La dottrina cristiana

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Libro III

1.1 - Ammonimento introduttivo

La persona timorata di Dio cerca diligentemente nelle Sacre Scritture la volontà divina.

Mansueto nella sua pietà, non ama i litigi; fornito della conoscenza delle lingue, non rimane incastrato in parole e locuzioni sconosciute; fornito anche della conoscenza di certe cose necessarie, non ignora la forza e l'indole delle medesime quando vengono usate come paragone.

Si lascia anche aiutare dall'esattezza dei codici ottenuta mediante una solerte diligenza nella loro emendazione.

Chi è così equipaggiato venga pure ad esaminare e risolvere i passi ambigui della Scrittura.

Per non essere tratto in inganno da segni ambigui, per quanto possibile, si lascerà equipaggiare anche da noi.

Potrà, è vero, succedere che egli, o per l'acutezza del suo ingegno o per la lucidità derivatagli da un'illuminazione superiore, derida come puerili le vie che nelle presenti pagine gli vogliamo mostrare.

Tuttavia, come avevo cominciato a dire, nella misura che può essere istruito da noi, colui che si trova in quello stato d'animo che gli consenta di ricevere il nostro ammaestramento sappia che la Scrittura può presentare ambiguità sia nelle parole proprie sia in quelle traslate.

Di queste due specie di linguaggio abbiamo già trattato nel secondo libro.

2.2 - Come ovviare all'ambiguità di certi passi scritturali

Quando sono le parole proprie a rendere ambigua la Scrittura, per prima cosa bisogna vedere se per caso non abbiamo distinto male o mal pronunciato la frase.

Che se, nonostante l'attenzione prestata, lo studioso si avvede chiaramente essere incerto il modo di distinguere o di pronunziare, consulti la regola della fede che ha ottenuto attraverso i passi scritturali più facili o mediante l'autorità della Chiesa, come abbiamo esposto nel primo libro parlando delle cose.

Se poi tutte e due o tutte quante le parti ( quando sono più di due ) suonano ambigue a tenore della fede, occorre consultare il testo stesso del discorso nelle parti precedenti e in quelle susseguenti, che contengono in mezzo il passo con ambiguità, perché possiamo vedere a quale interpretazione, delle molte che si presentano, vada la preferenza per essere più strettamente inserita nel contesto.

2.3 - Badare alla punteggiatura per evitare ambiguità

Per ora considera degli esempi.

Gli eretici così distinguono la frase: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e Dio era, sicché viene a cambiarsi il senso del verso successivo in: Questo Verbo era in principio presso Dio, e chi dice così non vuol confessare che il Verbo è Dio.

Ma una tale lettura deve essere scartata a tenore della regola della fede, in forza della quale ci si impone l'uguaglianza nella Trinità, per cui dobbiamo leggere: E il Verbo era Dio e poi proseguiamo: Egli era in principio presso Dio. ( Gv 1,1-2 )

2.4 - Esempi illustrativi

Ecco ora un'altra ambiguità di distinzione che in nessuna delle due parti si oppone alla fede, e pertanto la si deve valutare dal tenore stesso del discorso.

È là dove l'Apostolo dice: Ciò che dovrei scegliere lo ignoro; sono infatti stretto da due cose: desidero essere sciolto [ da questo corpo ] ed essere con Cristo, cosa di gran lunga migliore; rimanere però nella carne è necessario per il vostro bene. ( Fil 1,22-24 )

Incerto se si debba leggere: Ho desiderio di due cose o: Da due cose sono stretto, a cui si aggiungerebbe: desiderando d'essere sciolto ed essere con Cristo.

Ma poiché continua: Cosa di gran lunga migliore, appare che egli dice di desiderare quella che è di gran lunga migliore, in maniera tale che, essendo stretto fra due cose, di una ha desiderio, dell'altra invece necessità: desiderio di essere con Cristo, necessità di rimanere nella carne.

Questa ambiguità viene dissolta dalla parola che segue e che vi è stata aggiunta, cioè infatti.

I traduttori che omisero questa paroletta sono stati portati a quella interpretazione che fa sembrare l'Apostolo non solo stretto da due cose ma anche avere desiderio di due cose.

Così dunque bisogna separare: E ciò che debba scegliere ignoro; sono stretto però da due cose, alla quale separazione segue: Avendo desiderio di essere sciolto per essere con Cristo.

E come se gli si chiedesse perché mai avesse di preferenza un tale desiderio, dice: È infatti cosa di gran lunga migliore.

In che senso allora è stretto da due cose?

Perché aveva anche la necessità di rimanere, a proposito della quale soggiunge: Restare però nella carne è necessario per il vostro bene.

2.5 - Ambiguità di separazione insolubile

Dove l'ambiguità non può essere dissolta né dalla regola della fede né dal testo del discorso in se stesso, nulla si oppone a che la frase venga separata secondo l'una o l'altra delle possibilità che si presentano.

Così è di quella frase ai Corinti: Avendo dunque, o carissimi, queste promesse, purifichiamoci da ogni sozzura della carne e dello spirito, realizzando la santificazione nel timore di Dio.

Capiteci! Non abbiamo nociuto a nessuno. ( 2 Cor 7,12 )

È veramente dubbio se si debba leggere: Purifichiamoci da ogni sozzura della carne e dello spirito, in conformità con la frase: Perché sia santa nel corpo e nello spirito, ( 1 Cor 7,34 ) ovvero: Purifichiamoci da ogni sozzura della carne e poi, con senso diverso: E realizziamo la santificazione dello spirito nel timore di Dio.

Capiteci! Tali ambiguità di separazione sono lasciate all'arbitrio di chi legge.

3.6 - Pronunce e accentuazioni dubbie

Quel che abbiamo detto circa l'ambiguità nelle separazioni si deve osservare anche nelle ambiguità di pronuncia.

In effetti, anche queste, se non siano viziate da un'eccessiva trascuratezza del lettore si debbono rettificare a tenore delle regole della fede e del contesto antecedente o conseguente del discorso.

Se a nessuno dei due motivi si ricorre per ottenere una pronuncia corretta, l'una e l'altra pronuncia resterà dubbia, per cui, in qualsiasi modo il lettore pronunzierà, sarà incolpevole.

La fede, ad esempio, ci fa credere che Dio non si erge ad accusatore dei suoi eletti e che Cristo non condanna i suoi eletti.

Se non ci dissuadesse questa fede, quel detto [ di Paolo ] potrebbe pronunciarsi: Chi si farà accusatore degli eletti di Dio? con un tono di interrogazione, a cui segua quasi la risposta: Dio che giustifica.

E di nuovo, dopo l'interrogazione: Chi è che condanna? si potrebbe rispondere: Cristo Gesù che è morto. ( Rm 8,33-34 )

Ma siccome questo è quanto di più pazzesco possa pensarsi, lo si dovrà pronunciare in modo che preceda la questione e segua l'interrogazione.

Tra questione e interrogazione gli antichi dissero che c'è questa differenza: alla questione si possono dare svariate risposte, mentre nell'interrogazione si può rispondere solo: " No " o " Sì ".

Si pronunzierà dunque così.

Dopo il quesito con cui chiediamo: Chi si farà accusatore degli eletti di Dio? si pronunzierà in tono interrogativo: Dio che giustifica? e la risposta sarà un sottinteso: " No ".

E così dopo il quesito: Chi è che condanna? deve parimenti seguire l'interrogativo: Cristo Gesù che è morto, che anzi è risorto, che è alla destra di Dio e intercede per noi? ( Rm 8,34 ) di modo che si risponda sempre con un " No " sottinteso.

Diverso è il passo dove dice: Che diremo dunque? Che i pagani che non praticavano la giustizia hanno conquistato la giustizia. ( Rm 9,30 )

Se dopo il quesito che suona: Che diremo dunque? non si facesse seguire la risposta [ affermativa ]: Che le genti che non praticavano la giustizia hanno conquistato la giustizia, la frase conseguente mancherebbe di coesione [ con l'antecedente ].

Si è invece liberi nel pronunziare l'espressione di Natanaele: Da Nazaret può venire qualcosa di buono. ( Gv 1,46 )

Può solo in parte ritenersi affermativa, inserendo nell'interrogazione solo le parole: Da Nazaret? ovvero a tutta la frase può estendersi il dubbio di chi interroga.

Non vedo in base a che possa farsi la scelta e, inoltre, quanto al senso, la fede non esclude né l'uno né l'altro.

3.7 - Il testo e il contesto aiutano a risolvere frasi ambigue

C'è anche un'ambiguità derivante dal suono dubbio delle sillabe, ambiguità che rientra anch'essa nell'ambito della pronuncia.

Prendiamo il passo scritturale: A te non è nascosto il mio " os ", che tu hai fatto nel segreto. ( Sal 139,15 )

A chi legge non è palese se la sillaba " os " debba pronunziarsi breve o lunga.

Se si legge breve, al singolare, deve leggersi nel senso che il suo plurale sia " ossa "; se si legge lunga, è il singolare di quel plurale che è ora (" bocche ").

Tali problemi si risolvono guardando alla lingua precedente, e difatti in greco non c'è scritto στόμα ma όστεον.

Ne segue che il più delle volte l'uso popolare di parlare è più utile dell'integrità letterale per darci il senso delle cose.

Ed effettivamente io preferirei che, nonostante il barbarismo, si dicesse ossum ( non ti è nascosto il mio ossum ) anziché la frase, per essere più latina, diventasse meno chiara.

A volte però capita che il suono dubbio di una sillaba sia determinato anche da un verbo vicino appartenente alla stessa frase.

Così nel detto dell'Apostolo: Riguardo a queste cose vi predico, come già vi ho predetto, che chi fa ciò non possederà il regno di Dio. ( Gal 5,21 )

Se avesse soltanto: Riguardo a queste cose vi predico ma non avesse aggiunto: come già vi ho predetto, soltanto col ricorso al codice scritto nella lingua anteriore si sarebbe potuto conoscere se nella parola predico la sillaba di mezzo era da pronunziarsi lunga o breve.

Invece è evidente che occorre pronunziarla lunga poiché egli non aggiunge: Come vi ho predicato, ma: Come vi ho predetto.

4.8 - Esempi di come risolvere frasi ambigue

Allo stesso modo vanno considerate non solo le ambiguità di questo genere ma anche quelle che non riguardano la punteggiatura o la pronuncia.

Tale è quella di 1 Tessalonicesi: Per questo ci siamo consolati, o fratelli, in voi. ( 1 Ts 3,7 )

È dubbio se si debba leggere: " o fratelli ", ovvero: " i fratelli ".

Nessuna delle due lezioni è contraria alla fede; ma la lingua greca non ha identici questi due casi, per cui, stando al greco, si reclama il vocativo, cioè: " o fratelli ".

Che se il traduttore avesse voluto mettere: Per questo abbiamo avuto consolazione in voi, o fratelli, sarebbe stato più libero riguardo alla parola ma avrebbe fatto venir meno dubbi sul senso della frase.

Così se avesse aggiunto un " nostri ".

Nessuno dubiterebbe trattarsi di caso vocativo ascoltando la frase: Per questo ci siamo consolati, o nostri fratelli, in voi.

Ma è pericoloso permettere licenze come questa.

Lo stesso è accaduto nella 1 Corinzi, dove l'Apostolo dice: Ogni giorno muoio per la vostra gloria, fratelli, che ho in Cristo Gesù. ( 1 Cor 15,31 )

Dice infatti un traduttore: Ogni giorno muoio - lo giuro - per la vostra gloria, in quanto la parola indicante giuramento [ νή ] è palese né presenta ambiguità.

Concludendo: molto raramente e difficilmente si trovano nei libri delle divine Scritture delle ambiguità di parole prese in senso proprio che non si risolvano mediante il contesto del discorso - dal quale si chiarisce l'intenzione dello scrittore - o mediante il confronto con altri traduttori o controllando il passo nella lingua antecedente.

5.9 - È grande schiavitù dello spirito fermarsi ai segni invece di cercare le cose significate

Viceversa le ambiguità in fatto di parole traslate, di cui dobbiamo parlare d'ora in poi, postulano una cura e diligenza non ordinarie.

E prima di tutto occorre stare attenti per non prendere alla lettera un'espressione figurata.

A questo infatti dice riferimento il detto dell'Apostolo: La lettera uccide, lo spirito dà vita. ( 2 Cor 3,6 )

In realtà, se quanto detto figuratamente lo si prende come detto in senso proprio, si è uomini dai gusti carnali.

E nulla merita di più il nome di morte dell'anima che non l'essere schiavi della lettera e così assoggettare alla carne l'intelligenza, vale a dire ciò per cui si è superiori alle bestie.

Chi infatti segue la lettera prende la parola traslata in senso proprio, e non è capace di riferire il significato di un termine proprio ad un altro significato.

Se, ad esempio, sente parlare di" sabato ", non comprende se non uno dei giorni della settimana che nel loro corso si ripetono continuamente.

Se ode " sacrificio ", con il pensiero non va oltre a quello che suol farsi con l'immolazione di animali o l'offerta di frutti della terra.

Finalmente è una grande schiavitù dello spirito, che immiserisce l'uomo, prendere i segni in luogo delle cose e non poter elevare gli occhi della mente al di sopra delle creature corporee per attingere la luce eterna.

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