Discorsi sul Vecchio Testamento |
1 - La fede inizio della vita buona
3 - L'uomo creatura privilegiata dal sommo Artefice
4 - Fede e intelletto
5 - La parola profetica
6 - Il pescatore preferito all'oratore e all'imperatore
7 - Se non crederete non intenderete
9 - Credo, Signore; aiuta la mia incredulità!
Inizio della vita buona, a cui come ricompensa è dovuta la vita eterna, è la retta fede, che consiste nel credere ciò che ancora non vedi e che [ alla fine ] avrà come retribuzione il vedere ciò che [ ora ] credi.
Durante il periodo del credere quindi, come durante il tempo della semina, non veniamo meno ( e questo sino alla fine! ) ma siamo perseveranti finché non mietiamo quel che abbiamo seminato. ( Gal 6,9 )
Il genere umano infatti venne a trovarsi in uno stato di avversione da Dio e giaceva nei suoi delitti, per cui, come per esistere avemmo bisogno del Creatore, così per rinascere ci fu necessario il Salvatore.
E Dio giusto, che condannò l'uomo, fu anche un Dio misericordioso per liberare l'uomo.
Il Dio d'Israele, lui darà fortezza e potenza al suo popolo: benedetto Dio! ( Sal 68,36 )
Ma [ questi doni ] li ricevono i credenti, non li ricevono gli increduli che li disprezzano.
2 - Della stessa fede, poi, non ci si deve gloriare quasi che in certo qual modo dipenda dal nostro potere.
La fede infatti non è cosa da nulla: è una realtà grandiosa, e se tu la possiedi è certamente perché l'hai ricevuta.
Che cosa infatti possiedi tu che non l'abbia ricevuto? ( 1 Cor 4,7 )
Riflettete, carissimi, sui motivi che avete di ringraziare il Signore Iddio, per non rimanere ingrati di fronte a qualcuno dei suoi doni e, per questa vostra ingratitudine, perdere ciò che avevate ricevuto.
L'elogio della fede non può essere in alcun modo tessuto da me ma può essere concepito da chi possiede la [ stessa ] fede.
Ora, se può essere, almeno parzialmente, concepito come si deve, chi non si renderà conto come lo si debba preferire a molti altri doni dello stesso Dio?
Se infatti dobbiamo riconoscere i doni di grado inferiore che Dio ha sparso in noi, con quanto maggior ragione non dovremo riconoscere quel dono che tutti li supera?
A Dio dobbiamo l'essere ciò che siamo.
Se infatti non siamo un nulla, a chi lo dobbiamo se non a Dio?
Ma un'esistenza l'hanno anche le legna, anche le pietre ( e questa da chi se non da Dio? ); ma noi cosa abbiamo di più?
Non vivono le legna né le pietre, mentre noi viviamo.
O meglio, lo stesso fatto di vivere è comune a noi e alle piante e agli alberi da frutto; si dice infatti che le viti vivono, e se non vivessero, non si troverebbe scritto: Uccise con la grandine i loro vigneti. ( Sal 78,47 )
Vive la vite quando verdeggia; quando muore, si secca.
Ma tali esseri viventi non hanno i sensi. Noi invece cosa abbiamo in più? Non sentiamo.
A tutti sono noti i cinque sensi del nostro corpo: vediamo, udiamo, odoriamo, gustiamo e col tatto diffuso per tutto il corpo distinguiamo le cose molli da quelle dure, le cose ruvide da quelle lisce, le cose calde da quelle fredde.
Dunque noi abbiamo i cinque sensi. Ma questi sensi li hanno anche i bruti.
Noi però abbiamo qualcosa di più.
Intanto, miei fratelli, se riflettiamo sulle cose già elencate, quale ringraziamento e quale lode non dobbiamo tributare al Signore!
E quel di più che abbiamo che cos'è? La mente, la ragione, il volere: cose tutte che non hanno i bruti, non hanno gli uccelli, non hanno i pesci.
Per tutte queste cose siamo stati creati a immagine di Dio. ( Gen 1,27 )
Scrutiamo il passo della Scrittura dove si racconta la nostra creazione.
Vi si aggiungono parole per le quali appare che l'uomo è superiore alle bestie, non solo, ma anche che ne è il capo, cioè che esse debbono stare a noi soggette.
Dice: Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza, e abbia potere sui pesci del mare e gli uccelli dell'aria e su tutto il bestiame e su tutti i rettili che strisciano sulla terra. ( Gen 1,26 )
Perché questo potere? Per l'immagine di Dio.
Sicché a certuni è detto in tono di rimprovero: Non siate come il cavallo e il mulo, che non hanno intelletto. ( Sal 32,9 )
Ma una cosa è l'intelletto, un'altra la ragione.
Abbiamo infatti la ragione anche prima di capire [ una cosa ]; anzi, mai riusciremmo a capire se non avessimo la ragione.
Esiste dunque anche l'animale capace di ragione, o, per dir meglio e in maniera più sbrigativa, l'animale ragionevole, che per sua natura possiede la ragione e la possiede già prima di comprendere.
Vuole infatti comprendere in quanto con la ragione precede [ questa aspirazione ].
A ciò che ci rende superiori ai bruti dobbiamo prestare somma cura, e in certo qual modo riscolpirlo e rimodellarlo.
Ma chi può far questo se non l'artefice che l'aveva formato?
Noi fummo capaci di sfigurare in noi l'immagine di Dio, non siamo in grado di restaurarla.
Comunque - per ricapitolare in poche parole l'insieme del discorso - è un fatto che noi abbiamo l'esistere come i tronchi e le pietre, il vivere come le piante, il sentire come gli animali e il comprendere come gli angeli.
Con la vista distinguiamo i colori, con l'orecchio i suoni, con l'odorato gli odori, col tatto il calore, con l'intelligenza i costumi.
Ogni uomo vuol essere compreso, nessuno ricusa di conoscere, mentre non tutti vogliono credere.
Ecco uno che mi dice: Fammi capire affinché possa credere.
Gli rispondo: Credi per poter capire. In certo qual modo sorge fra noi una controversia su questo tema.
Lui mi dice: Fammi capire affinché possa credere, e io gli ribatto: Viceversa, credi per poter capire.
Siccome nella controversia nessuno di noi riesce a volgere la sentenza dalla sua parte, si va dal giudice.
Qual giudice troveremo? Passati in rassegna tutti gli uomini, non so se possiamo trovare un giudice più autorevole dell'uomo per bocca del quale parla Dio.
Non ricorriamo quindi, per aver luce su questa cosa e risolvere la controversia, alle letterature profane; non sia nostro giudice il poeta ma il profeta.
Il beato apostolo Pietro, chiamato sul monte dal Signore insieme con altri due discepoli di Cristo Signore, cioè Giacomo e Giovanni, ( Mt 17,1 ) udì una voce proveniente dal cielo: Questi è il mio Figlio diletto nel quale ho riposto le mie compiacenze; ascoltatelo! ( Mt 17,5; 2 Pt 1,17 )
Ribaltando il fatto, il citato Apostolo diceva nella sua lettera: Questa voce, proveniente dal cielo, noi l'abbiamo udita quando eravamo con lui sul monte santo. ( 2 Pt 1,18 )
E dopo aver detto: Questa voce, proveniente dal cielo, noi l'abbiamo udita, continua dicendo: E abbiamo, ancora più certa, la parola profetica. ( 2 Pt 1,19 )
Quella voce risuonò dal cielo, eppure la parola profetica è più certa.
State attenti, carissimi! Il Signore soccorra la mia volontà - e la vostra attesa - affinché possa dire ciò che voglio e come lo voglio.
Chi di noi non resta sorpreso nel sentir dire dall'Apostolo che la parola profetica è più certa di una voce proveniente dal cielo?
Più certa, disse, non superiore o più vera.
Difatti tanto vera è la parola venuta dal cielo quanto la parola profetica: ugualmente buona, ugualmente utile.
Che significa allora "più certa " se non più capace di persuadere l'uditore?
E questo perché? Perché ci sono degli infedeli che calunniano Cristo dicendo che, quanto ha fatto, lo ha fatto con arti magiche.
Ora questi infedeli, sulla base di congetture umane e illecite stravaganze, potrebbero considerare frutto di arti magiche anche quella voce proveniente dal cielo.
I profeti invece vissero prima, non dico prima di questa voce, ma anche prima di Cristo incarnato.
Quando inviò i profeti, Cristo-uomo non esisteva.
Chiunque pertanto lo ritiene un mago, se fu per le sue arti magiche che si fece adorare anche dopo morte, forse che era un mago anche prima di nascere?
Ecco perché l'apostolo Pietro diceva: Abbiamo, più certa, la parola profetica. ( 2 Pt 1,19 )
Con la voce del cielo vengono ammoniti i fedeli, con la parola profetica vengono convinti gli infedeli.
A quanto mi sembra, ora comprendiamo, carissimi, perché l'apostolo Pietro, anche dopo aver ascoltato la voce che veniva dal cielo, abbia detto: Abbiamo, più certa, la parola profetica.
Quanta fu la degnazione di Cristo! Questo Pietro che parla così era stato un pescatore; ma adesso gran lode merita ogni oratore che riesca a comprendere il pescatore.
Al riguardo, parlando ai primi cristiani, diceva l'apostolo Paolo: Considerate la vostra chiamata, o fratelli.
In mezzo a voi non ci sono molti sapienti secondo la carne, né molti potenti, né molti nobili.
Ma Iddio ha scelto le cose deboli del mondo per confondere le forti, e le cose stolte del mondo ha scelto Dio per confondere i sapienti, e le cose ignobili e disprezzate del mondo ha scelto Dio, e quelle che non sono, quasi che fossero, per ridurre al nulla quelle che sono. ( 1 Cor 1,26-28 )
Se infatti Cristo avesse scelto per primo il retore, questo retore avrebbe detto: Sono stato scelto in grazia della mia eloquenza.
Se avesse scelto il senatore, il senatore avrebbe detto: Sono stato scelto per la mia dignità.
In fine, se avesse scelto l'imperatore, l'imperatore avrebbe detto: Sono stato scelto in vista del mio potere.
Stiano dunque calmi tutti costoro e si lascino rimandare a dopo! Stiano calmi!
Non saranno scartati né disprezzati ma solo posti in seconda linea, in quanto potrebbero in se stessi trovare come gloriarsi di se stessi.
Dice: Dammi quel pescatore, dammi quell'illetterato, quell'ignorante; dammi quel tale con cui il senatore non si degna di parlare neppure quando compra il pesce.
Dammi quello, dice. Se riempirò [ di sapienza ] un uomo come questo, sarà palese che sono io a farlo.
Anche il senatore - è vero - e il retore e l'imperatore io renderò [ miei discepoli ], poiché io cambierò anche il senatore, ma è più convincente l'aver io agito nel pescatore.
Il senatore potrebbe gloriarsi di se stesso, e così il retore e l'imperatore, mentre il pescatore non potrà gloriarsi se non di Cristo.
Venga dunque [ il pescatore ] e questo sia per dare una lezione di umiltà salutare.
Venga per primo il pescatore. Per suo mezzo sarà più facilmente guidato anche l'imperatore.
Tenete in mente il pescatore santo, giusto, buono, pieno di Cristo.
Insieme con gli altri popoli anche questo doveva essere preso dalle sue reti allargate per tutto il mondo.
Tenete in mente la sua affermazione: Abbiamo, più certa, la parola profetica. ( 2 Pt 1,19 )
Dammi dunque, per risolvere quella controversia, come giudice il profeta.
Di che cosa si trattava? Tu dicevi: Fammi capire affinché possa credere; io dicevo: Credi per poter capire.
Ne era nata una discussione. Ebbene, andiamo dal giudice!
Giudichi il profeta, o meglio, giudichi Dio per mezzo del profeta.
Noi due stiamo zitti: essi hanno ascoltato ciò che l'uno e l'altro diciamo.
Tu dici: Fammi capire affinché possa credere; io dico: Credi per poter capire.
Risponda il profeta: Se non crederete, non comprenderete. ( Is 7,9 )
8 - Credete forse, o carissimi, che non dica nulla colui che afferma: Fammi capire affinché io possa credere?
Ma cos'è quel che ora ci proponiamo se non che credano, non coloro che non credono affatto, ma coloro che credono debolmente?
Se infatti non credessero affatto, non starebbero qui.
È stata la fede a condurli ad ascoltare.
La fede li ha fatti intervenire alla predicazione della parola di Dio; ma codesta fede, che pur ha attecchito, dev'essere irrigata, nutrita, consolidata.
Ecco quel che ci proponiamo di fare.
Dice: Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma Dio ha fatto crescere.
Per altro, non conta nulla né chi pianta né chi irriga ma Dio che fa crescere. ( 1 Cor 3,6-7 )
Parlando, esortando, insegnando, persuadendo possiamo piantare e innaffiare, ma non possiamo far crescere.
Un giorno un tale parlava con Lui: la sua fede - egli lo sapeva - era spuntata ma era ancora tenera, ancora debole e per molti aspetti titubante.
Non era però una fede nulla, se si raccomandava a chi avrebbe recato soccorso alla sua fede, quale che fosse, e diceva: Credo, Signore. ( Mc 9,23 )
L'avete ascoltato or ora mentre vi si leggeva il Vangelo.
Diceva il Signore Gesù al padre del fanciullo: Se puoi credere, tutto è possibile a chi crede. ( Mc 9,22 )
Egli guardò dentro se stesso e si collocò di fronte a se stesso.
Privo di ogni temeraria confidenza, volle tuttavia esaminare prima la sua coscienza: trovò dentro di sé una certa qual fede, come vide anche dell'insicurezza.
Tutt'e due le cose riscontrò: confessò d'averne una, per il resto chiese l'aiuto.
Disse: Credo, Signore. ( Mc 9,23 ) Cosa sarebbe dovuto seguire se non: Aiuta la mia fede? Ma egli non disse questo.
Credo, Signore. Vedo in me un qualcosa per cui le mie parole non sono bugiarde.
Credo, dico la verità. Ma vedo in me anche un qualcosa che mi reca dispiacere.
Vorrei stare saldo in piedi, ma ancora traballo.
Parlo stando in piedi, non sono caduto poiché seguito a credere; eppure traballo.
Aiuta la mia incredulità. ( Mc 9,23 ) Lo stesso, carissimi, è del mio supposto interlocutore e della controversia nata fra noi, per risolvere la quale sono ricorso al giudizio del profeta.
Qualcosa asserisce anche lui quando mi dice: Fammi capire affinché possa credere.
In effetti, ciò che sto dicendo adesso, lo dico affinché credano gli increduli.
Costoro, se non capiscono ciò che dico, non potranno giungere alla fede.
Da un lato quindi è vero ciò che il mio avversario dice, cioè: Fammi capire affinché possa credere.
Ma sono nella verità anch'io quando affermo, come diceva il profeta: Viceversa, credi per poter capire.
Tutt'e due diciamo la verità; vediamo di trovare l'accordo.
Quindi, comprendi per credere, e credi per comprendere.
Voglio dirvi brevemente come si debba intendere l'una e l'altra espressione perché si eviti il contrasto.
Comprendi la mia parola, affinché tu possa credere; credi alla parola di Dio per poterla comprendere.
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