Discorsi sui tempi Liturgici |
1 - Le speranze del cristiano non sono commensurate ai suoi meriti
2 - La tristezza secondo Dio
3 - Pazienza di Dio verso l'albero infruttuoso
4 - Inutile e deprecabile la tristezza mondana
5 - Tempo presente, pieno di miserie, ed eternità beata
6 - Facendoci delle promesse Dio s'è costituito nostro debitore
7 - L'uomo di suo non ha se non la menzogna
8 - Lodiamo con la voce e con la vita
Miei fratelli, ecco, ecco come stanno le cose e per quanto concerne la miseria della nostra condizione e per quanto concerne la misericordia di Dio: il tempo dell'afflizione precede il tempo della gioia.
Prima cioè viene il tempo dell'afflizione, dopo il tempo della gioia; prima il tempo della fatica, poi il tempo del riposo; prima il tempo dei malanni, poi il tempo della felicità.
Così, dicevamo, stanno le cose e per quanto concerne la miseria della nostra condizione e per quanto concerne la misericordia di Dio.
Causa del tempo in cui siamo soggetti all'afflizione, alla fatica, alla miseria sono stati i nostri peccati; quanto invece al tempo della gioia, del riposo, della felicità, esso non proviene dai nostri meriti ma dalla grazia del Salvatore.
Una cosa infatti è ciò che meriteremmo, un'altra è ciò che speriamo: meriteremmo il male, invece speriamo il bene.
Ciò lo si deve alla misericordia di colui che ci ha creati.
Durante il periodo della nostra miseria o, come si esprime la Scrittura, nei giorni della nostra vanità ( Qo 7,16 ) dobbiamo conoscere bene da quali cause deve procedere la nostra tristezza.
La tristezza infatti può somigliarsi al letame: se sta in un posto dove non dovrebbe stare è una sporcizia; se sta in un luogo dove non dovrebbe stare, ad esempio, in casa, la rende sudicia.
Se invece sta dove deve stare, metti in un campo, lo rende fruttuoso: sicché voi vedete i contadini sistemare il letame in un posto a ciò destinato.
Ebbene, così dice l'Apostolo: Chi mai mi arrecherà gioia se non colui che da me è rattristato? ( 2 Cor 2,2 )
E altrove: La tristezza che è secondo Dio produce un pentimento salutare non suscettibile di ripensamenti. ( 2 Cor 7,10 )
La persona che si rattrista secondo Dio si rattrista dei suoi peccati col pentimento, per cui la tristezza causata dalla propria colpa produce la giustificazione.
Ti dispiaccia quindi d'essere quello che sei, per poter essere quello che non sei.
Dice: La tristezza che è secondo Dio produce un pentimento salutare non suscettibile di ripensamenti.
Un pentimento salutare, dice.
Perché salutare? Perché non suscettibile di ripensamenti.
In che senso non suscettibile di ripensamenti? Nel senso che mai dovrai pentirtene.
Abbiamo condotto una vita di cui è stato necessario pentircene: abbiamo condotto una vita suscettibile di pentimento; e alla vita esente da pentimento non possiamo arrivare se non attraverso il pentimento della vita cattiva.
Forse che, o fratelli ( per seguitare l'immagine usata all'inizio ), forse che nel mucchio di grano vagliato si potrà trovare del letame?
Tuttavia è con l'uso del letame che si arriva a quella pulitezza, a quel luccichio, a quella beltà.
Il sudiciume è stato la via per giungere alla bellezza.
A proposito di una pianta sterile diceva con ragione il Signore nel Vangelo: Ecco, sono ormai tre anni che vengo da questa pianta e non vi trovo mai alcun frutto; la taglierò, quindi, perché non mi occupi inutilmente il terreno. ( Lc 13,7 )
Il contadino lo supplica: lo supplica quando la scure sta per cadere su quelle radici infruttuose ed è sul punto di reciderle.
Quel contadino intercede come aveva fatto Mosè con Dio; intercede e dice: Signore, lasciala stare anche per quest'anno io la zapperò all'intorno e verserò nella buca un cesto di letame.
Se produrrà frutto, bene; altrimenti verrai e la taglierai. ( Lc 13,8-9 )
L'albero in parola è il genere umano.
Il Signore venne a visitare quest'albero al tempo dei patriarchi, e questo si potrebbe considerare come primo anno; venne a visitarlo al tempo della legge e dei profeti, e questo potrebbe essere il secondo anno.
Col Vangelo ecco spuntato il terzo anno: a questo punto lo si sarebbe dovuto quasi tagliare.
Ma un uomo compassionevole intercede presso colui che è compassionevole.
Difatti colui che voleva porre in risalto la sua misericordia si mette dinanzi quell'altro che fa da intercessore.
Dice: Lo si lasci sopravvivere anche quest'anno; gli si zappi attorno - la buca è un richiamo all'umiltà -; gli si getti sulle radici un cesto di letame, e speriamo che rechi del frutto.
Anzi, siccome per una parte darà frutto mentre per un'altra non ne darà, verrà il suo padrone e lo dividerà. ( Mt 24,51 )
Che significa: Lo dividerà?
È in relazione al fatto che ci sono i buoni e i cattivi, i quali adesso sono tutti insieme, come costituiti in un unico corpo.
Come ho già detto, fratelli miei, il letame gettato in luogo adatto produce frutti, gettato in luogo non adatto sporca.
Ecco un tale che si trova nella tristezza, m'imbatto in uno che vedo triste: è letame ciò che vedo e mi metto a indagare il posto.
Amico, dimmi perché sei triste. Mi risponde: Perché ho perso del danaro.
È un posto insudiciato: non verrà fuori alcun frutto.
Ascolti l'Apostolo: La tristezza di questo mondo causa la morte. ( 2 Cor 7,10 )
Non solo, quindi, niente frutto ma al contrario grande danno.
E lo stesso si dica delle altre cose che producono gioie di carattere mondano: cose che sarebbe lungo elencare.
Vedo un altro rattristato, uno che geme e piange.
Vedo un gran mucchio di letame, e, anche in questo caso, mi metto a cercare il luogo.
Osservando quel tale rattristato e piangente ho potuto notare che stava anche pregando.
Vedendolo pregare triste, gemente e piangente mi vennero in mente motivi di buon auspicio; ma volevo ricercare con più precisione il posto.
Che direste se quel tale, pregando con gemiti e un gran pianto, chiedeva la morte dei suoi nemici?
È vero che piange, che prega, che implora; ma il posto è pieno di sudicio e il frutto sarà nullo, anzi nella Scrittura troviamo qualcosa di più.
Prega chiedendo la morte del suo nemico; ebbene incorrerà nella maledizione di Giuda: La sua preghiera gli si tramuti in peccato. ( Sal 109,7 )
Mi volsi poi verso un altro che parimenti gemeva, piangeva e pregava; e anche lì, vedendo del letame, volli ricercare il posto.
Feci attenzione alla sua preghiera e sentii che diceva: Io ho detto: Signore, abbi pietà di me; guarisci la mia anima poiché ho peccato contro di te. ( Sal 41,5 )
Geme deplorando il peccato.
Vedo il terreno, aspetto il frutto. Grazie a Dio!
Il letame si trova in un posto adatto: non resterà infruttuoso ma produrrà il frumento.
Adesso è veramente il tempo della tristezza: la quale sarà fruttuosa se il nostro dolore sarà motivato dalla condizione di mortalità in cui ci troviamo, dalle tentazioni che abbondano, dal peccato che s'infiltra dovunque, dalle passioni che oppongono resistenza, dall'attrattiva malsana che ci muove guerra e sta sempre in tumulto contro i buoni pensieri.
Per tutti questi motivi dobbiamo essere nella tristezza.
Segno di questo tempo in cui si vive nella miseria e nel gemito - se c'è qualcuno che abbia una speranza degna di gemito - sono i quaranta giorni che precedono la Pasqua.
Il tempo invece della gioia futura, della quiete, della felicità, della vita eterna, del regno senza fine che ancora non c'è, è figurato in questi cinquanta giorni in cui cantiamo lodi a Dio.
Esiste infatti una simbologia che rappresenta i due periodi di tempo: il periodo prima della resurrezione del Signore e il periodo dopo la resurrezione; il periodo in cui viviamo adesso e l'altro in cui speriamo di vivere in avvenire.
Il periodo dell'afflizione, raffigurato nel tempo quaresimale, l'abbiamo e nel simbolo e nella realtà; viceversa il periodo della gioia, della quiete, del regno, raffigurato dai giorni che stiamo ora vivendo, lo rappresentiamo col canto dell'Alleluia, ma queste lodi non le possediamo ancora: verso quest'Alleluia rivolgi ora i sospiri.
Cosa significa Alleluia? " Lodate il Signore ".
Perciò in questi giorni dopo la resurrezione nella Chiesa si moltiplicano le lodi di Dio perché anche per noi, dopo la nostra resurrezione, ci sarà la lode che non avrà fine.
La passione del Signore è una figura del nostro tempo nel quale piangiamo.
I flagelli, le funi, gli oltraggi, gli sputi, la corona di spine, il vino misto a fiele, l'aceto con cui fu inzuppata la spugna, gli insulti, gli scherni e, ancora, la croce, le sacre membra sospese al patibolo, cosa ci rappresentano se non il tempo in cui viviamo? tempo d'ambasce, tempo di mortalità, tempo di prova?
Perciò è un tempo sporco.
Occorre pertanto che tale sporcizia, che sa di letame, sia sotterrata nel campo, e non resti dentro casa.
Occorre che la nostra tristezza sia motivata dall'aver commesso peccati, non dall'aver dovuto rinunciare a passioni.
Tempo sporco, è vero, ma, se ne usiamo bene, tempo galantuomo.
C'è forse qualcosa che superi in sporcizia un campo coperto di letame?
Era più bello, quel campo, prima che ci si riversasse il cesto di letame; ma lo si dovette ridurre a quella condizione di sporcizia perché producesse l'abbondanza.
È dunque, la presente sporcizia, una realtà simbolica: sia per noi, la stessa sporcizia, un tempo di fertilità!
Volgiamoci al profeta e sentiamo cosa dice: Lo abbiamo veduto.
Come? Non aveva bellezza né attrattiva. ( Sal 54,2 )
Perché? Interroga un altro profeta.
Hanno contato tutte le mie ossa. ( Sal 22,18 )
Contarono le ossa di lui mentre era sospeso.
Figura ripugnante quella del crocifisso!
Ma dalla sua bruttezza venne fuori una splendida bellezza.
Quale? Quella della resurrezione.
Poiché tu per la tua formosità sei il più bello tra i figli dell'uomo. ( Sal 45,3 )
Lodiamo dunque il Signore, fratelli, perché, anche se non ancora giunti al loro possesso, riteniamo sicure le sue promesse.
E vi sembra cosa da poco tenere l'autore delle promesse già obbligato come nostro debitore?
Dio col promettere s'è reso nostro debitore.
In grazia della sua bontà si è fatto debitore, non per delle nostre antecedenti prestazioni.
Cosa infatti gli avevamo dato per ritenerlo nostro debitore?
Forse ciò che avete ascoltato nel Salmo quando dice: Cosa renderò al Signore?
Osserva prima di tutto, come dice: Cosa renderò al Signore?
Sono, queste, parole di un debitore non di un creditore.
È uno a cui è stato antecedentemente prestato: Cosa renderò al Signore?
Che vuol dire: Cosa renderò? Cosa darò in compenso.
Compenso di che cosa? Di tutto ciò che mi ha accordato. ( Sal 116,12 )
E cosa ti ha accordato? Cominciando da capo, io non c'ero e lui mi ha fatto; quando m'ero perduto, mi ha ricercato e a forza di cercarmi mi ha ritrovato: ero prigioniero e mi ha riscattato e con il riscatto mi ha dato la libertà: da schiavo mi ha fatto fratello.
Cosa renderò al Signore? Non hai nulla da rendergli.
Se è vero che tutto aspetti da lui, cosa puoi avere per renderglielo? Ma aspetta.
Mi chiedo il significato della ricerca del salmista: Cosa renderò al Signore in cambio di tutto ciò che mi ha accordato?
Guardando da ogni lato trova, quasi, qualcosa da rendergli.
Cosa trova? Prenderò il calice della salvezza. ( Sal 116,13 )
Pensavi a cosa rendere e cercavi di ricevere ancora.
Osserva, ti prego: se cerchi ancora cose da ricevere, sarai ancor più debitore e quando potrai rendere a lui qualcosa?
Se sarai sempre debitore, quando gli restituirai?
Non troverai mai cose con cui ripagarlo.
Nulla avrai all'infuori di ciò che ti ha dato lui.
Rifletti! Quando dicevi: Cosa renderò?, la tua parola si ricollegava all'altra da te pure pronunciata: Ogni uomo è mentitore. ( Sal 116,11 )
In effetti chi volesse asserire che è in grado di rendere a Dio qualcosa è mentitore.
Da Dio, in realtà, speriamo tutte le cose e, scartando lui, da noi stessi non abbiamo altro se non, penso, il peccato e la menzogna perché chi dice cose sue dice menzogne. ( Gv 8,44 )
Veramente di suo l'uomo ha qualcosa di cui è pieno, anzi ne abbonda.
Finché è quaggiù ha - non c'è dubbio - la menzogna, o meglio il suo cuore è un sacco di menzogne.
Mentisce quanto gli è consentito: non si esaurirà.
Lo stesso quando inventerà le trappole che può, quando dirà le menzogne che può.
Perché questo? Perché si tratta di cose spontanee, prese dal suo, non comprate da fuori.
Quando viceversa si viene a parlare di verità, se l'uomo vorrà essere verace non lo potrà con le sue risorse.
Quando Pietro mentiva prendeva dal suo.
E quand'è che mentiva? Il Signore ci prospettava la passione, e Pietro a dirgli: Dio te ne scampi! non ti accadrà. ( Mt 16,22 )
Ogni uomo è mentitore.
Perché mentitore? Ascolta lo stesso Signore: Non hai i sentimenti di Dio ma quelli dell'uomo. ( Mt 16,23 )
Quando invece Pietro fu veritiero? Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente. ( Mt 16,16 )
E come poté entrare in un uomo mentitore questa verità?
Ecco, un uomo dice: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente.
Chi dice così? Pietro. E Pietro cos'era?
Un uomo che diceva la verità? Certamente, ogni uomo è mentitore.
Ecco, ecco il suo dire, ecco la verità dalla sua bocca; ma allora come mai ogni uomo è mentitore?
Ascolta perché ogni uomo è mentitore.
Pietro divenne veritiero proprio quando non diceva del suo; ogni uomo è mentitore finché proferisce parole sue.
Ma allora come divenne veritiero Pietro? Ascolta la Verità personificata: Beato sei tu, o Simone figlio di Giona!
Da dove questo essere beato? Da risorse tue? Nemmeno a pensarlo!
Perché non la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. ( Mt 16,17 )
Lodiamo dunque il Signore che è nei cieli, o carissimi.
Lodiamo Dio; diciamo: Alleluia! Con questi giorni significhiamo il giorno senza fine.
Significhiamo nel luogo della mortalità il tempo dell'immortalità.
Camminiamo spediti verso la casa eterna.
Beati coloro che abitano nella tua casa!
Ti loderanno nei secoli dei secoli. ( Sal 84,5 )
Così dice la legge, così la Scrittura, così la Verità.
Giungeremo alla casa di Dio, che è nei cieli.
Lassù non loderemo Dio per cinquanta giorni ma, come sta scritto, nei secoli dei secoli.
Vedremo, ameremo, loderemo.
Non si logorerà quel che vedremo, non verrà meno ciò che ameremo, non ci sarà silenzio nel nostro lodare.
Tutto sarà perpetuo, nulla avrà termine.
Oh, lodiamo, lodiamo! Ma non lodiamo solo con la voce: lodiamo anche con la condotta.
Lodi la lingua, lodi la vita: la lingua non contrasti con la vita ma abbiano una carità infinita.
Rivolti al Signore, ecc.
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