Discorso del Signore sulla montagna

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Libro II

18.59 - Liberalità nel giudicare

E poiché gli utili si amministrano per spenderli, ovvero, se non v'è ragione di spenderli, si risparmiano, è incerto con quale intenzione avviene, poiché si può fare con semplicità o anche con doppiezza di cuore.

Quindi opportunamente a questo punto ha aggiunto: Non giudicate per non esser giudicati, perché col giudizio con cui giudicherete sarete giudicati e la misura, con cui misurerete, vi sarà restituita. ( Mt 7,1-2 )

Ritengo che in questo passo ci si ingiunge soltanto d'interpretare dalla migliore prospettiva quelle azioni, sulle quali è dubbio con quale intenzione si facciano.

Poiché la frase: Dai loro frutti li riconoscerete ( Mt 7,16 ) è relativa alle azioni palesi, che non possono essere compiute con buona intenzione, come sono le violenze carnali, le bestemmie, i furti, l'ubriachezza ed altre, sulle quali ci si permette di giudicare, perché l'Apostolo dice: Spetta forse a me giudicare quelli di fuori?

Non sono quelli di dentro che voi giudicate? ( 1 Cor 5,12 )

Riguardo al genere di cibi, poiché si possono indifferentemente usare con buona intenzione e con semplicità di cuore, senza avidità, tutti i cibi adatti all'uomo, l'Apostolo vieta che fossero giudicati coloro che si nutrivano di carne e bevevano il vino da coloro che si moderavano nell'uso di tali cibi.

Egli dice: Chi mangia non disprezzi chi non mangia e chi non mangia non giudichi male chi mangia; e soggiunge: Chi sei tu per giudicare uno schiavo che non è tuo?

Stia in piedi o cada, riguarda il suo padrone. ( Rm 14,3-4 )

Dai modi di agire, che possono verificarsi con intenzione buona, schietta e segnalata, sebbene anche con intenzione non buona, quei tali volevano esprimere un parere sulle condizioni più intime del cuore, sulle quali soltanto Dio giudica.

18.60 - Giudizio e cose manifeste o nascoste

Attiene all'argomento anche quello che l'Apostolo dice in un altro passo: Non giudicate prima del tempo, finché venga il Signore e metta in luce i segreti delle tenebre, egli manifesterà le intenzioni dei cuori.

E allora ciascuno avrà la sua lode da Dio. ( 1 Cor 4,5 )

Vi sono delle azioni di mezzo che non sappiamo con quale intenzione si compiono, perché si possono compiere con buona e cattiva intenzione ed è avventato giudicarle, soprattutto per condannarle.

Ma verrà il tempo di giudicarle, quando il Signore metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori.

In un altro passo l'Apostolo dice: Di alcuni uomini i peccati sono manifesti perché precedono per il giudizio, altri invece dopo. ( 1 Tm 5,24 )

Considera manifesti quei peccati, dei quali è evidente con quale intenzione si compiano; essi precedono per il giudizio, ossia perché se il giudizio sarà dopo di essi, non è temerario.

Vengono dopo quelli che sono nascosti, perché anche essi a loro tempo non saranno nascosti.

Allo stesso modo si deve pensare delle opere buone.

Soggiunge infatti: Similmente anche le opere buone sono manifeste e tutte quelle stesse che non sono tali non possono rimanere nascoste. ( 1 Tm 5,25 )

Giudichiamo dunque le opere manifeste, sulle nascoste lasciamo il giudizio a Dio perché anche esse, buone e cattive, non possono rimanere nascoste, quando giungerà il tempo in cui siano rese manifeste.

18.61 - Giudizi temerari

Vi sono però due casi nei quali dobbiamo evitare il giudizio temerario, cioè quando è incerto con quale intenzione un fatto sia avvenuto, o quando è incerto quale sarà l'uomo che attualmente sembra buono o cattivo.

Se, ad esempio, un tale lamentandosi dello stomaco, non ha voluto digiunare e tu non credendo, lo attribuirai al vizio dell'ingordigia, farai un giudizio temerario.

Egualmente se sarai informato sulla manifesta ingordigia e abitudine alla ubriachezza e rimprovererai come se quel tale non possa correggersi ed emendarsi, giudicherai sempre con temerità.

Non critichiamo dunque le azioni, di cui non sappiamo con quale intenzione siano compiute e non critichiamo allo stesso modo quelle che sono palesi, come se dubitassimo del ravvedimento; così eviteremo il giudizio, di cui nel testo è detto: Non giudicate per non essere giudicati. ( Mt 7,1 )

18.62 - Ricambio fra giudizio temerario e pena

Può turbare quello che ha soggiunto: Infatti col giudizio con cui giudicherete sarete giudicati e con la misura con cui misurerete sarete misurati. ( Mt 7,2 )

Forse che se noi avremo giudicato con un giudizio temerario, anche Dio ci giudicherà con temerità?

O forse che, se avremo misurato con una misura ingiusta, anche presso Dio v'è la misura ingiusta con cui saremo misurati?

Suppongo infatti che col termine di misura è stato indicato lo stesso giudizio.

In senso assoluto Dio non giudica con temerità e non dà il contraccambio a qualcuno con una misura ingiusta.

Ma è stato detto perché inevitabilmente ti condanna la temerità con cui condanni l'altro.

Ma forse si deve presumere che la malignità danneggi un po' colui contro il quale si muove e per niente colui dal quale si muove.

Anzi al contrario spesso non danneggia affatto colui che subisce l'oltraggio e inevitabilmente invece danneggia chi lo fa.

Infatti in che senso ha danneggiato i martiri la cattiveria dei persecutori? Ai persecutori invece moltissimo.

E sebbene alcuni di loro si sono emendati, tuttavia nel periodo in cui perseguitavano li accecava la loro perversità.

Così un giudizio temerario spesso non danneggia affatto colui che viene giudicato con temerità, ma inevitabilmente la temerità stessa danneggia colui che giudica con temerità.

Ritengo che secondo questo principio siano da intendere anche le parole: Chiunque colpisce con la spada di spada morirà. ( Mt 26,52 )

Molti infatti colpiscono con la spada e non muoiono di spada, come anche lo stesso Pietro.

Ma qualcuno potrebbe pensare che per merito del perdono dei peccati egli sia sfuggito a tale pena, sebbene niente di più assurdo si penserebbe che poté essere più grave la pena della spada che non toccò a Pietro di quella della croce che egli sostenne.

Che dire allora dei briganti che furono crocefissi col Signore, giacché quegli che meritò il perdono lo meritò dopo essere stato crocifisso e l'altro non lo meritò affatto? ( Lc 23,32-43 )

Forse che avevano crocifisso tutti quelli che avevano ucciso e perciò anche essi meritarono di subire questa pena? È assurdo pensarlo.

Quindi le parole: Chiunque colpisce con la spada di spada morirà non significano altro che l'anima muore col peccato, qualunque ne abbia commesso.

19.63 - Fra odio e correzione

Quindi in questo passo il Signore ci avverte sul giudizio temerario e offensivo.

Egli vuole infatti che con cuore sincero e rivolto unicamente a Dio compiamo tutte le azioni che compiamo; e vi sono molte azioni che è incerto con quale sentimento si compiano ed è avventato il giudicarle.

Invece giudicano temerariamente su fatti incerti e li criticano con indifferenza soprattutto coloro che amano biasimare e condannare anziché emendare e correggere ed è il vizio della superbia o invidia.

Perciò il Signore prosegue e dice: Perché osservi la pagliuzza nell'occhio di tuo fratello e non vedi la trave nel tuo occhio? ( Mt 7,3 )

È il caso, ad esempio, che egli ha peccato per ira, tu invece critichi con odio.

Quanta differenza appunto v'è fra la pagliuzza e la trave, altrettanta quasi fra l'ira e l'odio.

L'odio infatti è un'ira inveterata che, per così dire, con l'invecchiare ha acquisito tanta resistenza che giustamente si considera trave.

Può avvenire infatti che, se ti adiri con un uomo, intendi che si corregga; se invece lo odi, non ottieni che egli intenda correggersi.

19.64 - Umiltà e bontà nel correggere

Come puoi dire a un tuo fratello: Permetti che tolga la pagliuzza dal tuo occhio, mentre nell'occhio tuo c'è la trave?

Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e poi vedrai di togliere la pagliuzza dall'occhio di tuo fratello, ( Mt 7,4-5 ) ossia: Prima rimuovi l'odio e poi potrai correggere l'uomo che ami.

E ha detto bene: Ipocrita. Infatti biasimare i vizi è compito di uomini buoni e benevoli, ma, quando lo fanno i cattivi, recitano la parte degli altri, come gli attori che nascondono sotto la maschera quel che sono e imitano con la maschera quel che non sono.

Quindi nell'appellativo di ipocriti intenderai gli impostori.

Ed è veramente molto insopportabile e spiacevole la razza degli impostori poiché, mentre intraprendono con odio e astio la censura dei vizi, intendono anche essere considerati consiglieri.

E quindi con tenerezza e prudenza si deve stare attenti che se la emergenza costringerà a riprendere o rimproverare qualcuno, per prima cosa riflettiamo se è un vizio che non abbiamo mai avuto o che ce ne siamo liberati.

E se non l'abbiamo mai avuto, riflettiamo che anche noi siamo uomini e abbiamo potuto averlo; se invece l'abbiamo avuto e non l'abbiamo più, la comune debolezza renda attenta la memoria in modo che non l'odio ma la compassione preceda la riprensione o il rimprovero, sicché tanto se contribuiscono al suo ravvedimento come alla sua ostinazione, giacché il risultato è incerto, noi tuttavia siamo tranquilli sulla sincerità del nostro giudizio.

Se poi riflettendo riscontreremo che anche noi ci troviamo in quel vizio, in cui si trova colui che ci apprestavamo a riprendere, non riprendiamo e non rimproveriamolo, ma proviamone insieme dolore e invitiamolo non ad ascoltarci ma a tentare insieme.

19.65 - L'uniformarsi in Paolo

In merito dice l'Apostolo: Sono diventato giudeo con i Giudei, per guadagnare i Giudei; con coloro che sono sotto la legge sono diventato come uno che è sotto la legge, pur non essendo sotto la legge, allo scopo di guadagnare quelli che sono sotto la legge; con coloro che non hanno legge sono diventato come uno che è senza la legge, pur non essendo senza la legge di Dio, anzi essendo nella legge di Cristo, per guadagnare coloro che sono senza legge.

Sono diventato debole con i deboli per guadagnare i deboli; sono diventato tutto per tutti per guadagnare tutti. ( 1 Cor 9,20-22 )

Certamente non realizzava questa esperienza per finzione, come alcuni vorrebbero interpretare per proteggere la loro detestabile finzione con l'autorità di un così sublime modello, ma la realizzava, perché considerava come propria la debolezza di colui al quale voleva venire incontro.

E l'ha premesso dicendo: Infatti pur essendo libero da tutti, sono diventato servo di tutti per guadagnarne il maggior numero. ( 1 Cor 9,19 )

E affinché tu comprenda che non per finzione ma mediante la carità questo avviene, perché con essa commiseriamo i deboli, come se lo fossimo noi, in un altro passo esorta con le parole: Voi, fratelli, siete stati chiamati alla libertà, purché non usiate questa libertà come pretesto della passione, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri. ( Gal 5,13 )

E questo non può avvenire se uno non considera come propria la debolezza dell'altro per sopportarla con serenità fino a che non se ne libera colui di cui cura la salute.

19.66 - Prudenza nel correggere

Quindi raramente e in casi di grande necessità si devono usare i rimproveri, in modo che anche in essi ci preoccupiamo che si sia sottomessi a Dio e non a noi stessi.

Egli infatti è fine affinché nulla facciamo con doppiezza di cuore, togliendo dal nostro occhio la trave dell'invidia o malignità o finzione per vedere di trarre fuori la pagliuzza dall'occhio del fratello.

La vedremo infatti con gli occhi della colomba, ( Ct 4,1 ) quali sono esaltati nella sposa di Cristo, che Dio si è scelto come Chiesa gloriosa, perché non ha neo o grinza, cioè è pulita e riservata. ( Ef 5,27 )

20.67 - Prudenza nella evangelizzazione

Il termine di riservatezza può trarre in errore alcuni che desiderano obbedire ai comandamenti di Dio, sicché ritengono che sia una colpa occultare il vero, come è una colpa dire talora il falso.

In questo modo spiegando le verità, che coloro ai quali vengono spiegate non possono capire, fanno un danno maggiore che se le tenessero completamente e sempre nascoste.

Quindi il Signore molto opportunamente soggiunge: Non date una cosa santa ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci affinché non le calpestino con le loro zampe e non si voltino per sbranarvi. ( Mt 7,6 )

Difatti il Signore, sebbene non abbia mai mentito, ha mostrato di aver tenute nascoste alcune verità, dicendo: Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. ( Gv 16,12 )

E l'apostolo Paolo dice: Io non ho potuto parlare a voi come a uomini spirituali, ma come ad esseri carnali.

Come neonati in Cristo vi ho dato da bere latte per bevanda e non cibo solido, perché non eravate capaci, ma neanche ora lo potete, perché siete ancora carnali. ( 1 Cor 3,1-2 )

20.68 - Cani e porci contro la verità

Nel comando con cui ci si proibisce di dare una cosa santa ai cani e di gettare le nostre perle ai porci, si deve esaminare attentamente che cosa significhi una cosa santa, che cosa le perle, i cani e i porci.

Una cosa santa è quella che è empietà violare e profanare.

Di questo crimine sono considerati colpevoli il tentativo e l'intenzione, sebbene la cosa santa è di per sé inviolabile e improfanabile.

Sono da considerarsi perle tutti i grandi valori dello spirito e poiché sono nascoste in un recesso, sono tratte, per così dire, dalla profondità e si rinvengono negli involucri delle allegorie, quasi paragonabili ai gusci di conchiglia aperti.

È ammessa dunque questa interpretazione: si possono considerare una sola e medesima realtà una cosa santa e la perla, ma una cosa santa dal fatto che non si deve profanare, una perla dal fatto che non si deve conculcare.

Un tizio tenta di profanare quel che non vuole illeso; conculca invece quel che ritiene spregevole e lo considera sotto di sé e perciò si dice che è calpestato tutto ciò che si conculca.

Perciò i cani, poiché assaltano per dilaniare, non permettono che rimanga illeso l'essere che dilaniano.

Non date, dice il Signore, una cosa santa ai cani, ( Mt 7,6 ) poiché anche se non è possibile dilaniare e profanare ed essa rimane illesa e inviolabile, si deve riflettere che cosa intendono coloro che si oppongono con odio accanito e per quanto sta in loro, se fosse possibile, tentano di distruggere la verità.

I porci poi, sebbene non assalgano col morso come i cani, imbrattano dappertutto calpestando.

Non gettate dunque, dice il Signore, le vostre perle davanti ai porci affinché non le calpestino con le loro zampe e non si voltino per farvi a pezzi. ( Mt 7,6 )

Ritengo dunque che non illogicamente i cani siano indicati per coloro che contraddicono la verità e i porci per coloro che la conculcano.

20.69 - Motivazione della segretezza

Dice: Si voltino per farvi a pezzi, non dice: Facciano a pezzi le perle.

Calpestandole infatti, quando si voltano, per ascoltare ancora qualche parola, fanno a pezzi colui da cui sono state già gettate le perle che hanno calpestato.

Difatti non troverai con facilità che cosa possa essere gradito a chi ha calpestato le perle, cioè ha conculcato le verità divine conseguite con tanto impegno.

E non vedo come chi le insegna non sia fatto a pezzi dallo sdegno e dal disgusto.

L'uno e l'altro, il cane e il porco, sono animali immondi.

Si deve evitare dunque di svelare la verità a chi non l'accoglie; è meglio che cerchi da sé una verità nascosta, anziché travisi o neghi quella che gli è svelata.

E oltre l'odio e il conculcamento non si trova altra ragione per cui le grandi verità rivelate non siano accolte; e per il primo sono stati indicati i cani e per l'altro i porci.

E tutta questa immondezza si rende comprensibile attraverso le cose del tempo, ossia attraverso l'amore di questo mondo, al quale ci si ingiunge di rinunziare affinché possiamo essere puri.

Chi dunque desidera avere il cuore sereno e puro non deve ritenersi colpevole, se tiene segreta una verità che colui, al quale la tiene segreta, non può capire.

Né da questa massima si deve presumere che sia permesso mentire poiché non ne consegue che quando si tiene nascosto il vero si dice il falso.

Si deve quindi ottenere prima che siano tolti gli impedimenti, per i quali avviene che uno non accoglie il vero; e se non lo accoglie a causa delle immondezze, si deve purificarlo con la parola e con l'azione, per quanto ci è possibile.

20.70 - Gesù modello dell'insegnamento

Poiché si riscontra che nostro Signore ha detto alcune verità che molti dei presenti o per contrasto o per disprezzo non accolsero, non si deve ritenere che ha dato una cosa santa ai cani o che ha gettato le perle davanti ai porci, perché egli non ha parlato per quelli che non potevano accoglierle, ma per quelli che lo potevano ed erano ugualmente presenti e che non conveniva trascurare a causa della immondezza degli altri.

E quando lo interrogavano quelli che lo mettevano alla prova e rispondeva loro in modo che non potessero contraddire, sebbene si struggessero con i propri veleni, anziché saziarsi del suo cibo, tuttavia dal loro intervento gli altri, che potevano apprendere, ascoltavano con vantaggio.

Ho detto questo affinché se uno per caso non potrà rispondere a chi lo interroga, non si ritenga scusato col dire che non vuole dare una cosa santa ai cani e gettare le perle davanti ai porci.

Chi sa cosa rispondere deve rispondere, sia pure per gli altri, nei quali sorge la sfiducia se riterranno che la questione non si può risolvere, e questo su argomenti utili e attinenti al problema della salvezza.

Vi sono certamente molti argomenti che possono essere messi in discussione da coloro che non hanno una occupazione e sono superflui, vuoti e spesso dannosi, sui quali tuttavia qualcosa si può dire, ma si deve manifestare e spiegare il motivo, per cui non è necessario indagarli.

Sugli argomenti importanti si deve qualche volta rispondere a quel che viene chiesto, come ha fatto il Signore quando i Sadducei gli chiesero riguardo alla donna, che ebbe sette mariti, di chi sarebbe stata nella risurrezione.

Rispose che nella risurrezione non prenderanno né marito né moglie, ma saranno come gli angeli in cielo. ( Mt 22,23-30; Mc 12,18-25; Lc 20,27-36 )

Talora colui che interroga si deve interrogare su un altro argomento e, se lo esporrà, egli si risponda da se stesso su ciò che ha chiesto e, se non vorrà, non sembri ingiusto ai presenti se egli non ha una risposta su ciò che ha chiesto.

Infatti quelli che, per mettere alla prova, interrogarono se si doveva dare il tributo, furono interrogati su un altro assunto, cioè: di chi aveva l'effigie la moneta che fu da loro mostrata; e poiché risposero su ciò che era stato loro richiesto, ossia che la moneta aveva l'effigie di Cesare, in certo senso si risposero da sé su ciò che avevano chiesto al Signore.

Perciò egli dalla loro risposta concluse: Rendete dunque a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio. ( Mt 22,15-21 )

Poiché i più ragguardevoli dei sacerdoti e gli anziani del popolo lo interrogarono con quale autorità compisse le sue opere, egli li interrogò sul battesimo di Giovanni; e poiché essi non volevano dire qualche cosa che, a loro avviso, era contro se stessi e non osavano a motivo dei presenti parlare male di Giovanni, egli disse: Neanche io vi dico con quale autorità compio questa opera; ( Mt 21,23-27 ) e la risposta sembrò molto giusta ai presenti.

Dissero di ignorare ciò che non ignoravano, ma che non volevano dire.

E in verità era giusto che essi, i quali volevano che si rispondesse loro su ciò che avevano chiesto, facessero essi quel che chiedevano si facesse per essi; se lo avessero fatto, avrebbero certamente risposto a se stessi.

Essi stessi infatti avevano mandato da Giovanni a chiedere chi fosse, o meglio erano stati mandati essi, come sacerdoti e leviti, credendo che fosse il Cristo, quando egli negò di esserlo e rese testimonianza al Signore. ( Gv 1,19-27 )

E se da quella testimonianza avessero voluto riconoscerlo, avrebbero insegnato a se stessi con quale autorità Cristo compiva quelle opere, sebbene avessero chiesto come se non lo sapessero per trovare il pretesto di calunniarlo.

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