La Genesi alla lettera |
Perché dunque il sole fu creato per essere a capo del giorno ( Sal 136,8 ) e per illuminare la terra se, a produrre il giorno, era sufficiente la luce ch'era stata chiamata anche "giorno"?
Quella luce primordiale illuminava forse regioni superiori tanto lontane dalla terra da non poter essere percepita sulla terra e così era necessario fosse creato il sole affinché per mezzo suo il giorno apparisse alle regioni inferiori del mondo?
Si potrebbe anche dire che lo splendore del giorno fu accresciuto con l'aggiunta del sole, e perciò si potrebbe credere, che in virtù di quella sola luce, il giorno sarebbe stato meno splendente di quanto è adesso.
Io so che da un esegeta è stata proposta anche un'altra soluzione: tra le opere del Creatore sarebbe stata prodotta dapprima la sostanza della luce quando [ Dio ] disse: Vi sia la luce, e vi fu la luce; ( Gen 1,3 ) in seguito invece, quando si parla dei luminari [ del cielo ], la Scrittura avrebbe ricordato quali corpi [ luminosi ] furono creati con la stessa luce secondo l'ordine dei giorni in cui il Creatore decise di compiere tutte le sue opere.
Ma dove sia andata a finire quella sostanza luminosa quando fu sera, quell'esegeta non l'ha detto e penso che non è facile poterlo sapere.
Non si può, infatti, credere ch'essa si fosse spenta perché prendessero il suo posto le tenebre della notte, e si fosse accesa di nuovo perché ricominciasse il mattino prima che fosse prodotto per mezzo del sole questo avvicendamento che cominciò dal quarto giorno, come attesta la stessa Scrittura.
Ma è difficile trovare e spiegare con qual percorso circolare - prima della comparsa del sole - si sarebbe potuta avere la successione di tre giorni e di tre notti, se continuava a risplendere quella luce creata all'origine [ delle cose ], supposto ch'essa sia da intendere come una luce materiale.
Uno però potrebbe avanzare l'ipotesi che l'ammasso delle terre e delle acque, prima che queste fossero separate le une dalle altre - cosa che la Scrittura dice avvenuta solo il terzo giorno - Dio lo chiamò "tenebre" a causa della densità più spessa del suo volume impenetrabile alla luce o a causa dell'oscurità assai fitta d'un ammasso sì grande che, se occupava uno degli emisferi di questa sostanza materiale, necessariamente l'altro era illuminato.
Poiché nella parte d'un corpo qualunque, alla quale la sua massa non permette ch'arrivi la luce, c'è l'oscurità; ciò infatti che si chiama oscurità non è altro che la mancanza di luce sopra una superficie che sarebbe illuminata, se non lo impedisse un corpo posto davanti ad essa.
Se questo corpo è talmente voluminoso da occupare tanta superficie della terra quanta ne occupa la luce dalla parte opposta, l'oscurità si chiama notte.
Ma non ogni specie di tenebre è notte.
Così nella profondità di spelonche assai vaste, ove la luce non può penetrare a causa della massa di terra interposta, ci sono - è vero - le tenebre, poiché non c'è la luce e tutto quello spazio ne è privo, tuttavia siffatte tenebre non si chiamano "notte" ma solo quelle che sottentrano in una parte della terra dalla quale se n'è andata la luce.
Così pure non ogni specie di luce è chiamata "giorno" - c'è infatti anche la luce della luna, delle stelle, delle lampade, dei lampi e di tutto ciò che splende allo stesso modo - ma si chiama "giorno" solo la luce alla quale, allorché si ritira, succede la notte.
Ma se quella luce primordiale ricopriva da ogni parte la terra attorno alla quale era diffusa, sia che restasse ferma sia che le girasse attorno, non c'era regione da cui permettesse che le succedesse la notte, poiché non si allontanava da nessun luogo per farle posto.
O forse la luce era stata creata in una sola parte [ della terra ] in modo che, nel compiere il suo percorso circolare, lasciasse compiere successivamente il percorso circolare dall'altra parte anche alla notte?
Dato infatti che l'acqua ricopriva ancora tutta la terra, nulla impediva che su una faccia di questa massa sferica d'acqua producesse il giorno la presenza della luce e che nell'altra faccia l'assenza della luce producesse la notte che, a cominciar dalla sera, succedesse sulla faccia dalla quale la luce s'allontanava verso l'altra faccia.
In qual luogo dunque si raccolsero le acque, se prima occupavano tutta quanta la terra?
In qual luogo cioè si raccolsero le acque che si ritirarono affinché la terra fosse messa a nudo?
Se infatti v'era già qualche parte nuda della terra, ove le acque potessero ammassarsi, la terra appariva già asciutta e l'abisso non ne occupava l'intera superficie; se invece le acque ne coprivano tutta la superficie, qual era il luogo in cui potevano raccogliersi affinché apparisse la terra asciutta?
Si radunarono forse verso l'alto come avviene quando la messe, dopo essere stata trebbiata, viene lanciata in alto per essere vagliata e, raccolta così in un mucchio, sgombra il luogo che aveva ricoperto quando era sparsa?
Chi potrebbe asserire una simile cosa quando vede il mare che si estende dappertutto come una superficie tutta piana, poiché anche quando le acque agitate si alzano a guisa d'un monte, si appianano di nuovo dopo essersi placate le tempeste?
Inoltre, se le spiagge sono messe a nudo per larghi tratti, non può dirsi che le acque ritirandosi non vadano ad occupare altre terre, dalle quali tornano poi ad occupare di nuovo i luoghi donde s'erano ritirate.
Ma poiché tutta la terra era completamente coperta dall'acqua, ove mai questa si sarebbe ritirata per lasciare scoperte alcune regioni?
O forse l'acqua meno densa copriva le terre come una nuvola ma poi divenne più densa nell'ammassarsi per mettere a nudo, tra molte regioni, quelle in cui potesse apparire la terra ferma?
Sennonchè anche la terra, abbassandosi in vaste estensioni, avrebbe potuto offrire delle depressioni in cui si sarebbero potute raccogliere le acque che, affluendo, vi si sarebbero precipitate in massa e sarebbe potuta apparire asciutta nelle regioni dalle quali l'acqua si sarebbe ritirata.
12.27 Ma la materia non sarebbe del tutto informe, se poteva apparire anche sotto una forma nebulosa.
Ecco perché può sollevarsi anche il quesito in qual momento Dio creò le forme visibili e le proprietà delle acque e delle terre, poiché ciò non si trova ricordato in nessuno dei sei giorni [ della creazione ].
Ammettiamo pertanto che Dio le creò prima che iniziassero i giorni, allo stesso modo che prima della menzione di quei giorni sta scritto: Nel principio Dio creò il cielo e la terra, ( Gen 1,1 ) in modo che mediante il nome di "terra" noi intendiamo la terra già formata con il suo aspetto esteriore, ricoperta dalle acque già mostrate chiaramente nella loro propria forma visibile; in tal caso, riguardo a ciò che la Scrittura soggiunge dicendo: La terra però era invisibile e confusa e le tenebre erano sopra l'abisso: e lo Spirito si librava al di sopra delle acque, ( Gen 1,2 ) non dobbiamo pensare a uno stato informe della materia, ma alla terra e all'acqua prive di luce - che ancora non era stata fatta - ma create con le proprietà che ormai conoscono tutti.
Per conseguenza la terra è chiamata "invisibile" nel senso che, essendo coperta dalle acque, non poteva essere vista, anche se ci fosse stato uno che potesse vedere; è poi detta "confusa" perché non era ancora separata dal mare né circondata di spiagge né adornata dei suoi prodotti e animali.
Se dunque è così, perché mai queste forme - che senza dubbio sono materiali - furono create prima di qualsiasi giorno?
Per qual motivo la Scrittura non dice: "Dio disse: "Vi sia la terra".
E vi fu la terra", e così pure: "Dio disse: "Vi sia l'acqua".
E vi fu l'acqua", o anche, accomunando entrambi gli elementi - essendo essi uniti per così dire dalla legge che assegna loro il gradino più basso -: "Dio disse: "Vi sia la terra e l'acqua". E così fu?".
A persuaderci basta la seguente considerazione: è chiaro che ogni essere mutevole è formato a partire da uno stato d'informità; nello stesso tempo non solo la fede cattolica ci comanda di credere, ma anche la ragione c'insegna con solidi argomenti che la materia di tutte le nature non sarebbe potuta esistere se non per opera di Dio, primo autore e creatore non solo delle nature formate, ma anche di quelle formabili.
Di questa materia parla a lui anche l'agiografo che dice: Tu hai creato il mondo dalla materia informe. ( Sap 11,18 )
Questa considerazione c'insegna inoltre che la Scrittura, secondo lo spirito della Sapienza, per adattarsi anche a lettori o a uditori piuttosto tardi di mente, fa allusione a questa materia con le parole che precedono l'enumerazione dei giorni, allorché dice: Nel principio Dio creò il cielo e la terra ecc. fino alle parole: E Dio disse, venendo in seguito esposto il racconto ordinato degli altri esseri formati.
Non si deve pensare però che la materia informe sia anteriore in ordine di tempo alle cose formate, essendo stato concreato simultaneamente sia ciò da cui una cosa è fatta, sia ciò ch'è fatto.
Così, per esempio, la voce è la materia delle parole e le parole invece indicano la voce formata; tuttavia chi parla non emette prima una voce informe ch'egli potrebbe in seguito determinare e formare per farne delle parole; allo stesso modo Iddio creatore non creò dapprima la materia informe e in seguito, grazie - per così dire - a una seconda considerazione, la formò seguendo l'ordine delle diverse nature, poiché egli creò la materia formata.
Ora, ciò a partire da cui una cosa è fatta, è anteriore - se non quanto al tempo, almeno quanto a quella che impropriamente potrebbe chiamarsi origine - a ciò ch'è fatto per mezzo di quello; per questo motivo la Scrittura ha potuto separare nei momenti della narrazione ciò che Dio non separò nei momenti della creazione.
Se infatti ci si chiedesse se formiamo la voce servendoci delle parole o le parole servendoci della voce, difficilmente si troverebbe alcuno sì tardo d'ingegno che non risponderebbe che sono piuttosto le parole a esser formate con la voce; così, quantunque chi parla faccia nello stesso tempo le due azioni, basta un'attenzione ordinaria per scoprire qual è quella formata con l'altra.
Per questo motivo, poiché Dio creò simultaneamente l'una e l'altra cosa, sia la materia da lui formata sia le cose per le quali l'aveva formata, la Scrittura doveva da una parte parlare di entrambe le cose e dall'altra non poteva parlare simultaneamente; chi potrebbe dubitare che doveva parlare di ciò con cui un essere fu fatto per mezzo di quello?
Infatti anche quando nominiamo la materia e la forma, noi comprendiamo che l'una e l'altra esistono simultaneamente, ma non possiamo pronunciarle entrambe simultaneamente.
Orbene, allo stesso modo che, quando pronunciamo queste due parole, succede che in breve tratto di tempo pronunciamo l'una prima dell'altra, così in un racconto piuttosto lungo era necessario riferire la creazione della materia prima di quella della forma benché Dio - come ho già detto - creasse l'una e l'altra simultaneamente.
Per conseguenza ciò che nell'atto del creare è primo solo quanto all'origine, nella narrazione è primo anche quanto al tempo; se infatti due cose, di cui l'una non è per nulla anteriore all'altra, non possono essere nominate nello stesso tempo, tanto meno possono raccontarsi nello stesso tempo.
Non si deve dunque dubitare che questa materia informe, quale che sia la sua natura, è tanto vicina al nulla che fu concreata con le cose formate a partire da essa.
Se dunque è ragionevole credere che la Scrittura indica questa materia quando dice: La terra era invisibile e confusa e le tenebre regnavano sopra l'abisso, e lo Spirito di Dio si librava al di sopra delle acque, ( Gen 1,2 ) eccettuato ciò che vi si afferma dello Spirito di Dio, dobbiamo intendere che tutti gli altri termini, con cui sono indicate le cose visibili, sono stati usati per indicare, per quanto era possibile, a persone piuttosto tarde d'ingegno questa informità della materia; questi due elementi infatti, cioè la terra e l'acqua, nelle mani degli artigiani sono più docili degli altri per fare qualcosa e perciò più adatti a denotare quell'informità.
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