto migliori sono i coniugi, tanto più presto cominceranno ad astenersi di reciproco accordo dall'unione della carne: in tal modo non diventa in seguito inevitabile non potere più ciò che ancora si vorrebbe, ma si acquista il merito di aver rinunciato fin da prima a ciò che ancora si poteva.
Se dunque ci si mantiene fedeli al rispetto e alla stima che un sesso deve all'altro, anche quando ormai il corpo di entrambi è stremato e quasi cadavere, rimane, tanto più sincera quanto più è sperimentata e tanto più accetta quanto più è dolce, la castità degli animi congiunti dal sacro rito.
Hanno anche questo vantaggio i matrimoni, che l'intemperanza della carne o dell'età giovanile, anche se in sé è da riprovare, viene rivolta all'onesto scopo di propagare la prole, cosicché l'unione coniugale dal male della libidine produce un bene.
Inoltre così la concupiscenza carnale viene frenata e in un certo qual modo arde più pudicamente, perché la mitiga il sentimento della paternità.
Si frappone infatti una specie di dignità nell'ardore del piacere, se nel momento in cui l'uomo e la donna sono congiunti l'uno con l'altro, pensano di essere padre e madre.
A ciò si aggiunge che mentre essi si rendono a vicenda il debito coniugale, anche quando esigono questo dovere in maniera piuttosto eccessiva e sregolata, sono tenuti comunque alla reciproca fedeltà.
E a questa fedeltà l'Apostolo attribuisce un diritto tanto grande da chiamarla potestà, quando dice: Non è la moglie che ha potestà sul proprio corpo, ma il marito; allo stesso modo non è il marito che ha potestà sul proprio corpo, ma la moglie. ( 1 Cor 7,4 )
La violazione di questa fedeltà si dice adulterio, quando, o per impulso della propria libidine, o per accondiscendenza a quella altrui, si hanno rapporti con un'altra persona contrariamente al patto coniugale.
Così si infrange la fedeltà, che anche nelle cose più basse e materiali è un grande bene dello spirito, e perciò è certo che essa dev'essere anteposta perfino alla conservazione fisica, sulla quale si fonda la nostra vita temporale.
Un filo di paglia di fronte a un mucchio d'oro è praticamente un nulla; tuttavia la buona fede, quando viene osservata coscienziosamente, si tratti d'oro o di paglia, non sarà certo di minor valore perché è osservata in cosa di minor valore.
Quando poi la lealtà viene impegnata per commettere un peccato, certo sorprende che si possa far ricorso lo stesso a questo termine; ma ad ogni modo, qualunque sia la natura di questa lealtà, se il peccato avviene anche contro di essa, è più grave.
Si deve eccettuare solo il caso che essa sia trasgredita proprio per tornare alla buona fede autentica e legittima, cioè per correggere la perversione della volontà ed emendare il peccato.
Poniamo il caso che uno, non potendo rapinare da solo una vittima, trovi un compagno nell'iniquità, e pattuisca con lui di compiere insieme il misfatto e di spartire il bottino, ma una volta commesso il delitto si tenga egli solo tutta la preda.
Il compagno senza dubbio si rammarica e si lagna che non gli sia stata mantenuta la buona fede, ma nel suo stesso rincrescimento deve pensare che piuttosto la lealtà avrebbe dovuto essere osservata con una condotta onesta proprio nei confronti della società, perché non si depredasse ingiustamente un essere umano, se sente con quanta iniquità gli sia stata mancata la fede nell'alleanza delittuosa.
L'altro, che fu disonesto da tutt'e due le parti, dev'essere giudicato senz'altro più colpevole.
Ma se egli si fosse pentito del delitto commesso insieme e non avesse voluto dividere con il complice la preda proprio per restituirla a quello cui era stata strappata, neppure il traditore lo potrebbe giudicare traditore.
Ugualmente, se una donna che tradisce la fedeltà coniugale, è fedele all'amante, è in ogni caso una donna colpevole; ma se non lo è neppure all'amante, è peggiore.
Però se essa si pente della colpa, e tornando alla castità coniugale scioglie l'accordo adulterino, mi sorprenderebbe se proprio l'amante la considerasse una traditrice.
Ci si domanda anche per solito se si deve parlare di matrimonio, quando un uomo e una donna, entrambi liberi da altri legami coniugali, si uniscono non per procreare figlioli, ma solo per soddisfare la reciproca intemperanza, ponendo però tra di loro la condizione che nessuno dei due abbia rapporti con altra persona.
In un caso del genere forse parlare di matrimonio non sarebbe fuor di proposito, purché essi osservino vicendevolmente questa condizione fino alla morte di uno dei due e purché, anche non essendosi uniti a questo scopo, tuttavia non abbiano escluso la prole, come avviene invece quando la nascita di figli non è desiderata o addirittura è evitata con qualche pratica riprovevole.
Ma se mancano i due elementi della fedeltà e della prole, o anche uno solo di essi, non vedo in qual maniera potremo chiamare matrimonio simili unioni.
In effetti, se un uomo si unisce temporaneamente con una compagna, finché non ne trovi da sposare un'altra all'altezza della sua condizione sociale ed economica, nell'intenzione è un adultero, e non con quella che intende trovare, ma con questa con la quale vive maritalmente, pur non essendo unito a lei da matrimonio.
Perciò anche la donna che conosce ed accetta questa situazione mantiene un rapporto senz'altro impudico con colui al quale non è congiunta dal patto coniugale.
Certo, se ella si mantiene fedele, e dopo che l'uomo si è sposato regolarmente non pensa a sposarsi a sua volta, ma da parte sua si prepara a rinunciare del tutto alla vita coniugale, non oserei chiamarla adultera alla leggera; però nessuno potrà sostenere che non pecca, quando risulta unita a un uomo di cui non è la moglie.
Ad ogni modo, se una donna simile, per quello che la riguarda, da quell'unione non desidera altro che i figli, e tutto ciò che subisce oltre lo scopo della procreazione lo subisce contro voglia, certo deve essere anteposta a molte maritate che abusano dei loro diritti: infatti queste, benché non siano adultere, spesso costringono i mariti, pur desiderosi di astenersi, ad assolvere il debito coniugale, non per il desiderio di avere figli, ma per l'ardore della concupiscenza.
Però anche nel matrimonio di donne simili c'è appunto questo di buono, che sono maritate.
E per questo si sono sposate, perché, ridotta al vincolo legittimo, la loro concupiscenza non vada traboccando senza freno e senza regola.
Anzi in tal modo contro la congenita e irrefrenabile debolezza della carne essa trova nel matrimonio il legame indissolubile della fedeltà, e se, per se stessa, tende a una progressiva sregolatezza dei sensi, dal matrimonio riceve la casta regola della procreazione.
Certo è vergognoso fare del marito uno strumento di libidine, tuttavia è onesto non volersi unire se non al marito e non aver figli se non dal marito.
6. Ci sono anche uomini incontinenti a tal punto, che non hanno riguardo neppure per le mogli che hanno già concepito, ma qualsiasi cosa facciano tra loro gli sposi di sregolato, di vergognoso o di abietto è difetto degli uomini, non colpa delle nozze.
Nel caso quindi che il dovere coniugale sia preteso in maniera eccessiva, l'Apostolo non dà una norma vincolante, ma per indulgenza concede agli sposi che si possano unire anche senza lo scopo della procreazione.
Perciò benché siano i cattivi costumi a spingere i coniugi a questi rapporti, le nozze li difendono dall'adulterio e dalla fornicazione.
Infatti non è che quegli eccessi siano consentiti grazie alle nozze, ma grazie alle nozze sono perdonati.
Pertanto gli sposi sono tenuti alla fedeltà nei rapporti sessuali intesi alla procreazione dei figli, e questa è la prima forma di società conosciuta dal genere umano in questa vita mortale.
Ma hanno anche l'obbligo di darsi sostegno reciprocamente nella debolezza della carne, per evitare rapporti illeciti; così, anche se ad uno di essi piacesse una perpetua continenza, non vi si può attenere senza il consenso dell'altro.
Per questo infatti non è la moglie che ha potestà sul proprio corpo, ma il marito; allo stesso modo non è il marito che ha potestà sul proprio corpo, ma la moglie. ( 1 Cor 7,4 )
Quindi anche ciò che l'uno pretende dal matrimonio o l'altra dal marito non a motivo della procreazione, ma della debolezza carnale, non deve essere reciprocamente negato, perché l'incontinenza, sia essa di un solo coniuge o di entrambi, sotto la tentazione di Satana, non li trascini in colpevoli depravazioni. ( 1 Cor 7,4-6 )
Infatti quando il rapporto coniugale avviene con lo scopo di procreare è senza colpa; quando avviene per soddisfare la concupiscenza, ma con il coniuge a motivo della fedeltà coniugale, rappresenta una colpa veniale; l'adulterio invece o la fornicazione rappresentano un peccato mortale.
E per questo l'astensione da ogni rapporto è senz'altro preferibile addirittura allo stesso rapporto coniugale che avviene per procreare.
7. Quell'astensione comporta certo un maggior merito, ma rendere il debito coniugale non è affatto una colpa, esigerlo oltre la necessità di procreare è un peccato veniale, fornicare addirittura o commettere adulterio è un peccato da punire.
Dunque l'affetto coniugale deve badare a non provocare la dannazione dell'altro, cercando di procacciare maggiori meriti per sé.
Infatti chi ripudia la propria moglie, eccettuato il caso di fornicazione, la induce a commettere adulterio. ( Mt 5,32 )
Una volta che il patto nuziale è stato stretto, riveste una forma tale di sacramento, che non viene annullato neppure con la stessa separazione: la donna, finché vive il marito che l'ha abbandonata, se sposa un altro commette adulterio; e la responsabilità della colpa ricade su colui che l'ha ripudiata.
Mi sembrerebbe strano, poi, se dal fatto che è consentito ripudiare una moglie adultera si deducesse che, ripudiata quella, è pure consentito prenderne un'altra.
A questo punto infatti la sacra Scrittura presenta un difficile problema.
L'Apostolo dice che per ordine del Signore la donna non deve abbandonare il marito, ma se lo abbandona non deve passare a nuove nozze, oppure deve riconciliarsi con lui. ( 1 Cor 7,10-11 )
L'unico caso in cui può abbandonare il marito, sempre senza passare a nuove nozze, è che questi sia adultero; altrimenti, abbandonando un uomo che adultero non è, lo indurrebbe a diventarlo.
Probabilmente è possibile e giusto che la donna si riconcili con il marito, o sopportando, se essa non è capace di osservare la continenza, oppure aspettando che si sia emendato.
Come poi possa essere permesso all'uomo di risposarsi, dopo aver ripudiato una moglie adultera, io proprio non lo vedo, dal momento che alla donna che ha abbandonato un marito adultero ciò non è permesso.
Se le cose stanno così, quel vincolo che unisce i coniugi ha una forza tale che, pur essendo stato stretto allo scopo di procreare, non può essere sciolto neppure per questo stesso scopo di procreare.
Infatti un uomo potrebbe rimandare la moglie sterile e prenderne una da cui avere figli, e invece non è consentito; e ormai ai tempi nostri e secondo il costume romano non è consentito nemmeno avere più mogli in vita contemporaneamente.
Eppure senz'altro, se l'uno o l'altra si risposasse di nuovo, abbandonato il coniuge adultero, potrebbero nascere diverse creature.
Ma se ciò non è consentito, come sembra prescrivere la regola divina, a nessuno può certo sfuggire che cosa significa una così assoluta fermezza del vincolo coniugale.
Io penso che in nessun modo esso potrebbe avere una forza così grande se, pur nella condizione umana di debolezza e mortalità, non assumesse il sigillo di un valore più alto: ma questo sigillo, anche quando gli uomini cercano di staccarsene o di scioglierlo, rimane incancellabile fino al loro castigo.
Giacché non si abolisce l'unione nuziale neppure quando interviene il divorzio; di modo che i coniugi sono tra loro tali anche se separati, mentre commettono adulterio con quelli con i quali si uniscono anche dopo il ripudio, sia la donna con un uomo che un uomo con una donna.
Ma questa condizione coniugale non appartiene che alla città del nostro Dio, sul suo santo monte. ( Sal 48,2 )
8. Del resto, chi ignora che diversamente stabiliscono le leggi dei gentili, secondo le quali dopo il ripudio, senza alcun rischio di punizione umana, tanto la donna che l'uomo si risposano con chi vogliono?
Un'usanza del genere, a quanto pare, Mosè permise agli Israeliti, con il libretto del ripudio, ( Dt 24,1; Mt 19,8 ) per la durezza dei loro costumi.
Ma anche in questa concessione è evidente che il divorzio è piuttosto biasimato che approvato.
Le nozze sono sotto ogni riguardo onorevoli e il talamo è immacolato. ( Eb 13,4 )
Ora noi non diciamo che il matrimonio è un bene nel senso che è tale in confronto con la fornicazione; altrimenti avremo due mali, dei quali uno più grave; oppure sarà un bene anche la fornicazione, perché è peggiore l'adulterio.
Infatti è peggio violare il matrimonio altrui, che avere rapporti con una meretrice.
E un bene sarà anche l'adulterio, perché è peggiore l'incesto; infatti è peggio avere rapporti con la propria madre che con la moglie altrui.
E ogni cosa sarà un bene in paragone del peggio, fino a giungere a ciò che, secondo l'Apostolo, è turpe anche pronunciare. ( Ef 5,12 )
Ma chi può dubitare che ciò non sia falso?
Dunque matrimonio e fornicazione non sono due mali, dei quali uno è peggiore; ma due beni sono matrimonio e continenza, dei quali uno è migliore.
Così questa salute e la malattia limitate nel tempo non sono due mali, dei quali uno è peggiore; ma la salute e l'immortalità sono due beni, dei quali uno è migliore.
Del pari la scienza e la vanità non sono due mali, dei quali la vanità è peggiore; ma la scienza e la carità sono due beni, dei quali la carità è migliore.
La scienza avrà termine, dice l'Apostolo, e tuttavia in questa vita è necessaria; ma la carità non cadrà mai. ( 1 Cor 13,8 )
Così anche questa generazione di esseri mortali, che è lo scopo del matrimonio, avrà termine; ma l'astinenza da ogni rapporto carnale, che è già in questo mondo un'esercitazione alla vita angelica, rimarrà in eterno.
Così i pasti dei giusti sono migliori che i digiuni dei sacrileghi; così le nozze delle credenti sono preferibili alla verginità delle donne empie.
Ciò nonostante viene preferito nel primo caso non il pranzo al digiuno, ma la giustizia al sacrilegio; nel secondo non le nozze alla verginità, ma la fede all'empietà.
Infatti i giusti, quando è necessario, pranzano per fornire al proprio corpo ciò che è giusto e conveniente, come i buoni padroni fanno con i loro schiavi; ma gli empi digiunano per servire i demoni.
Allo stesso modo le credenti si sposano per unirsi piamente ai mariti, mentre le non credenti rimangono vergini per tradire il vero Dio.
Era bene ciò che Marta faceva, occupata a servire dei santi, ma meglio ciò che faceva Maria, sua sorella, sedendo ai piedi del Signore e ascoltando le sue parole; ( Lc 10,39-40 ) così lodiamo il bene che era nella castità coniugale di Susanna; ( Dn 13,22 ) ma a questo anteponiamo quello che era nella vedovanza di Anna, ( Lc 2,36-37 ) e molto di più ancora nella verginità di Maria. ( Lc 1,27 )
Facevano bene quelle che fornivano dalle proprie sostanze il necessario a Cristo e ai suoi discepoli, ma meglio facevano coloro che lasciarono ogni loro avere per seguire lo stesso Signore più speditamente.
Ma in questi due tipi di bene, sia in quello che praticavano costoro, sia in quello che praticavano Marta e Maria, non si potrebbe fare ciò che è migliore, se non dopo avere scartato o abbandonato l'altro.
Da ciò si può comprendere che le nozze non devono essere ritenute un male, perché è solo astenendosi da esse che si può realizzare la castità della vedova o l'integrità della vergine.
E per lo stesso motivo non poteva essere un male neppure ciò che faceva Marta, perché la sorella poteva realizzare un bene maggiore solo astenendosi dal fare lo stesso.
Altrimenti dovrebbe essere un male anche accogliere il giusto o il profeta nella propria casa, perché, per fare un bene maggiore, colui che vuole seguire Cristo fino alla perfezione non deve avere casa.
Certo bisogna considerare che Dio ci concede alcuni beni che sono desiderabili per se stessi, come la sapienza, la salute, l'amicizia; altri che sono necessari per un diverso scopo, come la dottrina, il cibo, la bevanda, il sonno, il matrimonio, l'unione carnale.
Fra i beni di questo secondo tipo alcuni sono necessari per raggiungere la sapienza, come la dottrina; alcuni per conservare la salute, come il cibo, la bevanda, il sonno; altri per coltivare l'amicizia, come le nozze o le relazioni carnali: da questi rapporti infatti deriva la continuazione del genere umano, per il quale la società prodotta dall'affetto è un bene così grande.
Dunque, se utilizzando questi beni che sono necessari per conseguirne altri qualcuno li indirizza a uno scopo diverso da quello per cui sono stati creati, pecca, talvolta in maniera veniale, talvolta mortale.
Chiunque li usa per lo scopo per cui sono stati dati, fa bene; ma se a qualcuno non sono necessari, fa meglio a non usarli.
Dunque facciamo bene a volerli, quando ne abbiamo necessità; ma facciamo meglio a non volerli perché, quando non abbiamo bisogno di essi, siamo in una condizione migliore.
Per questo motivo sposarsi è un bene, perché è un bene procreare figli ed essere madri di famiglia; ( 1 Tm 5,14 ) ma meglio è non sposarsi, perché è più vantaggioso per la stessa società umana non dover ricorrere a questa funzione.
Ai nostri giorni infatti la situazione del genere umano è cambiata: una parte di coloro che non sono capaci di contenersi si rivolge al matrimonio, ma molti si sfrenano anche in relazioni illecite; il Creatore nella sua bontà fa sì che non manchi una prole numerosa e una stirpe copiosa, da cui si potranno avere sante amicizie.
Si capisce che nei primi tempi del genere umano, siccome era necessario propagare il popolo di Dio, che doveva annunziare e far nascere il Principe e Salvatore di tutti i popoli, anche i santi furono costretti ad usare questo bene del matrimonio, non perché fosse desiderabile per se stesso, ma perché era necessario a un altro scopo.
Ma ora, visto che per dare inizio a una società santa e pura presso tutti i popoli sovrabbonda il numero delle anime affratellate spiritualmente, anche a coloro che desiderano stringere matrimonio solo per avere figli si deve consigliare di rivolgersi piuttosto al bene superiore della continenza.
Ma so cosa vanno mormorando: - Come? Se tutti gli uomini decideranno di astenersi da ogni rapporto carnale, come si conserverà il genere umano?
- Ma volesse il cielo che tutti prendessero questa decisione, purché nell'atteggiamento di carità che deriva da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede non simulata! ( 1 Tm 1,5 )
Molto più presto si adempirebbe la città di Dio e si appresserebbe la fine dei tempi.
Infatti a che esorta evidentemente l'Apostolo, quando dice: Vorrei che tutti fossero come me? ( 1 Cor 7,7 )
O nello stesso passo: Questo poi dico, fratelli: il tempo è breve; resta che coloro che hanno moglie vivano come se non l'avessero e coloro che piangono come se non piangessero; e coloro che godono come se non godessero; e coloro che comprano come se non comprassero; e coloro che usano di questo mondo come se non ne usassero.
Infatti passa la figura di questo mondo: voglio che voi siate senza preoccupazioni.
Aggiunge ancora: Chi non ha moglie pensa alle cose del Signore e come possa piacere a Lui.
Ma chi è congiunto in matrimonio pensa alle cose del mondo e come possa piacere alla moglie.
E divisa è la donna che non è maritata ed è rimasta vergine: quella che non è maritata si preoccupa delle cose del Signore per essere santa di corpo e di spirito; quella che è sposata invece si preoccupa delle cose del mondo per piacere al marito. ( 1 Cor 7,29-34 )
Per tutto ciò, secondo me, ai nostri giorni si devono sposare solo quelli che non sono capaci di contenersi; ai quali l'Apostolo dice: Se non sono capaci di contenersi, si sposino; è meglio sposarsi che bruciare. ( 1 Cor 7,9 )
Eppure per essi le nozze non sono peccato.
Se esse fossero scelte, in paragone della fornicazione, sarebbero un peccato minore della fornicazione, ma tuttavia sempre un peccato.
Ma che possiamo dire contro le parole evidentissime dell'Apostolo: Faccia ciò che vuole; non pecca se si sposa, ( 1 Cor 7,36 ) e: Se hai preso moglie, non hai peccato; e se una vergine si è sposata, non pecca? ( 1 Cor 7,28 )
Da queste espressioni, non è più possibile mettere in dubbio che il matrimonio non è peccato.
Pertanto l'Apostolo non concede le nozze per indulgenza: infatti sarebbe un'assurdità, e chi potrebbe dubitarne?, sostenere che non abbiano peccato coloro ai quali si concede un'indulgenza.
Al contrario, viene concesso sotto forma di indulgenza solo quell'atto coniugale che avviene per l'incapacità di contenersi invece che al solo scopo di procreare, e talvolta addirittura senza lo scopo di procreare; e non sono le nozze che ci spingono ad atti del genere, ma sono le nozze che li rendono perdonabili.
Certo essi ci verranno perdonati, solo se non sono così eccessivi da ostacolare i momenti che devono essere riservati alla preghiera, e se non sono stravolti da abitudini contro natura.
Di queste abitudini non poté tacere l'Apostolo, quando parla della corruzione ignobile di uomini empi ed immondi. ( Rm 1,26-27 )
Dunque solo l'unione carnale indispensabile per generare è incolpevole ed essa sola appartiene alle nozze.
Quella che va oltre tale necessità, obbedisce ormai alla libidine, non alla ragione.
Eppure è proprio di chi riveste lo stato coniugale non esigere, ma concedere al coniuge questa unione, perché egli fornicando non cada in peccato mortale.
Se poi entrambi i coniugi sono soggetti a tale concupiscenza, il loro comportamento non è certo quello proprio delle nozze.
Tuttavia, se nella loro unione coltivano piuttosto le pratiche oneste proprie del matrimonio che quelle disoneste ad esso estranee, ciò viene loro concesso per indulgenza sull'autorità dell'Apostolo; ma non sono le nozze che spingono a questa colpa: al contrario sono le nozze che intercedono per essa.
Condizione indispensabile è però che i coniugi non distolgano da sé la misericordia del Signore, trascurando di astenersi in determinati giorni, in modo da attendere alle preghiere e raccomandarle attraverso questa astinenza e i digiuni, oppure pervertendo la pratica naturale in quella contro natura.
E questa colpa tra coniugi è ancora più condannabile.
Infatti la pratica naturale, quando scivola oltre il patto matrimoniale, cioè oltre la necessità della procreazione, è una colpa veniale in una moglie, gravissima in una meretrice; invece la pratica contro natura è esecrabile in una meretrice, ma ancor più esecrabile in una moglie.
Tanta importanza ha l'ordinamento disposto dal Creatore e la regola ricevuta dalla creazione, che oltrepassare la misura nelle pratiche consentite all'uso è cosa di gran lunga più tollerabile che una trasgressione, sia pure unica o rara, in quelle che non sono consentite.
E perciò l'eccesso di un coniuge in un'azione lecita deve essere tollerato, perché la libidine non prorompa in un'altra non concessa.
Da ciò deriva anche che pecca di gran lunga di meno un marito che si dedica con troppa frequenza alle pratiche coniugali, che uno che si dia, sia pur rarissimamente, alla fornicazione.
Ma se un uomo vuole usare del corpo della moglie in maniera non concessa dalla natura, la moglie è più colpevole se permette che questo avvenga su di sé che su un'altra.
Dunque la dignità del matrimonio consiste nel procreare onestamente e nel rendere fedelmente il debito coniugale: questa è la funzione delle nozze, questa l'Apostolo difende da ogni accusa dicendo: Se hai preso moglie, non hai peccato; e se una vergine si è sposata, non pecca, ( 1 Cor 7,28 ) e: Faccia ciò che vuole; se si sposa, non pecca. ( 1 Cor 7,36 )
Però, per i motivi già esposti, ai coniugi è perdonato un certo eccesso nell'esigere vicendevolmente il loro debito.
Quando poi l'Apostolo dice: Quella che non è sposata pensa alle cose del Signore per diventare santa di corpo e di spirito, ( 1 Cor 7,34 ) non dobbiamo intenderlo nel senso che una casta sposa cristiana non possa essere santa nel corpo.
È stato effettivamente detto ai fedeli: Non sapete che i vostri corpi sono in voi il tempio dello Spirito Santo che ricevete dal Signore? ( 1 Cor 6,19 )
Dunque sono santi anche i corpi degli sposi che osservano la fedeltà reciproca e nei riguardi del Signore.
E alla loro santità non può nuocere neppure un coniuge non credente, ma piuttosto la santità della moglie può giovare al marito non convertito, o la santità del marito alla moglie; e ancora lo attesta l'Apostolo dicendo: Il marito non credente è santificato nella moglie, e la moglie non credente nel fratello. ( 1 Cor 7,14 )
Al contrario, quello che dice san Paolo fa capire solo che la santità delle donne non sposate è maggiore rispetto alla santità delle maritate.
E poiché il bene che esse praticano pensando solo alla maniera di piacere al Signore è superiore all'altro, è dovuta loro anche una ricompensa più ampia.
Ma ciò non significa che una donna credente, quando osserva la pudicizia coniugale, non si preoccupa di piacere al Signore; solo vi pensa meno, certamente, perché pensa anche alle cose del mondo per piacere al marito.
Questo appunto ha voluto dire l'Apostolo delle maritate, perché esse in un certo qual modo possono essere costrette dal matrimonio a pensare alle cose del mondo, per piacere ai mariti.
Non è poi fuor di luogo domandarsi se l'Apostolo abbia parlato di tutte le maritate, o se si sia riferito solo a un tipo di esse, che però ne comprende un numero così grande da costituire pressoché la totalità.
Infatti anche quello che dice delle non maritate: Quella che non è sposata pensa alle cose del Signore per essere santa di corpo e di spirito ( 1 Cor 7,14 ) non riguarda tutte le non maritate, poiché alcune vedove sono come morte, perché vivono in mezzo ai piaceri. ( 1 Tm 5,6 )
Tuttavia, dovendo in un certo modo distinguere nelle sue caratteristiche la condizione specifica delle nubili e delle sposate, avremo che da una parte è riprovevole al massimo quella che si astiene dalle nozze, cioè da una cosa permessa, però non si astiene dalle colpe dell'intemperanza, o della superbia, o della curiosità, o delle chiacchiere; dall'altra parte è rara la maritata che, pur nel rispetto dei doveri coniugali, non pensa se non come piacere a Dio, ornandosi non con trecce, o oro e perle e vesti preziose, ma di buone opere come conviene a donne che dimostrano la loro pietà attraverso una onesta condotta. ( 1 Tm 2,9-10 )
Certo sono questi i matrimoni che anche l'apostolo Pietro insegna e raccomanda: Similmente, o donne, siate obbedienti ai vostri mariti, perché se alcuni di essi non credono alla parola, siano guadagnati senza bisogno di discorsi dalla condotta della moglie, vedendola rispettosa e pura.
I vostri ornamenti non siano quelli esteriori di pettinature arricciate, di gioielli e belle vesti, ma sia l'ornamento di quell'umanità nascosta nel vostro cuore nella costanza di uno spirito quieto e modesto, che è la vera ricchezza anche davanti a Dio.
Infatti così si ornavano le donne sante che speravano nel Signore; esse obbedivano ai loro mariti, come Sara obbediva ad Abramo, chiamandolo suo signore; e voi siete divenute figlie di questa, facendo il bene e cacciando ogni vano timore.
E per lo stesso motivo, voi mariti, vivete in concordia e castità con le vostre mogli, onoratele come degli esseri fragili e sottomessi, perché sono eredi della grazia insieme con voi e badate che non siano ostacolate le vostre preghiere. ( 1 Pt 3,1-7 )
Ma gli sposi di tal genere non pensano forse alle cose che appartengono al Signore e a come piacere al Signore?
Certo sono estremamente rari. Chi lo nega?
Ma per quanto rari, quasi tutti quelli che sono in questo modo, non si sono sposati per diventarlo, ma lo sono diventati dopo il matrimonio.
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