Discorsi sul Nuovo Testamento |
1.1 - L'afflizione per i defunti: quale è proibita
2.2 - Le preghiere, il sacrificio della salvezza e le elemosine a favore dei defunti
2.3 - Il lutto e i doveri da adempiere verso i defunti
Il beato Apostolo ci esorta a non affliggerci per coloro che dormono, vale a dire per i nostri carissimi defunti, come in genere gli altri che non hanno speranza, s'intende la speranza della risurrezione e della incorruttibilità eterna.
Appunto per questo, l'uso costante e rispondente alla realtà della Scrittura li chiama anche " coloro che dormono ", e così, quando sentiamo " dormienti ", non dubitiamo che si sveglieranno, come si canta nel Salmo: Forse chi dorme non si leverà a risorgere? ( Sal 41,9 )
Così, per i morti, in coloro che li amano c'è una specie di tristezza, in certo modo naturale.
Non si tratta di una credenza, ma è la natura che in realtà ha orrore della morte.
All'uomo non sarebbe capitata la morte se non fosse stata per la pena di una colpa che l'aveva preceduta.
Perciò se gli animali, creati così che muoiono ciascuno a suo tempo, sfuggono la morte e amano la vita, quanto più l'uomo che era stato creato tale da vivere sempre se avesse voluto vivere senza peccato?
Ne segue pertanto che inevitabilmente ci rattristiamo quando quelli che amiamo, morendo, ci lasciano.
Benché infatti sappiamo che i defunti non lasciano per sempre noi che restiamo, ma che precedono alquanto noi che li seguiremo, pure quella morte, da cui la natura rifugge, quando colpisce la persona cara, affligge in noi il sentimento dell'amore stesso.
Per questo l'Apostolo non ci consiglia di non rattristarci, ma che la nostra pena non sia come quella degli altri che non hanno speranza. ( 1 Ts 4,12 )
Rattristiamoci dunque per i nostri defunti quando inevitabilmente subiamo la separazione, ma con la speranza di riaverli vicino.
In un senso siamo angosciati, nell'altro consolati; da una parte è colpita la debolezza, dall'altra si fortifica la fede; di là è nel dolore la condizione umana, di qua offre il rimedio la promessa divina.
Quindi gli apparati mortuari, i cortei funebri, la fastosa cura della sepoltura, l'erezione di grandiosi monumenti costituiscono dei modi qualsiasi di conforto ai vivi, non se ne avvantaggiano i morti.
Invece le preghiere della santa Chiesa, il sacrificio che dà la salvezza e le elemosine che si offrono a suffragio delle loro anime non si deve dubitare che aiutino i morti, perché da parte del Signore si usi loro una misericordia più grande di quella che meritarono i loro peccati.
Tutta la Chiesa rispetta questa che è infatti la tradizione dei padri: che si preghi per coloro che sono morti in comunione al corpo e al sangue di Cristo, quando a suo tempo, proprio durante il sacrificio, vengono commemorati; e che si ricordi che il sacrificio viene offerto anche per loro.
Pertanto, quando vengono compiute opere di misericordia per suffragarli, chi può dubitare che giovino a coloro per i quali non inutilmente vengono elevate preghiere a Dio?
Non si deve affatto dubitare che questi suffragi tornino a vantaggio dei defunti, a quelli però che prima di morire vissero nella maniera per cui i suffragi possano essere loro utili dopo la morte.
Infatti per quelli che hanno lasciato il corpo, senza la fede che opera per mezzo dell'amore, ( Gal 5,6 ) e senza i Sacramenti di essa, da parte dei parenti inutilmente si compiono i doveri di una simile pietà, del cui pegno, mentre vivevano quaggiù sono stati privi, o non accogliendo la grazia di Dio, o ricevendola senza frutto ( 2 Cor 6,2 ) e accumulando in sé ira, ( Gc 5,3 ) non misericordia.
Non è che ai defunti si aggiungano nuovi meriti quando per loro i parenti compiono qualche opera buona, ma ricevano quanto meritano per le loro opere precedenti.
Senza dubbio è limitato alla durata della vita terrena un operare tale che sia di qualche aiuto, una volta conclusa l'esistenza di quaggiù.
In conseguenza, ciascuno, giungendo al termine di questa vita, potrà avere dopo di essa soltanto ciò che in essa ha meritato.
Si può concedere dunque che i cuori devoti dei parenti soffrano per i loro defunti un dolore che può essere mitigato, e che versino lacrime di conforto alla natura mortale, subito trattenute dalla gioia della fede per la quale si crede che i fedeli, quando muoiono si allontanino un poco da noi e passino ad una vita migliore.
Siano loro di conforto anche le attenzioni fraterne, sia quelle dimostrate al funerale che quelle offerte agli afflitti, così che non trovi conferma il lamento di coloro che dicono: Ho atteso chi condividesse con me l'afflizione, e non c'è stato; e dei consolatori, e non li ho trovati. ( Sal 69,21 )
Nella misura delle proprie possibilità si abbia cura della sepoltura e delle costruzioni del sepolcro; anche queste le Sacre Scritture annoverano tra le opere buone né solo riguardo ai corpi dei Patriarchi e di altri santi, ma dei cadaveri di qualunque uomo morto.
In realtà sono stati celebrati e lodati coloro che compirono di tali opere verso il corpo del Signore stesso.
Verso i loro cari adempiano gli uomini questi doveri di estrema onoranza anche come lenitivo al loro dolore.
Coloro che amano non solo in modo carnale ma anche spirituale i parenti - morti quanto al corpo, non quanto all'anima - si occupino con grande devozione, zelo e frequenza in loro suffragio, di quelle opere che veramente sono di grande vantaggio alle anime dei defunti, come le offerte, le preghiere, le elemosine.
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