Discorsi sul Nuovo Testamento

Indice

Dalle parole del Vangelo di Giovanni

Gv 1,1-3: " In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio " Contro gli Ariani

1.1 - A qual prezzo si procura l'intelligenza del Verbo di Dio
2.2 - L'uomo stesso è il prezzo del Verbo
2.3 - Il Verbo di Dio pura forma non formata. Forma eterna ed immutabile
3.4 - Integro in una parte come nel tutto
3.5 - Nelle cose divine una riverente ignoranza è preferibile ad una scienza presuntuosa. Dio imperscrutabile all'occhio del cuore. La conoscenza di Dio rende beato l'uomo. Dio non si avvantaggia della nostra conoscenza
4.6 - Si afferma contro gli Ariani che il Verbo è coeterno al Padre
5.7 - È difficile dare a conoscere le cose divine a uomini carnali
5.8 - Similitudini di cui valersi per confutare gli Ariani
6.9 - La nostra fede, però, non si fonda su delle similitudini
6.10 - Nelle creature similitudini inadeguate al Figlio di Dio. Coevo ed eterno
8.11 - Nelle cose coeve una certa similitudine del Verbo coeterno a Dio. Il fuoco e la luce coesistenti
9.12 - Altro esempio di coesistenza: l'immagine e la realtà da cui ha origine
10.13 - Dalle similitudini presentate risulta ineguaglianza
10.14 - Da due ordini di similitudini: il Figlio di Dio coeterno ed uguale
10.15 - Per vedere Dio è necessario purificare l'occhio del cuore
10.16 - Nell'incarnazione il Verbo si è fatto come latte perché noi potessimo riuscire a comprenderlo
10.17 - L'umiltà deve apprendersi dal Verbo incarnato

1.1 - A qual prezzo si procura l'intelligenza del Verbo di Dio

L'asserto che apre il Vangelo, di cui è stata data lettura, ricerca, fratelli carissimi, che sia puro l'occhio del cuore.

In forza dell'annunzio di Giovanni, noi infatti riteniamo come sia il Signore nostro Gesù Cristo, in quanto Dio, a dare origine a ogni creatura e, in quanto uomo, a restaurare la creatura decaduta.

Inoltre, pure nel Vangelo, veniamo a scoprire quale uomo e quanto grande sia stato Giovanni al punto che dalla dignità di chi è ministro si arriva a comprendere quanto sia elevato il valore del Verbo che per mezzo di un tal uomo poté essere annunziato; anzi, come sia inestimabile quel che trascende ogni cosa.

Ciò che si vende può, infatti, rapportarsi al prezzo, esserne al di sotto o valere di più.

Quando uno corrisponde secondo il valore, il prezzo dell'oggetto che si compra è regolato alla pari; se è più basso, l'oggetto è sottovalutato; nel caso sia più alto, è supervalutato.

Quanto al Verbo di Dio, al contrario, non c'è cosa che possa reggere al suo confronto, né egli è suscettibile di mutamento e neppure che altro gli sia preferito.

A tutte le cose, infatti, è dato di essere sottomesse al Verbo di Dio perché tutto è stato fatto per mezzo di lui; ( Gv 1,4 ) non sono però subordinate nel senso di equivalere al prezzo del Verbo, così che chiunque possa appropriarsene in cambio di altro.

Tuttavia, se è permesso dire, e se un certo senso pratico o un modo abituale di esprimersi consente questo termine, il prezzo per il possesso del Verbo è egli stesso acquirente, che appunto al Verbo avrà ceduto se stesso in cambio di se stesso.

Perciò quando acquistiamo qualcosa, desideriamo ben altro di quel che diamo così che, dato il prezzo, sia nostra la cosa che vogliamo procurarci.

Ebbene, ciò che diamo è al di fuori di noi; e, se l'avevamo con noi, passa ad essere al di fuori di noi quel che cediamo allo scopo di avere con noi quanto acquistiamo.

Quale che sia il prezzo che avrà a disposizione chi acquista qualcosa, è di necessità che risulti tale da consentirgli di cedere quanto possiede e di prendere ciò che non ha; e che, tuttavia, quel prezzo non ci sia più e ci sia invece ciò per cui lo ha versato.

Chi, dunque, vuole entrare in possesso del Verbo, chi vuole averlo, non vada al di fuori di sé a procurarsi che dare: dia se stesso.

Quando lo avrà fatto, non resta privo di sé, come, invece, non è più suo il prezzo quando acquista qualcosa.

2.2 - L'uomo stesso è il prezzo del Verbo

Di conseguenza, il Verbo di Dio è proposto a tutti: comprino quelli che possono; ma si rende possibile a coloro che lo avranno voluto con pio desiderio.

In realtà, in lui, nel Verbo, è la pace: e pace sulla terra agli uomini di buona volontà. ( Lc 2,14 )

Pertanto, chi vuol comprare, dia se stesso.

È quasi il prezzo del Verbo questo, se in certo qual modo si può dire, quando chi dà non si aliena e si procura il Verbo per il quale si dà, e guadagna se stesso nel Verbo al quale si dà.

E che rimette al Verbo? Non qualcosa che non appartenga a colui in cambio del quale si dà, ma ciò che è stato fatto per mezzo dello stesso Verbo, proprio questo a lui viene rimesso perché sia reso creatura nuova.

Tutto è stato fatto per mezzo di lui. ( Gv 1,4 )

Se tutto, assolutamente anche l'uomo.

Se il cielo, se la terra, se il mare, se tutte le cose che si trovano appunto in essi, se l'intera creazione, l'uomo, che è stato fatto ad immagine di Dio, certamente con maggiore evidenza è stato creato per mezzo del Verbo.

2.3 - Il Verbo di Dio pura forma non formata. Forma eterna ed immutabile

Non trattiamo ora, fratelli, come si possa intendere quel che è stato affermato: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. ( Gv 1,1 )

Può essere inteso in modo inevitabilmente inespresso: non dipende dalle parole dell'uomo l'intellezione di esso.

Trattiamo del Verbo di Dio ed esponiamo la ragione per la quale non si può intendere.

Con questo nostro dire non vogliamo darne comprensione, ma spieghiamo che cosa può impedire di raggiungerla.

È infatti una pura forma, non ha ricevuto forma, ma è la forma di tutti i formati: forma immutabile, perfetta, indefettibile, eterna, invisibile, forma che tutto trascende, che si eleva al di sopra di tutte le cose, quale fondamento al loro sussistere, dispiegata su di esse.

Se affermi che tutto sussiste in lui, non sei nel falso.

È stato, infatti, affermato che proprio il Verbo è la Sapienza di Dio; d'altra parte troviamo scritto: Hai fatto ogni cosa con Sapienza. ( Sal 104,24 )

Dunque, tutte le cose sussistono in lui; nondimeno, essendo Dio, tutte le cose gli sono soggette.

Ammettiamo quanto sia incomprensibile quel che è stato letto, tuttavia è stato letto non allo scopo di renderlo intelligibile all'uomo, ma perché l'uomo si affliggesse di non esserne capace e si disponesse a cercare la causa che gli ostacola la comprensione e a rimuoverla; quindi, perché, da parte sua, fatto diverso in meglio da meno buono, avesse ardentissimo desiderio di giungere alla cognizione del Verbo sempre uguale a se stesso.

Non è, infatti, che il Verbo progredisce e si accresce facendosi avanti chi vuol conoscere: immutato se sarai perseverante; immutato se avrai desistito; immutato se ti sarai fatto avanti di nuovo; rimanendo in se stesso, eppure rinnovando tutto.

Pertanto, è forma di tutte le cose, forma increata, al di fuori del tempo e dello spazio, come abbiamo detto.

Infatti è delimitato tutto ciò che è contenuto in un luogo.

Una forma è definita da termini, ha limiti entro i quali si trova.

Quindi, ciò che si contiene in un ambito trova posto secondo una certa grandezza e secondo lo spazio, una sua parte è più piccola rispetto al suo tutto.

Faccia Dio che comprendiate.

3.4 - Integro in una parte come nel tutto

Quanto ai corpi, invece, che sono davanti ai nostri occhi, che vediamo, che tocchiamo, tra i quali ci troviamo, possiamo renderci conto che un qualsiasi corpo ha forma entro uno spazio.

Ebbene, tutto ciò che è situato in un ambito, considerata una delle sue parti, questa è minore della sua interezza.

Ad esempio, una parte del corpo umano, un braccio: rispetto al corpo intero, un braccio è certamente più piccolo.

E se un braccio è più piccolo, occupa uno spazio più ristretto.

Ugualmente il capo; per essere una parte del corpo, occupa uno spazio più limitato ed è più piccolo del corpo intero di cui è il capo.

Così tutte le cose presenti in uno spazio definito, in una loro parte, sono minori del tutto.

Niente di simile abbia il nostro sentire di quel Verbo, niente di simile sia presente nel nostro pensiero.

Non configuriamoci le cose spirituali mossi da pensieri carnali.

Non in quel Verbo, in quel Dio, una parte che sia minore del tutto.

3.5 - Nelle cose divine una riverente ignoranza è preferibile ad una scienza presuntuosa. Dio imperscrutabile all'occhio del cuore. La conoscenza di Dio rende beato l'uomo. Dio non si avvantaggia della nostra conoscenza

Ma non puoi pensare alcunché che sia tale.

Questa devota ignoranza è preferibile a una scienza presuntuosa.

È di Dio, infatti, che parliamo. È stato affermato: E il Verbo era Dio. ( Gv 1,2 )

Dal momento che parliamo di Dio, che meraviglia se non comprendi?

In verità, se comprendi, non è Dio.

Piuttosto si riconosca umilmente di non capire, invece di fare una temeraria professione di scienza.

Raggiungere Dio appena un poco con il pensiero è una grande beatitudine; quanto a comprenderlo, invece, è assolutamente impossibile.

Dio è oggetto del pensiero, ne va ricercata la conoscenza; a vedersi, un corpo riguarda gli occhi.

Ma, quanto al corpo, credi tu di scoprirlo in un tempo? Non puoi affatto.

Non riesci a vederla, infatti, nel suo insieme, qualsiasi cosa tu osservi.

Dell'uomo di cui tu vedi il volto, in quel preciso momento non puoi vedere il dorso; e quando vedi il dorso, in quel mentre non vedi il volto.

Perciò non vedi in modo da comprendere.

Ma quando osservi un'altra parte che non avevi guardato, se la memoria non ti assiste a che tu ricordi di aver visto la parte da cui ti distogli, non potrai mai dire di aver conosciuto qualcosa almeno quanto all'esterno.

Tocca quel che vedi, volgi di qua, di là, oppure sei tu stesso a girargli intorno in modo da vederlo interamente.

Non puoi vederlo con un solo colpo d'occhio.

E per tutto il tempo che giri per osservare vedi delle parti; ma connettendo le altre parti per averle guardate, ti pare di vedere il tutto.

A questo punto si riscontra, invece, la pronta azione della memoria, non della vista.

Che, dunque, fratelli, si può dire del Verbo? Ecco, riguardo ai corpi che si trovano sotto il nostro sguardo, diciamo che non si possono conoscere con un solo colpo d'occhio: allora chi conosce Dio con gli occhi del cuore?

Se l'occhio è puro, è quel che ci vuole per raggiungerlo.

D'altra parte, se lo raggiunge, è per un certo qual contatto immateriale e spirituale, non lo comprende però; e questo se è puro.

E l'uomo diventa beato al contatto del cuore con chi sempre permane beato ed è in sé beatitudine perenne; è vita eterna da cui viene all'uomo d'essere vivo di vita senza fine; è sapienza perfetta, da cui viene all'uomo d'essere saggio; è luce intramontabile, da cui viene all'uomo d'essere illuminato.

E nota come sei tu che a quel contatto vieni ad essere formato quale non eri, non sei tu a procurare a lui che raggiungi di essere ciò che non era.

Questo dico: non è Dio ad avvantaggiarsi di chi lo ricerca, ma chi lo ricerca guadagna la conoscenza di Dio.

4.5 - Guardiamoci, fratelli carissimi, dal ritenere di accordare un favore a Dio, avendo detto che noi rimettiamo in qualche modo un prezzo.

Infatti non cediamo di che farsi più grande a lui, che è immutabile anche se vieni meno, che permane immutabile anche se fai ritorno, disposto a lasciarsi vedere per rendere felici quanti si accostano, per punire di cecità quelli che si allontanano.

Punisce, infatti, l'anima che si aliena da lui con un segno iniziale premonitore di pene, appunto con la cecità.

In realtà, chi si sottrae alla luce vera, cioè a Dio, immediatamente si trova nelle tenebre.

Non sperimenta ancora la pena, ma già la porta.

4.6 - Si afferma contro gli Ariani che il Verbo è coeterno al Padre

Pertanto, fratelli carissimi, dobbiamo riconoscere nel Verbo di Dio l'incorporeità, l'incorruzione, l'assoluta immutabilità, l'incompatibilità di una nascita nel tempo e, insieme, la generazione da Dio.

Possiamo convincere in qualche modo alcuni lontani dalla fede del fatto che non è contrario a verità quanto da noi viene affermato della fede cattolica che è contraria agli Ariani, dai quali spesso la Chiesa di Dio è stata messa alla prova, dal momento che gli uomini carnali accettano più facilmente quello che sono assuefatti a vedere?

Certuni, infatti, hanno osato dichiarare che il Padre è superiore al Figlio e che lo precede nel tempo; cioè, il Padre è maggiore del Figlio e il Figlio è minore del Padre e ne è preceduto nel tempo.

E adducono questa ragione: Se è nato, evidentemente il Padre esisteva prima ancora che gli fosse nato il Figlio.

Fate attenzione: egli stesso ci assista, aiutando le vostre orazioni e la volontà ben disposta a ricevere quanto egli stesso avrà dato a coloro che lo desiderano, quanto egli stesso avrà ispirato; ci assista perché riusciamo a spiegare in qualche modo quel che abbiamo determinato.

Tuttavia, fratelli, lo premetto, se da parte mia non sarò riuscito a spiegare, non sia che crediate faccia difetto la dottrina, ma che non sia stato in grado l'espositore.

Perciò vi esorto a pregare e ve ne scongiuro: intervenga la misericordia di Dio e procuri che trattiamo l'argomento così come giova a voi di ascoltare e a noi di esporre.

Ecco, dunque, che sostengono quelli: Se è Figlio di Dio, ha avuto una nascita.

Questo noi ammettiamo. Infatti non sarebbe Figlio se non fosse nato.

È chiaro, lo ammette la fede, lo approva la Chiesa cattolica, è verità.

Aggiungono poi: Se al Padre è nato il Figlio, il Padre esisteva anteriormente alla nascita del Figlio.

Ecco quel che la fede respinge e che i cattolici rifiutano di ascoltare; chi si ferma a questo giudizio è degno di anatema, è fuori, non lo riguarda la partecipazione, l'unione alla società dei santi.

Dunque, insiste, rendimi ragione: e come il Figlio è potuto nascere dal Padre, e come è coevo di colui dal quale è nato?

5.7 - È difficile dare a conoscere le cose divine a uomini carnali

E che facciamo, fratelli, quando diamo a conoscere le cose spirituali servendoci delle cose carnali - se pure assumendole a rendere intelligibili le cose spirituali, non siamo noi stessi carnali - all'uomo [ l'Ariano ] abituato al modo di attuarsi della nascita terrena e che vede l'ordine di questa creazione, dove distingue che subentra e che viene a cessare e, in base all'età, genitori e generati?

Infatti, il figlio nasce dopo il padre e succederà al padre che deve morire.

I genitori primi nel tempo, i figli posteriori nel tempo: questo troviamo negli uomini, questo negli altri esseri animati.

A causa di questa constatazione abituale, quelli hanno un'accentuata propensione a trasferire alle cose spirituali la forma di quelle carnali e, data la mentalità di uomini carnali, vengono sviati più facilmente.

Infatti non è il raziocinio degli ascoltatori a tener dietro a quanti vanno dicendo tali cose, ma l'abitudine dà anche a loro la libertà di diffonderle.

Ma, quanto a noi, che facciamo? Ce ne staremo in silenzio? Ah, se si potesse!

Poiché, tacendo, la mente forse si occuperebbe di qualcosa degno dell'ineffabile.

Infatti, tutto ciò che si può dire non è ineffabile. Al contrario, Dio è ineffabile.

In realtà, se l'apostolo Paolo dice di essere stato rapito fino al terzo cielo e ammette di aver udito parole ineffabili, ( 2 Cor 12,4 ) quanto più egli stesso, l'ineffabile, che ha fatto conoscere cose così alte da non poterne parlare colui al quale sono state rivelate?

Pertanto, fratelli, sarebbe stato meglio se avessimo potuto tacere, e dire: Questo è proprio della fede, crediamo così; tu non puoi capire, sei piccolo; bisogna attendere con pazienza fin tanto che fai crescere le ali, ad evitare, per aver voluto volare implume, che quello non sia un soffio di libertà, ma un precipitare per impulso sconsiderato.

Quale la reazione in contrario da parte di quelli? Oh, se avesse da obiettare qualcosa, me lo direbbe!

Questa è una scusa di chi si tira indietro. Chi non vuole rispondere è stato sopraffatto da chi è nella verità.

Chi sente dirsi questo, nel caso non risponda, se pure quanto a sé non è vinto, tuttavia è superato nei fratelli che sono indecisi.

Sono infatti in ascolto fratelli deboli e di fatto pensano che non ci sia da dire; e ritengono forse per vero che non ci sia da dire, non tuttavia che si manchi d'opinione.

In realtà, l'uomo nulla può dire se ad un tempo non ne abbia una interiore intelligenza; inoltre può avere in animo qualcosa che non è possibile rendere a parole.

5.8 - Similitudini di cui valersi per confutare gli Ariani

Riconosciuta ineffabile quella Maestà, tuttavia, per aver presentato alcune similitudini, alcuno non ritenga che per mezzo di codeste similitudini abbiamo raggiunto quel che da parte dei piccoli non si può esprimere né pensare ( evidentemente, anche se ciò è possibile ad alcuni più maturi, può esserlo in parte, può esserlo nel mistero, può esserlo come attraverso uno specchio, non ancora, invece, faccia a faccia ), diamo anche noi contro di quelli alcune similitudini che valgano a loro confusione, non perché possano comprendere quello che affermiamo.

Giacché quando diciamo come possa assai propriamente verificarsi, come possa intendersi e che [ il Verbo ] sia generato e che sia coeterno a colui dal quale è generato, per smentire questo e per dimostrare proprio come ciò non sia vero, ci presentano delle similitudini.

Da che le derivano? Dalla creatura.

E ci dicono: Evidentemente un uomo era in vita prima di generare un figlio, è maggiore di suo figlio; anche un cavallo esisteva prima di generare un puledro, così una pecora e tutti gli altri animali.

Si servono di similitudini desunte dalle creature.

6.9 - La nostra fede, però, non si fonda su delle similitudini

A che scopo dobbiamo darci da fare anche noi per trovare similitudini appropriate alle ragioni che applichiamo?

Perché? Se non trovassi, non potrei dire conseguentemente: Il nascere del Creatore forse non ha similitudini nella creazione?

Pertanto questa è l'inferiorità delle cose di qua rispetto a ciò che è di là, altrettanta è quella delle nascite di qua rispetto alla nascita di là.

Tutte le cose di quaggiù hanno l'essere da Dio, eppure che cosa si può paragonare a Dio?

Del pari, tutte le cose che nascono quaggiù hanno origine da lui quale causa efficiente.

E così forse non si trova una qualche similitudine della generazione di lui come non si trova della sostanza di lui, dell'immutabilità, della divinità, della maestà di lui.

Ché di simile si può trovare, infatti, quaggiù? Se, dunque, è probabilmente impossibile trovare una rassomiglianza neppure della generazione, ne sono stato forse sopraffatto perché nulla ho trovato di simile al Creatore dell'universo pur essendo assai interessato a scoprire nella creazione ciò che fosse simile al Creatore?

6.10 - Nelle creature similitudini inadeguate al Figlio di Dio. Coevo ed eterno

In realtà, fratelli, non riuscirò a rintracciare similitudini legate al tempo che io possa mettere a confronto con l'eternità.

Ma, e quelle che hai trovato tu che sono? Che hai scoperto infine?

Che nel tempo il padre è più grande del figlio; per il fatto di aver notato che il figlio è minore del padre soggetto al tempo vuoi per questo che il Figlio di Dio nel tempo sia minore del Padre eterno.

Dammi quaggiù un padre che sia eterno ed hai trovato la similitudine.

Tu trovi il figlio minore del padre nel tempo, il figlio temporale minore del padre temporale.

O che mi hai trovato un figlio soggetto al tempo minore di un padre eterno?

7.10 - Il fatto è che all'eternità è propria l'immutabilità, al tempo, invece, l'instabilità; nell'eternità tutte le cose permangono stabili, nel tempo, alle cose che vengono avanti altre tengono dietro.

Nel variare legato al tempo puoi trovare minore il figlio che viene dopo il padre perché anche questi venne, soggetto al tempo, dopo un padre non eterno.

Di conseguenza, fratelli miei, che di coeterno possiamo rintracciare nella creatura quando, appunto nella creatura, nulla troviamo che sia eterno?

Nella creatura ho trovato eterno il padre e trovo coeterno il figlio.

Se invece non trovi che sia eterno, ecco che si superano nel tempo; quanto ad una similitudine, basta riconoscerlo coevo.

Una cosa è, infatti, l'essere coeterno, l'altra essere coevo.

Chiamiamo abitualmente coetanei coloro che vivono nel medesimo spazio di tempo, per cui l'uno non precede l'altro nel tempo, tuttavia coloro che chiamiamo coetanei hanno avuto insieme l'inizio dell'essere.

Se avremo potuto trovare la nascita di quel che è generato simultanea a quella di chi lo genera; se i due, il genitore e il generato possono essere riconosciuti coevi, quaggiù li abbiamo trovato coetanei, dobbiamo intenderli coeterni.

Se quaggiù troverò che l'esistenza del figlio ha inizio nel momento stesso che ha inizio l'esistenza del genitore, comprendiamo che non avendo principio l'essere del genitore, certamente è senza principio l'essere del Figlio di Dio.

Ecco, fratelli, forse abbiamo rinvenuto nella creatura qualche cosa che ha origine da altra cosa, eppure comincia ad esistere da che comincia ad esistere quella dalla quale nasce.

Questa cosa esiste da che comincia ad esistere quella cosa da cui nasce; quello [ il Verbo ] esiste da che colui, dal quale è, esiste senza principio.

Questo dunque coevo, quello coeterno.

8.11 - Nelle cose coeve una certa similitudine del Verbo coeterno a Dio. Il fuoco e la luce coesistenti

Ritengo che la Santità vostra abbia già capito ciò che vado dicendo, cioè che le cose temporali non possono essere paragonate a quelle eterne, ma, per una qualche debole e povera similitudine, è possibile il confronto di entità coesistenti con le realtà eterne.

Perciò possiamo rilevare nelle cose esempi di simultaneità di esistenza e avere dalle Scritture la spinta a reperire queste similitudini.

Della stessa Sapienza leggiamo nelle Scritture: È lo splendore della luce perenne; leggiamo ancora: È specchio senza macchia della maestà di Dio. ( Sap 7,26 )

La stessa Sapienza è riconosciuta come lo splendore della luce perenne, è riconosciuta come immagine del Padre; di qui possiamo capire la similitudine allo scopo di poter rinvenire casi di esistenza simultanea e da questi giungere ad intendere le realtà coeterne.

O Ariano, se troverò un genitore che non precede nel tempo quel che ha generato, se un generato non sia minore di quel tempo a partire dal quale è stato generato, è giusto che tu mi conceda possibile che siano riconosciute coeterne nel Creatore tali prerogative, dal momento che nella creatura si è potuto trovarle coesistenti.

Penso che questo indubbiamente si è già fatto avanti alla mente di alcuni fratelli.

Infatti, al mio dire: Splendore di luce perenne, hanno dato segno di aver capito.

In realtà, il fuoco sprigiona luce e la luce è sprigionata dal fuoco.

Se vogliamo venire a sapere come può venir fuori da esso, ogni giorno, quando accendiamo la lucerna, siamo richiamati a una vera e propria realtà invisibile e indicibile affinché in questa notte del tempo possa accendersi quasi una lucerna per la nostra intelligenza.

Fa' attenzione a chi accende una lucerna.

Se la lucerna non è accesa, non c'è ancora il fuoco e neppure c'è ancora lo splendore che si sprigiona dal fuoco.

Domando ora io e dico: Lo splendore viene fuori dal fuoco, oppure è il fuoco a venir fuori dallo splendore?

Ogni creatura razionale mi risponde: Dio ha voluto appunto seminare in ogni essere razionale i princìpi primi della conoscenza, i princìpi primi della saggezza; la risposta che mi dà ogni essere razionale, e che nessuno mette in dubbio, è che quello splendore esce dal fuoco, non il fuoco dallo splendore.

Supponiamo allora che il fuoco sia il padre di quello splendore, avendo noi già premesso che andiamo in cerca di entità coesistenti, non coeterne.

Per il fatto che io desidero accendere una lucerna, non vi è ancora fuoco, non vi è ancora splendore; ma non appena avrò acceso, contemporaneamente con il fuoco ecco apparire lo splendore.

Dammi qui un fuoco senza splendore ed io credo, per concessione a te, che il Padre è esistito [ del tempo ] senza il Figlio.

9.12 - Altro esempio di coesistenza: l'immagine e la realtà da cui ha origine

È stata affermata, come abbiamo potuto renderla noi a parole, una verità propriamente sublime; poiché il Signore ha sostenuto l'intenzione della vostra preghiera e la disposizione della vostra mente, avete potuto recepire quanto vi è stato possibile cogliere.

Quelle realtà sono tuttavia ineffabili.

Non dovete credere che sia stato detto qualcosa di adeguato anche per il fatto stesso che il paragone avviene tra entità coesistenti e le realtà coeterne, tra entità temporali e le realtà eterne, tra entità che la finitezza spegne e le realtà immortali.

Ma, in quanto il Figlio è chiamato anche immagine del Padre, possiamo assumere pure da quaggiù una qualche similitudine in cose assai ben diverse, come ne abbiamo già detto.

Dallo specchio ha origine l'immagine dell'uomo che guarda in esso.

Non ci può favorire fino all'evidenza di questa realtà che cerchiamo comunque di spiegare.

Mi si dice infatti: Chi si volge allo specchio evidentemente già esisteva, era già nato.

L'immagine appare non appena sarà presente chi guarda.

Giacché chi guarda esisteva già prima di avvicinarsi allo specchio.

Che scopriremo allora da cui poter trarre fuori l'attesa similitudine, come l'abbiamo ricavata dal fuoco e dallo splendore?

Impegnamoci a ricercare da ciò che è quasi insignificante.

Sapete bene come l'acqua renda spesso l'immagine dei corpi.

Ci riferiamo al fatto che chiunque attraversa dell'acqua o vi si ferma vede in essa la propria immagine.

Poniamo dunque un qualcosa nato nell'acqua, cespuglio o erba che sia: non nasce forse insieme alla propria immagine?

Non appena comincia ad esistere, con esso ne inizia ad esistere l'immagine.

Al nascere, non precede la propria immagine.

Non mi si rende manifesto che qualcosa è nato nell'acqua e che la sua immagine sia apparsa in un secondo tempo, comparendo quello in anticipo senza l'immagine, ma nasce insieme alla sua immagine; pur tuttavia, da quello l'immagine, non quello dall'immagine.

Nasce perciò assieme alla propria immagine; il cespuglio e la relativa immagine hanno precisamente un'origine simultanea.

Vuoi forse non ammettere che è l'immagine a derivare dal cespuglio, non il cespuglio dall'immagine?

Di conseguenza, tu riconosci che l'immagine deriva da quel cespuglio.

Pertanto, e ciò che genera e ciò che è generato hanno avuto ad un tempo l'inizio dell'esistenza.

Sono, quindi, coesistenti. Se il cespuglio potesse essere sempre presente, sempre [ sarebbe anche ] presente l'immagine generata dal cespuglio.

D'altra parte, quel che deve l'esistenza ad un altro, evidentemente è nato.

Ne consegue credibile che esista una realtà eterna che genera eternamente e che sia eternamente unita a quella la realtà che da quella è generata.

Là è infatti la ragione del nostro bruciante imbarazzo, là della nostra ansiosa fatica di ricerca, al come si potesse intendere una nascita perenne.

Il Figlio di Dio è dichiarato tale in forza dell'esistenza del Padre, in quanto ha da che essere; non perché l'esistenza del Padre sia anteriore rispetto a quella del Figlio.

Per l'eternità Padre, per l'eternità Figlio dal Padre.

E come qualcosa che ha l'essere da un altro è nato, il Figlio, quindi, è sempre nato.

Sempre il Padre, sempre l'immagine nata da lui, a quel modo appunto che l'immagine del cespuglio è nata dal cespuglio; e ammesso sempre presente il cespuglio, anche dal cespuglio sempre sarebbe nata l'immagine.

Non hai potuto scoprire esistenze coeterne di eterni genitori, ma hai trovato esistenze contemporanee di generanti soggetti al tempo.

Intendo coeterno il Figlio nato dal Padre che lo genera eternamente.

Pertanto, ciò che può essere coesistente, se riferito a chi genera nel tempo, questo è coeterno se riferito al genitore che genera eternamente.

10.13 - Dalle similitudini presentate risulta ineguaglianza

Ed ora è il caso che, per un poco, teniate desta l'attenzione, fratelli, a causa di bestemmie.

Infatti ci viene detto sempre: Ecco, ci hai presentato delle similitudini; ma lo splendore che si sprigiona dal fuoco dà minor luce del fuoco stesso; e l'immagine del cespuglio non ha precisamente le proprietà di quel cespuglio di cui è l'immagine.

Queste cose hanno tra loro una rassomiglianza, ma non hanno uguaglianza sotto ogni rapporto; per questa ragione non figurano della medesima sostanza.

Che potremo dire se alcuno rileva: Tale è allora la relazione tra il Figlio e il Padre quale è quella esistente tra il fuoco e lo splendore e tra l'immagine e il cespuglio?

Ecco ho capito che il Padre è eterno, ho capito che il Figlio è coeterno; abbiamo pure detto che sia come lo splendore effuso di luminosità inferiore a quella del fuoco, o come l'immagine riflessa sostanzialmente inferiore al cespuglio?

No: ma uguaglianza perfetta. Non credo - afferma - perché non hai trovato la similitudine.

Credi però all'Apostolo, appunto perché ha potuto vedere quello che io ho detto.

Affermò infatti: Non ritenne un'appropriazione indebita essere uguale a Dio. ( Fil 2,6 )

L'uguaglianza risulta sotto ogni rapporto.

Ma che ha detto? Ha escluso un'appropriazione indebita.

Per quale ragione? Perché l'appropriazione indebita ha per oggetto quello che è proprio di altri.

10.14 - Da due ordini di similitudini: il Figlio di Dio coeterno ed uguale

Tuttavia, attraverso queste due raccolte, che sono di due ordini, troviamo forse nel creato la similitudine che dia a noi il modo di poter intendere il Figlio e coeterno al Padre e in nessun caso a lui inferiore.

Ma non lo possiamo trovare in uno solo dei due ordini: dobbiamo mettere insieme l'uno e l'altro.

In qual maniera l'uno e l'altro ordine? L'uno dal quale essi appunto [ gli Ariani ] portano le similitudini e l'altro dal quale le abbiamo presentate noi.

Quelli hanno dato similitudini dalle esistenze di quaggiù che nascono nel tempo e sono precedute nel tempo da quelle dalle quali nascono, come l'uomo dall'uomo.

È maggiore quello che è nato prima nel tempo: nondimeno uomo e uomo, cioè della medesima sostanza.

L'uomo genera infatti l'uomo, e il cavallo il cavallo, la pecora la pecora.

Queste esistenze generano secondo la medesima sostanza, non secondo il medesimo tempo.

Quanto al tempo, sono diverse, ma non sono diverse quanto alla natura.

Che riteniamo valido ora in questo nascere? Senz'altro l'uguaglianza di natura.

Che cosa manca invece? La contemporaneità.

A questo punto dobbiamo tenere per fermo l'unico rapporto riconosciuto, cioè l'uguaglianza di natura.

Per contro, in quell'ordine di similitudini da noi presentato, relativo allo splendore del fuoco e all'immagine del cespuglio, non trovi uguaglianza di natura, scopri la contemporaneità.

Che cosa approviamo qui? La contemporaneità. Che manca? L'uguaglianza di natura.

Metti insieme i rapporti che riconosci validi.

Evidentemente nelle creature manca qualcosa che ritieni dimostrativo, nel Creatore nulla può mancare: infatti quel che rilevi nella creatura è opera del Creatore, quale artefice.

Che trovi nelle creature coesistenti? Non va forse attribuito a Dio questo che in esse apprezzi?

Per contro, di ciò che manca non va fatta imputazione alla maestà di Dio in cui non è imperfezione alcuna.

Ecco ti presento generanti coesistenti ai generati: là tu apprezzi la coesistenza ma fai oggetto di critica la diversità di natura.

Non riferire a Dio quel che biasimi; attribuisci a lui quello che approvi; da quest'ordine di similitudini assegna a lui, in luogo della coesistenza, la coeternità per cui il nato condivida l'eternità con colui dal quale è nato.

Di rimando, riguardo all'altro ordine di similitudini, in quello che è anch'esso creazione di Dio e che deve lodare il Creatore, che cosa apprezzi? L'uguaglianza della natura.

Secondo il primo ordine di rapporti, avevi già accordato la coeternità, riconosci, attraverso questo, l'uguaglianza; ecco secondo perfezione il nascere della medesima sostanza.

Che c'è, infatti, fratelli miei, di più insensato del compiacersi della creatura per una qualche prerogativa che non sia nel Creatore?

Apprezzo nell'uomo l'uguaglianza della natura e non la credo propria di colui che ha fatto l'uomo?

Quel che è nato dall'uomo, è uomo; e quel che è nato da Dio non avrà la stessa natura di colui che lo ha generato?

Non mi trovo tra opere che Dio non ha creato.

Lodino dunque il Creatore tutte le opere sue.

Qui scopro la contemporaneità, là riconosco la coeternità.

Qui scopro l'uguaglianza di natura, là intendo l'uguaglianza di sostanza.

Là, dunque, il tutto, che qui si trova distribuito in singole parti e in singole cose; là il tutto io trovo, ma come nel Creatore, con tanta maggior larghezza poiché queste cose sono visibili, quelle invisibili; queste hanno fine, quelle sono eterne; queste mutevoli, quelle immutabili; queste corruttibili, quelle incorruttibili.

Infine, nell'uomo stesso le cose che troviamo, un uomo e un altro uomo, sono due uomini, là il Padre e il Figlio sono un solo Dio.

10.15 - Per vedere Dio è necessario purificare l'occhio del cuore

Rendo grazie senza fine al Signore Dio nostro perché, in forza delle vostre suppliche, si è degnato liberare la nostra insufficienza da questo assunto di minuziosissima e faticosissima ricerca.

Prima di ogni altra cosa, tuttavia, abbiate sempre presente questo: il Creatore trascende infinitamente tutto ciò che dalla creazione possiamo ricavare attraverso i sensi del corpo o in seguito a riflessione dello spirito.

Ma vuoi raggiungere lui con la mente? Purifica la mente, rendi puro il tuo cuore.

Fa' limpido lo sguardo per poter attingere lui per quello che egli è.

Purifica l'occhio del cuore. Infatti: Beati i puri di cuore perché appunto questi vedranno Dio. ( Mt 5,8 )

Ma quando il cuore non era stato ancora purificato, qual bene poté essere più misericordiosamente da lui procurato o dato in dono se non che quel Verbo - che abbiamo significato con affermazioni di gran peso e assai diffusamente, ma senza aver detto nulla di adeguato - se non che quel Verbo, per mezzo del quale tutto è stato fatto, si facesse quel che siamo noi perché noi potessimo giungere ad attingere quel che noi non siamo?

Noi, in verità, non siamo Dio, possiamo, però, vedere Dio con la mente e con la vista interiore del cuore.

A causa dei peccati, le nostre forze visive, sminuite, ottenebrate, debilitate da uno stato d'infermità, sono in tensione per il desiderio di vedere, ma restiamo nella speranza, non siamo ancora nella realtà.

Siamo figli di Dio. Questo attesta Giovanni che affermò: In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. ( Gv 1,1 )

Proprio colui che era adagiato sul petto del Signore, che si lasciava penetrare da tali segreti delle profondità del cuore di lui, egli appunto attesta: Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato.

Sappiamo, però, che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. ( 1 Gv 3,2 )

Questo ci viene promesso.

10.16 - Nell'incarnazione il Verbo si è fatto come latte perché noi potessimo riuscire a comprenderlo

Ma se pure non possiamo ancora vedere la divinità del Verbo, per giungervi, diamo ascolto al Verbo fatto carne; dal momento che siamo stati creati nella carne, diamo ascolto al Verbo fatto carne.

Per questo appunto è venuto, per questo ha preso su di sé la nostra infermità, perché tu possa diventare ricettivo del cibo solido del linguaggio di Dio che porta la tua debolezza.

E con tutta proprietà è stato paragonato al latte.

Porge latte ai piccoli, per dare ai più grandi il cibo della sapienza.

Sii costante nel sorbire il latte, in vista di una sazietà colma di desiderio.

Ad ogni modo, anche il latte di cui sono nutriti i fanciullini come si produce?

Non c'era forse cibo sulla mensa? Ma il fanciullino è incapace di mangiare il cibo solido posto sulla mensa; che fa allora la madre? Riduce a carne la vivanda e dalla stessa carne ricava latte.

Ricava per noi ciò che possiamo assimilare.

Così del pari, il Verbo si è fatto carne perché, quali piccoli, fossimo nutriti di latte noi che, rispetto al cibo solido, eravamo veramente dei fanciullini.

Ma, in verità, c'è differenza: quando la madre rende latte la consistenza della carne, l'alimento solido si trasforma in latte.

Al contrario: sussistendo immutabilmente quale Verbo, egli unì a sé la carne per esserne in certo qual modo contessuto.

Non alterò, non permutò ciò che egli è al fine di rivolgersi a te mediante la tua natura, non tramutato e di fatto trasformato in uomo.

Persistendo sempre uguale a se stesso immutabile e assolutamente inviolabile, egli, che è sempre lo stesso presso il Padre, si è fatto quel che tu sei quanto a te.

10.17 - L'umiltà deve apprendersi dal Verbo incarnato

Che dice egli stesso ai deboli perché, recuperata la capacità visiva, almeno fino ad un certo punto possano attingere il Verbo per mezzo del quale tutto è stato creato?

Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò.

Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite ed umile di cuore. ( Mt 11,28-29 )

Che cosa proclama da maestro il Figlio di Dio, la Sapienza di Dio, per mezzo del quale tutto è stato creato?

Convoca il genere umano e parla: Venite a me voi tutti che siete affaticati e imparate da me.

Forse contavi che la Sapienza di Dio avrebbe detto: Imparate come ho fatto i cieli e gli astri; anche tutte le cose, prima ancora che fossero create, avevano in me il loro numero; come in virtù di determinazioni immutabili, anche i vostri capelli sono stati contati. ( Mt 10,30 )

Consideravi queste cose e che avrebbe parlato appunto di esse? No.

Ma prima di tutto di quel: Poiché sono mite ed umile di cuore.

Ecco, ciò che dovete comprendere; notate, fratelli, senza dubbio è poco.

Noi che siamo portati dal desiderio verso grandi cose, vediamo di comprendere le umili e saremo grandi noi.

Vuoi comprendere la sovraeminenza di Dio?

Prima entri nella tua comprensione l'umiltà di Dio.

Per amore di te stesso cedi al bene di essere umile, perché Dio si è degnato di essere umile solo e proprio per te: per nulla affatto riguardo a sé.

Prendi per te, dunque, l'umiltà di Cristo, impara ad essere umile, non montare in superbia.

Riconosci il tuo stato d'infermità, sta' a giacere paziente davanti al tuo medico.

Quando avrai fatto tua l'umiltà di lui, ti sollevi con lui: non che debba levarsi a sua volta egli stesso nella natura che fa di lui il Verbo; ma tu piuttosto perché sempre di più si faccia spazio a lui nella tua mente.

Un primo tempo venivi a conoscere fra titubanze ed esitazioni, in seguito l'intelligenza si fa più sicura e chiarificata.

Non è egli a crescere, ma sei tu ad avvantaggiarti, così che appare sollevarsi insieme a te.

È così, fratelli, credete ai precetti del Signore ed osservateli, ed egli vi donerà forza d'intelligenza.

Guardatevi dal presumere e dal preferire il sapere al precetto di Dio, per non restarvene più in basso e privi di più salda coerenza.

Osservate l'albero: anzitutto ricerca la parte più bassa per crescere in altezza; fissa la radice in profondità, per erigere la cima verso il cielo.

Non si spinge quindi in alto soltanto dall'umiltà?

Tu, al contrario, non hai carità e vuoi renderti comprensive realtà sublimi; non hai radice e vuoi spaziare in alto?

Questo è un precipitare, non un crescere.

Abitando Cristo, per la fede, nei vostri cuori, siate radicati e fondati nella carità per essere ricolmi di tutta la pienezza di Dio. ( Ef 3,17-19 )

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