La Genesi alla lettera |
La sacra Scrittura nel suo complesso è divisa in due parti, come indica il Signore quando afferma che uno scriba istruito nelle cose del Regno di Dio è come un padre di famiglia che trae fuori dal suo tesoro cose nuove e cose antiche, ( Mt 13,52 ) come si chiamano anche i due Testamenti.
In tutti i Libri sacri si devono poi distinguere le verità eterne che vi sono inculcate e i fatti che vi sono narrati, gli eventi futuri che vi sono predetti, le azioni che ci si comanda o consiglia di compiere.
Rispetto dunque al racconto dei fatti sorge la questione se tutto dev'essere inteso in senso figurato oppure si deve affermare e sostenere anche l'autenticità dei fatti attestati.
Poiché nessun cristiano oserà affermare che nessun passo [ della Scrittura ] dev'essere inteso in senso figurato qualora consideri attentamente le parole dell'Apostolo: Tutte queste cose però accaddero loro in figura, ( 1 Cor 10,11 ) e ciò che sta scritto nella Genesi: E saranno due in una sola carne, ( Gen 2,24 ) ch'egli dichiara essere una gran verità misteriosa in rapporto a Cristo e alla Chiesa. ( Ef 5,32 )
Se dunque la Scrittura dev'essere interpretata in entrambi i predetti sensi, in qual senso, all'infuori di quello allegorico, è stato detto: Nel principio Dio creò il cielo e la terra? ( Gen 1,1 )
Forse "all'inizio del tempo" o perché furono fatti "prima di tutte le cose" oppure "nel Principio, ch'è il Verbo di Dio, suo unico Figlio"?
Inoltre, in qual modo potrebbe dimostrarsi che Dio crea esseri mutevoli e temporali senza subire alcun mutamento di se stesso?
E che cosa potrebbe essere indicato con le parole "cielo" e "terra"?
Ha forse il nome di "cielo e terra" la creatura spirituale e corporale o soltanto quella corporale?
Bisognerebbe allora pensare che la Scrittura in questo libro ha passato sotto silenzio la creatura spirituale e ha usato l'espressione cielo e terra per indicare l'insieme delle creature corporali, sia quelle superiori che quelle inferiori?
O forse è stata chiamata "cielo e terra" la materia informe delle une e delle altre creature: cioè da una parte la vita spirituale, quale può essere in sé prima di volgersi verso il Creatore - proprio grazie a questo suo volgersi verso il Creatore essa viene formata e resa perfetta, ma rimane informe se non si volge verso di Lui -; da un'altra parte la vita corporale, se fosse possibile concepirla interamente priva delle proprietà corporee che appaiono nella materia formata, quando i corpi hanno già le forme specifiche percettibili con la vista o con un altro senso.
Oppure per "cielo" si deve intendere forse la creatura spirituale, perfetta e beata per sempre fin dal primo istante della sua creazione, per "terra" al contrario la materia corporea ancora imperfetta?
Infatti la terra - è detto - era invisibile e confusa e le tenebre erano sopra l'abisso, ( Gen 1,2 ) parole con cui [ la Scrittura ] sembra indicare lo stato informe della sostanza corporea.
O forse con queste ultime parole della frase viene indicato anche lo stato informe di entrambe le creature, cioè della corporea, per il fatto ch'è detto: La terra era invisibile e confusa; di quella spirituale, invece, per il fatto ch'è detto: Le tenebre erano sopra l'abisso?
In questo caso, l'abisso tenebroso sarebbe un'espressione metaforica per denotare la natura della vita ch'è informe, se non si volge verso il Creatore, poiché solo in questo modo può assumere la forma per cessare d'essere abisso, e può venire illuminata per cessare d'essere tenebrosa.
Inoltre, in qual senso è detto: Le tenebre erano sopra l'abisso? Forse perché non c'era ancora la luce?
Poiché, se la luce fosse esistita, sarebbe stata sopra l'abisso e, per così dire, diffusa sulla sua superficie: ciò avviene nella creatura spirituale quando si volge alla luce immutabile e incorporea che è Dio.
Inoltre, in qual modo Dio disse: Vi sia la luce? ( Gen 1,3 )
Nel tempo o nell'eternità del Verbo? Ma se lo disse nel tempo, lo disse anche nel mutamento.
In qual modo, allora, si potrebbe pensare che Dio pronunci questa frase se non mediante una creatura? Egli infatti è immutabile.
Ma se Dio disse: Vi sia la luce mediante una creatura, in qual modo la luce sarebbe la prima creatura, se già esisteva un'altra creatura per mezzo della quale Dio potesse dire: Vi sia la luce?
O forse la luce non sarebbe la prima creatura poiché era già stato detto: Nel principio Dio creò il cielo e la terra? ( Gen 1,1 )
Inoltre, si sarebbe potuto pronunciare l'ordine: Vi sia la luce mediante una creatura celeste nel tempo e nel mutamento?
Se la cosa sta così, questa luce fisica che noi vediamo con gli occhi del corpo, Dio l'ha fatta dicendo: Vi sia la luce mediante una creatura spirituale, creata già prima da lui quando nel principio creò il cielo e la terra, in modo che, in virtù d'un interno e misterioso impulso di tale creatura impressole da Dio, questi avrebbe potuto dire: Vi sia la luce?
O forse la voce di Dio risonò anche materialmente allorché disse: Vi sia la luce, allo stesso modo che risonò materialmente la voce di Dio quando disse: Tu sei il Figlio mio prediletto? ( Mt 3,17 )
E ciò [ avvenne forse ] per mezzo d'una creatura fisica che Dio avrebbe creata quando nel principio creò il cielo e la terra, prima che vi fosse la luce, che fu creata quando risonò questa voce?
Ma se la cosa sta così, in quale lingua risonò questa voce allorché Dio disse: Vi sia la luce, dato che non c'era ancora la diversità delle lingue avvenuta in seguito durante la costruzione della torre dopo il diluvio? ( Gen 11,7 )
Qual era quell'unica e sola lingua, in cui Dio pronunziò: Vi sia la luce?
E chi era colui al quale potesse una tale parola esser rivolta e che avrebbe dovuto ascoltarla e capirla?
O non è forse, questa, un'idea e un'ipotesi illogica e carnale?
Che diremo dunque? Conviene forse che per "voce di Dio" s'intenda il senso espresso dalla voce che dice: Vi sia la luce? e non lo stesso suono materiale?
Inoltre la stessa voce non appartiene forse alla natura del suo Verbo di cui è detto: In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio? ( Gv 1,1 )
Quando infatti la Scrittura afferma che: Tutto è stato fatto per mezzo di Lui, ( Gv 1,3 ) dimostra assai chiaramente che anche la luce fu fatta per mezzo di Lui, allorché Dio disse: Vi sia la luce.
Se la cosa sta così, la parola: Vi sia la luce, detta da Dio, è eterna, poiché il Verbo di Dio, Dio in Dio, Figlio unico di Dio, è coeterno col Padre, sebbene la creatura, fatta per mezzo di quella Parola di Dio pronunciata nel suo Verbo eterno, sia temporale.
Anche se, quando noi diciamo "quando" e "un giorno", queste sono parole relative al tempo, tuttavia, nel Verbo di Dio, è fissato dall'eternità "quando" una cosa dev'esser fatta e viene fatta "allorquando" è fissato che si sarebbe dovuta fare per mezzo del Verbo, in cui non c'è né "quando" né "un giorno" poiché il Verbo è il "Tutto eterno".
Ma cos'è propriamente la luce che fu creata? È forse qualcosa di spirituale o di materiale?
Se infatti è spirituale, essa potrebbe essere la prima creatura resa ormai perfetta da questa Parola, mentre dapprima fu chiamata "cielo", quando fu detto: Nel principio Dio creò il cielo e la terra. ( Gen 1,1 )
In tal modo le parole: Dio disse: Vi sia la luce. E vi fu la luce, ( Gen 1,4 ) potrebbero essere intese nel senso che si volse verso di Lui e fu illuminata nel momento in cui il Creatore la richiamò a sé.
E perché mai la Scrittura dice: Nel principio Dio creò il cielo e la terra e non: "Nel principio Dio disse: "Vi sia il cielo e la terra"?
" E vi furono il cielo e la terra", allo stesso modo ch'è narrato a proposito della luce: Dio disse: Vi sia la luce. E vi fu la luce?
Forse che prima con l'espressione "cielo e terra" bisognava abbracciare e affermare genericamente ciò che Dio aveva fatto e di poi spiegare in particolare come lo aveva fatto, dicendo per ogni creazione: Dio disse, nel senso che tutto ciò che Dio fece lo fece mediante il suo Verbo?
O forse non era conveniente usare l'espressione: Dio disse: Vi sia… nell'atto che veniva creata la materia informe, tanto la spirituale quanto la corporale, poiché l'imperfezione non imita la forma del Verbo sempre unito al Padre, cioè del Verbo per mezzo del quale Dio chiama eternamente all'esistenza tutte le cose, non con il far risonare delle parole, né mediante il pensiero che si svolge nella durata delle parole pronunciate, ma in virtù della luce della Sapienza da lui generata e a lui coeterna?
Essendo dissimile da chi "è" in sommo grado e in modo originario, la materia, per una sorta d'informità, tende verso il nulla; [ la creatura ] invece imita la forma del Verbo sempre e immutabilmente unita al Padre, quando anch'essa col volgersi, in modo proporzionato al suo genere, verso Chi è veramente ed eternamente, cioè verso il Creatore della propria sostanza, ne riceve la somiglianza e diventa perfetta?
In tal modo quanto narra la Scrittura: E Dio disse: Vi sia… potremmo intenderlo come la parola incorporea di Dio emanante dalla natura del suo Verbo coeterno, che richiama a sé la creatura ancora imperfetta affinché non resti informe ma riceva la forma adatta a ciascuno degli esseri che la Scrittura espone successivamente.
Per via di questa conversione e formazione ciascuna creatura, secondo la propria capacità, imita il Verbo di Dio, ossia il Figlio di Dio sempre unito al Padre in virtù della sua piena somiglianza e dell'uguale essenza per cui egli e il Padre sono uno ( Gv 10,30 ), ma non imita questa forma del Verbo se, allontanandosi dal Creatore, resta informe ed imperfetta; per questo motivo il Figlio è ricordato non perché Verbo ma solo perché principio quando è detto: Nel principio Dio creò il cielo e la terra; ( Gen 1,1 ) poiché viene indicato l'esordio della creatura nello stato informe dell'imperfezione.
Del Figlio invece, in quanto è anche il Verbo, si fa menzione nella frase: E Dio disse: Vi sia …
Per conseguenza, quando si fa menzione del Figlio come principio, la Scrittura ci mostra un esordio della creatura che riceve da lui un'esistenza ancora imperfetta, mentre, quando lo menziona come Verbo, essa ci mostra la perfezione della creatura richiamata verso di lui per assumere la sua forma unendosi al Creatore e imitando, in proporzione del suo grado di essere, la Forma eternamente e immutabilmente unita al Padre, dal quale essa riceve subito d'essere ciò ch'è lui stesso.
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