La dottrina cristiana

Indice

Libro II

32.50 - Struttura ed efficacia del sillogismo

La verità dei sillogismi, in se stessa, non è stata inventata dagli uomini ma da loro soltanto constatata e formulata, per poterla imparare e insegnare.

Si tratta infatti di una realtà che si trova da sempre nell'ordine delle cose e chi l'ha stabilita è Dio.

Così è di colui che narra l'ordine dei tempi: non è lui che lo costituisce.

Così colui che descrive le località o la natura degli animali, delle piante o delle pietre, non mostra cose istituite dagli uomini.

Anche colui che osserva le stelle e i loro moti non mostra una cosa istituita da sé o dagli altri uomini.

Allo stesso modo colui che dice: " Quando è falsa la conclusione, necessariamente deve essere falsa anche la premessa ", dice una cosa verissima, che però non è lui a renderla tale: egli soltanto la osserva.

Secondo questa norma procede quel ragionamento dell'apostolo Paolo sopra ricordato.

La premessa infatti, è, in quel caso, che non c'è la risurrezione dei morti, cosa che affermavano coloro dei quali l'Apostolo voleva demolire l'errore.

In effetti, a quella premessa, secondo la quale non c'è risurrezione dei morti, tiene dietro necessariamente la conclusione: Nemmeno Cristo è risorto. ( 1 Cor 15,13 )

Ora questa conclusione è falsa - Cristo infatti è risorto -, per cui la premessa deve essere falsa anch'essa.

Siccome poi tale premessa è che i morti non risorgono, segue necessariamente che essi risorgono.

Detto in breve, il ragionamento fila così: Se non si dà risurrezione dei morti nemmeno Cristo è risorto; ma Cristo è risorto; quindi la risurrezione dei morti esiste.

Questo modo di ragionare per cui tolto il conseguente viene a cadere anche l'antecedente non l'hanno inventato gli uomini ma solo constatato.

E questa regola riguarda la struttura del raziocinio, che è vera, non la verità delle affermazioni [ sulle quali si argomenta ].

33.51 - Nesso fra premesse e conclusioni

Nel passo citato, dove si trattava della risurrezione, è vera e la struttura del raziocinio e la conclusione che se ne deduce.

Nelle affermazioni false invece la verità dell'argomentazione è di questo tipo.

Supponiamo che uno abbia ammesso come vera la seguente proposizione: Se la lumaca è un animale, ha una voce.

Ammesso questo, quando gli sarà stato dimostrato che la lumaca non ha voce - dal momento che tolto il conseguente viene a cadere anche l'antecedente - dovrà concludere che la lumaca non è un animale.

Questa conclusione è falsa ma, una volta ammesso un antecedente falso, è vera la concatenazione che porta a tale conclusione.

Pertanto la verità di una proposizione ha valore di per se stessa, mentre la verità di un raziocinio si basa su ciò che crede o ammette colui col quale si ragiona.

È per questo che, come dicevamo sopra, da un'argomentazione con premesse vere deduciamo anche una conclusione falsa, affinché colui del quale vogliamo correggere l'errore si penta di aver ammesso la proposizione antecedente, vedendo che sono da respingere le conseguenze.

Da ciò si può facilmente comprendere che, come da false proposizioni si possono tirare conclusioni vere, così da vere proposizioni conclusioni false.

Poni il caso che uno abbia fatto l'ipotesi: Se quel tale è giusto è anche buono, e che la cosa sia stata ammessa per vera.

Il primo avrebbe potuto a quel punto sussumere: Ma egli non è giusto, e supponiamo che questa sua sussunta parimenti sia stata accettata.

Da queste premesse egli avrebbe potuto tirare questa conclusione: Pertanto non è buono.

Orbene, anche se tutte queste cose siano vere, non è tuttavia vera la norma con cui si è arrivati alla conclusione.

Infatti quando si toglie un conseguente, si toglie necessariamente anche l'antecedente, ma quando si toglie un antecedente non si toglie necessariamente anche il conseguente.

È vero quando diciamo: Se è un oratore è anche un uomo; ma se da questa affermazione passiamo all'altra: Ma non è un oratore, non sarebbe conseguente concludere: Allora non è un uomo.

34.52 - Regole della logica e verità delle affermazioni

Si conclude che una cosa è conoscere le norme che sono alla base del raziocinio, un'altra conoscere la verità delle affermazioni.

Con le prime si impara cosa sia conseguente, cosa non conseguente e cosa ripugni.

È conseguente l'espressione: Se è un oratore è anche un uomo; non conseguente: Se è un uomo è anche un oratore; ripugna: Se è un uomo è anche un quadrupede.

Si tratta sempre comunque di valutare la concatenazione in se stessa.

Quando invece si tratta della verità delle affermazioni, si debbono considerare le affermazioni in se stesse, non la loro concatenazione.

Comunque, quando affermazioni incerte si uniscono mediante una relazione logica vera ad affermazioni vere e certe, necessariamente anche esse diventano certe.

Ci sono poi alcuni che, per avere imparato la dottrina del comporre raziocini esatti,, si vantano quasi che tale risorsa sia la stessa verità delle affermazioni; mentre al contrario altri, pur possedendo la verità dell'affermazione, si deprimono a torto per il fatto che ignorano le norme del tirare conclusioni.

Certamente però è in condizione migliore chi sa che c'è la risurrezione dei morti che non coloro che sanno essere conseguente che, se non c'è risurrezione dei morti, nemmeno Cristo risorse. ( 1 Cor 15,13 )

35.53 - Definizioni vere, possibili anche in cose false

La scienza del definire, del dividere o del distribuire, sebbene la si adoperi anche in cose il più delle volte false, di per sé tuttavia non è falsa, né è stata inventata dagli uomini, ma è stata riscontrata nell'ordine delle cose.

È vero che di essa si sono serviti abitualmente i poeti nei loro racconti favolosi e così pure i falsi filosofi e gli eretici, cioè i falsi cristiani nelle loro teorie errate.

Non per questo tuttavia è falso che nel definire, nel dividere o nel distribuire non si possa accettare ciò che non ha connessione con la cosa in se stessa o scartare ciò che con la cosa ha connessione.

Questo è vero anche se non sono vere le cose che si definiscono o distribuiscono.

C'è infatti una definizione per lo stesso falso, e lo definiamo dicendo che il falso è una cosa rappresentata diversamente da quella che è, o in qualche altra maniera.

Si tratta di una definizione vera, sebbene il falso non possa mai essere cosa vera.

E ne possiamo fare anche la divisione, dicendo che ci sono due specie di falso: una delle cose che proprio non possono essere, un'altra delle cose che potrebbero essere ma non sono.

Così chi dice: Sette più tre fa undici, dice una cosa che non può essere in senso assoluto, mentre uno che dice, ad esempio: Il primo di gennaio è piovuto, per quanto la cosa non sia accaduta, dice tuttavia una cosa che sarebbe potuta accadere.

Pertanto la definizione e la ripartizione delle cose false può essere verissima, sebbene le cose false in se stesse non possano certo essere vere.

36.54 - Norme e limiti dell'eloquenza

Ci sono inoltre alcuni precetti riguardanti una dialettica più evoluta che si chiama eloquenza.

Sono precetti veri, sebbene possano servire per insegnare il falso.

Ma, siccome ci si può insegnare anche il vero, non bisogna incolpare l'arte in se stessa ma la perversità di chi se ne serve malamente.

Infatti non è stato stabilito dagli uomini il fatto che una manifestazione di affabilità concili l'animo dell'ascoltatore, o che una narrazione breve e chiara trasmetta facilmente ciò che si intenda dire, o che la varietà nell'esporre tenga attenti gli uditori e non li annoi.

Così di altre norme analoghe, che si adoperano in cause tanto false quanto vere e sono di per se stesse vere in quanto fanno o conoscere o credere qualcosa o spingono gli animi o a cercare o a rifuggire alcunché.

Esse sono state scoperte perché tale è la realtà delle cose e non introdotte affinché le cose stessero in tale maniera.

37.55 - Non si preferiscano retorica e dialettica alla sapienza del cuore

Questa parte di dottrina, quando la si conosce, deve usarsi più per comunicare le cose che si sono comprese che non come mezzo per comprenderle.

Viceversa, l'altra parte - quella delle conclusioni, delle divisioni e delle distribuzioni - aiuta moltissimo chi mira a comprenderle.

Ci si tenga però lontani dall'errore per cui gli uomini, quando hanno imparato queste regole, credono d'aver toccato con mano la verità stessa della vita beata.

Il più delle volte capita, in effetti, che si comprendano in se stesse le cose, per comprendere le quali si imparano queste norme, con facilità maggiore di quanto non si comprendano le scienze complicatissime e spinosissime che insegnano tali norme.

È come quando uno, volendo dare le norme per camminare, cominci col dire che non bisogna alzare il piede che sta dietro se non quando poggia in terra quello che sta avanti e poi descriva minuziosamente come si debbano muovere gli appoggi delle articolazioni e dei polpacci.

È vero tutto quel che dice, né si può camminare in altra maniera; ma è più facile che gli uomini facciano quei movimenti camminando di quanto non lo sia il porvi mente quando li fanno o li capiscano quando ne sentono parlare.

Quanto poi a quelli che non possono camminare, molto meno ancora si preoccupano di cose che non possono conseguire con la propria esperienza.

Così il più delle volte una persona intelligente vede che una conclusione non è consistente prima ancora di capirne le norme.

Chi invece è tardo d'ingegno non la vede, ma molto meno vede le norme che la riguardano.

Comunque, in tutte queste cose spesso la presentazione della verità ci diletta più di quanto non ne siamo aiutati nel disputare o nel giudicare.

È vero che [ tali arti ] possono rendere gli ingegni più esercitati; c'è però il pericolo che li renda anche più maliziosi e più gonfi [ d'orgoglio ].

Occorre cioè badare che quelli che hanno appreso tali scienze non amino o ingannare con discorsi o domande basate sul verosimile né credano di avere raggiunto chi sa quali grandezze, per cui si preferiscono ai buoni e agli onesti.

38.56 - La scienza dei numeri

Quanto alla scienza dei numeri, anche a chi è eccezionalmente tardo d'ingegno è evidente che essi non sono stati inventati dagli uomini, ma piuttosto da loro investigati e scoperti.

Non può succedere, riguardo ai numeri, quel che è successo nei riguardi della prima sillaba della parola Italia: gli antichi la pronunciavano breve, ma intervenne Virgilio ed è diventata lunga.4

Non così ciascuno di proprio arbitrio può fare sì che tre per tre non faccia nove o che non formino una figura quadrata o che non siano il triplo rispetto a tre, una volta e mezzo rispetto a sei, il doppio di nessun numero perché i numeri dispari non hanno la metà.5

Sia dunque che li si consideri in se stessi sia che vengano usati per comporre le leggi delle figure o dei suoni o di altri moti, i numeri hanno regole immutabili, regole che non sono state inventate dagli uomini ma scoperte dall'acume degli ingegni più dotati.

38.57 - Le creature dovrebbero portare l'uomo alla lode del creatore

Uno potrebbe amare tutte queste cose per vantarsene quando si trova fra gente ignara e non piuttosto per investigare da che dipende la verità di quelle cose che si è accorto essere solo vere e come mai alcune fra di esse sono non solo vere ma anche immutabili, se appunto comprende che sono immutabili.

In questo modo dalla forma dei corpi perviene alla mente umana.

E poi, trovando che quest'anima è mutevole, perché ora sa ora non sa, la vede collocata fra la verità incommutabile che la sovrasta e le rimanenti cose che sono mutevoli e inferiori a lei.

Così deduce che tutte le creature rivolgono l'uomo alla lode e all'amore dell'unico Dio, dal quale riconosce che tutto deriva.

Chi ragiona così può, certo, sembrare dotto, anche se non è in alcun modo sapiente.

39.58 - Il giovane cristiano di fronte alle conquiste della scienza

Ai giovani appassionati del sapere, dotati di intelligenza e timorati di Dio che ricercano la sapienza si possono dare salutarmente questi precetti: non si permettano di seguire con animo tranquillo - quasi che bastassero per raggiungere la vita beata - nessuna scienza di quelle che si professano al di fuori della Chiesa di Cristo, ma le valutino con mente lucida e con diligenza.

Potrà succedere che si imbattano in scienze inventate dagli uomini, diverse a causa della diversa volontà di chi le ha inventate e cadute in oblio a causa dei sospetti che suscita chi è incappato nell'errore o, soprattutto, casi in cui tali scienze contengono una società stipulata con i demoni quasi per mezzo di patti o convenzioni fondate su certi segni.

In questi casi i nostri giovani le debbono radicalmente rigettare e detestare.

E inoltre debbono disinteressarsi delle scienze umane superflue e di lusso.

Quanto invece alle istituzioni umane che servono alla convivenza sociale, a motivo dei rapporti che hanno con la vita presente, non le debbono trascurare.

Una parola sulle altre scienze che si trovano presso i pagani.

Positiva è la descrizione delle cose, passate e presenti, che riguardano i sensi del corpo.

Ad esse devono aggiungersi gli esperimenti e le supposizioni delle arti utili nell'ambito della fisica.

Positivo pure l'uso del metodo del raziocinio e del numero.

All'infuori di queste materie credo che altre utili non ci siano.

E riguardo a tutto questo deve osservarsi la norma: Nulla di troppo!6 soprattutto riguardo a quelle cose che, avendo relazione con i sensi del corpo, sottostanno all'andare del tempo e sono contenute nello spazio.

39.59 - Utilità dei sussidi biblici: lavoro da incrementarsi

Alcuni si sono dati da fare per tradurre separatamente tutti i verbi e i nomi ebraici, siriani, egiziani o scritti in qualsiasi altra lingua usata nelle sante Scritture, qualora questi verbi e nomi si trovino senza traduzione.

Ciò fece Eusebio nei riguardi della cronologia storica, a motivo di certe questioni dei Libri divini che ne richiedevano l'apporto.

Gli altri lo fecero nei riguardi delle altre materie consimili, per liberare il cristiano dalla necessità di sostenere molti lavori a motivo di poche cose.

Allo stesso modo ritengo che compia un'opera veramente caritatevole e vantaggiosa ai fratelli colui che con gioia si dedica ad elencare in scritto, facendone la sola spiegazione e descrivendo le cose in forma generica, tutte le località geografiche, gli animali, le erbe, le piante, le pietre e i metalli sconosciuti e tutti gli oggetti di vario genere di cui la Scrittura fa menzione.

Lo stesso può farsi anche nei riguardi dei numeri, limitando il computo ai soli numeri ricordati nella divina Scrittura.

In questo campo alcune ricerche, o forse tutte, sono già state eseguite; difatti abbiamo trovato molte nozioni elaborate e messe in iscritto da cristiani buoni e dotti, come non avremmo mai pensato.

Sono lavori che giacciono nell'oscurità per la negligenza di molti o perché certi invidiosi li hanno occultati.

Non so se la stessa cosa possa farsi sul sistema di discutere; credo anzi che la cosa sia impossibile perché la discussione è collegata a guisa di nervatura lungo tutto intero il testo scritturale.

Questo lavoro aiuta i lettori più a risolvere e spiegare le ambiguità che non a conoscere i segni ignoti di cui ora ci occupiamo.

40.60 - Conquiste filosofiche e arti liberali: da usarsi con criterio

Riguardo ai cosiddetti filosofi, massimamente ai platonici, nell'ipotesi che abbiano detto cose vere e consone con la nostra fede, non soltanto non le si deve temere ma le si deve loro sottrarre come da possessori abusivi e adibirle all'uso nostro.

Ci si deve comportare come gli Ebrei con gli Egiziani.

Questi non solo veneravano gli dèi ed imponevano ad Israele oneri gravosi che il popolo detestava fino a fuggirne, ma diedero loro vasi e gioielli d'oro e d'argento e anche delle vesti.

Il popolo ebraico all'uscita dall'Egitto di nascosto se li rivendicò come propri, per farne - diciamo così - un uso migliore.

Non fecero ciò di loro arbitrio ma per comando di Dio, e gli egiziani a loro insaputa glieli prestarono: ed effettivamente erano cose delle quali essi non facevano buon uso! ( Es 3,21-22; Es 12,35-36 )

Lo stesso si deve dire di tutte le scienze dei pagani.

Esse racchiudono invenzioni simulate e superstiziose come pure gravi pesi che costringono a un lavoro superfluo, cose tutte che ciascuno di noi, uscendo dal mondo pagano al seguito di Cristo deve detestare ed evitare.

Contengono però insieme a questo anche arti liberali, più consone con il servizio della verità, e alcuni utilissimi precetti morali; presso di loro si trovano anche alcune verità sul culto dell'unico Dio.

Tutto questo è come il loro oro e argento, che essi non inventarono ma estrassero da certe - chiamiamole così - miniere della divina Provvidenza, che si espande dovunque.

È vero che essi nella loro perversione e iniquità ne abusano per rendere culto ai loro dèi; non per questo però il cristiano, pur separandosi con lo spirito dalla loro miserabile società, deve buttar via tali ritrovati, qualora servano alla giusta missione di predicare il Vangelo.

Sarà anche lecito prendere ed adibire ad uso cristiano anche la loro veste, cioè le istituzioni, opera di uomini, che siano aderenti alla convivenza umana, alla quale in questa vita non possiamo sottrarci.

40.61 - Autori cristiani ben forniti di cultura classica

In realtà, cos'altro fecero molti nostri buoni fedeli?

Non ci accorgiamo forse come fosse sovraccarico di oro, di argento e di vesti quando usciva dall'Egitto Cipriano, dottore incantevole e martire beatissimo?

Come lo fosse Lattanzio e come lo fossero Vittorino, Ottato, Ilario, per tacere dei vivi?

Come lo fossero innumerevoli padri greci?

Una tal cosa fece per primo lo stesso Mosè, servo fedelissimo di Dio, del quale sta scritto che era istruito in ogni sorta di sapienza degli Egiziani. ( At 7,22 )

A tutti questi uomini la cultura superstiziosa dei gentili - specie in quei tempi in cui, respingendo il giogo di Cristo, perseguitava i cristiani - mai avrebbe fornito scienze ritenute utili se avesse sospettato che esse si sarebbero cambiate fino a rendere culto all'unico Dio, dal quale sarebbe stato abbattuto il culto vano degli idoli.

Se quindi diedero oro, argento e vesti al popolo di Dio che usciva dall'Egitto, lo fecero perché ignoravano come le cose che davano sarebbero tornate a onore di Cristo.

Quanto infatti accadde nell'Esodo senza dubbio aveva valore simbolico per raffigurare quest'altro fatto: cosa che mi permetto di asserire senza pregiudicare altri significati di identico o più alto valore.

41.62 - Accostarsi alla Scrittura ricchi di scienza e carità. Proprietà dell'issopo

Quando lo studioso di sacra Scrittura, equipaggiato in questa maniera, comincerà ad avvicinarsi ad essa per indagarne il senso, non cessi di pensare a quell'ammonimento dell'Apostolo: La scienza gonfia, la carità costruisce. ( 1 Cor 8,1 )

Così infatti si persuaderà che, sebbene esca ricco dall'Egitto, non potrà essere salvo se non avrà celebrato la Pasqua.

Ora la nostra Pasqua è Cristo che si è immolato, ( 1 Cor 5,7 ) e l'immolazione di Cristo nient'altro ci insegna più insistentemente di ciò che lui stesso grida - come a gente che vede soffrire in Egitto sotto il Faraone -: Venite a me, voi tutti che soffrite e siete gravati da pesi e io vi ristorerò.

Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore e troverete riposo per le vostre anime.

Infatti il mio giogo è soave e il mio peso leggero. ( Mt 11,28-30 )

A chi dice queste cose se non ai miti e agli umili di cuore, che non sono gonfiati dalla scienza ma costruiti dalla carità?

Ricordino dunque quelli che nei tempi antichi celebrarono la Pasqua attraverso ombre e figure: quando si ingiungeva loro di segnalare gli stipiti bagnandoli col sangue dell'agnello, essi li bagnarono mediante l'issopo, ( Es 12,22 ) un'erba tenera ed umile che però ha le radici più forti e penetranti di ogni altra pianta.

Così è di noi. Radicati e fondati nella carità dobbiamo saper comprendere, insieme a tutti i santi, quale sia la larghezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità, ( Ef 3,18 ) cioè la croce del Signore.

Di questa croce la larghezza sta nel legno trasversale su cui si stendono le braccia; la lunghezza, da terra fino al legno orizzontale, e su di essa sta confitto il resto del corpo dalle braccia in giù; l'altezza, dal legno orizzontale sino alla sommità, dove poggia il capo; la profondità, ciò che, conficcato per terra, rimane nascosto.

Con questo segno della croce si descrive tutto l'agire del cristiano: compiere in Cristo opere buone, a lui aderire con perseveranza, sperare le cose celesti, non profanare i sacramenti.

Purificati da questi impegni di vita rinnovata, noi saremo in grado di conoscere la carità di Cristo che supera ogni scienza umana ( Ef 3,19 ) e per la quale egli è uguale al Padre - lui per opera del quale furono fatte tutte le cose ( Gv 1,3 ) - sicché siamo ripieni di ogni pienezza di Dio.

Nell'issopo c'è anche una virtù purificante, per cui non succederà che, gonfiandoci la scienza per le ricchezze tolte agli Egiziani, il nostro polmone tumefatto aspiri a cose superbe.

Dice: Mi aspergerai con issopo e sarò purificato, mi laverai e sarò più bianco della neve.

Mi farai ascoltare gioia e letizia. ( Sal 51,9-10 )

Poi aggiunge come logica conseguenza, per dimostrare che con l'issopo si rappresenta la purificazione dall'orgoglio: Ed esulteranno le ossa che hai umiliato. ( Sal 51,10 )

42.63 - Confronto fra S. Scrittura e scienze umane

È da considerare che la quantità di oro, argento e vesti che quel popolo portò con sé dall'Egitto fu molto piccola rispetto alle ricchezze che accumulò poi a Gerusalemme, come risalta principalmente sotto il re Salomone. ( 1 Re 10,14-27 )

Allo stesso modo si deve dire che tutta la scienza - scienza invero utile - ricavata dai libri del paganesimo è molto piccola se la si confronta con la scienza desunta dalle divine Scritture.

In effetti, qualunque cosa possa l'uomo imparare dal di fuori [ delle Scritture ], se è nociva, è in esse condannata; se è utile, è in esse contenuta.

E quando uno ha trovato nelle Scritture tutte le cose che utilmente potrebbe imparare altrove, troverà inoltre in esse, e con molto maggiore abbondanza, tante altre cose che non si trovano assolutamente altrove, mentre nelle Scritture, e lì soltanto, le si apprende, data la loro mirabile altezza e umiltà.

Segni sconosciuti non ostacolino il lettore munito di questo bagaglio di istruzioni; sia mite e umile di cuore, si assoggetti con mansuetudine al giogo di Cristo.

Gravato del suo peso, che poi non è grave ma leggero; fondato e radicato e costruito nella carità, che la scienza non riesce a gonfiare, si accosti a scrutare e a discutere i segni ambigui che si trovano nelle Scritture, dei quali mi accingerò a dire adesso nel terzo libro quel che il Signore si degnerà di suggerirmi.

Indice

4 Verg., Aen. 1, 2
5 Aug., Ep. 3, 2;
De lib. arb. 2,8,22
6 Teren., Andr. 1, 61