La dottrina cristiana |
Un certo Ticonio, che un tempo era stato donatista, ha scritto contro i donatisti un'opera veramente irrefutabile, ma, per quel tanto che non ha voluto abbandonare la sètta, nei suoi libri ha lasciato segni di una mente soggetta a profonde assurdità.
Egli dunque compose un libro che chiamò Le Regole, per il fatto che vi trattò di sette regole mediante le quali, come con delle chiavi, si potrebbero aprire tutti i segreti delle Scritture divine.
Per prima pose quella concernente il Signore e il suo corpo; per seconda, il corpo del Signore nelle sue due sezioni; per terza, le promesse e la Legge; per quarta, il genere e la specie; per quinta, i tempi; per sesta, la ricapitolazione; per settima, il diavolo e il suo corpo.
Ora queste regole, considerate come lui le illustra, sono di non piccolo aiuto per penetrare i segreti delle lettere divine; tuttavia con queste regole non si può scoprire tutto ciò che nella Scrittura è contenuto in maniera difficile a comprendersi.
Bisogna ricorrere a numerosi altri espedienti che Ticonio non ha incluso nel suo numero di sette, tant'è vero che lui stesso espone numerosi passi oscuri senza ricorrere ad alcuna delle sue regole, anche perché non ce n'è bisogno.
Ci sono infatti, nella Scrittura, cose di cui egli non si occupa e non investiga.
Nell'Apocalisse di Giovanni, ad esempio, ricerca come si debbano intendere quegli angeli delle sette Chiese ai quali gli si comanda di scrivere e, dopo molti ragionamenti, giunge alla conclusione che per gli stessi angeli dobbiamo intendere le Chiese. ( Ap 1,20 )
Orbene in tutta questa amplissima trattazione non c'è alcun richiamo alle sue regole, anche se ivi si fanno ricerche su cose quanto mai oscure.
Questo lo si dica a modo di esempio.
È infatti troppo lungo e difficile raccogliere tutti i passi oscuri delle Scritture canoniche per i quali il ricorso a queste sette regole non serve a nulla.
Quanto all'autore invece, quando raccomanda queste cosiddette " regole ", attribuisce loro un tale valore che, conosciute e usate a dovere, permetterebbero di comprendere quasi tutti i passi oscuri che troviamo nella legge, cioè nei libri divini.
Apre infatti il suo libro con le seguenti parole: Prima di tutte le altre cose che a mio parere avrei dovuto trattare, ho ritenuto necessario scrivere un libriccino sulle " Regole ", costruendo come delle chiavi, o delle lucerne, per scrutare i segreti delle Scritture.
Si tratta di certe regole mistiche che penetrano i recessi più reconditi dell'intera legge e rendono visibili i tesori della verità che a qualcuno sarebbero invisibili.
Se il sistema di queste regole sarà accettato senza malevolenza, così come lo comunichiamo, tutte le cose nascoste saranno palesate e tutte le cose oscure diventeranno luminose.
In tal modo chi si troverà a camminare nell'immensa selva della profezia, guidato da queste regole come da bagliori di luce, sarà difeso dall'errore.3
Se egli avesse detto: " Ci sono delle regole mistiche con cui si riesce a penetrare alcuni passi reconditi della legge " o magari: " con cui si riesce a penetrare nei passi più reconditi della legge ", avrebbe detto la verità.
Non avrebbe dovuto dire: " I passi oscuri di tutta la legge " né: " Si apriranno tutti i recessi ", ma: " Si apriranno molti recessi ".
Alla sua opera così elaborata e così utile non avrebbe dovuto dare più peso di quanto il problema in se stesso richiede: in tal modo non avrebbe prodotto nel suo lettore e conoscitore una falsa speranza.
Tutte queste cose mi sono creduto in obbligo di dire affinché il libro sia, sì, letto dagli studiosi perché è di grandissimo aiuto per la comprensione delle Scritture, tuttavia non si speri di trovarvi quel che esso non contiene.
Lo si deve insomma leggere con cautela non solo per certi errori che l'autore, come uomo, ha commesso ma soprattutto per quegli altri che commette parlando da eretico donatista.
Ora mostrerò in breve ciò che insegnino o suggeriscano queste sette regole.
La prima regola riguarda il Signore e il suo corpo.
Ora, a questo proposito, noi sappiamo che a volte ci si prescrive di ritenere come unica la persona del capo e del corpo, cioè di Cristo e della Chiesa.
Non è stato detto senza motivo infatti ai cristiani: Voi siete stirpe di Abramo, ( Gal 3,29 ) quando unica è la stirpe di Abramo ed essa è Cristo.
Quando dunque si passa dal capo al corpo e dal corpo al capo senza che si rinneghi l'unica e identica persona, non si debbono avere esitazioni.
È infatti una la persona che parla quando dice: Come a uno sposo mi ha messo in capo il diadema e come una sposa mi ha adornata di gioielli. ( Is 61,10 )
Eppure occorre certamente distinguere quale delle due cose convenga al capo e quale al corpo, cioè quale a Cristo e quale alla Chiesa.
La seconda regola riguarda il corpo del Signore nelle sue due sezioni.
Effettivamente non lo si sarebbe dovuto chiamare così, poiché in realtà non è corpo del Signore quello che non sarà eterno con lui.
Si sarebbe dovuto dire: Il corpo del Signore vero e quello frammisto, oppure: quello vero e quello fittizio, o cose del genere.
In realtà bisogna affermare che non solo nell'eternità ma anche al presente gli ipocriti non sono con lui, sebbene sembrino far parte della sua Chiesa.
Sotto questo profilo la presente regola poteva anche esprimersi con la dizione: la Chiesa nella sua mescolanza.
Ma questa regola esige un lettore attento poiché la Scrittura, sebbene parli ormai ad una diversa categoria di persone, sembra parlare, quasi, a quegli stessi cui stava parlando prima, o che parli degli stessi ( mentre da quel punto in poi parla di altri ), quasi che per la mescolanza e comunione dei sacramenti che si ha nel tempo, sia unico il corpo dell'una e dell'altra categoria.
A questo si riferisce il detto del Cantico dei Cantici: Sono scura e bella come le tende di Cedar, come la pelle di Salomone. ( Ct 1,5 )
Non dice infatti: Un tempo fui scura come le tende di Cedar ma ora sono bella come la pelle di Salomone.
Ha detto che è allo stesso tempo l'una e l'altra cosa, per l'unità che nel tempo godono i pesci buoni e i pesci cattivi trovandosi in una medesima rete. ( Mt 13,48 )
Le tende di Cedar infatti sono una porzione di Ismaele, che non sarà erede insieme al figlio della donna libera. ( Gen 21,10; Gal 4,30 )
Pertanto della porzione dei buoni Dio dirà: Condurrò i ciechi per la via che non conoscevano e batteranno strade che non conoscevano; io renderò ad essi le tenebre luce e le vie tortuose renderò diritte: queste cose farò e non li abbandonerò.
Successivamente dice dell'altra porzione che si era mescolata pur essendo di cattivi: Loro al contrario si sono voltati indietro, ( Is 42,16-17 ) sebbene con queste parole si indichino ancora gli altri.
Siccome però adesso sono in un'entità sola, parla di essi come di coloro dei quali stava parlando antecedentemente.
Ma non saranno sempre uniti.
Si tratta infatti di quel servo ricordato nel Vangelo che il suo padrone, quando verrà, dividerà e metterà la sua parte insieme con quella degli ipocriti. ( Mt 24,51 )
La terza regola è circa le promesse e la Legge, che con altre parole si può chiamare " lo spirito e la lettera ", come l'abbiamo chiamata noi nel libro che abbiamo scritto sull'argomento.
Si potrebbe anche chiamare " la grazia e il precetto ".
Ora questo mi sembra essere piuttosto un grosso problema che non una regola da usarsi per risolvere le questioni.
È quanto non hanno compreso i pelagiani e così ci fondarono, o almeno incrementarono, la loro eresia. Ticonio lavorò bene per estirparla ma non lo fece in modo completo.
Infatti, disputando della fede e delle opere, disse che le opere ci vengono date per merito della fede, mentre invece la fede in se stessa è roba nostra senza che Dio la immetta in noi.
Non bada a quel che dice l'Apostolo: Ai fratelli pace e carità insieme con la fede che proviene da Dio Padre e dal Signore Gesù Cristo. ( Ef 6,23 )
Egli però non aveva conosciuto l'esistenza di questa eresia che, nata al tempo nostro, ci ha messo molto alla prova perché difendessimo contro di essa la grazia di Dio, che è dono del nostro Signore Gesù Cristo.
Diceva l'Apostolo: Bisogna che ci siano le eresie affinché appaia chi fra voi sono gli approvati. ( 1 Cor 11,19 )
Questa falsa dottrina ci ha resi più vigili e attenti, facendoci notare nelle sante Scritture delle cose che sfuggirono al nostro Ticonio, di noi meno attento e meno preoccupato del nemico, e precisamente che la stessa fede è dono di colui che la distribuisce a ciascuno secondo la propria misura. ( Rm 12,3 )
In conformità con questa teoria è detto: A voi è stato dato in Cristo non solo di credere in lui ma anche di patire per lui. ( Fil 1,29 )
Ascoltando con fede e sapienza che le due cose sono state a noi donate, chi potrebbe dubitare che ambedue sono dono di Dio?
Ci sono anche parecchie altre testimonianze con le quali si dimostra la cosa, ma ora non ci occupiamo di questo.
Ne abbiamo trattato spessissimo e in parecchie opere.
La quarta regola di Ticonio riguarda la specie e il genere.
Egli la chiama così intendendo per specie la parte e per genere il tutto del quale quella che chiama specie è una parte.
Così una città è ovviamente parte della totalità dei popoli, ed egli chiama la città specie, tutti i popoli genere.
Né è il caso di ricorrere qui a quella sottigliezza nel distinguere in uso fra i dialettici che disputano con grande acume per stabilire la differenza fra parte e specie.
Lo stesso ragionamento vale quando una cosa di questo tipo si incontra nei Libri divini non per una singola città ma per una provincia o nazione o regno.
Né soltanto, per esempio, di Gerusalemme o di qualche città del mondo pagano, come Tiro, Babilonia o qualche altra, si dicono nelle sante Scritture cose che superano le loro dimensioni e convengono piuttosto alla totalità dei popoli; ma anche della Giudea, dell'Egitto, dell'Assiria e di molte altre nazioni, in cui sono parecchie città che però non sono l'intero universo ma una sua parte, si dicono cose che oltrepassano le loro dimensioni e convengono piuttosto all'universo in se stesso, di cui esse sono parte, o, come si esprime costui, convengono al genere, di cui ognuna sarebbe una specie.
Peraltro tali parole sono diventate di dominio popolare, di modo che anche l'illetterato capisce ciò che in un decreto imperiale è stabilito in maniera speciale e cosa in maniera generale.
Questo accade anche per le persone: come, ad esempio, le cose dette di Salomone oltrepassano il riferimento a lui e prendono piena luce quando le si riferiscono piuttosto a Cristo o alla Chiesa, di cui egli era una parte.
Né succede sempre che si oltrepassi la specie.
Spesso infatti si dicono cose che chiarissimamente convengono anche alla specie o, forse, soltanto ad essa, ma quando dalla specie si passa al genere, mentre sembra che la Scrittura parli ancora della specie, in tal caso il lettore deve avere gli occhi bene aperti per non cercare nella specie ciò che può trovare più agiatamente e con maggiore sicurezza nel genere.
Cose come queste riscontriamo con facilità nelle parole del profeta Ezechiele: La casa d'Israele ha abitato nella terra [ promessa ], e l'ha lordata con la sua condotta, con i suoi idoli e i suoi peccati.
Come l'impurità di una donna nelle sue mestruazioni così è diventata la loro condotta davanti a me.
E io ho dato sfogo alla mia ira contro di loro e li ho dispersi fra le nazioni e li ho sparpagliati in tutti i paesi.
Li ho giudicati secondo la loro condotta e secondo i loro peccati. ( Ez 36,17-19 )
È facile, dicevo, intendere queste parole di quella casa d'Israele della quale dice l'Apostolo: Osservate l'Israele secondo la carne, ( 1 Cor 10,18 ) poiché tutte queste cose effettivamente quel popolo le ha fatte e le ha sofferte.
Anche le parole che vengono dopo si comprende come possano convenire a quel popolo.
Ma quando comincia a dire: E santificherò il mio nome santo e grande che è stato profanato fra le nazioni che voi profanaste in mezzo a loro, e sapranno le genti che io sono il Signore. ( Ez 36,23 )
A questo punto, chi legge deve stare attento e vedere come si oltrepassi la specie e si raggiunga il genere.
Continuando, dice infatti: E quando sarò santificato in mezzo a voi davanti ai loro occhi, vi prenderò di fra mezzo alle Genti e vi radunerò da tutte le contrade e vi condurrò nella vostra terra.
Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati da tutti i vostri idoli e vi renderò puri; e vi darò un cuore nuovo e uno spirito nuovo.
Toglierò dal vostro corpo il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne e vi darò anche il mio spirito.
E vi farò camminare nella mia giustizia e voi custodirete i miei giudizi e li metterete in pratica.
Abiterete nella terra che diedi ai vostri padri, e voi sarete mio popolo e io sarò vostro Dio.
E vi purificherò da tutte le vostre immondezze. ( Ez 36,24-29 )
Non si può porre in dubbio che questo sia stato profetizzato del Nuovo Testamento, al quale appartiene non solo quell'unico popolo nei suoi eredi, di cui è scritto altrove: Se il numero dei figli d'Israele fosse come la sabbia del mare, un resto sarà salvato, ( Is 10,22 ) ma anche le altre nazioni che erano state promesse in eredità ai loro padri, che poi sono anche i padri nostri.
Non resta confuso chi vede come [ in tali parole ] è promesso il lavacro della rigenerazione, che attualmente vediamo amministrato a tutte le genti, e pensa a quello che dice l'Apostolo sottolineando l'eccellenza della grazia del Nuovo Testamento a confronto con quella del Vecchio.
La nostra lettera- dice - siete voi: lettera scritta non con l'inchiostro ma con lo Spirito del Dio vivente; non in tavole di pietra ma nelle tavole di carne che sono il cuore. ( 2 Cor 3,2-3 )
Egli guarda là e trova che è preso dal detto profetico: E vi darò un cuore nuovo e uno spirito nuovo; toglierò dal vostro corpo il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne.
Volle che il cuore di carne - di cui dice l'Apostolo: Nelle tavole del cuore carnale - fosse distinto dal cuore di pietra, essendo quello dotato di vita sensitiva e nella vita sensitiva volle significare la vita intellettiva.
Così si forma l'Israele spirituale, risultante non da un solo popolo ma da tutti i popoli, promessi ai padri come loro discendenza, che poi è Cristo.
Questo Israele spirituale si distingue dall'Israele carnale, limitato a un solo popolo, per la novità della grazia non per la nobiltà della patria, per lo spirito non per la gente che lo compone.
Quando pertanto il Profeta dalle altezze in cui si trova parla di questo secondo o a questo secondo, senza che noi ce ne accorgiamo passa al primo, e quando parla del primo o al primo, sembra che ancora parli dell'altro o all'altro.
Questo non per sottrarci, come farebbe un nemico, la comprensione delle Scritture ma per allenare da bravo medico la nostra mente.
Così le parole: E vi introdurrò nella vostra terra e quelle che dice poco dopo, quasi ripetendo lo stesso concetto: E abiterete - dice - nella terra che diedi ai vostri padri, non dobbiamo intenderle in senso carnale, quasi siano riferite all'Israele secondo la carne, ma spiritualmente, cioè dirette all'Israele spirituale.
È infatti la Chiesa - quella sposa senza macchia e senza ruga ( Ef 5,27 ) adunata da tutte le genti e destinata a regnare in eterno con Cristo - la terra dei viventi; ( Sal 27,13 ) e di questa Chiesa bisogna intendere che fu data ai padri quando fu loro promessa da Dio con volontà certa e irrevocabile.
In effetti essa fu già data nella stabilità della promessa o, meglio della predestinazione, e dai padri fu creduto che sarebbe stata data a suo tempo.
È come quando, parlando della grazia concessa ai santi, dice l'Apostolo scrivendo a Timoteo: Non in seguito ad opere nostre ma in forza del suo progetto e della sua grazia, ci è stata data in Cristo Gesù prima dei secoli eterni e si è manifestata adesso mediante la venuta del nostro Salvatore. ( 2 Ts 1,9-10 )
Dice che la grazia fu data quando nemmeno esistevano coloro ai quali si intendeva darla, poiché nel piano e nella predestinazione di Dio già era avvenuto quello che si sarebbe realizzato - l'Apostolo dice " manifestato " - a suo tempo.
Inoltre le parole della profezia si potrebbero intendere anche della terra del mondo avvenire, quando ci saranno cieli nuovi e terra nuova, ( Ap 21,1 ) in cui non potranno abitare quanti sono privi della giustizia.
Pertanto giustamente si dice ai fedeli che essa è la loro terra, in quanto sotto nessun punto di vista potrà essere terra degli empi.
Se ne deduce che anch'essa, a somiglianza [ della grazia ], fu concessa quando si stabilì perentoriamente di concederla.
Come quinta regola Ticonio pone quella che chiama Dei tempi.
Con la quale regola si potrebbe trovare o almeno congetturare la durata dei tempi lasciata nell'oscurità dalla santa Scrittura.
Egli dice che questa regola è valida in due campi: o nel tropo detto sineddoche o nei numeri perfetti.
La sineddoche è un tropo che consente di prendere il tutto per la parte o la parte per il tutto.
Ad esempio un Evangelista dice che accadde dopo otto giorni - mentre un altro dice dopo sei - l'episodio in cui sul monte alla presenza di tre soli discepoli il volto del Signore divenne splendente come il sole e le sue vesti come la neve. ( Lc 9,28; Mt 17,1-2; Mc 9,1-2 )
Le affermazioni circa il numero dei giorni non potrebbero essere vere tutte e due, se non si interpreta che colui che dice dopo otto giorni non abbia posto come due giorni completi e interi e la porzione finale del giorno in cui Cristo predisse la cosa che sarebbe accaduta e la parte iniziale del giorno in cui la cosa divenne fatto compiuto.
Viceversa, colui che disse dopo sei giorni computò solo i giorni completi e interi, cioè solo i giorni di mezzo.
Con questo genere di locuzione con cui si indica il tutto per la parte si risolve anche la nota questione circa la resurrezione di Cristo.
Se infatti non si prende l'ultima parte del giorno in cui subì la passione e la si considera come un giorno intero, comprendendovi anche la notte che l'aveva preceduta, e se non si prende come giorno intero anche la notte al termine della quale risuscitò - aggiungendovi cioè la domenica di cui si era all'alba -, non possono aversi i tre giorni e le tre notti che egli aveva predetto di restare nel cuore della terra. ( Mt 12,40 )
Quanto ai numeri perfetti, [ Ticonio ] chiama così i numeri che la divina Scrittura privilegia sugli altri, come il sette, il dieci, il dodici e tutti gli altri che gli studiosi leggendo riconoscono facilmente.
Il più delle volte questi numeri indicano la totalità del tempo.
Così il detto: Ti loderò sette volte al giorno, ( Sal 119,164 ) non significa altro se non che la sua lode sarà sempre sulla mia bocca. ( Ger 25,11; Ger 29,10 )
Lo stesso significato hanno quando li si moltiplica per dieci, e si ha settanta o settecento, per cui si possono interpretare simbolicamente i settanta anni di Geremia e intenderli di tutto il tempo in cui la Chiesa è presso gli estranei.
Ugualmente quando li si moltiplica per se stessi: dieci per dieci, uguale a cento; dodici per dodici, uguale a centoquarantaquattro, numero col quale nell'Apocalisse si indica la totalità dei santi. ( Ap 7,4 )
Si rende così evidente che con questi numeri non si hanno da risolvere solo questioni concernenti il tempo ma il loro significato si allarga a molte altre cose e abbraccia molti soggetti.
In effetti quel numero dell'Apocalisse non si riferisce a problemi temporali ma riguarda persone.
La sesta regola Ticonio la chiama Ricapitolazione, regola che egli molto acutamente ha trovato per le difficoltà delle Scritture.
Alcune cose infatti sono così riferite come se si susseguissero in ordine di tempo o come se fossero narrate secondo un susseguirsi reale, in quanto il racconto in maniera nascosta si rifà a cose anteriori tralasciate.
Se questo nella presente regola non si tiene presente, si cade in errore.
Sia d'esempio il Genesi. Dice: E il Signore Dio arricchì di piante il paradiso, [ che era ] in Eden ad Oriente, e vi collocò l'uomo che formò, e Dio produsse ancora dalla terra ogni albero bello [ a vedersi ] e buono a mangiarsi. ( Gen 2,8-9 )
Con tali parole sembrerebbe dirsi che tutto ciò fu fatto dopo che Dio aveva posto nel paradiso l'uomo che aveva creato.
Ricordate compendiosamente le due cose - che cioè Dio arricchì di piante il paradiso e che vi pose l'uomo che aveva formato - la Scrittura torna da capo ricapitolando e dice quanto aveva omesso: che il paradiso era stato abbellito di piante, che Dio produsse ancora dalla terra ogni albero bello [ a vedersi ] e buono a mangiarsi.
Poi proseguendo aggiunge: E l'albero della vita in mezzo al paradiso e l'albero della scienza del bene e del male. ( Gen 2,9 )
Poi si descrive il fiume che irrigava il paradiso e quindi si divideva in quattro corsi d'acqua, cose tutte che si riferiscono alla configurazione del paradiso.
Terminato questo racconto, ripete ciò che aveva detto, e che in realtà si sarebbe dovuto dire dopo, e dice: E il Signore Dio prese l'uomo da lui formato e lo collocò nel paradiso. ( Gen 2,15 )
In realtà l'uomo fu lì collocato dopo che tutte le altre cose erano state create, come ora la stessa disposizione ordinata dimostra.
Non è vero che tutte le altre creature furono fatte dopo che l'uomo era stato ivi collocato, come si sarebbe potuto credere a una prima lettura, se non vi si introduce intelligentemente la figura della ricapitolazione, con cui si torna a ciò che era stato omesso.
Parimenti, nello stesso libro dice la Scrittura elencando le generazioni dei figli di Noè: Questi i figli di Cam, secondo le loro tribù, le loro lingue, paesi e nazioni. ( Gen 10,10 )
E ancora, enumerati i figli di Sem, dice: Questi i figli di Sem secondo le loro tribù, lingue, paesi e nazioni. ( Gen 10,31 )
E parlando di tutti prosegue: Queste le tribù dei figli di Noè secondo la loro genealogia e secondo le loro nazioni.
Da loro dopo il diluvio si dispersero i popoli delle isole dei gentili per tutta la terra.
E tutta la terra aveva una sola bocca e tutti una sola voce. ( Gen 10,32; Gen 11,1 )
Si aggiunge dunque questo, che cioè tutta la terra aveva una sola bocca e tutti una sola voce, vale a dire una unica lingua.
Questo sembrerebbe detto come se anche nel tempo in cui furono dispersi su tutta la terra, ivi comprese le isole delle genti, la lingua fosse ancora unica e comune a tutti.
La qual cosa ripugna senz'altro alle precedenti parole dove si diceva: Secondo le loro tribù e le loro lingue.
Non si sarebbe dovuto infatti dire che le singole tribù avevano già la loro propria lingua - quelle tribù che diedero origine alle diverse nazioni - se è vero che unica e comune era la lingua di tutte.
Ciò significa che a modo di ricapitolazione fu aggiunto: Ed aveva tutta la terra una sola bocca e tutti un'unica voce, riprendendosi in maniera nascosta la narrazione dicendo come accadde che gli uomini, che avevano avuto tutti un'unica lingua, fossero divisi in molte lingue.
E subito ci si narra della costruzione della torre per la quale secondo il giudizio divino fu loro inflitto quel castigo meritato dalla superbia.
Fu dopo questo episodio che gli uomini furono dispersi su tutta la terra e ciascuno ebbe la propria lingua.
Questa ricapitolazione avviene anche in passi più oscuri, come nel Vangelo, là dove dice il Signore: Nel giorno in cui Lot uscì da Sodoma e piovve fuoco dal cielo e uccise tutti.
Così sarà il giorno del Figlio dell'uomo quando si rivelerà.
In quell'ora chi sarà sul tetto e avrà in casa i suoi oggetti, non scenda per andarli a prendere; e chi si trova nel campo ugualmente non torni indietro: si ricordi della moglie di Lot. ( Lc 17,29-32; Gen 19,26 )
Forse che, quando il Signore si sarà rivelato, bisognerà osservare tutte queste disposizioni, cioè non guardare indietro, o, in altre parole, non aspirare di nuovo alla vita cui si è rinunziato?
O non lo si deve fare piuttosto al tempo presente, di modo che, quando il Signore si rivelerà, si riceva la ricompensa di quanto ciascuno ha osservato o disprezzato?
Ma poiché è detto: In quell'ora, verrebbe da credere che queste norme si debbano osservare quando il Signore si rivelerà, se l'attenzione di chi legge non è desta a scoprirvi una ricapitolazione.
In tal senso gli viene in aiuto un'altra Scrittura che, al tempo in cui vivevano ancora gli Apostoli, esclama: Figli, è l'ultima ora. ( 1 Gv 2,18 )
Ebbene, l'ora in cui si debbono osservare queste prescrizioni è tutto il tempo in cui viene predicato il Vangelo fino al giorno in cui si manifesterà il Signore.
In effetti la stessa manifestazione del Signore fa parte di quell'ora che avrà il suo termine nel giorno del giudizio. ( Rm 2,5; Rm 13,11 )
La settima e ultima regola di Ticonio è Il diavolo e il suo corpo.
Egli infatti è il capo degli empi, che ne costituiscono in certo qual modo il corpo e andranno insieme con lui al supplizio del fuoco eterno. ( Mt 25,41 )
Analogamente Cristo è il capo della Chiesa, che è il suo corpo e andrà con lui nel regno e nella gloria eterna. ( Ef 1, 22-23 )
Si ricordi pertanto la prima regola, chiamata [ da Ticonio ] Il Signore e il suo corpo e come in essa occorra star desti per comprendere cosa riguardi il capo e cosa il corpo, pur parlando la Scrittura di un'unica e identica persona.
Così è in questa ultima.
Talvolta si applica al diavolo ciò che troviamo non in lui ma piuttosto nel suo corpo.
Egli infatti ha un corpo costituito non soltanto da coloro che in maniera del tutto palese sono fuori [ della Chiesa ] ma anche da coloro che, pur appartenendo a lui, tuttavia sono temporaneamente uniti alla Chiesa, finché ciascuno non esca da questo mondo o finché la paglia non venga separata dal grano mediante il ventilabro usato alla fine [ dal Signore ]. ( Lc 3,17 )
Un esempio sono le parole del libro di Isaia dove è scritto: Come cadde dal cielo Lucifero che sorgeva al mattino ( Is 14,12 ) e il seguito.
Sotto la figura del re di Babilonia nel medesimo contesto del discorso sono dette cose riguardanti la persona stessa del re o che sono a lui rivolte, eppure si intendono bene del diavolo, mentre ciò che nello stesso passo è detto: È stato sfracellato in terra colui che inviava [ messaggeri ] a tutta la terra, ( Is 14,12 ) non si adatta completamente alla persona del capo.
Difatti, per quanto sia il diavolo a mandare i suoi angeli a tutti i popoli, tuttavia colui che viene sfracellato sulla terra non è lui ma il suo corpo.
A meno che non lo si riferisca al fatto che, essendo egli nel suo corpo, in questo stesso corpo viene lui stesso sfracellato e diventa come polvere che il vento disperde sulla superficie della terra. ( Sal 1,4 )
Orbene, tutte queste regole - eccetto quella chiamata Le promesse e la Legge - mediante una cosa ne fanno comprendere un'altra: il che è proprio del parlare in tropi, i quali peraltro si estendono tanto che non si può, a mio avviso, comprendere tutto da un singolo elemento.
Difatti là dove si dice una cosa perché se ne comprenda un'altra, sebbene il nome del tropo non si trovi nell'arte retorica, tuttavia si tratta di una espressione tropica.
La quale, se si usa dove si è soliti usarla, senza sforzo si ottiene la comprensione; se invece la si usa dove di solito non la si trova, si stenta a comprendere e c'è chi stenta di più e chi di meno, secondo che più o meno grandi sono i doni di Dio elargiti alle menti umane o gli aiuti loro concessi.
In conclusione, come nei termini propri - di cui sopra abbiamo trattato - le cose sono da intendersi come suonano le parole, così nelle espressioni traslate che costituiscono i tropi: da una cosa se ne può intendere un'altra.
Ma di questo abbiamo ormai trattato quanto ci sembrava opportuno.
Quanto agli studiosi delle lettere degne di assoluta venerazione, non solo li si deve spingere a conoscere i generi letterari in uso nelle Sacre Scritture e a penetrare con solerzia il modo come ogni cosa ivi è di solito espressa, ritenendola poi a memoria, ma anche a pregare per ottenere l'intelligenza, essendo la preghiera il mezzo principale e più necessario.
In quelle lettere infatti di cui sono appassionati leggono che il Signore dà la sapienza e dal suo volto derivano scienza e intelligenza. ( Pr 2,6 )
Da lui hanno infatti ricevuto il loro stesso trasporto quando esso è unito alla pietà.
Con questo facciamo basta a tutto ciò che riguarda i segni, compresi quelli contenuti in parole.
Resta da discutere sul modo di comunicare agli altri le cose imparate e lo faremo nel seguente volume dicendo ciò che il Signore ci concederà.
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3 | Tycon., Praef |